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Non hanno nemmeno il coraggio di fare i razzisti

Ci siamo. Il cosiddetto decreto Cutro, quell’abominio giuridico che il governo Meloni ha partorito con i cadaveri ancora caldi a pochi metri che la presidente del Consiglio e i suoi ministri non hanno avuto il tempo di onorare per correre a cantare al karaoke della festa a sorpresa per il compleanno di Matteo Salvini. Il disegno è chiaro: costruire un Cpr (centri di permanenza che in realtà sono centri illegali di detenzione) in ogni Regione per “normalizzare” l’illegalità; velocizzare i rimpatri per fottersene ancora di più dei diritti calpestati sulle domande d’asilo; cancellare fieramente la “protezione speciale”.

Poiché Giorgia Meloni vorrebbe apparire una xenofoba di “buon senso” (è il trucco per fingersi non razzisti) ci ha spiegato che «la protezione speciale è una protezione ulteriore rispetto a quello che accade nel resto d’Europa» durante la sua visita in Etiopia. Falsissimo. La protezione speciale può essere assegnata (art. 19) a un migrante se ci sono «fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare». Questa parte della legge è stata eliminata con il decreto Cutro.

Come spiega il sito Pagella Politica “Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue, raccoglie periodicamente i dati sugli esiti delle richieste d’asilo nei 27 Stati membri. Secondo i dati più aggiornati, nel 2022 almeno 11 Paesi europei, tra cui Germania e Spagna, avevano riconosciuto una forma di protezione per «motivi umanitari», in aggiunta allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. È in questa categoria che rientrano i dati delle protezioni speciali assegnate dall’Italia, che fino al 2018 concedeva la protezione umanitaria (poi sostituita da quella speciale), eliminata dal primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 stelle. Curiosità: anche all’epoca vari esponenti del governo avevano difeso l’eliminazione della protezione umanitaria dicendo che esisteva solo in Italia. Come avevamo spiegato, non era vero. Meloni, all’epoca all’opposizione, aveva fatto dichiarazioni simili.  Nel 2022, per esempio, la Germania ha concesso oltre 30 mila protezioni per ragioni umanitarie e la Spagna quasi 21 mila. L’Italia ha invece riconosciuto quasi 11 mila forme di protezione speciale. Nel 2018 la Camera dei deputati ha pubblicato un dossier dove ha confrontato i vari permessi di soggiorno concessi dai Paesi europei per motivi umanitari. Ognuno di questi permessi ha le sue caratteristiche e va ad aggiungersi, come detto, ai permessi di soggiorno concessi ai rifugiati o a chi è stata concessa la protezione sussidiaria”.

Le organizzazioni hanno criticato profondamente la nuova norma e gli emendamenti presentati in parlamento. Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e membro dell’Asgi, ha commentato: “Gli emendamenti al disegno di legge Cutro proposti dal governo in sede di conversione del decreto stesso al senato sono scellerati non solo per ciò che riguarda l’abrogazione della protezione speciale ma anche per la demolizione del sistema di asilo vigente (sia per ciò che riguarda la accoglienza che le procedure)”.

Scrive Asgi: “Rifiutiamo la contrapposizione tra migranti regolari e irregolari che emerge dalla scelta di inserire in questo testo provvedimenti inerenti al Decreto flussi, senza rafforzare il sistema di asilo: se da tempo chiediamo a gran voce l’allargamento dei canali legali di ingresso, sappiamo bene che non possono essere queste misure a rispondere al bisogno di protezione internazionale. E chi in questi venti anni ha provato ad assumere in regola dei lavoratori stranieri sa che le misure previste sono del tutto insufficienti, perché l’unica possibilità per favorire incontro tra domanda e offerta di lavoro regolare sta nel scardinare del tutto il meccanismo previsto dalla Bossi Fini. E’ fondamentale invertire velocemente la rotta e promuovere politiche eque ed efficaci sull’immigrazione e sul diritto di asilo. Partendo dall’opposizione a queste norme, in un percorso che chiede ingressi legali, corridoi umanitari, garanzia dell’accesso alla procedura di asilo e all’accoglienza, abbandono delle politiche di esternalizzazione e dei loro scellerati risultati, come l’accordo con la Libia, salvaguardia delle vite in mare”.

Buon martedì.

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Stessa spesa ma più poveri

Un capolavoro: riuscire a fare spendere gli stessi soldi allo Stato ma stringere le platee di beneficiari. Il Messaggero e Il Sole 24 Ore scrivono alcune anticipazioni sulla riforma del Reddito di cittadinanza e il quadro che ne esce è l’esatta fotografia di un governo che odia i poveri.

L’importante è, ovviamente, abolire il Reddito di cittadinanza per riempire gli stomaci di chi per mesi ha dipinto i poveri come un’orda di fannulloni nemici della patria. Così nelle bozze del nuovo Decreto lavoro il sussidio si sdoppierà nella Garanzia per l’Inclusione (in sigla Gil), con valore massimo uguale al Rdc attuale, per chi vive in un nucleo familiare con minori, over 60 o disabili e dunque è ritenuto “non occupabile”, e nella Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) per chi è in grado di lavorare.

Il costo degli interventi, il primo anno, sarà praticamente identico alla spesa sostenuta per il Rdc fino a prima dell’esplosione della povertà con la pandemia: 7,3 miliardi di cui 5,3 per la Gil e 2 per la Gal. Nel 2020 il Rdc ha assorbito 7,1 miliardi, saliti poi a 8,7 nel 2021 e assestati a 7,9 nel 2022. L’Italia ha dovuto aumentare la platea dei beneficiari perché le regole internazionali contano e alla fine il governo ha dovuto dimezzare gli anni di residenza in Italia richiesti agli stranieri, dopo una procedura d’infrazione dell’Unione europea.

La Gil potranno chiederla le famiglie con minori, un disabile, un over 60 o una persona con assegno per invalidità civile anche temporaneo e spetterà solo a chi ha Isee non superiore a 7.200 euro contro la soglia attuale di 9.360. La Gal, Garanzia per l’attivazione lavorativa, scatterà a gennaio 2024 e sarà di 350 euro al mese.  La stessa cifra è nella soluzione ponte (la Pal, Prestazione di accompagnamento al lavoro) riservata ai beneficiari del Rdc che al momento della scadenza dei 7 mesi di sussidio previsti per quest’anno abbiano sottoscritto un patto per il lavoro e siano inseriti in misure di politica attiva.

Ciò che conta sarà il risultato: costringere più persone ad accettare di fare gli schiavi trovandosi uno di quei bei lavori italiani che non riesce a fare galleggiare le persone sopra la soglia della povertà nonostante risultino “occupate”.

Buon lunedì.

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Matteo Renzi secondo Carlo Calenda (ben svegliato!)

L’altro ieri Carlo Calenda ha inviato una mail a tutti gli iscritti di Azione. Dice testualmente così: “nella vita professionale non ho mai ricevuto avvisi di garanzia/rinvii a giudizio/condanne pur avendo ruoli di responsabilità”.

Come la Bella addormentata Carlo Calenda si sveglia e svela a tutti quello che tutti sapevano già.

E ancora: “Non ho accettato soldi a titolo personale da nessuno, tanto meno da dittatori e autocrati stranieri. Non ho preso finanziamenti per il partito da speculatori stranieri e intrallazzatori. Non ho mai incontrato un magistrato se non per ragioni di servizio. Mai sono entrato nelle lottizzazioni del CSM. Ho rotto con il PD quando ha tradito la parola alleandosi con Renzi e i 5S”.

“Ho rotto con Letta quando ha trasformato l’agenda Draghi in quella Bonelli/Fratoianni/Di Maio. Non sono caduto nella fregatura di Renzi e Boschi sul finto partito unico. Gli Ego o la litigiosità non c’entrano nulla. Tutti i politici hanno un Ego. Per quello di Bonino consiglio di rileggersi Pannella. C’entra la volontà di fare politica in modo serio, onorevole e onesto. Buona giornata. Ps: a Bonifazi che mi accusa di assenze. È una classifica fatta su 25 giorni di voti già superata”.

“Da ora Azione entra in silenzio stampa. Lasciamo la melma a chi ci sta bene dentro”.

“Quando non ero in Senato ero a fare iniziative sul territorio per Azione e IV. Non ero a Miami con il genero di Trump o in Arabia a prendere soldi dall’assassino di Khashoggi. Tanto dovevo di spiegazioni sulle polemiche di questi giorni e sul tentativo di renderle “caratteriali” piuttosto che politiche. Da ora Azione entra in silenzio stampa. Lasciamo la melma a chi ci sta bene dentro”.

Come la Bella addormentata Carlo Calenda si sveglia e svela a tutti quello che tutti sapevano già. Manca però la risposta all’unica domanda che conta: “perché ha difeso l’indifendibile spargendo fango su chi scriveva – fatti alla mano – ciò che ora strilla a tutti?”. Il punto politico sta tutto qui: non provate un po’ di vergogna per questi mesi in cui avete preso a martellate la verità?

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L’Onu contro l’Italia, bocciato lo stato d’emergenza per i migranti

“Qualsiasi nuova politica nell’ambito dello stato di emergenza deve essere conforme agli obblighi dell’Italia in materia di diritti umani”. è l’appello lanciato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani Volker Turk secondo cui “il diritto alla vita e il divieto di respingimento non possono essere derogati, nemmeno in tali circostanze”.

Secondo le Nazioni Unite salvare vite in mare è un dovere inderogabile dalle leggi nazionali

Turk, si legge sul sito Onu, “ha esortato il governo italiano ad abbandonare la nuova e severa legge adottata all’inizio dell’anno che limita le operazioni civili di ricerca e soccorso e ad astenersi dal criminalizzare coloro che sono coinvolti nel fornire assistenza salva-vita”. “Stiamo assistendo – ha premesso Turk, sempre secondo quanto riporta il sito dell’Onu – ad un forte aumento del numero di persone disperate che mettono a rischio la propria vita” cercando di attraversare il Mediterraneo. Non possiamo permetterci di procrastinare e impantanarci in un nuovo dibattito sulla responsabilità. Sono in gioco vite umane”.

Turk: “L’esperienza ci insegna che adottare una linea più dura per frenare la migrazione irregolare non impedirà le partenze”

“L’esperienza ci insegna che adottare una linea più dura per frenare la migrazione irregolare non impedirà le partenze, ma porterà invece a più sofferenze umane e morti in mare”, ha proseguito l’Alto commissario, ricordando che sarebbe molto più saggio per i Paesi offrire “percorsi sicuri e regolari per la migrazione per evitare morti inutili”. Turk, si legge ancora sul sito dell’Onu, ha anche elogiato “gli sforzi della Guardia costiera italiana, che da venerdì ha salvato circa 2.000 persone”.

L’Italia riferisce che quest’anno sono arrivati nel Paese circa 31.300 migranti, rispetto ai circa 7.900 dello stesso periodo dell’anno scorso. A stretto giro di posta arriva la risposta piccata della maggioranza. “Credo che l’Alto commissario Onu per i diritti umani si possa occupare di altre e più significative cose, anziché intromettersi nella legislazione legittima, costituzionale e in armonia con i principi europei che il Parlamento italiano approva”.

Così il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, risponde all’’appello rivolto al governo italiano sulle politiche migratorie, dall’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Volker Turk. Intanto il sottosegretario all’Interno Molteni annuncia una stretta sulla protezione speciale definendola “un unicum italiano che crea condizioni attrattive per l’immigrazione”. Secco il PD: “È inquietante l’escalation di proposte e dichiarazioni che provengono dal Viminale. Lascia senza parole quel che dice Molteni che annuncia di voler eliminare la “protezione speciale” per i migranti.

Ieri la volontà di cancellare luoghi di accoglienza che porteranno migliaia di persone a vivere nelle nostre strade, oggi si aggiunge questa altra scelta che porterà alla generazione di ulteriori senzatetto. Si tratta di misure utili solo a far crescere gli irregolari e il numero di persone presenti nelle strade”. Lo dice Pierfrancesco Majorino, componente della Segreteria Nazionale Pd con delega alle politiche migratorie e Diritto alla casa. Per il senatore dem Mirabelli il governo “ancora una volta il governo dimostra di non capire le cause di un fenomeno che ha triplicato gli sbarchi non per colpa della protezione speciale ma della fame, delle guerre e delle violazioni dei diritti umani che spingono a cercare l’approdo più vicino per entrare in Europa”.

Leggi anche: Il Governo vuole eliminare la protezione speciale. La Meloni dall’Africa conferma la linea dura sui migranti. Per il Pd “è una vergogna”

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Trattativa Stato-Mafia. Il Pg: “Riprocessare Mori & C.”

Un nuovo processo per la trattativa Stato-Mafia. La richiesta è della procura generale della Cassazione nei confronti dei carabinieri del Ros, il generale Mario Mori e gli ufficiali Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. I rappresentanti dell’ufficio della pubblica accusa hanno chiesto la conferma della assoluzione per l’ex senatore Marcello Dell’Utri. La sentenza d’appello da annullare secondo la Procura generale della Cassazione “sviluppa la trattativa negli anni, ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia e di come sia stata rivolta al governo”.

Un nuovo processo per la trattativa Stato-Mafia. La richiesta è della procura generale della Cassazione nei confronti di Mori, Subranni e De Donno

Per questo – nelle conclusioni – si sottolinea che “in parziale accoglimento dei ricorsi degli imputati ricorrenti e della Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo, annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla minaccia nei confronti dei governi Amato e Ciampi”. Sempre secondo i rappresentanti della pubblica accusa è “necessario annullare la sentenza con rinvio” per le assoluzioni dei carabinieri Mori, De Donno e Subranni anche perché almeno una parte delle prove a supporto della sentenza impugnata “sono desunte indiziariamente” e non dimostrano le accuse “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Perché “a questa esigenza di certezza processuale, la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto e difettosa sul piano motivazionale”. Il giudizio d’appello – è stato detto – non fa una precisa ricostruzione della minaccia al governo e lo fa solo in modalità congetturale. E poi il “percorso logico seguito dalla corte d’Assise si nutre di alcuni elementi viziati – si aggiunge – non può non convenirsi con la difesa, sul fatto che la sentenza si affidi a una serie elementi carenti dei requisiti di gravità e precisione”.

Secondo la Procura generale, i fatti storici non sono dimostrati “oltre ogni ragionevole dubbio“: “a questa esigenza di certezza processuale, la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto e difettosa sul piano motivazionale”, perché “descrive la trattativa negli anni ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia e di come sia stata rivolta al governo, e lo fa solo in modo congetturale”.

In particolare, il provvedimento d’Appello “manca di indicare il preciso contenuto delle richieste” rivolte da Cosa nostra a Giovanni Conso, ministro di Grazia e giustizia nei governi Amato e Ciampi: solo conoscendo quel contenuto, argomentano i magistrati, si sarebbero potute fare “valutazioni di merito essenziali per sostenere logicamente le conclusioni sull’integrazione del delitto”, valutazioni “che non risultano effettuate nella sentenza impugnata”.

All’esame del collegio, composto da cinque magistrati, c’è la sentenza di 2.791 pagine emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, che il 23 settembre 2021 ha ribaltato la decisione di primo grado assolvendo “per non aver commesso il fatto” l’ex senatore Marcello Dell’Utri e “perché il fatto non costituisce reato” gli ex generali del Ros dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni e l’ufficiale Giuseppe De Donno.

In quel caso furono confermate solo le condanne al boss corleonese Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni) e quella al medico Antonino Cinà (12 anni). Ma il processo sulla trattativa, questo si sa bene, ormai è diventato solo un ulteriore randello per i garantisti pelosi o per i delatori della magistratura antimafia di questo Paese. Interessa solo agli addetti ai lavori e ai persecutori dell’impunità. Interessava anche a Massimo Giletti che nella sua trasmissione avrebbe voluto parlarne nelle prossime puntate. Ma il programma di Giletti non c’è più.

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La storia del piccolo Enea e l’ennesima violenza sul corpo delle donne

Avete notato? È stata l’Eneide più breve nella storia del mondo. Del piccolo Enea, neonato affidato ma raccontato come abbandonato, non rimane più niente sule pagine dei giornali, nel cuore degli addolorati, nei cassetti dei perbenisti. Enea del resto è stato solo l’ultima roncola tra tante da sferrare contro le donne che non sanno tenersi i mariti, i figli e il loro dovuto dolore. Domani mattina si troverà altro, una cosa qualsiasi, un bambino o un marito o un errore da cattiva madre, per fare politica e moralismo sui corpi delle donne.

A guadagnarci sono stati solo il padre di Enea ed Ezio Greggio 

È andata meglio al padre di Enea – perché Enea, si può presumere senza troppa investigazione avrà anche un padre – che ha potuto godere del millenario indulto riservato ai maschi. È andata bene anche a Ezio Greggio che si è conquistato qualche spazio su giornali e televisioni. Sì, è vero, ha dovuto chiedere scusa ma con la fatica che occorre per meritarsi uno spicchio di visibilità in questi tempi forsennati di esibizionismi una scusa val bene una messa. È passata sotto traccia, tra l’altro, la risposta più ferrata al suo patetico mettersi a disposizione per la «vera madre» di Enea. L’ha scritta Paolo Cosseddu su Ossigeno: «A tutti loro, dal profondo del cuore, ci sentiamo di dire che se vogliono davvero aiutare chi sta male, chi è in difficoltà, invece di creare associazioni e raccogliere soldi ognuno per conto proprio, dovrebbero fare una cosa semplicissima, e che sarebbe utile davvero, per tutti: pagare le tasse».

Ezio Greggio ha lanciato un appello per il piccolo Enea abbandonato dai genitori ma ora il suo annuncio diventa un caso.
Ezio Greggio (Facebook)

Così è stato calpestato il diritto di partorire in modalità anonima

Spiace che Enea quando sarà abbastanza grande per cercarsi su Google non potrà togliersi lo sfizio di denunciare chi ha contravvenuto la legge 2000 (DPR 396/2000 art. 3, comma 2) che sancisce il diritto di partorire in modalità anonima, per garantire la sicurezza della mamma e del bambino. Per quella legge il nome della madre rimane segreto e nell’atto di nascita viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”. Il bambino rimane in ospedale e gli vengono garantite tutte le cure e l’assistenza giuridica. La dichiarazione di nascita in questo caso può essere effettuata dall’ostetrica che ha assistito al parto o dal medico. Da qui nasce l’installazione delle cosiddette “culle per la vita” (si parla in Italia di circa 400 bambini affidati). La culla è un ambiente protetto, in un punto senza telecamere (ma evidentemente con molta bava degli opinionisti) per poter garantire l’anonimato alla madre e l’accoglienza in totale sicurezza del bambino. Premendo un pulsante si apre una serranda che consente l’accesso a un’incubatrice riscaldata dove si può lasciare il neonato; dopo pochi secondi la serranda si abbassa e attraverso un segnale acustico viene avvisato il reparto della presenza del neonato. Trascorsi 10 giorni, termine ultimo per il riconoscimento, il Tribunale per i minorenni inizia a gestire la pratica inserendo il neonato nelle liste per l’adozione.

La storia del piccolo Enea e l'ennesima violenza sul corpo delle donne
Neonati in incubatrice (Getty Images).

Ancora una volta una violenza contro una donna può essere sminuita con un “l’abbiamo fatto per lei”

Qualsiasi informazione sulla madre, sulle motivazioni del suo affidare il figlio, sul bambino noi non avremmo mai dovuto averla. Mai. Chi ha dato notizie sulla lettera lasciata dalla madre, sul colore della tutina e sullo stato di salute del bambino, sul suo peso, avrebbe dovuto professionalmente solo prendersene cura. L’effetto provocato dalla pubblicità di informazioni riservate è sempre lo stesso: acuire il gesto della madre, infondere un senso di colpa generalizzato che probabilmente renderà ancora più difficile l’accesso alle “culle della vita”, tirare una spallata di sponda al diritto all’aborto, concimare la materfilia di un Paese che giudica le donne in base alla produttività del loro utero, scalfire per l’ennesima volta il loro diritto all’autodeterminazione. Una storia vecchia che si ripete con una frequenza violentissima in un Paese in cui i figli diventano talenti delle loro madri, come una riga da aggiungere al curriculum. Così ancora una volta una violenza contro una donna può essere sminuita con un “l’abbiamo fatto per lei”. Chissà che ne penserà Enea.

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Invasori e pure risorse. Governo in tilt persino sui migranti

Fermi tutti, si sono sbagliati. Ora i migranti servono. Lo scrive nero su bianco il governo Meloni sul documento del ministero dell’Economia. Non un documento qualsiasi, si tratta del principale documento di programmazione economica del governo, il Def, con la firma in calce del ministro Giancarlo Giorgetti. I migranti servono, eccome, per migliorare il rapporto tra debito e Pil, fino a 30 punti: “Data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia, l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro”, scrivono i funzionari del ministero.

L’Italia ha bisogno di molti più migranti di quelli previsti dal decreto Flussi licenziato dal governo

In base alla simulazione contenuta nel Documento di finanza pubblica redatto dal Tesoro se i migranti che lavorano in Italia aumentassero di un terzo rispetto alle cifre attuali entro il 2070 il debito pubblico potrebbe diminuire di oltre il 30% in più rispetto al caso in cui il numero di stranieri rimanesse quello attuale. Il Def prevede che il debito pubblico italiano scenda al 140,4% del Pil nel 2026 dal 142,1% di quest’anno. Come ricorda l’agenzia Reuters il presupposto dei calcoli fatti dal ministero guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti è che un aumento del numero di migranti si traduca in una forza lavoro più ampia, che a sua volta contribuisce a stimolare l’attività economica. “Considerata la struttura demografica dei migranti che entrano in Italia, l’effetto sulla popolazione residente in età lavorativa è significativo“, scrive il Tesoro.

Con una delle popolazioni più anziane del mondo, bassi tassi di natalità e occupazione, l’Italia ha pochi lavoratori per sostenere la sua spesa previdenziale che è attesa raggiungere un picco del 17,4% del Pil nel 2036, dall’attuale 16%, prima di scendere e stabilizzarsi intorno al 14% al 2060-2070.

Sono oltre 240mila le domande pervenute a fronte di 82.705 quote previste dal decreto

L’Italia insomma ha bisogno di molti più migranti di quelli previsti dal decreto Flussi licenziato dal governo. A lamentarsi sono le imprese e le associazioni che sottolineano come gli 82mila posti previsti dal governo siano andati esauriti nel giro di un’ora. l dato del Viminale – nei primi sessante minuti con l’immediato overbooking – segnala 238.335 domande a fronte di 82.705 quote previste dal decreto. A fine giornata erano oltre 240mila.

“Nelle campagne con l’arrivo della primavera c’è bisogno di almeno 100mila lavoratori per colmare la mancanza di manodopera – aveva avvertito il presidente di Coldiretti Ettore Prandini – è una necessità da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge”. La ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone qualche giorno fa aveva risposto sottolineando che il governo punta sulla “immigrazione qualificata e formazione dei lavoratori”, non perché “non vogliamo essere accoglienti”, ma perché proprio dalle imprese arriva la richiesta di “avere manodopera qualificata”.

“Ora noi dobbiamo guardare a un tema più complesso, – spiegava ancora la ministra Calderone – quello dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, non legato ovviamente solo al tema della migrazione, e quindi a come gestire il lavoro degli immigrati. Ma in generale a come integrare al lavoro tutti quelli che oggi sono fuori dal mercato”. Il suo collega Giorgetti ora la smentisce.

Il decreto Cutro approderà in Senato il 18 aprile

Intanto il governo potrebbe avere trovato l’intesa per l’approdo del cosiddetto decreto Cutro che approderà in Senato il 18 aprile. Sono stati depositati in Commissione i maxi emendamenti della maggioranza che introducono novità sul potenziamento dei centri di accoglienza e sulla riduzione e revoca delle condizioni di accoglienza (articolo 5 del decreto). All’articolo 7 ci sono modifiche all’articolo 7 sulle procedure accelerate di frontiera, il riconoscimento della protezione internazionale e l’accompagnamento immediato alle frontiere. Si torna ai Decreti sicurezza che furono di Salvini, con la costruzione di nuovi Cpr (centri di permanenza che in realtà sono d’illegale detenzione). I conto con la realtà sono rimandati, un’altra volta, in nome della propaganda.

Leggi anche: “Sugli sbarchi la propaganda non sta più in piedi. Giorgia & C. sono nel panico”. Per Fassina la priorità è affrontare le ragioni della fuga di milioni di persone e dargli modo di non emigrare

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Occupatevi del Po, non della vernice lavabile sui monumenti

Forse a molti non è chiara la gravità della situazione. Mentre le temperature rimangono ancora relativamente basse e la primavera fatica a fare capolino, la situazione siccità rimane gravissima in tutta Italia. L’ultimo allarme arriva dal fiume Po. Secondo l’Anbi, al rilevamento finale di Pontelagoscuro la portata è scesa a toccare mc/s 338,38, cioè oltre100 metri cubi al secondo in meno del minimo storico di aprile e ben al disotto dei mc/s 450, considerati il limite sotto cui il fiume è inerme di fronte alla risalita del cuneo salino.

Non solo: nel siccitosissimo 2022 questi dati vennero registrati il 4 giugno, vale a dire che il più importante corso d’acqua italiano vive una condizione di crisi idrica estrema, da monte a valle, con ben 40 giorni di anticipo sul già drammatico anno scorso. Altro dato allarmante è quello delle riserve idriche della Lombardia: manca il 58,4% di risorsa rispetto alla media storica ed il 12,55% sul 2022. Cresce anche il deficit di neve, che si attesta a – 68,8% rispetto alla media, cioè quasi il 10% sotto il minimo storico ed il 20% in meno rispetto al già deficitario 2022. Secondo Utilitalia, poi, i Comuni al massimo livello di severità idrica sono 13, tutti concentrati in Piemonte. A soffrire particolarmente sono le aree agricole: il 35,3% negli scorsi 24 mesi, ha sofferto di siccità severa-estrema. Certo, l’arrivo dell’ultima perturbazione che ha portato pioggia ha in parte salvato le semine, sottolinea la Coldiretti, ma se insieme alle precipitazioni giungessero anche temporali e grandine si rischierebbe di “provocare danni irreparabili alle coltivazioni e ai frutteti ma anche frane e smottamenti poiché i terreni secchi non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento.

Un rischio per la produzione agricola nazionale dopo che il brusco abbassamento delle temperature notturne con gelate tardive dei giorni scorsi al centro nord ha colpito duramente le coltivazioni con danni a macchia di leopardo fino al 70% a gemme e piccoli frutti sugli alberi di susine, ciliegie, albicocche, pesche ma anche su meli, peri, kiwi e vigneti già in fase avanzata di vegetazione”. “Settimana dopo settimana si aggrava la situazione idrica nel Nord Italia con crescenti conseguenze sull’economia e l’ambiente dei territori. Se l’anno scorso, la siccità costò 13 miliardi al sistema Paese, il 2023 si preannuncia peggiore nell’attesa del via operativo a piani e provvedimenti indispensabili per incrementare la resilienza alla crisi climatica”, commenta Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi. E Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità distrettuale del fiume Po, non vuole parlare di emergenza: la situazione preoccupa, ma va “affrontata con una strategia convinta ed incisiva che guardi ad un orizzonte di medio-lungo periodo come strategia di adattamento al cambiamento climatico più a largo spettro”.

Un altro esempio? Secondo la Fondazione Cima, Centro Internazionale per il Monitoraggio Ambientale, ad aprile in Italia il deficit di neve si stabilizza a -64% rispetto a 12 anni fa. “Siamo giunti ormai alla metà di aprile, lasciandoci alle spalle i giorni nei quali, storicamente, si segna il picco di accumulo della neve in Italia, quelli intorno alla metà di marzo – si legge nell’analisi -. In altre parole, oggi i conti che possiamo fare per quanto riguarda la neve italiana sono quelli conclusivi per la stagione 2022/23, sui quali possiamo e dobbiamo basare le nostre strategie per la gestione idrica dei mesi a venire. E, purtroppo, non fanno che ribadire un andamento osservato nel corso di tutti i mesi invernali: poche precipitazioni e temperature miti che hanno portato a un significativo deficit di neve rispetto al decennio passato. Con questa scarsità dovremo fare i conti per le nostre necessità d’acqua in primavera ed estate”.

Buon venerdì.

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Renzi e Calenda ai titoli di coda tra gli insulti

Quel giorno è arrivato. Sapevamo tutti che la colla che univa i due esponenti più egotici del panorama politico italiano era il giro da guadagnarsi in Parlamento (ognuno con la sua truppa) e sapevamo che sarebbe finita così. Anche per questo l’addio che si consuma tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, gli altri dietro come tetra scenografia, instilla una malinconia stanca.

Dal matrimonio al funerale. La farsa del Sesto Polo di Calenda e Renzi è finita. Il flop certifica che il centro esiste solo sui giornali

Tutto così sfacciatamente prevedibile, come quelle brutte canzoni neomelodiche di cui immagini il ritornello già il primo ascolto, sempre uguali a sé stesse. Mentre i parlamentari hanno già infilato i bagagli nelle cappelliere, sull’orlo del tramonto, in lontananza s’ode splenica la senatrice renziana Raffaella Paita che auspica “che si possa continuare a lavorare insieme nelle istituzioni, anche perché abbiamo lavorato molto bene”. È uno di quegli auguri con il fazzoletto bianco alla stazione.

Il “partito unico è definitivamente morto”, sentenzia Carlo Calenda intercettato da Striscia La Notizia. Che il certificato di morte sia officiato da un tiggì satirico aggiunge imbarazzo di fronte a una fine degna della Commedia dell’Arte, dove le maschere di Carlo e Matteo non rinunciano alla propria parte continuando a ballare anche sopra alle macerie che si sono lasciati alle spalle. “Non ho parlato con Renzi in Aula, – spiega Calenda ai giornalisti – non c’è stato modo poiché c’erano voti serrati. In ogni caso il progetto del partito unico è definitivamente morto. Andremo avanti con due partiti e, se ricomporremo il clima, ci alleeremo dove sarà possibile”.

Poi l’ex ministro del governo dell’ex premier di Rignano aggiunge: “Il partito non lo riusciremo a fare, perché Renzi non lo vuole fare. Perché vuole tenersi soldi e partito di Italia viva e non si può far nascere, da due partiti, tre partiti: diventa ridicolo. Lui non viene alle riunioni. Non ci ho parlato, perché lui parla solo con Obama e Clinton”.

Dopo aver preso a sberle il suo ex compagno di viaggio Calenda si avvia sotto la pioggia scrosciante coperto male da un ombrello condiviso. Poco dopo una nota ufficiale di Azione cesella i motivi dell’addio: “Lo stop deriva dalla scelta di Italia Viva di non votare un documento ieri che avevano dichiarato essere già letto e condiviso. Dietro tutto questo c’è solo un fatto: Renzi tornato alla guida di Italia viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito. Scelta legittima ma contrastante con le promesse fatte agli elettori. Dopo mesi di tira e molla ne abbiamo semplicemente preso atto. In un clima volutamente avvelenato da insulti personali da parte di Renzi e di quasi tutti gli esponenti di Italia viva a Carlo Calenda”.

Italia Viva risponde con un comunicato: “interrompere il percorso verso il partito unico – scrivono i renziani – è una scelta unilaterale di Carlo Calenda. Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione. Gli argomenti utilizzati appaiono alibi. Italia viva è pronta a sciogliersi, come Azione, il 30 ottobre, dopo un congresso libero e democratico. Sulle risorse, Italia viva ha trasferito fino a oggi quasi un milione e mezzo di euro al team pubblicitario di Carlo Calenda ed è pronta a concorrere per la metà delle spese necessarie alla fase congressuale e a trasferire le risorse dal momento della nascita del partito unico. La costruzione di una proposta alternativa a populisti e sovranisti è da oggi più difficile ma più urgente. Nei prossimi mesi noi rispetteremo gli amici di Azione cercando ogni forma di collaborazione senza rispondere alle polemiche di alcuni dei loro dirigenti”.

Matteo Renzi non si fa vedere. Forse ieri era la sua giornata da conferenziere, o da giornalista – dopo la recente nomina a direttore editoriale del quotidiano Il Riformista – o da maratoneta, nonostante lo stipendio da politico. Il terzo polo che non è mai stato terzo e non è mai stato un polo è un partito mai partito che si consuma come gli scontri tra galli, con il pollaio impiastricciato di feci e le piume rimaste a terra.

Rimangono i polli a rivendicare la vittoria dell’uno e dell’altro, nei comunicati che si susseguono per tutta la giornata a incolpare ora Renzi ora Calenda dall’una e dall’altra parte. Ma è un canto stanco, anche quello condizionato dalla settimana corta che richiama verso casa. Quel che conta era guadagnarsi un altro giro di giostra. Cinque anni di legislatura sono lunghi e pingui. C’è tutto il tempo per inventarsi un’altra incredibile traiettoria di questo “centro” che eccita solo i protagonisti e gli editorialisti di giornali con più finanziamenti pubblici che lettori.

La parabola del Terzo polo è in fondo la fotografia di un’élite autoproclamatasi che non piace a nessuno, che non sa far niente, che moraleggia su tutto e che alla prova dei fatti si dimostra completamente sconnessa dalla realtà. Renzi ora potrà aspettare di avventarsi sui resti di Forza Italia, con il suo avvoltoismo che i suoi amici chiamano strategia. Calenda potrà ancora una volta dare la colpa agli altri.

L’epitaffio di Calenda lo scrive Emma Bonino su twitter: “Dovrei dire che sono sorpresa Proprio no. Lui è fatto così”, scrive. Tra i molti “mi piace” è scappato il dito anche all’ex segretario del Partito democratico Enrico Letta. Che una volta tanto non è lui il destinatario di quello staisereno che gli si è appiccicato addosso per anni da quando la sua strada si è incrociata con quella di Renzi. Un’era geologica fa. Ma, si sa, la storia è fatta di corsi e ricorsi. E la ruota prima o poi gira. Per tutti.

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