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Renzi e Calenda ai titoli di coda tra gli insulti

Quel giorno è arrivato. Sapevamo tutti che la colla che univa i due esponenti più egotici del panorama politico italiano era il giro da guadagnarsi in Parlamento (ognuno con la sua truppa) e sapevamo che sarebbe finita così. Anche per questo l’addio che si consuma tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, gli altri dietro come tetra scenografia, instilla una malinconia stanca.

Dal matrimonio al funerale. La farsa del Sesto Polo di Calenda e Renzi è finita. Il flop certifica che il centro esiste solo sui giornali

Tutto così sfacciatamente prevedibile, come quelle brutte canzoni neomelodiche di cui immagini il ritornello già il primo ascolto, sempre uguali a sé stesse. Mentre i parlamentari hanno già infilato i bagagli nelle cappelliere, sull’orlo del tramonto, in lontananza s’ode splenica la senatrice renziana Raffaella Paita che auspica “che si possa continuare a lavorare insieme nelle istituzioni, anche perché abbiamo lavorato molto bene”. È uno di quegli auguri con il fazzoletto bianco alla stazione.

Il “partito unico è definitivamente morto”, sentenzia Carlo Calenda intercettato da Striscia La Notizia. Che il certificato di morte sia officiato da un tiggì satirico aggiunge imbarazzo di fronte a una fine degna della Commedia dell’Arte, dove le maschere di Carlo e Matteo non rinunciano alla propria parte continuando a ballare anche sopra alle macerie che si sono lasciati alle spalle. “Non ho parlato con Renzi in Aula, – spiega Calenda ai giornalisti – non c’è stato modo poiché c’erano voti serrati. In ogni caso il progetto del partito unico è definitivamente morto. Andremo avanti con due partiti e, se ricomporremo il clima, ci alleeremo dove sarà possibile”.

Poi l’ex ministro del governo dell’ex premier di Rignano aggiunge: “Il partito non lo riusciremo a fare, perché Renzi non lo vuole fare. Perché vuole tenersi soldi e partito di Italia viva e non si può far nascere, da due partiti, tre partiti: diventa ridicolo. Lui non viene alle riunioni. Non ci ho parlato, perché lui parla solo con Obama e Clinton”.

Dopo aver preso a sberle il suo ex compagno di viaggio Calenda si avvia sotto la pioggia scrosciante coperto male da un ombrello condiviso. Poco dopo una nota ufficiale di Azione cesella i motivi dell’addio: “Lo stop deriva dalla scelta di Italia Viva di non votare un documento ieri che avevano dichiarato essere già letto e condiviso. Dietro tutto questo c’è solo un fatto: Renzi tornato alla guida di Italia viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito. Scelta legittima ma contrastante con le promesse fatte agli elettori. Dopo mesi di tira e molla ne abbiamo semplicemente preso atto. In un clima volutamente avvelenato da insulti personali da parte di Renzi e di quasi tutti gli esponenti di Italia viva a Carlo Calenda”.

Italia Viva risponde con un comunicato: “interrompere il percorso verso il partito unico – scrivono i renziani – è una scelta unilaterale di Carlo Calenda. Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione. Gli argomenti utilizzati appaiono alibi. Italia viva è pronta a sciogliersi, come Azione, il 30 ottobre, dopo un congresso libero e democratico. Sulle risorse, Italia viva ha trasferito fino a oggi quasi un milione e mezzo di euro al team pubblicitario di Carlo Calenda ed è pronta a concorrere per la metà delle spese necessarie alla fase congressuale e a trasferire le risorse dal momento della nascita del partito unico. La costruzione di una proposta alternativa a populisti e sovranisti è da oggi più difficile ma più urgente. Nei prossimi mesi noi rispetteremo gli amici di Azione cercando ogni forma di collaborazione senza rispondere alle polemiche di alcuni dei loro dirigenti”.

Matteo Renzi non si fa vedere. Forse ieri era la sua giornata da conferenziere, o da giornalista – dopo la recente nomina a direttore editoriale del quotidiano Il Riformista – o da maratoneta, nonostante lo stipendio da politico. Il terzo polo che non è mai stato terzo e non è mai stato un polo è un partito mai partito che si consuma come gli scontri tra galli, con il pollaio impiastricciato di feci e le piume rimaste a terra.

Rimangono i polli a rivendicare la vittoria dell’uno e dell’altro, nei comunicati che si susseguono per tutta la giornata a incolpare ora Renzi ora Calenda dall’una e dall’altra parte. Ma è un canto stanco, anche quello condizionato dalla settimana corta che richiama verso casa. Quel che conta era guadagnarsi un altro giro di giostra. Cinque anni di legislatura sono lunghi e pingui. C’è tutto il tempo per inventarsi un’altra incredibile traiettoria di questo “centro” che eccita solo i protagonisti e gli editorialisti di giornali con più finanziamenti pubblici che lettori.

La parabola del Terzo polo è in fondo la fotografia di un’élite autoproclamatasi che non piace a nessuno, che non sa far niente, che moraleggia su tutto e che alla prova dei fatti si dimostra completamente sconnessa dalla realtà. Renzi ora potrà aspettare di avventarsi sui resti di Forza Italia, con il suo avvoltoismo che i suoi amici chiamano strategia. Calenda potrà ancora una volta dare la colpa agli altri.

L’epitaffio di Calenda lo scrive Emma Bonino su twitter: “Dovrei dire che sono sorpresa Proprio no. Lui è fatto così”, scrive. Tra i molti “mi piace” è scappato il dito anche all’ex segretario del Partito democratico Enrico Letta. Che una volta tanto non è lui il destinatario di quello staisereno che gli si è appiccicato addosso per anni da quando la sua strada si è incrociata con quella di Renzi. Un’era geologica fa. Ma, si sa, la storia è fatta di corsi e ricorsi. E la ruota prima o poi gira. Per tutti.

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Nuovo allarme sul Pnrr. La Dia avverte: servono più controlli

Il primo vero dato della pubblicazione della relazione semestrale della Dia pubblicata sul sito della Camera non sta nelle parole scritte all’interno ma nelle parole non dette fuori. Altri tempi quelli in cui la relazione della Direzione Investigativa Antimafia dava il là a un serrato dibattito pubblico e politico. Oggi si scorgono soprattutto articoli stanchi che sono copincolla di agenzie.

La mafia del resto deve essere stata sconfitta se nemmeno Matteo Salvini – che con l’antimafia si diverte sempre con gli occhioni luccicanti – trova il tempo di confezionare un tweet da prefetto di ferro. Stessa cosa per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ormai sbraita in privato ma in pubblico si dedica solo a tagliare nastri e stringere mani.

Nell’ultima relazione del Dia al Parlamento c’è una notizia che dovrebbe far rizzare i capelli mentre l’Italia prova a spendere i miliardi del Pnrr

Eppure lì dentro, nella relazione presentata al Parlamento, c’è una notizia che dovrebbe far rizzare i capelli mentre l’Italia prova a spendere (e meritarsi) i miliardi del Pnrr: le imprese mafiose, secondo la Dia, tentano “l’inquinamento delle procedure di gare pubbliche già dalla fase di stesura del bando mediante varie forme di connivenza con funzionari pubblici”.

Le tecniche di penetrazione possono concretizzarsi già nella fase di programmazione e progettazione delle opere pubbliche” – si legge – tramite “azione corruttiva di funzionari e tecnici incaricati”. La relazione conferma che a dominare la scena del crimine è la ‘Ndrangheta. L’analisi, attenzione, è realizzata sulla base delle evidenze investigative, giudiziarie e di prevenzione e documenta la tendenza, rilevata da diversi anni, circa il generale inabissamento dell’azione delle consorterie più strutturate che hanno ormai raggiunto un più basso profilo di esposizione e, come tale, particolarmente insidioso proprio in ragione dell’apparente e meno evidente pericolosità.

Tale tendenza risulta sempre più diffusa in tutte le matrici mafiose in considerazione del vantaggio loro derivante dalla insidiosa mimetizzazione nel tessuto sociale e dalla conseguente possibilità di continuare a concludere i propri affari illeciti in condizioni di relativa tranquillità senza destare le attenzioni degli inquirenti. La criminalità organizzata, infatti, preferisce agire con modalità silenziose, affinando e implementando la pervasiva infiltrazione del tessuto economico-produttivo avvalendosi anche delle complicità di imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, formalmente estranei ai sodalizi.

Un’indubbia capacità attrattiva quindi è rappresentata dai progetti di rilancio dello sviluppo imprenditoriale nella fase post-pandemica e dall’insieme di misure finalizzate a stimolare la ripresa economica nel Paese compulsate anche dai noti finanziamenti europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Senza dimenticare che all’orizzonte ci sono anche le Olimpiadi.

Sulla base di queste considerazioni, la Relazione propone, con la consueta attenzione allo sviluppo ed alle trasformazioni delle organizzazioni mafiose, la descrizione del quadro criminale – anche schematizzata con l’ausilio di mappe esplicative della sua evoluzione recanti le presenze dei principali sodalizi attivi in ragione delle risultanze delle investigazioni concluse dalla Dia e dalle Forze di polizia – senza tralasciare gli importanti, ulteriori elementi informativi contenuti nei provvedimenti di scioglimento degli Enti Locali.

Le armi spedite all’Ucraina potrebbero finire in mani mafiose

“Servono controlli preventivi”, dice la Dia: l’esatto opposto dello spirito con cui il governo – Salvini in primis – si preparano a licenziare il nuovo codice per gli appalti. La Dia rilancia anche l’allarme per le armi spedite all’Ucraina che potrebbero finire in mani mafiose. Anche su questo solo silenzio. Ci sarebbe anche quel 7% di operazioni finanziarie sospette in più a dover agitare il sonno del governo. Oppure il fatto che la violenza mafiosa non mostri segni di cedimento. Ma l’antimafia, si sa, qui da noi, si accende solo per spettegolare sulle abitudini sessuali di qualche vecchio boss.

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Ancora veleni tra Calenda e Renzi

Per raccontare l’orchestrina del Titanic che suona in queste ore sul cosiddetto Terzo (che poi sarebbe il Sesto) polo bisogna partire dal primo giorno in Senato quando venne eletto presidente Ignazio La Russa: “Non l’abbiamo votato noi, non votiamo un post-fascista. Dovete cercare nel Pd e nel M5S”, disse sdegnato Carlo Calenda. Ieri il leader di Azione ha confessato che quei voti erano del suo compare Matteo Renzi che in cambio chiese un posto in Vigilanza Rai. Lo spessore politico degli attori in campo sta tutto qui, nella capacità di negare l’evidenza con postura da competenti.

Calenda e Renzi litigano su tutto, dalla cassa allo scioglimento dei partiti. Il comitato politico prende tempo ma il destino è segnato

Così in mezzo alle botte che Renzi e Calenda (per interposti sicari) ieri si sono dati per tutto il giorno escono gli inopportuni viaggi del senato fiorentino in Arabia Saudita, il fedelissimo renziano Ernesto Carbone imposto al Csm, la direzione di Renzi de Il Riformista comunicata prima a Giorgia Meloni e solo dopo al suo alleato e il caos dei due galli nel pollaio. In poche ore hanno ammesso tutti i vizi, gli stessi per cui strillavano se qualcuno si permetteva di scriverli. Non male, i competenti. Ma ai due piacerebbe che la loro crisi venisse descritta solo come un’incompatibilità di personalità e di vedute nascondendo il vero motivo della diatriba: i soldi.

I calendiani lo dicono chiaro e tondo: Renzi non vuole rinunciare al suo tesoretto del 2 per mille, il meccanismo di finanziamento volontario ai partiti tramite dichiarazione dei redditi. Calenda ha proposto a Renzi di mettere in comune il 70% dei fondi che arriveranno a dicembre 2023: “Azione e Italia Viva trasferiranno al nuovo partito il 70% delle somme ricevute dal 2×1000 a partire dalla seconda rata del 2023 fino allo scioglimento dei partiti che dovrà avvenire entro il primo trimestre del 2025”, si legge nella road map predisposta da Calenda. Nella quale, per inciso, non c’è la richiesta di “scioglimento preventivo” su cui i deputati di entrambe le parti fingono di litigare.

Bonifazi sbatte in faccia al leader di Azione il milione e rotti di euro spesi per “il volto di Calenda nell’ultima campagna elettorale”

Come spesso accade appena la discussione si sposta sul denaro gli animi non trattengono la verità e così in giornata arriva la stoccata del renzianissimo Bonifazi che sbatte in faccia a Calenda il milione e rotti di euro spesi per “il volto di Calenda nell’ultima campagna elettorale”. Così crolla anche l’ipocrisia della generosità di Renzi nel lasciare la leadership a Calenda: gli ha fatto fare un giro da portavoce del partito e adesso chiede gli interessi. A proposito di “politica della serietà”.

In ballo ci sono anche i 50mila euro per ogni eletto che andrebbero persi nel caso in cui si sciolgano i gruppi alla Camera e al Senato

Anche divorziare costa: in ballo ci sono anche i 50mila euro per ogni eletto che andrebbero persi nel caso in cui si sciolgano i gruppi alla Camera e al Senato. Calenda tra le altre cose accusa Renzi di essere un “accentratore” (quella vecchia storia del bue e dell’asino) per aver accentrato su di sé tutte le deleghe in fase di trattativa, escludendo l’ex coordinatore Ettore Rosato con cui la trattativa procedeva senza troppi intoppi. Sornione, nel pomeriggio di ieri Renzi ripete che scioglierà Italia Viva “solo quando ci sarà il partito nuovo” spiegando di essere “in fase zen”.

“È incredibile utile litigare”, dice Renzi dopo una giornata di litigi. La resa dei conti avrebbe dovuto essere il comitato politico convocato da Calenda in serata, composto da membri i Azione e Italia Viva. Lo scioglimento dei due partiti è previsto entro il 2024, il tesseramento sarà unico. Ci sono persino le date dell’assemblea costituente: 28 e 29 ottobre. Ma sono in pochi a crederci. Le cose sono messe male”, fa notare qualcuno: “Il 90% dei parlamentari di Azione vuole chiudere, si sono resi conto di essersi prestati agli interessi di Renzi”. Lo sapevano tutti tranne loro, i competenti. Un bel pezzo di credibilità, intanto, è andato.

Calenda sbotta a Striscia la notizia: “Il partito non lo riusciremo a fare, perché Renzi non lo vuole fare”

“Il partito non lo riusciremo a fare, perché non lo vuole fare”. Questa la risposta di Carlo Calenda, intercettato questa mattina da Enrico Lucci che ha chiesto al leader di Azione aggiornamenti sull’accordo con Matteo Renzi per il partito unico con Italia Viva. “Perché (Renzi, ndr) non vuole farlo?” lo incalza l’inviato di Striscia, nel servizio che andrà in onda questa sera. “Perché vuole tenersi soldi e partito di Italia Viva e non si può far nascere, da due partiti, tre partiti: diventa ridicolo», risponde Calenda. Che aggiunge: “Non so se oggi ci sarà una nuova riunione, ma lui non viene alle riunioni. Non ci ho parlato, perché lui parla solo con Obama e Clinton”.

 

Leggi anche: Tra Calenda e Renzi già volano gli stracci: sul partito unico dei liberal-democratici è resa dei conto tra Azione e Italia Viva

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L’ecatombe del Mediterraneo

Il trimestre gennaio-marzo 2023 è stato il più letale per i migranti che hanno attraversato il Mediterraneo centrale dal 2017: lo dichiarano le Nazioni Unite registrando 441 vite perse nel tentativo di raggiungere l’Europa. “La persistente crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale è intollerabile. Con più di 20.000 morti registrati su questa rotta dal 2014, temo che queste morti si siano normalizzate”, ha dichiarato Antonio Vitorino, capo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite (Oim).

“Durante il fine settimana di Pasqua, 3.000 migranti hanno raggiunto l’Italia, portando il numero totale di arrivi dall’inizio dell’anno a 31.192 persone”, afferma l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dell’Onu (Oim). L’Organizzazione sostiene che i ritardi nelle operazioni di ricerca e salvataggio (Sar) sono stati un fattore determinante in almeno sei episodi dall’inizio dell’anno, causando la morte di 127 delle 441 persone. “La totale mancanza di risposta durante una settima operazione di salvataggio è costata la vita ad almeno 73 migranti” ancora inclusi nello stesso conteggio, afferma in un comunicato, aggiungendo che gli sforzi di ricerca e salvataggio da parte delle organizzazioni non governative sono diminuiti significativamente negli ultimi mesi. “Il Progetto migranti scomparsi dell’agenzia Onu sta inoltre indagando su diversi casi di imbarcazioni scomparse, dove non c’è traccia di sopravvissuti, non ci sono detriti e non sono state condotte operazioni di ricerca e salvataggio. Circa 300 persone a bordo di queste imbarcazioni sono ancora disperse”, sottolinea l’Oim. “Salvare vite in mare è un obbligo legale per gli Stati”, ha detto Vitorino. “Abbiamo bisogno di un coordinamento proattivo degli Stati negli sforzi di ricerca e salvataggio. Guidati dallo spirito di responsabilità condivisa e di solidarietà, chiediamo agli Stati di lavorare insieme e di impegnarsi per ridurre la perdita di vite umane lungo le rotte migratorie”, ha aggiunto.

Recentemente, le operazioni Sar a guida ong sono state notevolmente ridotte, ricorda l’Oim in una nota. Il 25 marzo, la Guardia costiera libica ha sparato colpi in aria mentre la nave di soccorso dell’ong Ocean Viking stava rispondendo a una segnalazione di un gommone in difficoltà. Nel contempo, domenica 26 marzo, un’altra nave, la Louise Michel, è stata posta in stato di fermo in Italia dopo aver soccorso 180 persone in mare, un caso simile a quando la Geo Barents era stata bloccata a febbraio e successivamente rilasciata. Nel weekend di Pasqua 3.000 migranti sono giunti via mare in Italia e il numero totale di arrivi è ora di 31.192. Una nave con circa 800 persone a bordo è stata soccorsa martedì 11 aprile a più di 200 chilometri a sud-est della Sicilia dalla Guardia costiera italiana con l’assistenza di una nave commerciale. Un’altra nave con circa 400 migranti è stata alla deriva tra l’Italia e Malta per due giorni prima di essere raggiunta dalla Guardia Costiera italiana, ricostruisce l’Oim. Non tutti i migranti di queste barche sono ancora sbarcati in Italia. “Salvare vite è un obbligo legale per gli Stati – ricorda Vitorino – C’è bisogno di un coordinamento, a guida statale, nelle operazioni di ricerca e soccorso. Guidati dallo spirito di condivisione delle responsabilità e della solidarietà, chiediamo agli Stati di lavorare insieme per ridurre la perdita di vite lungo le rotte migratorie”.

La preoccupante situazione nel Mediterraneo centrale rafforza la necessità di un sistema Sar a guida statale dedicato e prevedibile e di uno sistema di sbarco che ponga fine alla risposta ad hoc che ha caratterizzato le operazioni in mare dalla fine dell’Operazione Mare Nostrum nel 2014. Gli sforzi degli Stati per salvare vite devono includere un sostegno all’impegno delle ong nel fornire assistenza per salvare vite e devono poter porre fine alla criminalizzazione, agli ostacoli e ai vari tipi di deterrenza esercitati nei confronti degli sforzi di coloro che forniscono tale assistenza. Tutte le navi, comprese quelle commerciali, hanno l’obbligo legale di fornire assistenza e soccorso alle imbarcazioni in difficoltà. L’Oim, conclude la nota, chiede inoltre ulteriori azioni concertate per smantellare le reti criminali di traffico di esseri umani e per perseguire coloro che approfittano della disperazione dei migranti e dei rifugiati facilitando viaggi pericolosi.

Buon giovedì.

Per approfondire leggi il libro di Left di aprile di Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo

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Padova torna al Medioevo. 33 figli di coppie gay possono perdere i genitori

Non so se si riesce ad avere idea di cosa stia accadendo a Padova, dove la Procura ha chiesto al Comune di trasmettere tutti gli atti di nascita che certificano l’iscrizione all’anagrafe di figli di coppie omogenitoriali. Si tratta di 33 bambini nati da due donne con procreazione mediamente assistita (niente a che vedere con gestazione per altri di cui si discute in queste ultime settimane) che sono stati registrati negli ultimi 6 anni dal sindaco Sergio Giordani e che ora devono passare il vaglio, anni dopo, per sapere se avranno ancora entrambi i genitori.

La Procura di Padova ha chiesto al Comune di trasmettere tutti gli atti di nascita che certificano l’iscrizione all’anagrafe di figli di coppie omogenitoriali

La persecuzione segue la circolare del ministro Matteo Piantedosi con la quale il governo Meloni ha strumentalmente utilizzato una sentenza del dicembre scorso (su due padri trentini che dovranno ricorrere all’adozione “per casi particolari” per la trascrizione del secondo padre) nonostante il richiamo dell’Unione europea che ricordava “l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere i figli di genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue”.

La tenaglia sulle famiglie arcobaleno (e in generale sui diritti degli omosessuali) è già molto più chiusa di quello che sembra. Il governo ha acceso lo scontro tra sindaci e procure ed è facilmente immaginabile che gli atti di quei 33 bambini saranno cancellati. Accadrà quindi che dei bambini subiranno uno stravolgimento famigliare per un attacco vigliacco della politica ai loro genitori.

Da parte sua il sindaco di Padova, Giordani, non arretra: “In coscienza non posso immaginare di negare atti amministrativi che mi competono come ufficiale di Stato Civile, dai quali derivano i diritti fondamentali di questi piccoli, e quindi confermo le modalità e le procedure che fin dal 2017 sono state applicate da me e dal Comune di Padova, comunicando tutte le registrazioni alle autorità competenti, come sempre fatto”, dice. Non ha nessuna intenzione di iniziare una guerra con la Procura ma come molti altri sindaci di centrosinistra (tra cui il sindaco di Milano Beppe Sala) conferma l’intenzione di non arretrare.

A Treviso il sindaco leghista Mario Conte è sulla stessa linea. Il reato di perseguire il proprio progetto di famiglia è roba degna dell’Ungheria di Orbàn e delle peggiori autarchie sparse per il mondo. Ieri a Bergamo il tribunale ha deciso di eliminare una mamma dal certificato di nascita di una bambina di 9 mesi di nome Giulia. Il certificato riportava i nomi di Michela e Viola, le sue due mamme.

Ora il nome di Michela è stato rimosso e Giulia, per lo Stato Italiano, ha una sola mamma. Giulia è stata concepita mediante procreazione medicalmente assistita (Pma), con fecondazione eterologa – donazione di gameti, in questo caso spermatozoi – effettuata in Spagna per volontà delle sue due mamme. Ma è stata Viola a portare avanti la gravidanza, quindi per lo Stato Italiano Michela non è sua madre. Allo Stato Italiano non importa che Viola e Michela si amino e che Giulia sia la figlia del loro amore.

Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, sottolinea come si tratti di figli “su cui la giurisprudenza non ha mai avuto nulla da obiettare”. “La solerzia governativa, – spiega Piazzoni – anziché dare seguito a una legge quadro che permetta di riconoscere i genitori di tutti i bambini e metterli quindi in sicurezza, sembra andare soltanto nella direzione di mettere in discussione le tutele ai bambini. Sono principalmente loro ad essere mortificati per vedersi negare un diritto, solo secondariamente i genitori”. Giù le mani dai bambini, gridava Giorgia Meloni. Per metterci le sue.

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Nuovo caso sulla Madonna di Trevignano

Di vero non c’è nemmeno il nome della protagonista. La santona Gisella Cardia, la donna che custodisce la sedicente Madonna che lacrima sangue a Trevignano Romano si chiama Maria Giuseppa Scarpulla e sulle spalle ha due procedimenti penali: uno per bancarotta fraudolenta e l’altro per controversia societaria. In realtà ci sarebbe anche l’accusa di abusivismo edilizio sull’altipiano di Campo delle Rose dove Gisella (o Maria Giuseppa) ha costruito un vero e proprio santuario popolato da fedeli che raggiungono il lago di Bracciano per assistere alle lacrime sante.

La santona Gisella Cardia, la donna che custodisce la sedicente Madonna che lacrima sangue a Trevignano, si chiama Maria Giuseppa Scarpulla

Ogni terza domenica le “lacrime” della statuetta attiravano centinaia di curiosi in adorazione. La santona Gisella raccontava di essersi messa in viaggio verso Medugorje dopo avere scontato la sua pena (poi sospesa) quando all’improvviso la statuetta che portava con sé aveva cominciato a lacrimare. Inevitabile l’idea di posizionare una copia della Vergine sopra una collina. Da qui ai messaggi che la Madonna invierebbe in via riservata alla donna per essere trasmessi poi all’intera umanità il passo è breve.

Non ci è dato sapere se la Vergine chiami Cardia o Scarpulla la sua messaggera designata. I miracoli a catalogo erano diversi. C’erano – ovviamente – statuette che piangevano sangue e olio santo, c’erano le stimmate e c’era la stessa abilità di Gesù di moltiplicare i pani e i pesci. Anzi Gisella era ancora più performante del figlio di Dio: “Santa” Gisella affermava di essere in grado di moltiplicare anche pizze e gnocchi che in quei luoghi di scampagnata potrebbero tornare utilissimi per apparecchiare un picnic improvvisato.

L’appuntamento con il miracolo avrebbe potuto filare liscio a lungo se non fosse intervenuto lo scorso 6 aprile un investigatore privato molto curioso, Andrea Caciotti, che ha depositato un esposto contro la donna dopo avere fatto analizzare il sangue del miracolo che dalle analisi risulterebbe essere un più prosaico sangue di maiale. Inevitabile l’indagine della Procura di Civitavecchia mentre la diocesi di Civitacastellana ha istituito una commissione per effettuare “un’indagine previa, finalizzata ad approfondire l’eventuale fenomenologia dei fatti, che si verificano da qualche tempo a Trevignano Romano”.

Sbucano i fedeli pentiti. Luigi Avella, 70 anni, ex funzionario del ministero dell’Economia laureato in giurisprudenza e teologia che in un’intervista a La Stampa racconta la sua “terribile esperienza con una donna diabolica”. Tenetevi forte. Avella spiega di aver dato 123 mila euro di cui 30 mila al marito di “Gisella”. E gli altri alla Onlus Madonnina di Trevignano. “Devo dire la verità: nessuno dei due mi ha mai chiesto soldi. Ma sapevo che ne avevano bisogno”. Ovvero, spiega sempre Avella, “dovevano comprare materiale per le attività che fanno da contorno alla gestione del miracolo delle lacrime, come 30 panche, la recinzione del terreno, un’auto, un garage. Ho pagato tutte queste cose: lo posso provare perché ho fatto bonifici bancari”.

I bonifici li ha fatti tra febbraio e giugno 2020. Mentre usciva da un periodo difficile della sua vita, dice. “Mia moglie a causa di un incidente stradale ha avuto problemi alla schiena. Dopo che ha ripreso a camminare bene ho voluto ringraziare la Onlus”. Avella e Gisella. Maria Giuseppa erano diventati amici: “Pensi che quando hanno festeggiato i 10 anni di matrimonio, Gisella mi ha chiesto di accompagnarla all’altare, nella cerimonia religiosa. Non ho figli e quel gesto mi è sembrato molto importante, mi sono sentito un po’ come suo padre. Insomma, mi fidavo e così poi ho dato i soldi”, spiega.

Un dubbio gli sorge quando viene nominato direttore dei lavori per la recinzione del terreno delle apparizioni in via di Campo delle Rose. Luigi Avella è laureato in legge e un ingegnere come direttore dei lavori serve, eccome. Non c’è Madonna che tenga. Così, spiega Avella “mi sono allontanato. Poi, ho iniziato ad avere perplessità sul miracolo e ho scritto il libro “Le false apparizioni di Trevignano”. Intanto la santona è sparita.

“È andata semplicemente in vacanza”, dice la sua avvocata Alessandra Orlando provando a smentire l’ipotesi della fuga. A difenderla c’è Rosanna Chifari, la dottoressa che ha “certificato” le sue stimmate. E qui la vicenda diventa politica. Chifari fa parte della direzione del movimento IppocrateOrg, divenuto famoso per avere contestato le misure contro il Covid vedendo nell’rx presidente Usa, Donald Trump (e nel famigerato Steve Bannon), uno dei punti di riferimento. Sono quelli che volevano curare il Covid con l’ivermectina e che immaginavano un mondo sterminato dai vaccini.

La dottoressa Chifari, sostenitrice della santona scomparsa, è consulente della commissione sanità del Senato. In un suo curriculum messo in rete dalla associazione LiberaMente della quale era membro del comitato scientifico si legge: “A partire dal Gennaio 2009 ad oggi la dr.ssa, Chifari è consulente per la Commissione Sanità del Senato della Repubblica Italiana sotto la guida del Sen. A. Tomassini”. Non è un caso: i medici “non allineati” di Ippocrate sono un punto di riferimento della Lega di Matteo Salvini fin dall’inizio della pandemia. La domanda è semplice: la certificazione della stimmate della santona (che non si trova più) è firmata da una dottoressa (che forse non distingue sangue della Madonna da sangue di maiale) pagata anche con soldi pubblici?

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Si oppose al conflitto in Ucraina, chiesti 25 anni per Kara-Murza

“Non solo non mi pento, ma sono anche orgoglioso”. Vladimir Kara-Murza è in arresto in Russia dallo scorso aprile. Ci sono tre procedimenti penali contro di lui: per tradimento, “notizie false” sull’esercito russo e lavoro per Open Russia, una “organizzazione indesiderabile”.

Il cronista russo Vladimir Kara-Murza è accusato di tradimento diffusione di notizie false e di aver lavorato a Open Russia

Il 6 aprile, il pubblico ministero ha chiesto 25 anni di carcere. Due giorni f Kara-Murza ha presentato il suo ultimo appello davanti al tribunale della città di Mosca. Il suo discorso, che ha il sapore di un testamento nella Russia di Putin che non ammette oppositori, è un esercizio di libertà.

“Il giudice capo – ha detto in Aula Kara-Murza – mi ha detto mentre fornivo la mia testimonianza che il “pentimento” sarebbe un fattore attenuante. Anche se c’è poco divertimento in quello che sta succedendo intorno a me, non ho potuto fare a meno di sorridere. Sono i criminali che dovrebbero pentirsi per quello che fanno. Ma sono in prigione per le mie opinioni politiche. Per essermi espresso contro la guerra in Ucraina. Per anni di lotta contro la dittatura di Putin”.

Murza ha spiegato che il suo unico cruccio è di non essere riuscito “a convincere abbastanza i miei compatrioti e politici dei paesi democratici che tipo di minaccia sia l’attuale regime al Cremlino rappresenta per la Russia e il mondo intero”.

“Ma so che ci sarà un giorno – ha detto Vladimir Kara-Murza – in cui questa oscurità si dissiperà nel nostro paese. Quando il colore nero sarà chiamato nero e il colore bianco sarà chiamato bianco. Quando finalmente i funzionari ammetteranno che 2 moltiplicato per 2 fa 4, quando la guerra si chiemrà guerra, l’usurpatore si chiamerà usurpatore, e quando le persone che hanno iniziato e condotto questa guerra verranno proclamate criminali invece di coloro che hanno cercato di fermarla. Questo giorno è inevitabile, come quando arriva la primavera anche dopo il più freddo degli inverni”.

Secondo Kara-Murza “quel giorno la nostra società aprirà gli occhi e sarà terrorizzata quando si renderà conto di quali orribili crimini sono stati commessi per suo conto. Questa presa di coscienza aprirà una strada lunga e difficile, ma molto importante per la Russia verso la restaurazione e la ripresa, in quanto ritornerebbe alla società dei paesi civili.”

Diverse decine di giornalisti indipendenti ieri hanno chiesto il rilascio di Kara-Murza in una lettera, in cui definiscono “infondate” e “ciniche” le accuse e parlando di processo”politico”. “Kara-Murza -è un vero patriota che nei primi giorni di guerra si è già espresso contro l’aggressione russa. Ma oggi in Russia difendere la pace e la fine della guerra è un crimine”, puntualizza la lettera che denuncia il ritorno della Russia “alle pratiche staliniste del terrore politico”.

Nonostante il suo precario stato di salute, la giustizia russa ha prorogato fino ad agosto la carcerazione preventiva per l’oppositore 41enne, arrestato nell’aprile 2022, dichiarato agente straniero e considerato prigioniero di coscienza da Amnesty International.

“Si tratta di un palese tentativo di annullare qualsiasi critica al Cremlino e scoraggiare il contatto con la comunità internazionale”, ha scritto Human Rights Watch. Anche per Putin la verità è un tradimento. Kara-Murza è sopravvissuto a due avvelenamenti quasi fatali nel 2015 e nel 2017. Ora deve sopravvivere alla legge di Putin.

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Le migrazioni, il governo e i vestiti nuovi dell’imperatore

Nella celebre fiaba di Andersen l’imperatore si convince a farsi confezionare un abito con un tessuto pregiatissimo che ha la caratteristica di essere invisibile agli stolti. L’imperatore vanitoso non riesce a vederlo ma per pudore tace e si lascia convincere dai suoi cortigiani a indossarlo. Col nuovo vestito sfila per le vie della città di fronte a una folla di cittadini che applaudono e lodano a gran voce l’eleganza del sovrano, pur non vedendo alcunché  sentendosi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. L’incantesimo si rompe quando un bambino, sgranando gli occhi, grida con innocenza: “Ma il re è nudo!”. Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo.

Il re nudo sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni che ieri ci hanno regalato un Consiglio dei ministri che può essere preso sul serio solo dagli stolti e dagli ignari. La strana coppia che in questi ultimi anni ha urlacciato da ogni vicolo televisivo e giornalistico che avrebbe risolto “in un minuto” il “problema dell’immigrazione” se fossero stati votati ieri ha scritto su carta bollata che siamo in uno “stato di emergenza”. Tradotto: per non fare troppo la figura degli inetti hanno certificato come insuperabile il fenomeno che non sanno governare.

“Abbiamo aderito volentieri alla richiesta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ben consapevoli – ha spiegato il ministro del Mare Nello Musumeci – della gravità di un fenomeno che registra un aumento del 300%. Sia chiaro, non si risolve il problema, la cui soluzione è legata solo a un intervento consapevole e responsabile dell’Unione europea“. Ricapitolando: il ministro dell’Inferno Piantedosi è andato dai suoi compagni di governo confessando di non sapere dove sbattere la testa e proponendo un bel “stato di emergenza” che nei fatti gli permette di forzare ancora di più le regole (orribili) che lui stesso ha scritto per risolvere la questione. Quelli, come quando si porge un biscottino, hanno accettato. Ora lo stato di emergenza è l’abito invisibile di Piantedosi.

L’ultimo stato di emergenza che certificava l’incapacità di mantenere le promesse sull’immigrazione risale al 2011 quando Silvio Berlusconi (ineguagliabile ispiratore di questa destra) con il ministro Roberto Maroni si inventarono questa trovata pubblicitaria per travestire l’inettitudine nel mantenere promesse irrealizzabili, oltre che disumane. Ora Piantedosi, Salvini, Meloni, Musumuci e compagnia cantante sfilano tronfi per le vie della città.

Al prossimo giro certificheranno che il problema del surriscaldamento globale sia la vernice lavabile sui monumenti (ops, l’hanno già fatto), che gli oppositori politici siano nemici della Patria (ops, l’hanno già fatto), che i poveri siano solo dei delatori (ops, lo stanno già facendo), che la Storia sia un lungo complotto contro di loro (ops, l’hanno già fatto) e così via. E sfileranno nudi sommersi dagli applausi.

Buon mercoledì.

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Maternità pornografica

Il giorno di Pasqua una donna (perché dovrebbe essere una donna, oltre che madre, anche se molti se ne sono dimenticati) decide di affidare il proprio figlio alla Culla per la vita del Policlinico di Milano. Affidare, non abbandonare. La cura delle parole conta, la scelta delle parole conta. Non c’è nessun abbandono. Quella moderna ruota degli esposti sta lì per offrire la possibilità di scegliere di affidare in sicurezza un bambino.

Poiché in questo Paese la molla della maternità squarcia tutte le volte una poetica di passione e di dolore (non è nemmeno troppo difficile risalire all’origine dell’essere made con dolore) quel bambino (Enea, si legge in un foglietto di accompagnamento) diventa il dibattito del giorno. Siamo un Paese così. In un giorno in cui Silvio Berlusconi non peggiora, i politici non hanno occasione di dire cazzate perché sono impegnati con le vacanze pasquali e il campionato di calcio è fermo bisogna inventarsi la storia del giorno: eccolo, Enea.

Accade così che un gesto che avrebbe dovuto essere privato (non sappiamo se gioioso, doloroso, bisognoso, disperato, allegro: sicuramente privato) diventi una sfilata di sacerdoti della maternità. Anche il governo della Patria e della Famiglia concorre all’intossicazione generale. La giornata di editoriali di passione e di dolori immaginati di una donna di cui nessuno sa si infarciscono di sciocchezze gravissime (“la ricca Milano non può permettersi di lasciare una donna sola”, dice qualcuno, come se a Catanzaro invece possiamo serenamente fottercene) che si concludono con Ezio Greggio, quello del Gabibbo.

Greggio vede l’occasione ghiottissima e si butta a registrare un video: «torna ti prego, questo bambino è fantastico. Non è giusto che sia abbandonato, ti daremo una mano», dice Greggio. Ovviamente l’uomo (per puro caso un privilegiato) dà per scontato di conoscere le motivazioni dietro la scelta di una donna e si propone di diventarne il protettore. «Merita una mamma vera», dice Greggio, dando per scontato che le madri “vere” siano coloro che hanno partorito, con buona pace di migliaia di famiglie adottive. E infine la firma: zio Ezio.

Buon martedì.

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Le lacrime di Giorgetti sulle pensioni. Altro che Fornero

Come sempre con la destra al governo torna la stagione dei tagli. Come sempre accade ora un’orda di economisti e di editorialisti si spremerà per spiegarci che è un atto doloroso ma dovuto. È stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a sottolineare la necessità dell’intervento sulle pensioni non minime durante la sua audizione sulle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. Sebbene abbia ammesso di preferire non doverlo fare, ha affermato che l’azione correggerà di circa 10 miliardi in tre anni l’andamento della spesa pensionistica.

Il Governo, ha annunciato Giorgetti, correggerà di circa 10 miliardi in tre anni l’andamento della spesa per le pensioni

Giorgetti, vale la pena ricordarlo, è dello stesso partito di Matteo Salvini, quella Lega che in tutta la campagna elettorale ha promesso di voler abolire la legge Fornero per venire incontro ai pensionati. Ora stanno decidendo di mandare gli italiani in pensione più tardi. Come è sempre accaduto, ogni volta che il centrodestra si è ritrovato al governo, a pagare sono stati i dipendenti (pubblici e privati) e i pensionati. Nella stessa liturgia si inseriscono i tagli già annunciati sulla scuola.

L’Italia è quel Paese in cui a parlare di pensioni c’è un ministro che non ha mai lavorato in vita sua, braccio destro del suo capo partito che non ha mai lavorato in vita sua. Mentre i giornali si sono occupati di Flavio Briatore che strillava in coda in autostrada il governo ha promesso un taglio durissimo sulle pensioni, non diverso nella natura da quello che ha causato una rivolta popolare in Francia. Attenti: nel Def non ci sono i soldi per le pensioni ma ci sono per le squadre di calcio.

In compenso Fratelli d’Italia sta preparando una nuova legge a prima firma del senatore Marco Lisei che “dichiara guerra” ai giovani ambientalisti dei collettivi che negli ultimi mesi si sono resi protagonisti di diverse azioni. Fino a 3 anni di carcere per chi “deturpa o imbratta edifici pubblico o di culto ed edifici sottoposti a tutela come beni culturali”. Complimenti, vi hanno fottuto. Ancora.

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