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Ponti e gallerie, garantisce Autostrade. Le vittime del Morandi tremano

I familiari delle vittime del ponte Morandi non potevano crederci. “Ci si gela il sangue in corpo”, hanno scritto in un comunicato dopo aver saputo che il Consiglio Nazionale degli Ingegneri organizza un convegno nei prossimi giorni su “Ponti e Gallerie: tecniche di sorveglianza e ispezione di infrastrutture stradali”… “con la collaborazione incondizionata di Autostrade per l’Italia“.

Il pensiero non può non tornare al ponte Morandi sull’A10, che il 14 agosto 2018 crollò uccidendo 43 persone per i ritardi nei controlli, per le omissione e per le falsificazioni nei documenti di manutenzione. Su queste vicende sono in corso a Genova due procedimenti penali, in cui sono imputati o indagati attuali ed ex dirigenti proprio di Autostrade e della sua controllata Spea Engineering, che si occupava (in pieno conflitto d’interesse) dei controlli e delle manutenzioni sulla rete“.

Le vittime del Morandi tremano

Per adesso – dice Egle Possetti, del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi – questo infausto nome resta legato solo a 43 morti ed al rischio che per anni ed anni milioni di viaggiatori hanno corso, non crediamo sia un onore per il Consiglio Nazionale Ingegneri avere una collaborazione di questo tipo, certamente solo dal nostro modesto, ma ovviamente molto coinvolto, punto di vista”. Certo, l’azionariato è cambiato ma, secondo i parenti delle vittime, “solo fra qualche anno sapremo se questa nuova realtà imprenditoriale sarà degna di gestire le nostre infrastrutture e soprattutto se ci sarà un reale cambio di passo nella sicurezza dei fruitori”.
G.C.

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A Bonaccini la presidenza Pd. Così la Schlein frena i renziani. La corrente di Guerini non avrà altri incarichi di peso e perderà le capigruppo Serracchiani e Malpezzi

Domani al centro congressi La Nuvola di Roma per il Partito democratico inizia l’era di Elly Schlein. Tornano i riti dell’assemblea dem dopo anni di riunioni in videocollegamento, prima, e in modalità ‘ibrida’ – in collegamento e in presenza – poi. Quella di domani sarà anche la prima riunione interamente in presenza dopo l’ultima di Nicola Zingaretti.

In virtù del risultato delle primarie, 587.010 voti (53,75%) per Schlein e Bonaccini con 505.032 (46,25%), alla neo segretaria andranno 333 delegati in assemblea su 600, mentre 267 saranno quelli per Bonaccini. Un vantaggio di misura, dunque, sul quale peseranno anche i membri di diritto dell’assemblea Pd: i segretari fondatori del partito, gli ex segretari nazionali iscritti, gli ex Presidenti del Consiglio iscritti, i segretari regionali, i segretari provinciali, i segretari delle federazioni all’estero, delle città metropolitane e regionali, la Portavoce della Conferenza nazionale delle donne, i coordinatori Pd delle ripartizioni estero e il segretario dei Giovani Democratici oltre a cento tra deputati e senatori (indicati dai gruppi), i comuni dei capoluoghi e i presidenti di regione.

L’assemblea si aprirà sotto la guida della commissione congresso, seguirà la proclamazione della segretaria e si procederà con l’elezione del presidente e dell’ufficio di presidenza che, a quel punto, subentrerà alla commissione congresso. Nella seconda parte della giornata si eleggerà la direzione nazionale e il tesoriere. Ieri gli occhi e le orecchie erano tesi sul ruolo che avrà inevitabilmente Stefano Bonaccini. La segretaria dem è stata chiara sul fatto che per lui “ci sarà un ruolo e auspico che sia un ruolo politico di primo piano. Gli ho fatto una proposta di massima condivisione e nell’interesse del partito”.

Parole che suonano come una conferma dello sconfitto alle primarie prossimo presidente del partito. In tarda serata la conferma: sarà lui il prossimo presidente. Sfumano quindi le ipotesi di Bonaccini come vice segretario (invertendo lo schema che fu in Emilia Romagna) un po’ perché “difficile che Stefano accetti di essere vice qualcosa” e perché in ruolo così operativo in segreteria il presidente dell’Emilia Romagna si sarebbe ritrovato nella condizione di essere in disaccordo con scelte della nuova maggioranza del partito.

A Bonaccini la presidenza Pd

Bonaccini presidente del resto era un’ipotesi caldeggiata anche dai padri nobili del partito con cui la neo segretaria si è confrontata. Le riunioni e gli incontri si sono trascinate per tutta la giornata, con Base riformista (la corrente che fa riferimento a Guerini e Alfieri tra gli altri) preoccupata dall’ipotesi che un incarico di “prestigio” come la presidenza del partito significhi inevitabilmente non avere altre carte da giocare. È praticamente certo che le capogruppo alla Camera e al Senato, Debora Serracchiani quanto Simona Malpezzi, pur stimate da Schlein, dovranno cedere il posto. “Unità ma nella chiarezza politica”, continuano a ripetere i leader della mozione Schlein.

“Serve discontinuità nei comportamenti, con le parole siamo dei campioni il tema sono sempre i comportamenti che spesso come partito ci siamo sentiti rinfacciare” ha avvisato Stefania Bonaldi, coordinatrice degli amministratori della mozione Schlein che traccia una direzione chiara: “È necessario un ricambio del personale politico, – dice – della classe dirigente. Rinnovamento e non rottamazione, una pratica che abbiamo conosciuto in altre epoche e che ha segnato l’inizio del disfacimento del Partito democratico”. Forse quella che qualcuno chiama “radicalità” non è altro che un impegno di coerenza.

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Pd, l’opposizione interna a Elly Schlein è lì in agguato

Qualche indizio non fa un prova, ma rende l’idea. Il clima festoso all’interno del Partito democratico dopo l’inaspettata partecipazione alle Primarie che hanno incoronato Elly Schlein nuova segretaria è una cortesia mal simulata che maschera la stizza di un gruppo dirigente che non si farà da parte facilmente e che, sommerso, in questi giorni sta affilando le unghie. Basta scorgere i segnali che provengono dai territori e che si infilano nelle dichiarazioni misurate regalate alla stampa. Il sogno inconfessabile è sventolare Elly Schlein come simbolo del rinnovamento e provare a tenere le redini dei potentati locali.

Sentirsi assolti e confidare nell’autopreservazione

«Elly non parla con nessuno, è troppo guardinga, si è aperta agli elettori ma evidentemente non si apre al partito», dice un (ex) dirigente nazionale ai suoi convinto di risultare uno stratega. Nonostante la batosta, una parte consistente del Pd uscito sconfitto dalle Primarie è convinta che quel voto non sia cosa loro, che l‘ossatura del partito sia il reticolo di interessi particolari dei cacicchi mai domi. Il significato della vittoria di Schlein non l’hanno compreso e non lo capiranno mai. È questione di sopravvivenza. Sentirsi assolti è l’unica reazione possibile per confidare nella propria autopreservazione.

Il programma dei due candidati principali alle primarie del Pd, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein: tutto quello che c'è da sapere.
Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. (Twitter)

Le frecciatine di Bonaccini e il “pericolo invasione”

Anche l’elegantissimo Stefano Bonaccini, che ha deliziato tutti con la sua signorilità recitata un secondo dopo la sconfitta, comincia a costruire l’impalcatura dell’opposizione interna. Stanno arrivando molti nuovi iscritti? «C’era da auspicare e augurarsi che altri facciano come Elly, che è rientrata nel Pd e la cosa non ha potuto che farci piacere», ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna ospite di un salotto televisivo. Che è come dire: «Ben vengano gli estranei alla nostra comunità che si è affidata a un’estranea». Dipingere Schlein come una parvenu è il metodo per cementare la vecchia comunità sventolando il pericolo di un’invasione. Guardando da fuori sembra un terrorismo basso, alla stregua di un Matteo Salvini con i confini. Sì, è quella roba lì. «Schlein non saprà guidare la macchina del partito perché non ne conosce i meccanismi e i segreti», auspicano i cacicchi scommettendo che presto o tardi sarà costretta a bussare alla loro porta. Allora tutto cambierà senza cambiare e il partito potrà tornare a essere la rassicurante casa che sognano, quella dove le “trattative interne” sono l’unica cosa che conta.

Gruppi dirigenti mossi solo dall’amore per il potere

Ma non è solo autopreservazione. Il Partito democratico in questi anni è diventato un caminetto di interessi particolari travestiti da interessi generali. L’amore per il potere – qualsiasi potere, anche il più piccolo potere – ha dettato la linea dei gruppi dirigenti intenti a spartirsi possibilità sempre più risicate senza avere contezza che là fuori intanto esplodevano i bisogni, cambiavano le priorità, si moltiplicavano i voti degli avversari. Quando hanno aperto la porta sono rimasti accecati dal sole e “non hanno visto arrivare” la brigata Schlein.

Infiltrati ancora non disintossicati dal renzismo

«Speriamo tanti arrivino e dobbiamo evitare una emorragia silenziosa di chi rischia di non sentirsi a casa», dice sempre Bonaccini nelle sue ospitate con quella faccia un po’ così, da sconfitto deluso ma non arreso. Il ricatto di quelli “che se ne potrebbero andare” è la grande idea lanciata da Lorenzo Guerini e la sua corrente Base riformista. Anche in questo caso siamo a livelli di feste del liceo, del “mi si nota di più se vengo o se minaccio di non venire mai più”. Il mito di un Partito democratico che si sta “svuotando” per gli addii è una favola triste per la tristezza che trasmette chi si ostina a raccontarla. La stragrande maggioranza di quelli che “se ne vanno” sono un nugolo che se n’è già andato da tempo. Gente che vota Terzo polo ancora non disintossicata dal renzismo e che frequenta il Partito democratico per non perdere la compagnia di giro e per non perdere l’occasione di fare tardi alla Festa dell’Unità con i vecchi compagni di classe.

Crisi energetica Il dormiente governo Draghi investe nelle armi
Lorenzo Guerini. (Getty Images)

Le minacce dei “me ne vado” non hanno avuto presa

Sono passate settimane, ma l’annuncio “me ne vado” non ha avuto presa. L’addio di Giuseppe Fioroni è diventato un tema dibattuto solo perché era una buona clava contro Schlein accidentalmente capitata. Alla fine non se ne andranno. Non se ne andrà nemmeno Lorenzo Guerini, l’ex ministro che si atteggia da Forlani ma poi si scioglie con gli amici più vicini confessando «ma no, ma no, dico di volermene andare ma resto qui». Badate bene, non se ne vanno perché non hanno un posto dove andare, mica per idealità o per spirito di squadra.

Sulla guerra in Ucraina ha retto, ora per Elly arrivano altre sfide

L’opposizione a Elly Schlein giurava – ne parlavano soddisfatti tra di loro – che la nuova segretaria si sarebbe schiantata quasi subito sulla guerra in Ucraina. Erano pronti a raccoglierne i cocci immaginando una furia pacifista che avrebbe travolto lei e il suo gruppo (al momento molto ristretto: Marco Furfaro, Alessandro Zan, Francesco Boccia, Chiara Gribaudo e pochi altri). Quando Schlein ha detto ciò che pensano molti elettori (anche del Pd), ossia che l’aiuto all’Ucraina non era in discussione ma che manca del tutto una reale spinta diplomatica parallela per cercare una soluzione, i suoi oppositori interni ci sono rimasti malissimo. «Allora la fottiamo sull’economia, cosa ne sa di economia», si dicono dandosi di gomito. Oppure «sulle nomine che sbaglierà nella nuova classe dirigente», pronti al vecchio rito del dossieraggio. E in effetti il rischio c’è: ci sono tra i “sostenitori di Elly” vecchi arnesi (seppur con parvenza giovanile) che scambiano la novità come possibilità di riciclo. Non sarà facile cambiare il Pd. Ma Schlein è stata eletta proprio per quello.

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L’Italia nella morsa della siccità

Da quelle parti l’inverno ha portato la neve e la diga di Ridracoli tracima. Ma è una falsa buona notizia perché quell’immagine “è null’altro che quella di un’oasi in un Nord Italia ormai caratterizzato da un andamento pluviometrico mediorientale”. Lo scrive nel suo report settimanale l’Osservatorio Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) sulle risorse idriche che restituisce l’immagine di un’Italia nella morsa della siccità nonostante l’inverno e la carenza d’acqua rischia di diventare drammatica con l’arrivo del caldo primaverile e poi estivo: in Piemonte, a febbraio, il deficit pluviometrico è stato dell’87,3%, superando il 90% nei bacini dei fiumi Ticino, Toce, Agogna-Terdoppio, Orba, Residuo Po-confluenza Tanaro, Dora Baltea fino a toccare il 98,6% nell’area dello Scrivia Curone (!).

L’ultimo rapporto dell’Anbi restituisce l’immagine di un’Italia nella morsa della siccità. La carenza d’acqua rischia di diventare drammatica con l’arrivo del caldo

La poca neve in quota (i bacini più deficitari sono quelli di Ticino e Toce, abbondantemente sotto media), non potrà, nemmeno nel prossimo futuro, offrire un sufficiente ristoro agli invasi regionali, che ad oggi trattengono solamente 90 milioni di metri cubi d’acqua, pari al 23% della capacità. Grave è la condizione dei corsi d’acqua, che restano ben al di sotto delle portate del 2022, nonostante un leggerissimo miglioramento dovuto probabilmente agli apporti dello scioglimento nivale: il Po tocca -73% sulla media storica, il Tanaro è a -74% sulla portata media di Marzo, la Stura di Lanzo è -53% sulla media; in ulteriore calo sono Pesio e Stura di Demonte, ma soprattutto Sesia (quasi – 90% sulla media di marzo) e Toce (-70% ca.)

Il bollettino idrologico della Valle d’Aosta certifica che sulla regione sono piovuti mediamente meno di 5 millimetri in Febbraio, cioè un valore inferiore all’anno scorso (mm.10). La neve caduta è stata mezzo metro inferiore alla media ed in alcune stazioni si sono registrati valori inferiori al minimo storico e l’indice SWE (Snow Water Equivalent) è dimezzato, così come la portata della Dora Baltea. Le temperature medie nel mese scorso sono state fino a 4 gradi sopra la media del decennio, le massime hanno toccato i 23 gradi e, nella seconda quindicina, lo zero termico si è registrato addirittura sopra i 3000 metri! (fonte: Centro Funzionale Protezione Civile Val d’Aosta).

L’inizio di Marzo è stato caratterizzato da piogge assenti o inconsistenti e da scarse precipitazioni nevose

Anche l’inizio di Marzo è stato caratterizzato da piogge assenti o inconsistenti e da scarse precipitazioni nevose sulla fascia occidentale della regione, mentre una lieve crescita del manto nevoso si registra sulla fascia centrale e, in minima parte, su quella orientale. Anche in Lombardia le riserve idriche sono inferiori a quelle del 2022 (-13,55% e -60% ca. sulla media storica): il dato più preoccupante riguarda la neve (circa il 13% in meno rispetto all’anno scorso e circa il 70% sotto la media storica), che a causa delle alte temperature sta velocemente sciogliendosi (-15% rispetto alla settimana scorsa); sconcertante è osservare l’anticipo rispetto al gravemente siccitoso 2022, quando l’esaurimento nivale in quota si registrò a maggio (fonte: Arpa Lombardia).

Situazione difficile anche al Nord dove l’andamento delle piogge è ormai a livelli mediorientali

Continua a destare profonda preoccupazione la condizione delle risorse idriche in Veneto: nel mese da poco concluso, infatti, sulla regione sono piovuti mediamente 3 millimetri d’acqua, quando la media sarebbe di mm. 60 (-96%)! Su tutti i bacini, il deficit mensile supera il 90% con i massimi toccati in quelli di Po, Lemene e Tagliamento (-98%). Sull’Alto Piave, la seconda metà di febbraio è stata la più siccitosa degli scorsi 30 anni, mentre su Livenza-Lemene-Tagliamento peggio è stato solo nel 2006-2007. Il dato negativo di febbraio fa aumentare anche il deficit pluviometrico sull’anno idrologico, che ora tocca -31%.

La temperatura media di febbraio è stata di 2,6 gradi superiore alla media

La temperatura media di febbraio è stata di 2,6 gradi superiore alla media ma, nella seconda metà del mese, lo scarto è stato di +8° (dopo il 1998 è il record da 43 anni); le alte temperature hanno conseguentemente causato la fusione dello scarso manto nevoso (dal 1° ottobre, il deficit nivale è del 32% sulle Dolomiti e del 20% sulle Prealpi. “L’imminente ed ormai difficilmente evitabile esplodere della crisi idrica nel Nord Italia evidenzia l’urgente necessità che il Governo individui un’autorità con la potestà di dirimere inevitabili contrapposizioni fra interessi, rispettando le normative di legge” sollecita Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue.

Mentre la situazione nel Centro e nel Sud appare migliore secondo Vincenzi “l diversificazione di situazioni, che si stanno registrando lungo la Penisola, pone d’attualità la necessità di realizzare infrastrutture idriche per trasportare l’acqua da un territorio all’altro, superando anche antistoriche contrapposizioni, ma privilegiando l’interesse generale”. L’inverno 2022-2023 è stato mediamente più caldo del normale, “anche in modo considerevole”.

L’inverno 2022-2023 si piazza quinto tra i più caldi dal 1800 ad oggi

Secondo infatti i dati Isac-Cnr a livello nazionale, considerando il trimestre dicembre-gennaio-febbraio, la temperatura complessiva è risultata di 1,21 gradi sopra la media trentennale 1991-2020. L’inverno 2022-2023 si piazza quinto tra i più caldi dal 1800 ad oggi. A questo punto la domanda è semplice: oltre a opporsi alla transizione ecologica dalle parti del governo c’è qualcuno che ha idea di ciò che sta accadendo? E, soprattutto, quale sarebbe il piano per contribuire alla salute dei nostri fiumi?

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Così la ‘ndrangheta avallò le stragi mafiose

La notizia è grossa e forse può concorrere a scrivere una delle fasi più oscure del nostro Paese. Non solo perché ieri con l’inchiesta Hybris sono finiti in manette boss e luogotenenti delle cosche di ‘Ndrangheta Piromalli e Molé (49 persone in tutto: 34 in carcere e 15 ai domiciliari oltre al sequestro di beni per circa un milione di euro), ma anche perché gli atti di indagine confermano la tesi che ‘Ndrangheta e Cosa nostra operano insieme come “Cosa unica” fin dai tempi delle stragi, in un sistema criminale integrato che decise l’attacco frontale contro lo Stato.

L’inchiesta Hybris conferma la tesi che ‘Ndrangheta e Cosa nostra operano insieme come “Cosa unica” fin dai tempi delle stragi

Scrivono i magistrati: “Pesce, in proprio ed in nome e per conto di Piromalli, aveva votato a favore della partecipazione alle stragi anche da parte della ‘ndrangheta”. Il boss di Limbadi Luigi Mancuso, invece, “avrebbe votato contro” le stragi che “erano dirette all’eliminazione del regime di carcere duro”. E ancora: “Si progettava di arrivare ad assassinare un ministro e fare un colpo di Stato”.

Se le indagini dei carabinieri hanno stroncato la cosca Piromalli fotografando non solo gli affari illeciti del clan ma anche la pace con i recenti nemici Molé, è senza dubbio l’intercettazione del “navigato esponente della ‘ndrangheta” Francesco Adornato ad aprire uno squarcio sulla stagione stragista. Adornato non è indagato nell’inchiesta Hybris, ma le sue parole hanno conquistato il titolo di un capitolo dell’ordinanza di custodia cautelare dove, nero su bianco, il gip riassume la sua conversazione con Giuseppe Ferraro (arrestato ieri) e scrive che il boss Pino Piromalli detto Facciazza “aveva composto la ‘commissione’ costituitasi per decidere se la ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana”.

È lo stesso punto sui cui sta lavorando da tempo il procuratore aggiunto di Reggio Calabri a, Giuseppe Lombardo, nel processo “Ndrangheta stagista” che, in primo grado, si è concluso con la condanna del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e di Rocco Santo Filippone, espressione dei Piromalli. In quel processo si racconta come fu il cognato di Riina, Leoluca Bagarella, a indicare Giuseppe Graviano come responsabile dei rapporti con le cosche calabresi (“con i calabresi te la vedi tu”, disse Bagarella).

Secondo il racconto di Adornato intercettato, ora sappiamo che “la ‘commissione’ (al quale consesso però Pino Piromalli non aveva personalmente partecipato in quanto aveva delegato in sua vece Antonino Pesce detto Nino u Testuni) aveva deciso di ‘avallare’ le stragi di Stato, condividendo la politica del terrore e stragista proposta dalla mafia siciliana.

Tra i soggetti raggiunti dall’ordinanza figurano nomi importanti come Girolamo Piromalli detto Mommino (ritenuto la figura apicale del clan), Salvatore Copelli, Aurelio Messineo, Francesco Cordì, Rocco Delfino detto U Rizzu, Arcangelo Piromalli, Cosimo Romagnosi e Antonio Zito detto u Palisi, ma anche Antonio Molé detto u Jancu, considerato il reggente della consorteria, e per Ernesto Madaffari alias u Capretta.

Agli arresti domiciliari con l’accusa di estorsione sono finiti anche Maria Martino e Grazia Piromalli, rispettivamente moglie e figlia del boss Pino Facciazza, oltre a un finanziere, Salvatore Tosto, che avrebbe rivelato alcune indagini in corso e l’esistenza di un’indagine a suo carico e don Giovanni Madafferi, parroco di Castellace, per certificati falsi. Non sono bande, non è un semplice sistema criminale, siamo di fronte a un sistema di potere, una rete che gestisce in modo univoco determinate operazioni, anche finanziarie. Di questo dovremmo preoccuparci piuttosto che romanticizzare i boss.

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Vilipendio di cadaveri

Giorgia “sono una donna, sono una mamma, sono cristiana” Meloni non ha trovato un secondo per rendere omaggio alle vittime della strage di Cutro. Ha trovato comunque il tempo di passare da lì per riunire un Consiglio dei ministri che sarà ricordato come l’imbarazzante apice della retorica e dell’ignoranza sui temi migratori conclusosi con un decreto che è un guazzabuglio di disumanità, di regole inutili e di interventi sbagliati.

Il governo di Giorgia Meloni, del resto, ha dimostrato fin da subito di non avere la statura morale per riconoscere cosa sia una questione umanitaria e cosa una questione politica. Confondere i due piani regala un condono morale che legittima la xenofobia (morbida e sottaciuta) che è uno dei propellenti del governo.

Così dopo i cadaveri sulla spiaggia, dopo i buchi nella catena di soccorso che non sono stati chiariti dal ministro Piantedosi, dopo avere ascoltato lo stesso Piantedosi rivittimizzare le vittime perché si sono imbarcate, dopo aver depositato i sopravvissuti in una topaia marcia (per poi mandarli in albergo appena è montata l’indignazione), dopo aver tentato di sguincio di deportare le salme, Giorgia Meloni licenzia un decreto legge che inasprisce le pene per i trafficanti (già previste dal Testo Unico del 1998) e stabilisce un nuovo reato per chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante”.

Peccato che né Giorgia Meloni, né Piantedosi, né Salvini (e tantomeno i parlamentari della maggioranza) sembrano conoscere la differenza tra “trafficanti” e “scafisti”. Per comodità (meglio, vigliaccheria) preferiscono concentrarsi su quest’ultimi che però hanno poco a che fare con la gestione dell’immigrazione illegale e anzi molto spesso si rivelano semplici migranti che si sono messi al timone per minaccia, per paura o per salvarsi. I “trafficanti” sono comodamente seduti nel divano di casa propria a contare i soldi incassati dai disperati e dagli Stati (come l’Italia, come anche l’Unione Europea) che li legittimano come “autorità” di Stati che sono un conclave di sgherri. Anche in questo caso siamo alle solite: forti con i deboli.

Tra gli altri provvedimenti c’è poi l’annunciato decreto flussi per il triennio dal 2023 al 2025 rivenduto come novità e conquista. Peccato che il decreto flussi sia in campo dal 1998 e nei fatti non abbia migliorato la situazione umanitaria, limitato nei numeri. Ad oggi, infatti, con le normative vigenti può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto ed esclusivamente nell’ambito delle quote e dei settori lavorativi definiti dal decreto flussi, non sulla base dei concreti bisogni delle aziende. Il decreto flussi non ha niente a che vedere con quelli che scappano dalla guerra e che anche ieri Giorgia Meloni con molta ignoranza ha chiamato “partenze irregolari”. Che le persone asfissiate nel mare di Cutro fossero irregolari avrebbe dovuto stabilirlo la risposta a una domanda d’asilo che quelli non hanno potuto presentare perché inghiottiti in anticipo dal mare.

Poi c’è l’ampliamento dei Centri per il rimpatrio (Cpr) che potranno essere realizzati “anche in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”. Il viatico per strutture ancora più sgarrupate e indecenti di quelli che già ci sono.

Infine c’è il capolavoro, il potenziamento della sorveglianza marittima che avrebbe dovuto essere in capo al Comando della squadra navale quindi in mano a Guido Crosetto. Giorgia Meloni prova a commissariare i poco capaci ministri Salvini e Piantedosi in favore del ministro della Difesa Guido Crosetto. In pratica hanno mancato l’operazione di ricerca e soccorso preferendo un’operazione di polizia a Steccato di Cutro e ora provano di virare su un’operazione militare. Non accade per poco, solo perché Salvini si ribella ma il segnale di sfiducia politica è chiarissimo.

Ci sarebbe anche il tono di Giorgia Meloni, quell’apocalittica conferenza stampa tenuta con aria di sfida. “State dicendo che il Governo ha voluto non salvare quelle persone?”, chiede di nuovo. Sì, rispondiamo ancora.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

Frame del servizio video a Steccato di Cutro dalla pagina facebook di Cartabianca, 7 marzo 2023

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Crolla il mito della premier forte

La leader accusata di essere troppo ruvida è diventata morbida, morbidissima. Praticamente un’ombra. Giorgia Meloni ha fatto il pieno di voti in questi ultimi anni alzando la voce, sempre e comunque, inseguendo ossessivamente la sovraesposizione su tutti i temi. C’è da presumere, senza bisogno di essere fini analisti, che tra i suoi voti abbia covato l’esasperazione di vedere – “finalmente”, hanno pensato i suoi elettori – “qualcuno che dice le cose come stanno”. Il “finalmente” è la benzina del nuovismo per cui qualsiasi leader mai stato prima al governo gode di un carico di speranza inimmaginabile per chi ci è già passato.

Ossessionata dal consenso, Giorgia Meloni manda allo sbaraglio i ministri. Così è diventata regina nell’arte di imboscarsi

Meloni imperversava sui social urlando contro le accise della benzina. Ci si sarebbe aspettato che nostra signora dell’indignazione avesse preso di petto la questione del prezzo dei carburanti, avrebbe mostrato lo stesso piglio contro la lobby del petrolio oltre a scardinare le maledette accise. Non l’ha fatto (in politica accade di non poter fare cose che si vorrebbero fare o banalmente di non riuscirci) ma soprattutto è scomparsa.

Nascosta dal paravento del suo ruolo istituzionale che – a detta dei suoi – le impone un nuovo senso della misura. Meloni ha lasciato campo ai suoi ministri e ai sottosegretari (preferibilmente del suo partito) talvolta usati come opposizione al suo stesso governo. Pensateci, anche di fronte alla marea di gente che qualche giorno fa ha manifestato contro il pestaggio fascista di fronte alla scuola di Firenze, nonostante le improvvide uscite del ministro Valditara che ha additato una preside colpevole secondo lui di apologia di antifascismo, la voce chiara e secca di Meloni – quella che ha fatto esultare certe discutibili femministe per l’avvento della “donna forte” – non s’è sentita. In disparte.

Ai tempi di Draghi era proprio Meloni a pretendere che l’ex premier riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese

Qualcuno la chiama “saggezza” (non ultimo Adriano Celentano in un’intervista al Corriere) ma non si può non ricordare come ai tempi del governo Draghi fosse proprio Meloni a pretendere che l’ex presidente del Consiglio riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese. Peggio ancora fece nei governi Conte, Gentiloni e Renzi. All’opposizione Giorgia Meloni pretendeva (giustamente o meno) che il presidente del Consiglio si disincagliasse dal suo ruolo istituzionale “per rispondere agli italiani”.

Se fosse così la riforma della giustizia e le dichiarazioni del ministro Nordio non hanno meritato una sua presa di posizione. Pochi comunicati, molto sbiaditi e le diplomatiche risposte che non rispondono a nulla e non prendono posizione. La vicenda Donzelli-Delmastro l’ha sfiorata di passaggio, come se non fosse anche la presidente del loro partito. Un capolavoro di nascondimento è l’atteggiamento tenuto sulla strage di Cutro: un video, guardando fissa in camera, in cui come unico contenuto politico riesce a porre una domanda retorica scandalizzata: “Ma davvero credete che non li avremmo salvati?”.

Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali

Sì, hanno risposto in molti. Ma una presidente del Consiglio dovrebbe dare risposte, non porre domande. Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali. Sarà, c’è da scommetterci, fornita di un’ottima dichiarazione perfettamente equilibrista per la farsa del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro. Riuscirà a non scontentare gli addolorati e a non far sentire traditi gli xenofobi. Sarà una dichiarazione magica, come al solito, che evoca l’idea che gli elettori si sono fatti di lei (non corroborata dai fatti) e che non offre troppi spunti agli oppositori. “Saggezza”, la chiamano. E invece è solo imboscamento.

Leggi anche: L’inutile passerella della Meloni. A Cutro per lavarsi la coscienza. Oggi il Consiglio dei ministri varerà la stretta sui trafficanti di esseri umani e il decreto flussi

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Fratoianni: “Basta con la politica disumana. Piantedosi deve dimettersi”

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, il cdm vola a Cutro. Che ne pensa
“Trovo vergognoso che nessuno del Governo abbia sentito la necessità di andare a Cutro per un momento di vicinanza umana. Se non fosse stato per il Presidente Mattarella che ha deciso di andare a rendere omaggio alle vittime della più grande strage del Mediterraneo degli ultimi anni, le istituzioni sarebbero state assenti. L’unico che è andato a Crotone, Piantedosi, ci è andato per dire che i morti erano degli irresponsabili che non sarebbero dovuti partire. A volte la forma è sostanza, dopo averli abbandonati in mare li hanno abbandonati, vivi e morti, anche a terra”.

Ma bastano dal punto vista politico le spiegazioni di Piantedosi?
“Per nulla. Ieri in aula il Ministro prima ha fornito un freddo elenco di date e di orari, poi, incredibilmente, ha rivendicato le scelte politiche e operative del Governo. Come se tutto fosse andato bene. Va ricordato al Ministro che niente è andato bene e che i morti accertati sono più di settanta In estrema sintesi: Frontex avverte che c’è un caicco sovraccarico, gli assetti della Guardia di Finanza sono costretti a tornare indietro perché le condizioni del mare sono pessime e a nessuno viene in mente che una barca di legno sovraffollata avrebbe affrontato pericoli mortali. Questo Governo sta facendo di tutto per disincentivare il soccorso in mare: lo fa con le navi della società civile e lo fa evidentemente anche con gli assetti della Guardia Costiera, gli stessi che per anni sono stati il nostro orgoglio per la capacità di salvare persone in mare. Una politica di questo tipo è semplicemente disumana e Piantedosi avrebbe dovuto dimettersi il giorno del naufragio”.

Ora gli unici responsabili delle tragedie sembrano gli scafisti. Di chi sono secondo lei le responsabilità?
“In realtà secondo il Governo i primi responsabili sono gli stessi migranti che dovrebbero rimanere a casa nonostante guerre, persecuzioni e carestie. Dovrebbero, in altre parole, morire a casa loro invece di farlo nel Mediterraneo. Le responsabilità sono invece di chi non consente una migrazione sicura e legale verso l’Europa. Fin quando costringeremo le persone che fuggono a prendere il mare, i responsabili dei loro naufragi saremo anche noi. I trafficanti di uomini sono persone spietate, ma è l’Europa a spingere tra le loro braccia chi vuole scappare”.

Avete denunciato le condizioni del Cara di Crotone. Oggi si è accesa anche la polemica per il trasferimento…
“Il nostro deputato Franco Mari è andato a verificare le condizioni dei sopravvissuti e ha trovato una situazione indecente. Le persone erano ammassate in una struttura scrostata di fronte al Cara di Crotone, trattate come gli animali. Senza vestiti, senza lenzuola, con un solo bagno per uomini, donne e ragazzi. Senza neanche letti sufficienti per tutti. Dopo la nostra denuncia, il Governo le ha trasferite in albergo. Bene, ma mi pare incredibile che sia stato necessario pubblicare le foto delle condizioni indecenti di quegli stanzoni per avere un moto minimo di umanità”.

Ma non si rischia di dimenticare le responsabilità anche del centrosinistra
“Mi pare di essere stato molto chiaro ieri in Aula su questo punto. Ho sentito da parte dell’opposizione parole che ho profondamente condiviso e però dovremo tutti ricordarcene quando toccherà a noi governare: le parole devono trovare seguito nelle azioni. La legge Bossi-Fini, che impedisce di fatto una migrazione legale, è in vigore in questo Paese da ventidue anni e nessuno l’ha cambiata; gli accordi con la Libia non se li è inventati questo Governo ma sono stati rinnovati, anno dopo anno, da governi di tutti i colori”.

Matteo Renzi propone una commissione d’inchiesta…
“Sono d’accordo, serve una commissione di inchiesta su cosa sia accaduto la notte in cui lo Stato ha abbandonato in mare una barca in difficoltà. Ma serve una commissione di inchiesta su tutti questi anni di criminalizzazione del soccorso in mare e di mancati salvataggi. Spesso è la magistratura che interviene e fa indagini, per esempio, sul ruolo dei libici e sulle relazioni fra l’Italia e la Libia: è tempo che sia la politica a indagare su se stessa e sulle sue scelte”.

La domanda che ripetono tutti: cosa fare? Come affrontare la questione?
“Nell’immediato una risposta è ritirare l’infame decreto contro le organizzazioni non governative, un decreto che dichiara guerra a chi salva le vite. E poi si deve cancellare la Bossi-Fini. Così come vanno stracciati gli accordi con la Libia: basta finanziare i mercanti di uomini, quelli della cosiddetta guardia costiera libica che di giorno indossano la divisa e di notte organizzano le tratte illegali su cui troppe morti abbiamo pianto. Occorre costruire canali legali e magari costruire politiche di cooperazione. Invece ogni volta che c’è da scegliere vengono ridotti i fondi per la cooperazione e aumentati quelli per le armi, ossia ciò che produce guerre e disperazione, o messe in atto politiche energetiche inquinanti, che alimentano la nuova categoria, sempre più grande, dei profughi climatici”.

Leggi anche: Salme deportate a Bologna, ultimo sfregio ai morti. Dopo le proteste, il Viminale fa retromarcia: soluzione provvisoria 

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Sì, ma cosa proponete?

Poiché i parlamentari e i partiti politici sono pagati, votati e chiamati a trovare soluzioni legislative ai temi più o meno complessi negli ultimi giorni, al di là dell’indignazione per la strage di Cutro, circola la buffa idea che sul tema delle migrazioni (qui si parla del lato politico, dando come prerequisito il lato umanitario) non esistano proposte alternative.

Ieri è giunta notizia che il Piatto democratico, il Terzo polo e +Europa siano convenuti su una proposta di legge che è lì bella pronta fin dal 2017 (la trovate qui) e che Riccardo Magi ha già depositato. La legge nasce dalla campagna #EroStraniero lanciata da Radicali italiani insieme alla Fondazione Casa della carità «Angelo Abriani », Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cnca, A buon diritto, con il sostegno di centinaia di sindaci e di organizzazioni impegnate sul fronte dell’immigrazione, tra cui Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche ita- liane, Cgil, Emergency e tantissime associazioni locali.

Questi i principali punti di riforma proposti dalla campagna:

  • Reintroduzione del sistema dello sponsor (sistema a chiamata diretta)

Si propone la reintroduzione del sistema dello sponsor, originariamente previsto dalla legge Turco-Napolitano, per l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero su invito del datore di lavoro italiano. Si tratta di una prestazione di garanzia per l’accesso da parte di singoli datori di lavoro che permettono al lavoratore straniero di venire in Italia, essere assunto e inserirsi nel mercato del lavoro, assicurando risorse finanziarie adeguate. Tale assunzione dovrebbe avvenire in qualsiasi momento, senza dover attendere che vengano stabiliti click day e definiti settori determinati.

  • Introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione

Si propone un permesso di soggiorno temporaneo (12 mesi) da rilasciare a lavoratori e lavoratrici dei paesi terzi per facilitare l’incontro con i datori di lavoro italiani e per consentire a quanti sono stati selezionati sulla base delle richieste di determinate figure professionali, di venire in Italia, svolgere i colloqui di lavoro e finalizzare l’assunzione. La selezione può avvenire anche attraverso l’attività di intermediazione svolta da enti pubblici e privati (quali organizzazioni, associazioni, patronati, sindacati, università, agenzie per il lavoro), autorizzati dal ministero del lavoro e inseriti in un apposito albo nazionale, per far incontrare l’offerta di lavoro da parte di cittadini stranieri e richiesta di lavoro da parte di datori di lavoro in Italia, selezionando nei paesi di origine lavoratori e lavoratrici che rispondono a determinati requisiti.

  • Regolarizzazione su base individuale degli stranieri “radicati”

Si propone la regolarizzazione su base individuale degli stranieri che si trovino in situazione di soggiorno irregolare allorché sia dimostrabile l’esistenza in Italia di un’attività lavorativa, sul modello della Spagna e della Germania. Tale titolo di soggiorno dovrebbe prevedere una procedura sempre accessibile, su base individuale, e non legato a sanatorie: si può fare richiesta del permesso in qualsiasi momento se si è in possesso dei requisiti.

  •  Effettiva partecipazione alla vita democratica

Si propone l’elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.

  • Abolizione del reato di clandestinità

Si propone l’abolizione del reato di clandestinità, abrogando l’articolo 10-bis del decreto legislativo 26 luglio 1998, n. 286.

È, ovviamente, l’inizio di una discussione ma delinea un pensiero che, al di là della narrazione di certa cattiva stampa, qualcuno finge di non vedere.

Buon giovedì.

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Salme deportate a Bologna, ultimo sfregio ai morti di Cutro

Dopo la strage, dopo aver buttato in superstiti in stanze come topaie, dopo avere ascoltato il ministro dell’Inferno Piantedosi mentire l’allarme di Frontex senza spiegare il perché di un’operazione di polizia quando da sempre si mette in campo un’operazione di soccorso il Governo decide di scendere negli inferi e prova a deportare anche le salme di Cutro.

Il Governo prova a deportare anche le salme di Cutro. Dopo le proteste, il Viminale fa retromarcia: soluzione provvisoria

“Il governo italiano gioca con i morti”. Così recita il cartello di una donna afgana che nel naufragio di Steccato di Cutro ha perso la figlia ed il genero. Lei arriva dalle Germania come molti dei parenti delle vittime che stanno protestando pacificamente contro la decisione del governo. “Noi vogliamo i corpi delle vittime in paesi di origine in Afghanistan o dove famiglia vuole” è scritto in un altro cartello che spiega il motivo della protesta.

“Hanno cercato di portare via bare senza dire niente prima” dice un altro afgano disteso sulla strada. A quanto pare la decisione del governo è stata presa dopo che è venuto meno l’impegno a coprire i costi dei trasferimenti delle salme nei paesi di origine. Il governo italiano, secondo quanto affermano i parenti delle vittime, sarebbe disponibile solo a pagare i trasferimenti interni.

L’impegno preso da Mattarella si frange contro l’ipocrisia del governo

L’impegno preso dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si frange contro l’ipocrisia del governo. “Vogliono spostare i morti quasi sicuramente per evitare di venire a rendere omaggio alle salme”, ci dice un’assessora di Crotone. Stefano Mancuso di Rete 26 febbraio spiega: “L’impressione è che il governo voglia nascondere la polvere sotto il tappeto. Questo è un ennesimo oltraggio perché non viene rispettata la volontà dei familiari a piangere i morti dove preferiscono.

Questa vergogna si aggiunge a due settimane di comportamenti disumani sia per i mancati soccorsi che per il trattamento ricevuto da governo le cui mancanze sono state coperte solo grazie a sacrificio dei volontari delle associazioni”. Una giornata con un rincorrersi di voce che si aggiungono al dolore. Si dice che le salme vadano a Bologna, il sindaco ferma tutto e chiede giustamente il consenso delle famiglie. In serata fonte dal Viminale dicono che forse non se ne farà niente. Una cosa è certa: un’altra giornata di orrore.

Leggi anche: L’inutile passerella della Meloni. A Cutro per lavarsi la coscienza. Oggi il Consiglio dei ministri varerà la stretta sui trafficanti di esseri umani e il decreto flussi

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