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In vigore il decreto Ong, ma la stretta viola il diritto internazionale

Poiché la sceneggiatura della realtà sa essere ferocissima proprio ieri, nel bel mezzo del mare di accuse contro i ministri Matteo Piantedosi e Matteo Salvini e nel bel mezzo del dolore che non si attenua per le vittime della strage di Crotone è entrato in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale il primo (e unico) atto politico del neo ministro all’Interno Piantedosi, degno erede di quel Salvini: il cosiddetto decreto “anti Ong”.

È entrato in vigore il decreto che rende più difficili i soccorsi delle Ong in mare. E ora non resta che attendere i prossimi morti

Il fatto che un ministro trovi il tempo di prendersela con le Ong mentre dovrebbe affrontare un evento mastodonticamente complesso come quello delle migrazioni, mentre le guerre infiammano il mondo, mentre il cambiamento climatico asseta interi popoli e mentre le catastrofi naturali stravolgono intere nazioni. Il ministro Piantedosi ha preso carta e penna per vergare un decreto che sostanzialmente rende già complicato e più costoso salvare vite umane. Il fatto che avvenga mentre urlano quelle bare messe in fila a Crotone aggiunge il paradosso allo sconcerto.

Cosa prevede il novo decreto

Il nuovo decreto-legge appare in sostanziale continuità con una disposizione contenuta nel decreto-legge n. 130/2020 (cd. decreto Lamorgese) che consente all’Esecutivo di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale” per motivi di ordine e sicurezza pubblica in conformità alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (cd. Convenzione di Montego Bay).

Divieto di transito e sosta che il nuovo D.L. n. 1/2023 esclude, tuttavia, nel caso di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al Centro di coordinamento per il soccorso marittimo dello Stato nella cui area Sar di competenza ha avuto luogo l’evento e allo Stato di bandiera della nave, e qualora ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) che la nave che effettua sistematicamente attività di ricerca e soccorso abbia le autorizzazioni rilasciate dalle autorità dello Stato di bandiera e possegga i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione; b) che siano avviate tempestivamente informative alle persone soccorse della possibilità di chiedere protezione internazionale; c) che sia chiesta nell’immediatezza dell’evento l’assegnazione del porto di sbarco; d) che il porto di sbarco sia raggiunto senza ritardo; e) che siano fornite alle autorità marittime o di polizia le informazioni per ricostruire dettagliatamente l’operazione di soccorso; f) che le modalità di ricerca e soccorso in mare non abbiano concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

Come sottolinea Asgi (l’Associazione per gli Studi giuridici sull’Immigrazione) “pretendere, infatti, che il porto di sbarco assegnato sia raggiunto “senza ritardo” (lett. d) e che le modalità di soccorso non impediscano di raggiungerlo “tempestivamente”(lett. f) sottende la volontà di costringere le navi a non soccorrere persone a rischio di naufragio diverse da quelle già soccorse e delle quali abbiano contezza nell’area di mare ove si trovano ad operare, così come di impedire che le persone soccorse siano trasbordate da una nave umanitaria all’altra (per consentire a una di esse di tornare a cercare persone in pericolo)”.

Piantedosi ha firmato un decreto che viola trattati internazionali superiori

La pretesa infatti non potrà mai avverarsi perché, dice Asgi, “qualora il comandante della nave che già ha prestato un primo soccorso venga a conoscenza di una ulteriore situazione di pericolo dovrà sempre dirigersi verso la zona e prestare assistenza in ossequio all’obbligo inderogabile di soccorso previsto dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio (art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Cap. V Regola 33 della Convenzione SOLAS) e dal diritto interno (v. art. 1113, art. 1158 Codice della Navigazione)”.

Il ministro Piantedosi ha firmato un decreto che viola trattati internazionali superiori. L’obbligo di soccorso imposto dal diritto internazionale è norma di rango superiore (art. 10 e 117 Cost.) e non può essere derogata da una disciplina interna volta a limitare i soccorsi stessi. Non solo, la normativa internazionale è di inequivoca lettura: lo Stato deve (e non già solo può) esigere dal/dalla comandante di una nave che agisca per prestare soccorso. Dunque, la selettività del soccorso sottesa al decreto-legge non potrà mai essere interpretata come ostativa al soccorso di tutte le persone che si trovano in mare in stato di pericolo.

Come scrive Asgi: “Il decreto legge n. 1/2023, preceduto da una narrazione politica finalizzata al contrasto dell’immigrazione definita illegale, contiene disposizioni che non potranno far cessare né i gravi motivi che inducono le persone a fuggire in mare dallo Stato di origine o di transito, né le operazioni di soccorso umanitario imposto dal diritto internazionale.

Dunque, tanto rumore per nulla, trattandosi di norme in parte già applicate, mentre altre sono inapplicabili per contrasto con il diritto internazionale ed europeo”. Fumo negli occhi della propaganda politica trasformato in legge giusto il tempo del primo ricorso che ne annullerà una parte consistente. Il decreto Piantedosi non esiste, durerà un soffio. I morti invece esistono eccome. Stanno là a ricordarci che regolamentare l’umanità è l’aspirazione torva di chi è pronto a tutto pur di solleticare una ferale propaganda.

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Ciao ciao, articolo 34 della Costituzione

«La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»: a leggerlo anche per la milionesima volta l’articolo 34 della nostra Costituzione è bellissimo. Ma è inapplicato.

«In Italia, la povertà economica delle famiglie ha un forte impatto anche sui percorsi educativi di bambine, bambini e adolescenti. Nel nostro Paese, infatti, la spesa delle famiglie per l’istruzione è in media molto bassa ed in diminuzione negli ultimi anni, in particolare nei quintili più poveri della popolazione e nelle regioni del Sud. Una famiglia con minore capacità di spesa (cioè appartenente al quintile con reddito più basso) e residente nel Mezzogiorno, ad esempio, spende in media circa 5 euro al mese per costi legati all’ istruzione dei figli, a fronte dei 33 spesi da una famiglia che vive nella stessa area, ma appartiene al quintile più ricco della popolazione. La forbice nei consumi educativi tra le famiglie di diverse condizioni economiche si allarga nelle regioni del Nord, dove a fronte di una quota di spesa destinata all’istruzione pari allo 0,6% del totale tra le famiglie in condizioni economiche più deprivate, tale valore raggiunge il 2,2% per quelle più abbienti», come emerge dalle elaborazioni di Save the Children su dati Istat.

L’Organizzazione sottolinea come il tema della crescita delle diseguaglianze educative sia legato anche all’aumento dell’inflazione degli ultimi due anni che ha generato un aumento dei prezzi al consumo soprattutto per i beni alimentari e i prodotti energetici. Dai dati, risulta evidente che gli aumenti dei prezzi di alcuni beni e servizi hanno determinato un cambiamento in alcune voci di spesa delle famiglie, indicando un aumento delle disuguaglianze educative. Ad esempio, nel Mezzogiorno le famiglie con minore capacità di spesa hanno ridotto la quota destinata ai prodotti alimentari (passata dal 33% al 31,5%) e aumentato quella destinata alle spese dell’abitazione (dal 39,5% al 41,2%), mentre la quota destinata all’istruzione, che era già la più bassa nel 2020, è diminuita ulteriormente nel 2021, passando dallo 0,5% del totale allo 0,37%. Anche le famiglie meno abbienti nel Nord del Paese hanno ridotto la quota della spesa per l’istruzione, che è passata dall’1,06% del totale allo 0,57%. Nel Nord, invece, le famiglie appartenenti al quintile più alto hanno sì ridotto le spese per alimentazione e aumentato quelle per abitazione e consumi energetici, ma hanno anche aumentato la quota di spesa destinata all’istruzione.

Tali dati assumono un significato particolarmente importante se si considera che il tasso di minori in povertà assoluta in Italia è quasi triplicato negli ultimi 10 anni, raggiungendo il picco del 14,2% (quasi 1,4 milioni di minori). Inoltre, la povertà materiale incide anche sull’apprendimento dei più piccoli ed è spesso una delle cause determinanti dell’abbandono precoce dei percorsi scolastici. C’è, infatti, una forte correlazione tra condizioni di povertà familiare e mancato raggiungimento di livelli di apprendimento adeguati, come emerge dai dati Invalsi. Come sottolinea Save the Children, c’è la necessità di sostenere i percorsi educativi dei bambini, delle bambine e degli adolescenti per scongiurare il rischio che la povertà materiale delle famiglie porti all’abbandono precoce degli studi.

Buon venerdì.

Foto pexels Katerina Holmes

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In un Paese normale Salvini e Piantedosi non potrebbero non dimettersi

Non esistono mediazioni possibili, non ci sono giustificazioni, nemmeno attenuanti. Le bare allineate a Crotone, a sentire le voci del governo, sarebbero colpa degli scafisti, colpa dei buonisti, colpa dell’Europa, colpa dei governi precedenti, colpa di qualsiasi altro tranne loro. Così l’unico che se ne assume la responsabilità è il presidente Sergio Mattarella. Quei morti hanno dei colpevoli: i ministri Matteo Salvini e Matteo Piantedosi.

Non ci sono giustificazioni, nemmeno attenuanti. I morti di Crotone hanno dei colpevoli: i ministri Matteo Salvini e Matteo Piantedosi

Non si tratta di colpe giudiziarie – a quelle ci penserà la magistratura – ma sono delle precise responsabilità politiche, sotto gli occhi di tutti. Basta avere voglia di metterle in file e avere voglia di raccontarle, fregandosene delle loro minacce, unica reazione di fronte ai morti.

Partiamo da lontano. Matteo Salvini è la miccia che in questo Paese ha costruito una criminale narrazione dell’immigrazione dove i fuggitivi sono muscolosi vacanzieri con la smania di delinquere e dove l’imperativo è difendersi dall’approdo di disperati – donne e bambini – che arrivano cotti dal sole e dal sale. È una responsabilità precisa: anestetizzare il dovere di accoglienza e di soccorso è il primo passo per sdoganare il razzismo.

Altri hanno collaborato al disegno appena si sono accorti che elettoralmente funzionava. Fa niente che sia l’architrave della propaganda dei peggiori Paesi del mondo. Così si è potuti passare allo stadio successivo: far diventare il salvataggio una colpa. Le Ong sono diventate prima “taxi del mare” e poi “fiancheggiatrici degli scafisti”. Anche per questo il lacerante dubbio che non ci si sia adoperati per salvare persone che potevano essere salvate riesce a essere comunque tenue.

Il ministro Piantedosi ha fatto il resto. Il suo decreto che ostacola il salvataggio in mare è stato salutato come una vittoria politica perché la direzione ormai era segnata dal segretario della Lega. È un’involuzione umanitaria che ritiene accettabile aumentare i costi del salvataggio di vite umane e che, anzi, chiede da anni di inventarsi un reato che non può esistere in nessun Paese: il favoreggiamento di soccorso.

Arriviamo a questi giorni. Confondere il piano umanitario con il piano politico è un trucco da pacchisti. Mentre ancora si recuperavano i corpi il ministro Piantedosi ha impugnato il microfono per rivittimizzare le vittime: colpa loro che si sono imbarcate. Le dimissioni avrebbero dovuto essere firmate un secondo dopo. Immaginate un ministro che dia la colpa dei troppi funerali alle troppe nascite o che accusi gli anziani di uscire troppo di casa e essere troppo anziani e quindi agevolare gli scippi.

Non è solo questione di disumanità – che questo governo indossa come medaglia -, è proprio una stupidità insopportabile. Sui fatti il ministro Piantedosi ha dato almeno 3 versioni differenti: “non ci hanno avvisato”, “sì ci hanno avvisato ma non c’era una richiesta di aiuto” fino al “mi assumo io la responsabilità di eventuali debolezze”.

Il ministro Salvini finge di essere laterale a questa vicenda ma da ex ministro sa bene come funzioni la catena di comando per le operazioni di soccorso e da ministro dei Trasporti è il referente politico del principale accusato: la Guardia costiera. “Non toccate la Guardia costiera!”, urlacciano Salvini e Piantedosi. Non lo fa nessuno, i responsabili sono loro. La Guardia costiera esegue le disposizioni che riceve dalla politica. Le disposizioni, per dolo o per colpa, sono di Piantedosi e Salvini.

Salvare le persone in pericolo non è un compito politico, rientra nei prerequisiti umani che si richiedono a qualsiasi professione. Quel prerequisito l’hanno fallito. La decisione di trasformare le operazioni di salvataggio in operazioni politiche da maneggiare in base alle convenienze elettorali del momento è firmata da Salvini quando era ministro dell’Interno e timbrata da Piantedosi nel suo ufficio di Gabinetto. Non c’è nemmeno bisogno delle impronte digitali. Il carico residuale sono loro.

Leggi anche: Solo Mattarella ci mette la faccia. Il presidente tra le bare di Crotone. Dal Governo il solito scaricabarile

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Solo Mattarella ci mette la faccia

La faccia scura del presidente della Repubblica Sergio Mattarella mentre incontra i parenti delle vittime della strage di Crotone è il buio composto dello Stato che va lì dove il governo non si fa vedere. “Si potevano salvare, Presidente!”, urlano le persone al passaggio di Mattarella.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella tra le bare delle vittime del naufragio di Crotone. Dal Governo il solito scaricabarile

Questa volta non basterà rendere omaggio. Le persone assiepate fuori al Palamilone di Crotone, dove è allestita la camera ardente con le salme dei 67 migranti, chiedono “giustizia per le vittime” e “verità”. Si sente una voce tra la folla: “Gli uomini in mare vanno salvati sempre!”.

Il presidente si raccoglie in silenzio di fronte alle bare che oggi sono il monumento dei nostri errori e dei nostri orrori, incontra i familiari che gli chiedono aiuto almeno per il traposto delle salme in patria e ringrazia la generosità dei sindaci. Poi all’ospedale di Crotone incontra i 15 superstiti e lascia giocattoli ai bambini ricoverati nel reparto di pediatria. Quando esce per andarsene lo saluta un applauso commosso di rabbia trattenuta.

L’inchiesta sui mancati soccorsi chiama in causa la catena di comando e il ministero delle Infrastrutture

Sulla catena di soccorsi la Procura di Crotone ieri ha aperto un’inchiesta, per ora contro ignoti. Il comunicato di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere e la guardia costiera, smentisce la prima ricostruzione del ministro Piantedosi: “nelle ultime ore di sabato, un aereo Frontex che monitorava l’area di ricerca e soccorso italiana come parte dell’operazione congiunta Themis ha individuato una barca diretta verso la costa italiana”, scrive Frontex, chiarendo che “le telecamere termiche” avevano individuato un’alta concentrazione di persone.

Frontex dice di avere “immediatamente informato il Centro Internazionale di Coordinamento dell’operazione Themis e altre autorità italiane competenti sull’avvistamento, fornendo la posizione della barca, le immagini a infrarossi, il corso e la velocità”.

Frontex smentisce la ricostruzione del naufragio gettando nuovi dubbi sulla versione del Viminale

“Si prega di notare – precisa Frontex – che sono sempre le autorità nazionali competenti a classificare un evento come ricerca e soccorso”. Frontex non lancia nessuna richiesta di soccorso, lo dovrebbero sapere tutti, anche i ministri di questo governo. Ma sulle autorità nazionali il groviglio si infittisce. La Guardia di Finanza verso le 2 e 30 di notte fa partire due mezzi che però sono costrette a rientrare “per avverse condizioni meteo marine”, come scrivono i finanzieri nel loro rapporto.

La Guardia di finanza scrive anche di avere avvisato la Guardia costiera chiedendo espressamente un intervento delle sue “unità navali”. La Guardia costiera italiana però dice di non essere stata allertata ma di avere ricevuto solo una richiesta di informazioni sui mezzi a disposizione. Passano ore – e sono le ore fatali – prima che alle 4.30 venga attivato un’operazione Sar (di ricerca e soccorsi) e non “di polizia”. A muovere i soccorsi (ormai inutili) sono le telefonate ricevute dai carabinieri di persone “a terra che stanno assistendo alla strage.

La scusa del “mare mosso” che il ministro dell’Interno Piantedosi aveva usato in prima battuta per giustificare il mancato soccorso ormai non la cita più nessuno. “Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto”, ha detto il comandante della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi.

Il dubbio è che la decisione di non uscire sia di natura politica. Lo stesso ministro Piantedosi audito in commissione Affari costituzionali alla Camera aveva specificato di non voler tornare sulla “catena di comando” dietro ai soccorsi “per non sembrare che voglia accusare qualcuno” e il riferimento al ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture Salvini è fin troppo facile. La gestione degli eventi migratori viene delegata al Viminale dal ministero dei Trasporti, a cui la Guardia costiera risponde.

Decidere di preferire un’operazione di polizia piuttosto che di salvataggio è il nodo della questione. Decidere di preferire un’operazione di polizia con un’imbarcazione stracarica con il mare mosso e senza un equipaggio professionale è uno dei punti che dovrà chiarire la magistratura, dimostrandosi più ostinata della politica.

Leggi anche: Naufragio Crotone, il vicepremier Salvini difende la Guardia costiera e torna ad attaccare giornali e opposizioni

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Il Governo pasticcia e fa pure il bullo con i suoi portavoce

Il governo Meloni ha un serio problema di comunicazione, in tutti i sensi. Non si tratta solo delle figuracce collezionate fin qui, a partire dalla più recente del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che si è incartato sul diritto di provare a salvarsi, roba ritenuta indecente perfino da parlamentari della maggioranza che se lo scrivono di nascosto nelle chat di gruppo e che ha fatto rizzare i capelli in testa anche alla Chiesa. Non contento Piantedosi si è incartato di nuovo promettendo di “andare a prenderli”, provocando le ire di Matteo Salvini, come raccontano quelli che gli sono vicini e infine con l’audizione di ieri.

I portavoce del governo Meloni che hanno sbattuto la porta sono già quattro. Ma le gaffe sono tutte dei ministri

Ma non è solo Piantedosi. Il ministro Giuseppe Valditara è campione di figuracce tra lettere alle scuole in cui riscrive la storia e attacchi sconsiderati agli insegnanti che si permettono di non essere d’accordo con lui. Anche nel suo caso all’interno della maggioranza sono in molti a credere che i modi, al di là dei contenuti, avrebbero potuto essere “più intelligenti”, come dice un senatore leghista.

Sulle brutte figure del ministro alla Giustizia Nordio si potrebbe già scrivere un piccolo libro

Sulle brutte figure del ministro alla Giustizia Carlo Nordio si potrebbe già scrivere un piccolo libro: dai numeri sulle intercettazioni dati a casaccio e smentiti dal suo stesso ministero fino alla all’imbarazzo provocato dalla sua disordinata difesa di Donzelli e Delmastro. Ma c’è un problema di comunicazione serissimo anche negli staff. Fino ad ora siamo al ritmo di una dimissione al mese.

I portavoce del governo Meloni che hanno sbattuto la porta sono già quattro. Gerardo Pelosi (che si è separato dal ministro per le Imprese, Adolfo Urso che ha perso anche la responsabile della sua segreteria, Valentina Colucci), Marco Ventura (che ha lasciato la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ancor prima di iniziare l’incarico) e ieri il record di due dimissioni in un solo giorno: Marina Nalesso ha detto addio al suo posto al fianco del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e Giovanni Sallusti è scappato dall’incarico di portavoce del ministro dell’Istruzione e del merito, Valditara.

I motivi ufficiali, per tutti, sono sempre gli stessi: “motivi famigliari” viene riportato dalle agenzie di stampa ufficiali ma quelle giustificazioni puzzano come quelle del libretto quando si andava a scuola. Si sa di certo che il ministro Urso ha litigato furiosamente per un annuncio troppo frettoloso sull’accordo con i benzinai. Si può facilmente intendere anche che l’addio di Sallusti arrivi proprio in concomitanza con l’annunciata punizione della preside fiorentina che aveva scritto una lettera in cui denunciava il pestaggio squadrista e che il ministro Valditara ha fieramente sventolato alle agenzia di stampa.

A questo si aggiunge “l’affare Sechi” che agita le acque in Fratelli d’Italia. Il giornalista direttore dell’Agi due giorni fa ha trascorso ben due ore nell’ufficio di Giorgia Meloni che lo avrebbe voluto come portavoce ma a Palazzo Chigi raccontano di una Meloni furiosa perché in Fratelli d’Italia non sono d’accordo. Lo stesso nervosismo che ha colto Salvini quando ha saputo che Sechi starebbe anche curato la sua “successione” alla direzione dell’agenzia di stampa dell’Eni.

Mario Sechi ieri è stato nominato capo ufficio stampa di Palazzo Chigi

Alla fine Mario Sechi (nella foto) ieri è stato nominato capo dell’ufficio stampa. Ci sarebbe poi da sistemare anche Giovanna Ianniello, indicata sul sito istituzionale come coordinatrice della comunicazione istituzionale. L’idea sarebbe di spostarla alla comunicazione del nuovo presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ma anche qui le cose si complicano visto che il neo presidente vorrebbe tenere con sé i suoi giornalisti fidati con cui ha lavorato per anni alla Croce Rossa.

Intorno si sussegue una ridda di nomi che passa da Daniele Capezzone (che avrebbe rifiutato più volte) e due nomi, di Libero e Corriere. Una cosa è certa: fino a qui la comunicazione politica è stata talmente disastrosa che si fatica a trovare qualcuno disposto a intestarsela nonostante il prestigio del ruolo. E questo, a pensarci bene, è anche un dato politico.

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Si potevano salvare?

Il punto sta tutto qui. Si potevano salvare le persone morte nella strage al largo di Crotone? Nello Trocchia per Domani mette in fila i fatti: alle 22:30 di sabato scorso l’agenzia europea, Frontex, segnala la presenza in mare di un’imbarcazione, la stessa che si schianterà provocando la morte di oltre 60 persone, tra queste almeno quindici bambini. Già alle cinque di mattina di sabato era stato diffuso un avviso generico sulla situazione di imbarcazioni nel mar Ionio. «Nella serata di ieri un velivolo Frontex in attività di pattugliamento ha avvistato un’imbarcazione che presumibilmente poteva essere coinvolta nel traffico di migranti, a circa 40 miglia dalle coste crotonesi», si legge in una comunicazione della Guardia di finanza che ricostruisce quei momenti. La vicenda viene rubricata come operazione di polizia di frontiera «coinvolta nel traffico di migranti» e non come salvataggio in mare. Questo è un punto decisivo. La Guardia costiera riceve la comunicazione, ma non si attiva. Lo fa, invece, la Guardia di finanza che spedisce in mare una vedetta e un pattugliatore, ma entrambe rientrano perché «avrebbero messo a repentaglio l’incolumità dell’equipaggio e anche dei migranti da salvare, non erano adatte viste le condizioni del mare a intervenire», ha raccontato a Domani una fonte investigativa.

Così viene avvertita la capitaneria di porto e sollecitata a un intervento anche congiunto, un intervento che non avverrà mai. Alle 5:40 un pescatore, Antonio Grazioso, ha raccontato al tg regionale della Rai, di aver ricevuto una telefonata dalla Guardia costiera di Crotone per segnalare una barca in avaria, ma era già tardi. C’è un ulteriore dettaglio che manca nella ricostruzione fornita dalla Guardia costiera: nessun cenno alla impossibilità delle sue motovedette di uscire con il mare in quelle condizioni. Ma come: non è stata questa la prima versione fornita dal governo? Tutto si riduce quindi alla (errata) interpretazione della comunicazione di Frontex: un solo uomo “visibile” e un natante che viaggia regolarmente.

Salvini fa il matto e annuncia querela. Beato lui che può permettersi di pensare alla querela a differenza dello squarcio che provoca il dubbio di una strage che poteva essere evitata. Il ministro Piantedosi ieri (incalzato molto bene, finalmente, da una segretaria del Pd) dice «se c’è stata un debolezza del ministero mi assumerò e mi assumo tutte le mie responsabilità». Beato lui che chiama “debolezze” le eventuali responsabilità di una strage.

Il punto è che per il bene della nostra democrazia e della credibilità della nostra Repubblica le responsabilità vanno accertate e va chiarito, fin da subito, che si tratta di responsabilità penali, solo dopo politiche. Quel “si potevano salvare?” rimbomba nella testa di chi conserva giustizia e umanità e dovrebbe rimbombare nella testa dei ministri competenti e dei loro cacicchi finché non si accerterà per bene la verità. Perché un conto è fare schifo politicamente, un conto è intralciare il salvataggio nel Mediterraneo, un altro conto è non salvare qualcuno che si doveva salvare.

Buon giovedì.

Nella foto: il ministro dell’Interno Piantedosi, frame del video dell’audizione alla Commissione Affari costituzionali della Camera, 1 marzo 2023

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Schlein al bivio sulle armi a Kiev

Il primo atto politico di Elly Schlein da segretaria del Partito democratico il duro atto d’accusa contro il ministro dell’Interno Piantedosi dopo l’audizione in commissione Affari Costituzionali della Camera. Schlein ha puntato il dito contro le parole del ministro “disumane e totalmente inaccettabili e non adeguate al ruolo” dopo quella che ha chiamato “strage di Crotone”, chiedendogli “chi è lei per stabilire che cosa giustifichi o meno la disperazione se la scelta è molto spesso tra il rischio di morte per tortura o il rischio in mare”.

La corrente di Guerini avverte la neo-segretaria Schlein. Il sostegno all’Ucraina è la linea rossa da non attraversare

Abbiamo chiesto chiarezza sulle responsabilità. – dice la segretaria del Pd – Abbiamo chiesto in particolare, a seguito delle dichiarazioni del comandante Aloi, perché non è stato fatto un intervento da parte della Guardia Costiera italiana con mezzi adeguati se c’era possibilità di intervenire per tempo” visto che c’era già stata “la notizia di Frontex che parlava di rilevazione di calore umano”.

La neosegretaria del Pd ricorda anche “i due tentativi non andati in porto da parte della Guardia di Finanza di raggiungere l’imbarcazione. Perché a quel punto non è stata attivata la Guardia Costiera Su questo non abbiamo ricevuto risposte”. Nel partito c’è chi applaude la nettezza della segretaria, con “parole finalmente forti che non abbiamo mai pronunciato fin qui”, ma il bivio su cui qualcuno aspetta Schlein al varco è quello sull’invio di armi all’Ucraina.

L’ha detto senza troppi nascondimenti il deputato Enrico Borghi (uno dei punti di riferimento di Base riformista) che parla della “questione del sostegno alla resistenza ucraina” come una “linea rossa per garantire la vera identità di un partito di sinistra di governo in un paese occidentale”. Borghi assicura di “non voler creare problemi alla segretaria” ma è chiaro che l’appoggio a Zelensky è la leva per creare le prime crepe tra Schlein e una parte del suo elettorato (culturalmente “pacifista”) e per accusare il Pd di schiacciarsi sulla linea del Movimento 5 Stelle.

Schlein e i suoi per ora non cadono nella trappola ma sono consapevoli che l’opposizione interna si è già messa al lavoro. A questo si aggiunge un malumore diffuso per “il rischio di sardinizzazione del Pd” (come ci dice una deputata delusa dalla sconfitta di Bonaccini) alla luce dei ventilati ingressi di Mattia Santori e Jasmine Cristallo nel gruppo dirigente. L’ex sardina Santori tra le altre cose è accusato di mancanza di delicatezza contro Beppe Fioroni.

L’ex esponente del PD, che ha annunciato il proprio addio dopo la vittoria di Schlein, dice di essere stato “sfrattato”. “Se ne va Fioroni e ne arriveranno altri cento”, ha risposto Santori. Lo incalza la sua ex compagna nelle Sardine Cristallo: “Bisogna avere rispetto per chi ha una certa storia, – dice in quel partito c’è rimasto. Io ho fatto la tessera di recente, non mi sento di dire che qualcuno, di non rispettare chi già c’era”.

Sabato Conte e la Schlein parteciperanno insieme alla manifestazione a difesa della scuola e della Costituzione che si terrà a Firenze

Sul fronte delle alleanze si potrà misurare la nuova temperatura tra Pd e M5S sabato, quando Giuseppe Conte e Elly Schlein parteciperanno insieme alla manifestazione a difesa della scuola e della Costituzione che si terrà a Firenze. “Vedremo alla prova dei fatti: su salario minimo, transizione ecologica, giustizia sociale, e anche sull’invio delle armi all’Ucraina, vedremo se Elly Schlein sarà più vicina a noi o al Pd di Letta”, dice la capogruppo del M5S in Senato Barbara Floridia.

Qualcuno (sia nel Pd che nel Movimento 5 Stelle) pensa che la sovrapposizione di temi potrebbe essere un problema nei consensi. Chissà che ci si renda conto che il ragionamento è politicista e ha poco a che vedere con la politica, quella maiuscola.

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Elly Schlein di traverso, a Renzi non resta che Calenda

Ci ha messo un po’ ma alla fine è arrivato anche Matteo Renzi nel campo largo di quelli che immaginano la fine del mondo e l’invasione delle cavallette per l’elezione nel Pd di Elly Schlein come segretaria.

Tramontato il sogno di rientrare nel Pd, l’ex premier Renzi vaneggia di un fantomatico centro oltre il 10% alle prossime Europee

Poco male, verrebbe da dire, visto che lo strepitare di terzopolisti e della destra (curiosamente quasi identico nelle modalità, nelle illazioni e nelle corbellerie) non fa che convincere gli elettori di Schlein di avere fatto la cosa giusta, spaccando quella melassa di centro-centro-centro-centrosinistra in cui il centro pur elettoralmente irrilevante puntava all’erosione dei Dem.

“La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd cambia la politica italiana. Voglio farle i complimenti perché vincere le primarie con un milione di partecipanti richiede tenacia e coraggio. E ovviamente complimenti anche a Stefano Bonaccini per la battaglia leale”, scrive Matteo Renzi nella sua newsletter settimanale.

Il leader di Italia Viva aveva previsto la vittoria di Bonaccini

Nessun cenno al fatto che proprio Renzi avesse previsto l’esatto contrario quando a Tagadà con la sicumera del “genio della politica” disse “vincerà Bonaccini, nettamente. Se devo guardare agli interessi del Terzo polo, se vince Schlein da noi viene più gente. Ma ho pieno rispetto per le loro scelte. Bonaccini stravince, è persona seria, ma avrà una bella faticaccia, dovrà recuperare molto consenso”.

Del resto una delle caratteristiche dell’esser geni nel polo della competenza è quella di avere memoria breve e di confidare nella memoria breve dei loro elettori. Secondo Renzi il Pd con Schlein “diventa un partito di sinistra-sinistra che compete direttamente con il Movimento Cinque Stelle e assorbe i partitini di sinistra radicale”.

Anche questo è comprensibile: da quelle parti lavorare per ridurre le disuguaglianze è un ostacolo al prodotto interno lordo. L’ossessione del Terzo polo ora è affibbiare il prima possibile l’etichetta di “populisti” al Pd di Schlein in accoppiata con il M5S di Giuseppe Conte per potersi distinguere. È dura la vita di chi ha bisogna di insozzare gli avversari per costruirsi un’identità ma quel lavoro sporco qualcuno è sempre disposto a compierlo.

Renzi si definisce “entusiasta” per quello che sta accadendo: “Vengono giù – all’improvviso, tutti insieme – gli alibi di chi ancora pensava di poter coltivare il riformismo dentro il Pd”. Anche in questo caso bisognerebbe prendersi il tempo di studiare quando sia successo in Italia che il termine “riformismo” sia stato scippato da liberali conservatori che dialogano più facilmente con Berlusconi e Meloni rispetto al centrosinistra.

Renzi promette di non aprire nessuna “campagna acquisti”

Ma lasciamoglielo pure: Renzi promette di non aprire nessuna “campagna acquisti”, non avendo evidentemente trovato il tempo di leggere la newsletter del suo collega Calenda che invece punta tutto sui nuovi ingressi dei “delusi”. Anzi il senatore di Rigano si proietta già alle prossime elezioni europee immaginandosi a “più del 10%”. “Abbiamo l’occasione per fare delle Europee 2024 una svolta strepitosa”, scrive Renzi. L’ennesima svolta annunciata.

“Lo spazio politico del nuovo Pd è sulla frontiera dei Cinque Stelle”

E infine, promette lo stop ai “litigi quotidiani con il Pd” perché “lo spazio politico del nuovo Pd è sulla frontiera dei Cinque Stelle”. “Nelle prossime settimane andremo avanti con decisione insieme ad Azione sulla strada del partito unico”, annuncia Renzi. E anche su questo le letture della realtà che arrivano dai suoi sono piuttosto differenti.

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Lollobrigida batte tutti nella gara delle giravolte

Altro che retromarcia. è un doppio salto carpiato quello che fa il ministro dell’Interno. “Fermatevi, verremo noi a prendervi. Questo è il senso dei corridoi umanitari”, dice Matteo Piantedosi, in audizione alla commissione Affari costituzionali sulle linee programmatiche del dicastero, facendo una precisazione sulle sue affermazioni finite al centro della bufera politica dopo il naufragio di Cutro.

Commentando la tragedia, Piantedosi aveva detto che “la disperazione non giustifica viaggi a rischio”. “Realizzare Centri di permanenza per i rimpatri – dice ora – è molto dispendioso, ma lo riteniamo nel programma. Il discorso delle espulsioni è la chiusura del cerchio per flussi migratori irregolari. In questo senso non solo abbiamo in animo la logistica di supporto, ma anche contatti con Paesi all’origine di questi flussi”. E in confusione sono anche i suoi colleghi.

Il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ha precisato che quella cifra si riferisce all’alto numero delle domande pervenute

Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, prima dichiara di essere al lavoro come governo “per fa entrare legalmente quasi 500.000 immigrati legali”, poi però precisa che quella cifra si riferisce all’alto numero delle domande pervenute. Piantedosi per ora non risponde nemmeno ai dubbi sul ritardo dei soccorsi dopo la segnalazione di Frontex e sui mezzi che non avrebbero potuto salvare le vite ai migranti perché la Guardia di Finanza non avrebbe mezzi “in grado di intervenire con quelle condizioni meteo”.

L’ex dirigente medico della polizia di Stato, Orlando Amodeo, racconta che nel dicembre 2013, con mare forza 8, 40 miglia al largo di Crotone, le motovedette della Guardia Costiera salvarono 142 persone. Perché ora non è accaduto? In giornata Piantedosi spiega che il senso delle sue parole (“la disperazione non giustifica viaggi a rischio”) sia stato frainteso (tanto per cambiare): “Fermatevi, verremo noi a prendervi. Questo è il senso dei corridoi umanitari”, ha detto ieri in audizione alla Commissione Affari costituzionali.

Ma M5S, Pd e Alleanza Verdi-Sinistra insistono perché il ministro riferisca in Aula. “La questione per noi è: cosa è accaduto e cosa ha fatto il governo tra le ore 22.30 e le ore 4.10? Questo vorremmo sapere, perché leggere e ascoltare spiegazioni che in qualche modo attribuiscono la responsabilità alle stesse vittime lascia senza parole”, accusa il senatore Andrea Giorgis, capogruppo del PPd in Commissione Affari costituzionali.

Secondo Marco Grimaldi, vicepresidente del gruppo Alleanza Verdi Sinistra alla Camera, ”potevano essere salvati e si poteva evitare la tragedia. È questo il pesante sospetto che pesa sulla amministrazione del Viminale dopo il naufragio sulla spiaggia di Cutro”.

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La rotta turca non nasce a caso

Da noi accade così: solo quando i corpi vengono vomitati sulle nostre spiagge e insozzano i tappeti delle cronache locali si decide di aprire le cartine e capire cosa accade qualche metro più in là del nostro palmo di naso. La “rotta turca”, o rotta jonica, di cui tutti ora parlano è la rotta che cresce di più. Le rotte che disegnano la speranza di chi si modificano in base alle leggi e al clima geopolitico. La politica si illude di chiuderle e invece quelli trovano (e troveranno sempre) un’altra strada perché la voglia di sopravvivere è come un’infiltrazione, non si ferma se non si risolvono la fame, la siccità e il piombo.

La “rotta turca”, di cui tutti ora parlano, è la rotta che cresce di più. Ecco come Erdogan usa i migranti come arma di pressione politica

La chiusura della rotta orientale, desertificata dall’inferno della Bosnia Erzegovina e dai calci e manganelli della polizia croata, ha spinto i migranti a cercare l’Italia dalla costa calabrese imbarcandosi dalla costa turca. Quando nel febbraio del 2020 il presidente turco Erdogan ha usato i migranti come arma di pressione politica contro l’Europa, spingendoli a pressare sui confini della Grecia, è cambiato tutto.

L’accordo tra Turchia e Unione europea per la gestione dei flussi migratori del 2016 (l’ennesimo appalto delle frontiere in cambio di soldi mentre Bruxelles chiudeva gli occhi di fronte una catastrofe umanitaria) ha ridisegnato la rotta, dopo gli otto miliardi di euro europei entrati nelle tasche del sultano. Il viaggio dalle coste turche alla Calabria costa quasi 10mila dollari per gli adulti 4,500 dollari per i bambini.

Viaggi di “prima classe”, li chiamano una certa narrazione che fa riferimento all’utilizzo spesso di barche a vela. Le testimonianze dicono tutt’altro: la mancanza di cibo, di aria, la disidratazione rendono il mare un’odissea consumante. Alcune persone raccontano di essersi nutriti per giorni solo con acqua di mare mescolata con zucchero.

Afghani, iracheni e curdi sono coloro che utilizzano di più la rotta. Gli scafisti sono spesso croati che si danno alla fuga con moto d’acqua prima di attraccare. Ovviamente non manca la ‘Ndrangheta che concede le coste. L’attività rende: i contrabbandieri possono guadagnare circa 500mila euro (per viaggio su una barca rubata che costa circa 100.000 euro). I numeri sono quelli, per ora, che ha fornito l’Unhcr: il numero complessivo di arrivi via mare in Italia nel 2021 è salito fino a 59mila persone, rispetto ai 32mila dell’anno precedente.

La rotta calabrese ha registrato 9.687 arrivi rispetto ai 2.507 dell’intero 2020

In particolare, la rotta calabrese ha registrato 9.687 arrivi rispetto ai 2.507 dell’intero 2020. Con un numero importante di nuclei familiari rispetto ai viaggiatori singoli. Si arriva preferibilmente in Calabria ma anche i porti di Bari e Ancona (con rare partenze dall’Albania) sono stati interessati dagli arrivi. Di recente dalle barche a vela si è passati a barchini malconci del tutto simili a quelli usati sulla rotta libica oppure vecchi pescherecci talmente stracarichi che sembrano affondare da un momento all’altro. E infatti affondano.

La strage di Cutro è solo un lancinante tassello di una puzzle più ampio. L’accoglienza “L’accoglienza dei migranti dipende solo dallo straordinario impegno dei nostri sindaci”, ha spiegato il presidente della Regione Calabria. A terra c’è solo il Cara di Isola di Capo Rizzuto sempre strapieno con gli arrivi a Lampedusa e una tecnostruttura sul molo di Roccella Jonica allestita dalla Croce Rossa. E, ogni tanto, a terra inevitabilmente arrivano anche i corpi.

 

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