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Dai diritti alla partita delle alleanze. Ecco la posta in gioco alle primarie Pd. Domani l’atto finale della sfida tra Bonaccini e Schlein. Se vince il governatore il partito torna ai tempi di Renzi

Ci siamo. Domani sapremo chi sarà il prossimo segretario del Partito Democratico tra il presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini e la deputata (ex vice di Bonaccini) Elly Schlein. Secondo i dati ufficiali pubblicati dal Partito democratico la prima fase congressuale) in cui potevano votare solo gli iscritti al partito) Bonaccini ha preso il 52,9 per cento delle preferenze e Schlein il 34,9 per cento, mentre Gianni Cuperlo e Paola De Micheli si sono fermati rispettivamente all’8 e al 4,2 per cento. Come da regolamento quindi Bonaccini e Schlein si sfidano ora in un voto aperto a tutti i simpatizzanti.

Sfida finale

Il voto è aperto a tutti gli elettori, non solo a quelli del Partito democratico o agli iscritti al partito. Chi vota dovrà comunque dichiarare di “riconoscersi nella proposta politica del Partito democratico e di sostenerlo alle elezioni” e dovrà accettare di essere registrato nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori, come stabilito dallo statuto (art.4, comma 3) del partito. Chi è iscritto a questo albo ha tra le altre cose il diritto di partecipare alle attività del partito e il dovere di sostenere “lealmente” i suoi candidati.

Stefano Bonaccini gode del sostegno, tra gli altri, del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, di quello di Firenze Dario Nardella, dell’ex segretario del partito Matteo Orfini, degli ex ministri Graziano Delrio, Lorenzo Guerini e Piero Fassino, e del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. È considerato il candidato più “moderato” e più disponibile ad aperture con il cosiddetto Terzo polo di Renzi e Calenda. Bonaccini ha iniziato la sua carriera politica nel PCI, ricoprendo la prima carica pubblica a 22 anni come assessore alle politiche giovanili nel Comune di Campogalliano.

È stato assessore ai Lavori pubblici per il Comune di Modena ed è stato segretario regionale del Pd in Emilia Romagna. Elly Schlein si è fatta notare come anima del movimento OccupyPD nato per protesta contro la mancata elezione di Romano Prodi presidente della Repubblica nel 2013. Ha sostenuto Pippo Civati nel 2013, al congresso del partito vinto da Matteo Renzi.

È stata europarlamentare rivestendo un ruolo importante nella revisione del regolamento di Dublino (in tema di diritto di asilo). Si è candidata con una sua lista (Emilia-Romagna Coraggiosa”) alle elezioni regionali in cui Bonaccini è stato confermato presidente in Emilia Romagna, venendo nominata vicepresidente. Alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 è stata eletta alla Camera come indipendente nella lista del Partito democratico, lasciando i suoi incarichi nella giunta e nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna.

Dopo quasi tre mesi, il 13 dicembre, Schlein si è iscritta di nuovo al Pd. Schlein ha ricevuto il sostegno, tra gli altri, del vicesegretario del partito Peppe Provenzano, dell’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando, dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, del deputato Alessandro Zan, e di Bersani, già segretario del Pd, oggi in Articolo 1 oltre a alcuni esponenti dell’area centrista del Pd, come l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini.

Si vota domenica dalle 8 alle 20, su tutto il territorio nazionale. Possono votare online alcune categorie, impossibilitate a presentarsi al gazebo. Dal 2007 a oggi il Partito democratico ha avuto in totale nove segretari, quattro dei quali sono stati eletti con le primarie. I risultati degli ultimi 16 anni hanno mostrato un calo dell’affluenza sia nella fase del voto degli iscritti sia in quella aperta a tutti gli elettori del partito.

Hilliqui deni blacium, odis conseriorro molupti osanditatia voles desequo mod magnamus molum earitec torpor aliquibeate delescia quiatatiam dis rem. Uci conet ent, cus.

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Il Carroccio va a tutto gas. Petizione contro le auto Green. La Lega è al Governo e può alzare la voce con l’Ue ma fa propaganda con un’inutile raccolta firme

Lo annunciano tutti entusiasti. “Nonostante il freddo anche in questo fine settimana la Lega torna in piazza: sabato 25 e domenica 26 saremo nelle piazze lombarde con oltre 500 tra banchetti e gazebo, in primis per ringraziare i cittadini lombardi per il loro voto alle elezioni regionali, per l’ottimo risultato del nostro movimento e della nostra coalizione di centrodestra.

Ma soprattutto saremo in piazza per raccogliere le firme contro il provvedimento, votato dal Parlamento europeo, per cui dal 2035 sara’ vietata la vendita in tutta l’Unione Europea di auto con motori a combustione, con una grave ripercussione economica e occupazionale per l’Italia. Per questo vogliamo far sentire la voce dei nostri cittadini. Infine in questa ‘gazebata’ lanceremo anche la campagna di tesseramento 2023: i cittadini potranno sottoscrivere al banchetto la loro tessera per il 2023, ma potranno farlo anche online all’indirizzo https://tesseramento.legaonline.it e la riceveranno poi a casa. Ci prepariamo ad un’altra grande mobilitazione elettorale sul territorio lombardo”.

Lo dichiara il deputato Fabrizio Cecchetti, coordinatore della Lega Lombarda per Salvini Premier. La Lega di Salvini senza più “la bestia” di Luca Morisi per farsi notare ha bisogno di inventarsi bestialità. L’ultima è la raccolta firme per protestare contro l’Unione Europa. Del resto contro la norma Matteo Salvini spara più o meno tutti i giorni.

Ultima bestialità

In un’intervista a Quattroruote Salvini ha spiegato: “Chiunque capisce come la deadline del 2035, così com’è stata definita, non funziona e non è inevitabile resti tale, essendo comunque prevista una revisione nel 2026. Entro metà marzo è previsto un passaggio al Consiglio Europeo, nel quale esprimeremo la nostra opinione, quello dell’auto è un settore più sensibile, ma se potremo contare sulle alleanze che ho riscontrato negli incontri con altri ministri potremo dare vita a una massa critica e ragionare quanto meno sui tempi e modi della transizione”.

Poi, ovviamente, ci sono gli attacchi al sindaco Beppe Sala per il limite dei 30 chilometri all’ora in alcuni punti delle città (norma già in vigore in molte capitali europee, ma questo Salvini evidentemente non lo sa o finge di non saperlo). E infine con la sua solita propaganda spiega che “chi vuole andare in bici dev’essere libero di farlo dove vuole, ma la macchina è uno strumento fondamentale di lavoro che, come tale, va trattato”. In questa sua battaglia la Lega trova come alleato, manco a dirlo, la Regione Piemonte che con il comparto delle auto a motore termico ha molto a che fare.

Come riporta Torinotoday, la regione Piemonte pianifica un’alleanza con le atre 11 regioni che industrialmente hanno poli legati al mondo automotive. L’obiettivo è arrivare entro il 2026 a presentare con dei dati una proposta di ammorbidimento del ban, già approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo. “Non ci aspettiamo cambiamenti epocali su quello che è stato stabilito ma dobbiamo lavorare perché questo 2035 è oggettivamente per il sud dell’Europa una scadenza troppo ravvicinata rispetto alla filiera che abbiamo. Rischia di mettere in crisi tutti”, ha dichiarato Andrea Tronzano, assessore regionale del Piemonte.

La regione Piemonte avrebbe realizzato uno studio attraverso l’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali da sottoporre all’attenzione delle altre 11 regioni alleate che hanno un settore industriale minacciato dal ban 2035. Dopodiché, il documento sottoscritto dal sodalizio regionale sarà portato all’attenzione del ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso che dovrà andare in Europa a negoziare una limatura del ban. Lo scopo è quello di perseguire la neutralità tecnologica, anche attraverso il riconoscimento della validità dei biocarburanti, come il diesel 100% prodotto da materie prime rinnovabili.

Ma la vera domanda è un’altra: perché raccoglie le firme la Lega Che senso ha raccogliere firme mentre si è al governo con tanto di leader seduto nel suo posto da ministro? Perché Matteo Salvini al posto di scomodare i suoi militanti al freddo non impugna il suo telefono e non chiama la sua alleata Giorgia Meloni chiedendole di usare il suo ruolo nelle sedi europee. Più semplicemente: perché la Lega e Salvini non fanno politica e continuano a giocare con la propaganda

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Un ministro alla deriva sui migranti. Piantedosi copre i suoi flop con una barca di bugie

Il ministro dell’Inferno Matteo Piantedosi ha imparato il compitino. Ciò che conta è simulare il pugno di ferro, non conta che i numeri dicano tutt’altro. Così si fa comodamente intervistare da Il Giornale e dice: “Così abbiamo evitato il triplo degli sbarchi”. È un ottimo titolo, non c’è che dire, anche se un giornalista qualunque gli avrebbe chiesto come possa tenere la contabilità della disperazione.

Spiega Piantedosi: “Anche grazie alla nostra cooperazione, seppur in un quadro di arrivi numerosi, le autorità tunisine e libiche, dal 1° novembre ad oggi, hanno scongiurato l’arrivo, rispettivamente, di quasi 13mila e di oltre 9mila migranti. Si tratta di un risultato importante perché sono numeri che si sarebbero aggiunti a quello delle persone che sono riuscite a sfuggire ai controlli arrivando sulle nostre coste”.

Cosa significhi “scongiurare” sarebbe interessante da sapere ma il giornalista – che sbadato – si è dimenticato di domandarlo al ministro. Proviamo quindi a spiegarlo noi. Quando Piantedosi parla di “autorità libiche” si riferisce agli schiavisti che violentano poveri innocenti all’interno degli illegali centri di detenzione che tutte le organizzazioni internazionali (Onu compresa) hanno denunciato come crimine contro l’umanità.

La strategia di Piantedosi

Lo “scongiurare” gli arrivi significa evidentemente che gli schiavisti hanno eseguito gli ordini che arrivano dall’Italia e dall’Europa e non hanno aperto le catene. Come questo possa essere una vittoria è difficile da capire. Di certo è un atteggiamento istituzionale di cui la storia chiederà il conto. Oppure Piantedosi fa riferimento alla solerte attività della cosiddetta Guardia costiera libica che grazie alle imbarcazioni gentilmente donate dall’Italia e grazie all’addestramento che le abbiamo gentilmente offerto ha imparato molto bene a accalappiare coloro che riescono a fuggire dalle violenze libiche su terra e he per farlo sono costretti a pagare gli schiavisti via mare, ovvero gli scafisti.

Ci sarebbe anche da dire che scafisti e membri della cosiddetta Guardia costiera libica coincidono, svestono una divisa per indossare l’altra. Ma questo è solo uno dei tanti particolare che rende ancora più schifosa questa storia dell’orrore. Con la Tunisia invece il ministro fa riferimento agli accordi ambiti siglati tra i due Paesi. Il “nuovo Al Sisi” della Tunisia, il presidente Kaïs Saïed, ha stretto il cappio al collo della democrazia e in due anni di presidenza, dal 25 luglio 2021 con pieni poteri, ha distrutto l’assetto democratico del Paese per introdurlo nella selva oscura del dispotismo.

Saïed ha imparato bene che per essere simpatico all’Italia basta che si dichiari disponibile a chiudere i rubinetti dei fuggitivi, usando per l’ennesima volta la povertà delle persone e i migranti come merce di trattativa politica. Con l’accordo tra i due Paesi ragazzi e ragazze che hanno lottato contro l’involuzione democratica e la crisi, che hanno rischiato la libertà anche in nome della democrazia, se riescono a sopravvivere alla traversata, sono rispediti indietro come pacchi proprio dalla nostra sedicente democrazia che dovrebbe tutelare le iniquità ed ingiustizie. Che bel capolavoro, Piantedosi.

Solo che la realtà sta tutta nei numeri e i numeri smontano la retorica del “governo che chiude i porti”. Come fa notare Matteo Villa dell’Ispi da inizio Governo Meloni, gli sbarchi di migranti in Italia hanno superato quota 40mila. Erano stati poco più di 20mila nello stesso periodo dell’anno scorso (+94%). Meno dell’8% degli sbarcati è arrivato con Ong, contro il 16% dell’anno scorso. Le tanto odiate Ong quindi hanno un ruolo marginale e gli sbarchi di gente che scappa dalla fame e dal piombo se ne fottono della retorica del potente di turno.

Dirottamenti di Stato

Anche per questo risulta incredibile che l’azione del ministro e di tutta la sua ciurma si concentri invece sulla logistica dell’orrore, giocando a suon di decreti a mettere in difficoltà le Ong. L’ultimo patetico dirottamente del ministro è ai danni della nave “Aita Mari” della ong spagnola Salvamento Maritimo Humanitario, con 38 migranti a bordo. L’imbarcazione arriverà nel pomeriggio di venerdì 24 febbraio.

Una destinazione lontanissima che allunga di almeno quattro giorni l’agonia di 11 donne, 7 uomini, 18 minori, due neonati, per un totale di 38 persone. E mentre la città si prepara a accoglierli (mettendo in moto meccanismi praticamente sconosciuti) qualcuno fa notare che il sindaco di Ortona, Leo Castiglione è di centrosinistra. Sempre a proposito di coincidenze.

Ma la realtà a questo governo interessa poco, come poco interessano anche le vite delle persone. Ciò che conta è lasciare intendere che il vento sia cambiato nonostante gli sbarchi aumentino e le persone muoiano. E per farlo sono pronti (come lo sono stati beninteso anche quegli altri prima di loro) a stringere patti indicibili con chiunque. Gli autocrati che hanno a disposizione i cappi, i muri e le armi per respingere i bisognosi sono riabilitati e diventano amici.

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Qualcuno bocci il ministro Valditara

Nella continua discesa verso il dirupo si segnala lo sprint del ministro all’Istruzione (e al Merito eh) Valditara che ha vinto la gara di chi si distingue per inadeguatezza. Dopo lo squadrismo ai danni degli studenti del liceo Michelangiolo di Firenze Valditara, come la sua capa Meloni, ha inforcato la vile strada del silenzio, ben attento a non urtare le nostalgie dei suoi sostenitori.

Dopo il silenzio è riuscito addirittura a fare peggio. Dall’alto della sua posizione ha deciso di attaccare frontalmente la preside Annalisa Savino di un altro liceo fiorentino, il Leonardo Da Vinci, che, come è noto, aveva scritto una lettera ai suoi studenti per invitarli a riflettere su come il fascismo nacque «con la vittima di un pestaggio lasciata a se stessa dagli indifferenti». Quelle parole hanno ridato la parola al ministro che ha definito la lettera «del tutto impropria» e si è definito «dispiaciuto» per averla «dovuta leggere» e perché è «stata letta agli studenti». Il pensiero della dirigente scolastica «non rappresenta la realtà dei fatti», sostiene il ministro che annuncia che non interverrà nei confronti di Savino ma evoca il ‘bavaglio’ contro la «politicizzazione» negli istituti scolastici. «Sono lettere ridicole – ha continuato nel suo attacco – vanno prese per quello che sono, un atto di propaganda».

Ospite di Mattino Cinque Valditara ha detto: «Difendere le frontiere e ricordare il proprio passato o l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo o, peggio, con il nazismo – aveva proseguito –. Quindi inviterei la preside a riflettere più attentamente sulla storia e sul presente». E ha anche aggiunto: «Non compete a una preside nelle sue funzioni di lanciare messaggi di questo tipo». Poi ovviamente è passato alla minaccia: «Se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure».

«Un atteggiamento grave che lede la libertà di insegnamento», dice la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi. «Il ministro cosa non condivide della lettera – prosegue – La verità è che avrebbe dovuto essere Valditara a pronunciare quelle parole e a condannare le violenze contro gli studenti di Firenze. Che non lo abbia fatto dice molto. Tutto». L’ex segretario dem Nicola Zingaretti, ora deputato, parla di una «vergogna» che «richiede unità per difendere i valori della Repubblica». Per Dario Nardella, sindaco di Firenze, le parole di Valditara sono «gravissime, offensive, inaudite» e il ministro è «indegno» di «rivestire il ruolo di ministro». Il governo, ha ricordato, «non ha trovato il tempo neanche per una minima condanna dell’aggressione dei membri di Azione Studentesca ai due studenti minorenni del Liceo Michelangelo ma non ha perso un attimo per intimidire una dirigente scolastica». «L’Italia – ha concluso Nardella – non ha bisogno di un ministro censore d’altri tempi. Si scusi o si dimetta».

Il ministro dell’Istruzione «anziché condannare con fermezza» l’aggressione «squadrista e fascista» di Azione Studentesca e «anziché esprimere solidarietà nei confronti degli studenti aggrediti, se la prende con la preside» per «la lettera inviata agli studenti e alle loro famiglie», attaccano gli esponenti M5s in commissione Istruzione parlando di un «atteggiamento contro la preside» che «è esso stesso un riflesso di atteggiamenti squadristi». Si tratta per il M5s della «prova che un simile personaggio non può rivestire il ruolo di ministro dell’istruzione e che prima torna a casa meglio sarà per studenti, insegnanti e per tutti coloro che hanno a cuore la scuola pubblica nel nostro Paese». Duro anche il commento di Nicola Fratoianni, di Alleanza Verdi Sinistra: «Il ministro non sa che farsene della lettera della dirigente scolastica del liceo Leonardo di Firenze? Di un liquidatore della scuola pubblica come lui il nostro Paese e il mondo della scuola non sanno che farsene».

Valditara, studi, si applichi di più.

Buon venerdì.

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La Meloni ce l’ha fatta, affondata la prima nave. Non sono servite le cannonate. A distruggerla sono bastati i vandali

Ce l’hanno fatta, hanno affondato una nave di una Ong come Giorgia Meloni auspicava quando era solo una ruspante aspirante alla presidenza del Consiglio. L’imbarcazione era stata sequestrata nell’agosto del 2017 e da allora lasciata dalle autorità al porto di Trapani. La Iuventa prima del fermo aveva salvato più di 14mila persone in pericolo nel Mediterraneo Centrale.

Bel capolavoro di Meloni

“Dopo quasi 5 anni in custodia forzata presso la Capitaneria di Porto di Trapani, la Iuventa giace abbandonata, saccheggiata e in gran parte distrutta. Al momento rischia di affondare, rappresentando una vera e propria minaccia per l’ambiente”, dichiara l’equipaggio che lo scorso 13 febbraio ha presentato una denuncia alla Procura di Trapani per sollecitare un’indagine in merito all’abbandono e al deterioramento della nave di soccorso Iuventa.

“La Capitaneria di Porto di Trapani – ribadisce Iuventa – è responsabile della custodia della nave e in quanto tale avrebbe dovuto provvedere a una sorveglianza adeguata. Tuttavia, la nave è stata lasciata totalmente incustodita, in particolare dopo il suo trasferimento al di fuori di un’area sicura del porto nella primavera del 2021. Le autorità erano a conoscenza di una serie di eventi in cui alcuni individui si sono introdotti a bordo dell’imbarcazione, commettendo furti e danni, mentre altri hanno addirittura vissuto all’interno della nave. I vandalismi e il deterioramento delle condizioni della nave sono stati denunciati più volte nel corso degli anni. Ciononostante, non sono state prese misure adeguate”.

L’omessa custodia è un reato, come spiega l’avvocato Nicola Canestrini. Sascha Girke, uno degli imputati nel processo contro Iuventa, ha ricordato che mentre la nave marciva in custodia della Stato Italiano nel Mediterraneo sono morte almeno mille persone e diecimila sono state illegalmente intercettate, tecnicamente “rapite” dalla cosiddetta Guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione.

Ce l’hanno fatta. Hanno affondato una nave delle tanto odiate Ong senza nemmeno inventarsi una legge, un decreto e senza fare troppo rumore. Il relitto della Iuventa è il relitto dello Stato di diritto qui in Italia dove ostacolare in tutti i modi il salvataggio di vite umane è una priorità politica esibita con fierezza. Qui dove – e questo è ancora peggio – ostentare disumanità nelle urne funziona.
G.C.

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Bot e Tweet pappagallo Così Bonaccini sovrasta la Schlein. Orlowski, esperto di Social media: “Violazioni durante il dibattito in tv”

Alex Orlowski è considerato uno dei maggiori esperti e analisti di social media e dinamiche politiche. In occasione del dibattito televisivo tra i candidati alla segreteria del Pd, Bonaccini e Schlein, ha segnalato che “l’agenzia digital di #Bonaccini ha deciso di utilizare dei sockpuppets o forse BOT in suo supporto”.

Orlowski, cosa è successo?
“Durante i dibattiti televisivi accade spesso quello che viene chiamato tecnicamente second scree ovvero le persone guardano il dibattito e commentano con il proprio cellulare. Il social d’eccellenza di real time è Twitter perché sei sicuro che nel giro di un secondo tutti possono leggerti. Una serie di account, alcuni di esponenti e simpatizzanti noti del Pd, insieme a account anomali (senza foto profilo e senza follower) hanno commentato con dichiarazioni a favore di Bonaccini. È saltato all’occhio che per mandare in tendenza l’hashtag #bonaccinisegretario ì tweet erano a pappagallo. Tecnicamente vengono chiamati sockpuppets: account che vengono gestiti dalla stessa associazione. Cosa hanno fatto quelli dell’agenzia Piave digital agency di Bologna Mandavano su un account di whatsapp il testo del tweet da copiare e incollare. Tweet identici a pochi secondi. Un’azione coordinata che va contro le norme di Twitter che considera questa manipolazione del consenso”.

Quindi violano le regole?
“Sì. Tutti i social hanno normative sull’amplificazione non organica di hashtag e contenuti. L’aspetto buffo è che lo staff di Bonaccini ha detto di avere mandato solo degli spezzoni del discorso del candidato eppure tutti hanno copiato la stessa frase. Evidentemente ci sono state delle istruzioni precise a un gruppo di persone, evidentemente un gruppo watshapp. Anni fa faceva lo stesso la Casaleggio che utilizzava Telegram e inviava link che automaticamente preparava un testo già scritto da inviare. Non so se questo è il caso, se fosse così sarebbe un’ulteriore violazione”.

Dalla sua esperienza, che fonde politica e social, ritiene che ci sia il rischio che le manipolazioni contino più delle idee?
“Certo. Le idee ultimamente sono abbastanza deboli. I politici dicono cose molto simili e quindi quello che conta è la ripetizione del messaggio e l’affermazione del leader. Una ripetizione del messaggio è molto potente. Goebbels aveva sul comodino una copia del libro Propaganda che affermava proprio questo”.

C’è consapevolezza del fenomeno?
“Ci sono state decine di trasmissioni che ne hanno parlato. Basti pensare alla Bestia di Salvini che era composta da persone software che ha pompato a dismisura Salvini. La tecnica usata dal team di Bonaccini sarà stata condivisa dal candidato, sarà stata approvata. Ed è una tecnica irregolare su Twitter oltre che poco etica. Il Parlamento europeo legifererà proprio su questo.

Quali misure si dovrebbero adottare?
“Il partito dei Verdi tedesco, uno dei più attivi in tutta Europa su queste tematiche, ha proposto lo stop dell’advertising 60 giorni prima delle elezioni. Vedremo se la misura verrà usata anche per le elezioni dei singoli Stati. Poi dovrebbero essere i social stessi a controllare ma con l’avvento a Twitter di Musk sono stati licenziati tutti i componenti del team che si occupava proprio di questo. Moltissimi politici compravano,ingoiai di profili falsi, io personalmente ho dovuto cancellare account cinesi che seguivano qualche politico con cui ho collaborato. Cancellavamo anche 2,3mila account al giorno e ci abbiamo messo una ventina di giorni”.

Quali sono gli atteggiamenti più spregiudicati che ha potuto notare nell’uso dei social della politica italiana
“Ma l’atteggiamento più divertente che ho visto fu quello di Morisi che creò un’applicazione con cui gli si vedeva il controllo del proprio account Twitter. Fecero delle campagne contro Alfano, simile a quella di Bonaccini. Diceva semplicemente “clicca qua” e tu regalavi il tuo account della Lega. Poi esempi di automazione di account falsi, di solito utilizzati per aumentare il numero di like e di retweet per far credere che quel tweet abbia molto consenso”.

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Cuperlo lascia libertà di voto. Nel Pd la sfida resta aperta. Il presidente emiliano: “Se vinco, Elly dia una mano”. Ma la sfidante respinge l’offerta e va all’attacco

Paola De Micheli l’ha annunciato. Voterà per Stefano Bonaccini e chiederà “a chiunque vinca di lavorare alla riforma del partito, al nuovo statuto dei lavori, alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di avere la garanzia di assoluta contrarietà all’autonomia differenziata”. Gianni Cuperlo (l’altro candidato alla segreteria del Pd uscito sconfitto dalla prima fase, quella del voto degli iscritti) invece annuncia di lasciare “libertà di scelta” ai suoi elettori. Lancia però una provocazione: “La prossima volta facciamo che 151.000 iscritti e iscritte al Pd siano sufficienti a eleggere il segretario o la segretaria”, scrive sul suo profilo Facebook, lasciando intendere che ritiene Bonaccini già legittimato dal voto dei militanti.

No, grazie

Gli ultimi giorni del congresso del Partito democratico in vista del voto nei gazebo di domenica prossima, vedono i candidati in campo, Stefano Bonaccini e Elly Schlein, impegnati a parlare “all’esterno” e finalmente si comincia a discutere di temi e a sottolineare le rispettive differenze. Accantonata la cortesia che ha regnato fin qui, ieri Schlein ha denunciato ancora una volta “i signori delle tessere” e ha definito “scellerata la scelta del Pd di liberalizzare i contratti a termine, con i decreti Poletti e poi il Jobs Act”.

“Io ero in piazza con la Cgil. Gli altri non li ho visti. Bisogna limitare i contratti a termine, spazzare via i contratti pirata, fissare il salario minimo. E ragionare sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e sulle nuove tutele del lavoro digitale”, spiega l’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna. Bonaccini prova a smorzare i toni annunciando che nel caso dovesse risultare il prossimo segretario del Pd chiederà una collaborazione stretta alla sua avversaria: “Se diventerò segretario – dice Bonaccini intervistato da Rai Radio1 – chiederò ad Elly di dare una mano, se sarà lei a prevalere senza chiedere niente per me darò una mano, ho sofferto troppo le divisioni nei gruppi dirigenti”.

Ma la reazione di Schlein arriva gelida a stretto giro di posta: “Non ha senso, è finito il tempo del partito patriarcale che vede le donne bene nei ruoli di vice e credo il partito necessiti di una guida femminista che apra il varco a donne e giovani. Io non ho offerto posti e non mi sono stati offerti”. Basta questo scambio per capire che la candidata alla segreteria ha scelto un’altra marcia per questi ultimi giorni di campagna per le primarie. Proprio Schlein del resto è stata spesso accusata di avere fatto pesare troppo poco la sua voce durante la vicepresidenza dell’Emilia Romagna. Nel suo entourage chiariscono che “i modi e le forme della collaborazione all’interno del partito verranno eventualmente decisi quando il risultato sarà definitivo”.

Insomma, non sono questi i giorni dell’armonia. Ora serve uno strappo deciso. Per ora rimangono sospese le parole del sindaco di Milano Beppe Sala che auspica “una sintesi tra i due” come “modo per ripartire”.

Nodo alleanze

Anche sul tema delle alleanze cominciano a dipanarsi le nubi del sottinteso a cui abbiamo assistito fino a qui. “Non voglio tirare per la giacchetta nessuno – spiega Schlein in un’intervista -. Si parte dai temi. Ci sono punti di contatto importanti con il M5S a partire dalla difesa del reddito di cittadinanza e dalla battaglia per il salario minimo” e “ho sentito che si aspetta l’esito del congresso per capire come rapportarsi con noi. Vengo da un percorso che ha lavorato in alcune realtà come Bologna e Napoli, dove sono state costruite alleanze sui temi. E da un’area che ha sofferto molto la rottura di quest’asse”.

Niente di nuovo rispetto alle posizioni già espresse dopo le elezioni regionali in cui proprio Schlein aveva invitato il Partito democratico a guardare a sinistra e non al centro, con un chiaro riferimento al cosiddetto Terzo polo. Molto più guardingo Bonaccini che chiarisce che “non c’è tabù verso nessuno” e insiste su un Pd che debba essere il punto focale di qualsiasi alleanza.

“Quello che mi permetto però di dire è che almeno, ognuno nella propria autonomia, su alcune battaglie potremmo insieme fare opposizione in Parlamento e nel Paese’’. Gli fa eco l’eurodeputata Pina Picierno: “Il dibattito sulle alleanze per me viene dopo – spiega la portavoce della mozione Bonaccini -. Ora vogliamo ridare al Partito democratico quella vocazione maggioritaria che col tempo ha smarrito. E che può metterci su una strada in cui le alleanze non sono esperimenti di laboratorio, ma puntelli per rafforzare una proposta di Paese”. Le differenze, almeno sulla carta, sono comunque evidenti.

I programmi dei candidati del Pd

Schlein propone di interrompere qualsiasi finanziamento alla cosiddetta Guardia costiera libica mentre Bonaccini vorrebbe “un’Agenzia di coordinamento delle politiche migratorie sottratta alle diatribe politiche”. Schlein vorrebbe un partito che “ricominci a investire sulla formazione politica” e Bonaccini propone “referendum obbligatori tra gli iscritti sulle grandi scelte”. Schlein vuole “migliorare il Reddito di cittadinanza, senza abolirlo” e “voltare pagina dagli errori del Jobs Act”.

Sulla casa Bonaccini propone “un modello sociale Housing First” mentre Schlein punta a dare strumenti in grado di aiutare chi non è in grado di pagare gli affitti. Sul fisco Bonaccini propone un taglio strutturale del cuneo contributivo almeno del 10% per tutti e del 30% per i giovani mentre Schlein insieme a una “riforma fiscale complessiva e progressiva” punta sul tema dei grandi patrimoni che “deve essere affrontato in un’ottica redistributiva”. No, non sono uguali. E non lo sono nemmeno nelle alleanze che hanno in mente. A meno che tutto finisca con un “accordo totale” che lasci tutto com’è.

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L’astensione che parla

Ci sono astensioni che dicono più di un voto. Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una mozione che esprime solidarietà nei confronti degli studenti del Collettivo Sum aggrediti davanti al liceo Michelangiolo, a Firenze. La Lega si è astenuta mentre Fratelli d’Italia ha deciso di non partecipare al voto.

Per quell’episodio sono indagati sei attivisti della formazione di ultradestra (meglio: fascista) Azione Studentesca, strettamente collegata al partito di Giorgia Meloni. «Chiedevamo di prendere distanza dalle aggressioni – commenta il consigliere Pd Iacopo Melio – È una vergogna che da Lega e FdI non sia ancora arrivata una ferma condanna».

Secondo Lega e Fratelli d’Italia quello che è accaduto davanti al liceo Michelangiolo non sarebbe squadrismo ma sarebbe «una semplice rissa». Peccato che fosse una rissa coordinata, organizzata e spinta da motivazioni politiche. Tecnicamente: squadrismo.

L’atto impegna la Giunta toscana ad «attivarsi nelle sedi opportune», affinché «vengano assunti tutti i necessari provvedimenti atti a garantire la libertà e l’incolumità degli studenti toscani». Preoccupata per il «clima di odio e violenza» che si respira in città, l’assemblea chiede che sia il governo nazionale, in primis, «a condannare fermamente quanto accaduto».

Il capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale Francesco Torselli, tanto per inquinare i pozzi, ha presentato una mozione alternativa che  parla di «violenze durante il corteo antifascista». È il caro vecchio trucco del “ma anche”. Quella mozione non l’hanno votata nemmeno i suoi amici della Lega, per dire.

Vale la pena quindi rileggere la lettera della dirigente scolastica del liceo Leonardo Da Vinci di Firenze Annalisa Savino, inviata a tutti gli studenti: «siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni».

Consapevoli. Buon giovedì.

Nella foto: l’aggressione di Azione studentesca e la votazione in Consiglio regionale della Toscana (dalla pagina facebook di Iacopo Melio)

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L’ombra di Renzi sulle primarie Pd

C’è un filo – ancora – che lega le sorti del Partito democratico e quelle del partito unico che ancora non si vede all’orizzonte tra Matteo Renzi e Carlo Calenda. Mentre tra i Dem ci si avvia alle fasi conclusive della sfida per la leadership, i due big del cosiddetto Terzo polo decidono di non decidere fino a lunedì, quando i risultati dei gazebo per il ballottaggio tra Schlein e Bonaccini per la segreteria del Pd saranno chiari e definitiva.

Renzi ha un Piano B nel caso la spuntasse la Schlein. Dare asilo ai dem che mollerebbero il Pd

Al centro, tra renziani e calendiani sono giorni caldi. Il “partito unico” che avrebbe dovuto vedere la luce ancora non si è visto, gli elettori scalpitano ma trovare la quadra è più macchinoso del previsto. Prima ci sono state le accuse di Renzi al suo compagno Calenda di avere personalizzato troppo le regionali portando a casa un misero risultato. Non è un segreto che in Lombardia, ad esempio, Renzi avrebbe preferito vedere campeggiare il nome della candidata Letizia Moratti, ritenuta politicamente più attraente del leader di Azione per la Lombardia.

La convinzione che unire Italia Viva e Azione sia la strada migliore comincia a sgretolarsi

Il morale dopo i risultati è bassissimo e la convinzione che unire Italia Viva e Azione sia la strada migliore comincia a sgretolarsi tra qualche dirigenti e tra parecchi militanti dell’una e dell’altra parte. Non è solo una questione di logo: Renzi sembra non aver più intenzione di rimanere in seconda linea, come deciso per le politiche, e Calenda ai suoi ripete con sempre più insistenza di essere stanco “di fare tutto da solo” mentre Matteo “si gode il sole e i soldi di Ryad”.

Renzi ha un progetto in testa che dipende proprio da chi sarà il prossimo inquilino del Nazareno

E che c’entra il Pd? C’entra, eccome. Renzi ha un progetto in testa che dipende proprio da chi sarà il prossimo segretario. Il ragionamento è semplice. “Matteo crede che la vittoria di Bonaccini determinerà un riavvicinamento con i Dem, ma se a vincere dovesse essere Schlein allora il Pd si spaccherebbe”. E dalle parti del Terzo polo, manco a dirlo, sarebbero felicissimi. A quel punto il “nuovo partito” aspetterebbe ancora per mantenere una federazione pronta ad abbracciare i fuoriusciti inevitabili dell’area riformista tra i democratici.

Nel Pd Lorenzo Guerini, capo della corrente Base riformista che include gli ex renziani mai del tutto ex, prova a frenare confidando in una vittoria del presidente dell’Emilia Romagna che quasi tutti danno per scontata ma nel caso in cui Schlein vincesse nei gazebo una fuoriuscita “esplorativa” verso il Terzo polo di qualche parlamentare sarebbe certa.

Per quel che riguarda il congresso dem dopo il confronto televisivo su Sky tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini gli animi non si sono ancora raffreddati. A chi faceva notare che il presidente dell’Emilia Romagna sia stato meno convincente sulla questione di diritti, Bonaccini ha risposto a brutto muso. “Confronto tra Bonaccini e Schlein. Lui non risponde sul finanziamento della guardia costiera libica. Non parla di matrimonio egualitario e di delle famiglie Lgbt. Non parla del precariato e la sua sul lavoro è insufficiente”, scriveva ieri una sostenitrice di Schlein.

“Approcciando i diritti civili con cultura minoritaria non si è riusciti a conquistare provvedimenti per aumentare i diritti di chi oggi non li ha. Se lei si accontenta di applausi nei convegni, io voglio invece arrivare ad avere maggioranza per conquistarli”, gli ha risposto Bonaccini.

La strategia è chiara: insistere nel raccontare Schlein come “leggera” e troppo “ideologica”. Che Bonaccini abbia vinto in Emilia Romagna con (e grazie) a Elly Schlein è un particolare che si omette spesso e volentieri. Il tutto aspettando l’abbraccio con il Terzo polo un secondo dopo la chiusura dei gazebo. Per ricominciare dagli stessi errori.

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Per La Russa un figlio gay è una sciagura

“Se mio figlio mi dicesse di essere gay? Accetterei con dispiacere la notizia. Perché credo che una persona come me, eterosessuale, voglia che il figlio gli assomigli. Ma se non succede, pazienza”. L’ultima bestialità esce dalla bocca di Ignazio La Russa durante la registrazione della trasmissione Belve, intervistato da Francesca Fagnani. Per il presidente del Senato (che, ricordiamolo, è la seconda carica dello Stato) un figlio omosessuale “sarebbe un figlio che non mi assomiglierebbe. Sarebbe come se fosse milanista, è un paragone preciso quello che faccio”.

Dal busto di Mussolini in casa alle esternazioni omofobiche. Così La Russa sta macchiando la carica di presidente del Senato

Dura la vita di chi tutti i giorni si sveglia, sempre impegnato a creare scandalo con sprezzo del ridicolo per confermare quel suo fascino cavernicolo che tanto piace ai suoi elettori. La vera sfortuna in fondo è avere La Russa come padre, un padre che non riesce mai a essere all’altezza dei ruoli che ricopre, uno che parifica l’orientamento sessuale a una squadra di calcio, lasciando sottintendere – come fanno tutti gli omofobi – che l’omosessualità sia un vezzo, un’ossessione che non si riesce a frenare.

Nessun figlio meriterebbe di avere un padre con i busti di Mussolini a casa, come dice bene il deputato del Pd Alessandro Zan, ma soprattutto noi non meritiamo un presidente del Senato come Ignazio La Russa. Non meritiamo un politico che non riesce a spiccare se non per il suo essere inopportuno e comunque tronfio, non meritiamo il sorriso sardonico di chi si bea delle sue nefandezze dall’alto di uno scranno che gli consente di pronunciare frasi che al di fuori della politica lo renderebbero il più cretino del bar.

Come fa notare la presidente dei senatori Pd, Simona Malpezzi, La Russa “non è un semplice politico” (anche se qualche decennio fa la serietà dei politici sarebbe stata un prerequisito, ma ora è una battaglia persa): La Russa rappresenta il Senato italiano, e le sue parole “inaccettabili, offensive, divisive, stereotipate, sessiste” non sono un attacco al politicamente corretto. Come dice Malpezzi “si tratta di rispettare le istituzioni che si rappresentano e che noi continueremo a difendere”.

L’uscita di La Russa, sottolinea Fabrizio Benzoni, deputato di Azione-Italia Viva, “trasudano qualunquismo, superficialità e pregiudizio che non sono accettabili se ascoltate in una scuola, in un posto di lavoro, figurarsi quando vengono pronunciate dalla seconda carica dello Stato”. E questo è un problema innanzitutto politico e di gestione democratica delle istituzioni. A meno che tra i compiti del Senato ci sia la discriminazione, aggiunta in questo governo senza modifiche alla Costituzione.

C’è un punto interessante che sottolinea Fabrizio Marrazzo: “Se La Russa avesse detto che se avesse avuto un figlio ebreo, per lui sarebbe stato un dispiacere, con l’attuale Legge Mancino queste parole sarebbero potute essere utilizzate come elemento di discriminazione. Purtroppo, oggi non esiste una legge contro l’omofobia e quella di La Russa risulta come una libera espressione”.

Il punto sostanziale è sempre lo stesso: se Ignazio La Russa vuole continuare a fare il nostalgico agitatore di popolo lo faccia con la casacca del suo partito e non quelle delle istituzioni. Potrebbe essere semplicemente incapace di svolgere il suo incarico. Noi, a differenza sua, non lo derideremo e non ne gliene faremo una colpa. Se invece il suo scopo è quello di rendere potabile, con l’arma dell’ostentata e ciclica falsa simpatia, la discriminazione a uso comune sappia che troverà sempre chi puntualizzerà ogni volta, tutte le volte, le sue idiozie. Con tanta solidarietà per suo figlio.

Leggi anche: Forza Nuova cita La Russa. La difesa di Fiore imputato per l’attacco alla sede della Cgil chiama il presidente del Senato a testimoniare

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