Il 17 febbraio sono stato a Borgarello per un incontro su mafie, politica e corruzione insieme al Circolo SEL Nord Pavia e al sindaco Nicola Lamberti. E’ stata una bella serata perché Borgarello è la dimostrazione di come i piccoli centri sono spesso esposti ai reati peggiori senza la copertura della stampa nazionale e dell’opinione pubblica. Ammetto che a Borgarello temevo di trovare il risultato dell’isolamento (geografico e politico) che mi è capitato di incrociare in giro per l’Italia. E mi sbagliavo. Perché la serata è stata il manifesto di un modo di intendere la cosa pubblica che ha il respiro lungo della svolta che si vuole imprimere. Gli amici del sito Vivi Borgarello (che sulle ultime vicende avvenute sta rischiando querele e minacce di chiusura, per questo vi invito a sfogliarlo per rendersi conto di cos’è successo lì in questi ultimi anni) hanno realizzato un mio sogno: una cronaca (con la perfezione della “sbobinatura”) della serata. Per questo li ringrazio e la incollo qui. Introduzione cromatica sulla giacca verde inclusa.
di Alberta Samuele, 23 febbraio 2012
Aspetto in apparenza imberbe e fanciullesco, casacca verde-giullare che si intona eccentricamente col vermiglio dominante in sala, il tutto imperlato da ironia dissacrante ed eloquenza di rara elevazione, che rimandano alla professione di autore irriducibile e narratore di testi impegnati per teatro di inchiesta. Con grande naturalezza, nonostante la presenza guardinga della scorta d’ordinanza, si è presentato venerdì sera ad una platea calorosa e accogliente presso il C.T.E Auser di Borgarello il consigliere regionale Giulio Cavalli, dal 2010 sui banchi del Pirellone in rappresentanza del movimento di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), dopo una breve ma significativa esperienza di orientamento nelle file indipendenti dell’Italia dei Valori.
La mafia non è una “categoria dello spirito” o, come molti erroneamente reputano, un fenomeno astratto associato al folclore del meridione – introduce il coordinatore locale del movimento, Mauro Cavicchioli – ma una realtà di comportamenti subdoli e insidiosi, di connivenze che intaccano a vari livelli il tessuto politico ed economico della società civile, proliferando ad ogni latitudine con maggiore incidenza ove ci siano giri di affari vorticosi e cospicue risorse finanziarie. Il movimento SEL tenta fin dalla sua recente fondazione di informare ed educare le coscienze civili, in particolare delle nuove generazioni, promuovendo cicli di incontri e dibattiti presso enti pubblici, scuole, università che abbiano come filo conduttore la “battaglia sul territorio”, che al di là dei richiami epici insiti nell’espressione, deve intendersi come pratica quotidiana e incessante contro l’illegalità, che fiorisce e attecchisce dove l’esercizio della legalità è invece indebolito dall’indifferenza, dalla compiacenza, dall’ignoranza dei capisaldi costituzionali e dall’erronea interpretazione del concetto di libertà individuale.
Come tristemente rappresentato nello spettacolo teatrale A Cento Passi dal Duomo ideato e scritto dallo stesso Cavalli con il giornalista Gianni Barbacetto, direttore di O.m.i.c.r.o.n. (Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord), dichiarare da parte di chi ricopre incarichi politici o di sorveglianza istituzionale che in regioni come la Lombardia, da sempre ritenute immuni alle infiltrazioni mafiose, il fenomeno criminale sia oggi in improvvisa emersione e che nessun intervento è da proporsi se non l’attesa che le cause giudiziarie facciano il loro corso, è un atto di grave responsabilità morale, di indifferenza e di disonestà intellettuale che vanificano 50 anni di storia costituzionale: non rievocare la memoria storica del nostro Paese, gli attentati, i traffici, le inchieste ancora irrisolte per insabbiamenti ignominiosi infatti, è già di per sé segno di collusione, come pure non riconoscere che la mafia attecchisce da sempre come sotterranea metastasi sociale e morale ovunque ci siano disponibilità economiche, attrattive finanziarie, imprenditori, fornitori di servizi, clienti, funzionari di polizia, prefetti e tecnici comunali compiacenti, nel ricco Nord più che altrove; mostrarsi miopi o non avere il coraggio di denunciare anche nel piccolo della propria professione significa essere clienti poco vigili e indulgenti alla corruzione; vuol dire contribuire a drogare il sistema, favorendo quel federalismo culturale cui alcuni partiti politici particolarmente fiorenti nel facoltoso settentrione inneggiano, impedendo di guardare al di là dei propri confini territoriali e ravvisare per tempo i segnali purtroppo evidenti di infiltrazione. Il fenomeno criminale ha dunque radici sociali e politiche nella predisposizione alla reticenza e nell’omertà di ognuno di noi; la pars destruens della società non è controbilanciata da una sana e prevalente pars costruens.
La mafia tuttavia non ha mai avuto odore di polvere da sparo – i morti ammazzati sono sempre stati incidenti di percorso – e tantomeno si avvale di grandi capacità intellettuali; piuttosto assolda le classi dirigenti e la munifica imprenditoria cementizia, come si serve di predoni finanziari che comprano tutto pur non necessitando di clienti e che si arricchiscono sempre più sul commercio dei beni primari. La mafia non sa intervenire sulle ristrutturazioni, che richiedono particolare ingegno e capacità progettuali, ma sulle costruzioni di megastrutture, come ponti, strade, piste di aeroporti di pressoché scarsa utilità. La ‘Ndrangheta in Lombardia è purtroppo già proiettata verso il futuro: i traffici di droga o di armi, lo sfruttamento della prostituzione un tempo circuiti fiorenti e altamente remunerativi, non costituiscono più oggi canali appetiti dalle associazioni criminali, che invece preferiscono manovrare gli imponenti flussi finanziari e la cessione di appalti per le costruzioni di grandi infrastrutture, comprando la compiacenza di imprenditori e funzionari; esse hanno, infatti, compreso qual è il settore produttivo che esporta maggiori profitti e che consente di occultare in modo semplice e poco dispendioso somme smisurate di denaro illecito; con questa pratica riescono così a convertire moneta in mattone di qualsiasi forma. Basti pensare al pullulare di capannoni destinati ad essere in breve tempo dismessi, al susseguirsi di villette e residenze senza potenziali acquirenti, al fiorire di megacentri commerciali privi di futuri clienti. Speculazioni edilizie per materializzare contanti di provenienza illegale.
La grave responsabilità dei governatori regionali è la parimenti aberrante convinzione che le infrastrutture da incentivare come utili al progresso civile siano proprio quelle cementizie e non i servizi sociali; questa disattenzione, associata spesso all’accondiscendenza al dolo, è risultata terreno fertile per gli interessi criminali. La banalità del male o, meglio, dei mezzi di cui esso si avvale smaschera la scarsa consapevolezza del bene da parte di chi amministra, ma anche di noi cittadini miopi. “La lotta alle mafie è impegno ordinario di tutti, non impegno straordinario di pochi”, affermava Giovanni Falcone.
Il delitto contro l’ordine pubblico perpetrato da due o tre persone che accrescono il proprio privato ai danni della collettività, sancito dall’art. 416 del codice penale come “reato di mafia”, sembra una costruzione teatrale allestita da quegli stessi soggetti politici che non esitano ad affermare che l’apertura alla solidarietà in seno alle proposte di riforma sociale è un punto di disarmante debolezza; sono gli stessi che sostengono la necessità di promulgare una legge regionale che imponga il rispetto delle leggi; come nella grottesca visione circolare della società in cui lo stolto del villaggio staziona accanto al genio, si tratta degli stessi personaggi che sull’onda delle “liberalizzazioni”, attuano una politica di certo non premiante nei confronti di aziende oneste e cedono enti pubblici assegnandoli a privati con gare pilotate; sono gli stessi che non raccontano alle nuove generazioni il motivo per cui la mafia agisce ed è stata lasciata finora operare, che permettono che la proposta di legge contro il consumo del suolo venga affossata dalla solita logica di spartizione del potere e di appartenenza faziosa.
Quelle “vedette” politiche incaricate decenni or sono di vigilare sul tessuto sociale perché non diventasse vulnerabile alla mafia, ma che non si sono accorte, né sono riuscite a scalfire generazioni multiple di clan criminali, sono le stesse che oggi dichiarano con uscite sensazionalistiche che la mafia si è infiltrata in Lombardia.
La mafia in questa regione è prevalentemente attività di riciclaggio e, come tale, asservisce dirigenti ASL, questori, banchieri, prefetti, segretari e tecnici comunali, funzionari di polizia e di istituti di credito, non perché essi non siano potenzialmente in grado di compiere atti eroici, ma perché non hanno svolto il loro dovere. La politica locale oggi è meno funzionale agli uffici tecnici in quanto la struttura democratica in cui sono conformati gli enti amministrativi locali non sa più esercitare quel potere di controllo su questi operatori intermedi, fondamentale pontile di ormeggio per le organizzazioni criminali; la grande politica dal canto suo opera abilmente dall’alto accoppiando i vari sistemi criminali insorti localmente.
Le associazioni mafiose, anziché corrompere chi ha già una poltrona assegnata, hanno nel frattempo imparato a sfruttare con grande profitto l’esercizio delle preferenze elettorali e riescono a piazzare nelle posizioni politiche di prestigio, con uno strumento elettorale tanto semplice quanto banale, i loro uomini, pur non avendo in partenza i numeri vincenti in termini di impatto elettorale. Questi personaggi così sponsorizzati costituiscono la nuova classe dirigente totalmente al servizio. La mafia non stipula accordi con i perdenti, non compra il favore di chi non governa, ossia dell’opposizione.
Basterebbe, quindi, che i piccoli Comuni in occasione delle elezioni a livello locale applicassero un sistema altrettanto scrupoloso ed efficiente di convoglio delle preferenze su candidati seri e onesti per scardinare a monte i presupposti di questo meccanismo criminoso e degenere. Infatti non è affatto vero che tutti gli amministratori sono collusi: il monito autoironico “siamo tutti ladri” mutuato dal Mistero Buffo di Dario Fo, è, in realtà, pretesto per lavarsi la coscienza e uscirne tutti indistintamente ripuliti e indenni.
Nella difesa di alcuni principi fondamentali della convivenza civile, bisogna essere invece estremisti, distinguersi, eccome: la differenza di condotta sta proprio nella capacità di reazione, nel coraggio di alzare la voce, di osare e di non attendere che la giustizia faccia il suo corso, che il più delle volte richiede anni di dibattimenti e requisitorie inconcludenti, per poi esitare in assoluzione al terzo grado dell’attività giudiziaria.
La politica, come affermavano Pertini e Borsellino, deve essere condotta senza ombre, non può attendere i tempi della magistratura o temporeggiare e favorire attraverso “toni di grigio” le infrastrutture criminali; queste scelte di comodo rendono il welfare statale sempre più inefficiente e lasciano spazio ad una società parallela e aberrante, che garantisce invece tutela, stabilità economica e ricadute sociali a totale danno delle future generazioni.
Le autostrade oggi vengono spesso costruite, come già ribadito, per riciclare il denaro sporco delle mafie e, poiché in alcuni casi sono di totale inutilità, allora vengono corredate di faraonici centri commerciali, cattedrali nel deserto per giustificare la realizzazione delle prime.
Il vero luogo del potere in Lombardia al giorno d’oggi è il punto di incontro tra imprenditoria spregiudicata e amministratori compiacenti; ciò nonostante, questa regione è anche in grado di sviluppare e favorire una rete di associazioni potenzialmente sane di persone non corrotte e impegnate a combattere la criminalità organizzata, non con i mezzi della politica di pancia o addirittura con l’antipolitica, ma promuovendo da veri professionisti – nel senso etimologico di professione di un credo – il valore essenziale del bene comune. Questo tipo di politica va attuata con i numeri e attraverso dibattito aperto in aula, disarticolando le azioni amministrative errate degli altri.
Battaglie perse, come di recente è accaduto con il referendum sull’acqua, sono da ricondursi ad una certa debolezza di intenti e scarsa perseveranza, alla tendenza cioè ad abbassare le difese, a non insistere con una pressione ideologica, sana e continuata, sul plusvalore del bene comune. Se un problema è in reale emergenza, bisogna essere “partigiani”, vale a dire decidere da che parte stare e fissare obiettivi comuni da perseguire. Non restare indifferenti, dunque, ma decidere di interessarsi; il cittadino disinteressato alla politica è inutile, affermava lo statista Pericle secoli fa, anticipando i contenuti dell’articolo 4 della nostra Costituzione per il quale il cittadino ha il dovere con la propria funzione e professione di concorrere alla crescita materiale e spirituale del proprio Paese. Maggiore è la distanza e l’entità del divario tra amministratori e cittadinanza, più la politica rischia di inquinarsi; il miglior controllo sulla funzione pubblica è proprio quello esercitato da ogni singolo cittadino con la sua partecipazione alla vita amministrativa, con l’impegno civile e l’offerta delle proprie competenze al servizio della collettività. Spesso, tuttavia, questa attenzione per la cosa pubblica si manifesta in modo temporaneo e utilitaristico per pura visibilità solo durante i periodi di campagna elettorale, per risolversi in una totale eclissi non appena il mandato è assegnato ad altri.