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L’analisi della sconfitta

Fa perfino ridere scrivere “l’analisi della sconfitta”, è un cartello al collo addosso alla sinistra e al centrosinistra degli ultimi anni. Perché il centrosinistra negli ultimi anni ha perso molto più spesso di quello che sembri. È arrivato al potere, certo, ha anche governato ma l’ha fatto inventandosi alleanze minestroniche ripetendo ogni volta “mai più”. Questa è la prima riflessione: stare al governo senza vincere nettamente le elezioni ha affinato la capacità di gestire il potere molto più del meritarselo. E non è un bel vedere.

Poi c’è la netta sensazione di qualsiasi mancanza di programmazione. Le alleanze nel centrosinistra – che si allei con il centro o con la sinistra o con il M5s – semplicemente “accadono”. Presentarsi in due regioni significative come il Lazio e la Lombardia con due alleati nemici tra loro che hanno passato la campagna elettorale a ripetere quanto facesse schifo il Partito democratico dall’altra parte prevedibilmente fa apparire sconnessi. Meglio, scassati.

Manca il leader, certo. Pierfrancesco Majorino ieri ha detto quello che nel Pd pensano tutti: correre per le elezioni regionali del Lazio e della Lombardia nel pieno di un congresso che da fuori appare di una lungaggine esasperante (e di una natura poco appassionante) è un caso studio di inefficienza politica. Ma oltre alla mancanza di un leader manca un’idea, un’idea qualsiasi di un candidato qualsiasi alla segreteria, che riunisca sotto uno stesso tetto una comunità fratricida che si perde nei rivoli di entrambi i lati (lato Terzo polo, lato M5s) e che si sfilaccia senza sapersi riunire quando serve. L’astensione è una responsabilità collettiva – è vero – ma sta all’opposizione assumersi l’onere maggiore della mobilitazione.

Le lezioni non si vincono a Sanremo. Se lo share è alto e la mobilitazione è bassa (questa la rubo a Antonio Polito) significa che coloro che tu senti “tuoi elettori” non escono di casa per andare a votare. E, badate bene: i dati dicono che Fontana guadagna voti perfino nelle città più colpite dal Covid. Ci sono analisi sbagliate, ammettiamolo. Se nemmeno una pandemia è bastata per sbugiardare l’efficienza lombarda i casi sono due: o la maggioranza degli elettori ritiene che Fontana e Gallera in pandemia abbiano fatto un buon lavoro (difficile, molto difficile) oppure pensano che gli altri rischierebbero di fare peggio. Non è un’idea spaventosa

Basta essere soddisfatti delle sconfitte. Davvero, basta. «Il Pd rimane saldamente seconda forza politica e primo partito dell’opposizione», dice Enrico Letta, che è un pò come dire “abbiamo saldamente perso” (questa invece la rubo a Luca Bizzarri). Gli elettori vogliono votare partiti che vorrebbero vincere e che si prendano la responsabilità delle sconfitte. Sono anni che si insiste sulla dignità della sconfitta, sulla nobiltà di riconoscere gli errori, sulla lucidità di apporre i necessari cambiamenti e poi qualsiasi risultato è rivenduto come un buon risultato. Ma fate davvero?

Infine c’è un’ultima nota, di cui anche questo articolo è responsabile: le analisi delle sconfitte sono una liturgia che ha rotto i coglioni. Meno di un elettore su due è andato a votare. Questa non è politica, è un abisso.

Buon martedì.

Nella foto: Enrico Letta, frame del video della direzione nazionale Pd, 6 ottobre 2022

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Caporetto del Centrosinistra. E a destra la Meloni non stravince

Sia benedetta l’influenza. Siano benedette le vittorie schiaccianti in Lombardia e nel Lazio. Il centrodestra incassa la conferma di Regione Lombardia e si prende anche la Regione Lazio dopo una giornata iniziata nel peggiore dei modi, con l’imbarazzo di dover gestire l’ennesima sortita di un Silvio Berlusconi che puntella la presidente Meloni giocando di sponda con Putin.

Vittoria senza storia delle destre nel Lazio e in Lombardia. Continua la luna di miele tra la maggioranza che sostiene la Meloni e il Paese

Le parole di Berlusconi sono più o meno quelle già sentite: Zelensky responsabile del massacro che avviene nel suo Paese, il Donbass come elemento determinante per l’inizio del conflitto e un giudizio “molto negativo” sul leader ucraino che lui – chiarisce – al posto di Giorgia Meloni non avrebbe mai incontrato.

Così il lunedì comincia per il centrodestra con l’ennesimo filotto di rassicurazioni che non rassicurano nessuno. Insieme agli applausi della Russia arrivano, scontate, le parole pesanti del governo ucraino che accusa l’ex cavaliere di “baciare le mani insanguinate di Putin”. Così a urne ancora aperte per le elezioni regionali a Giorgia Meloni non resta che trincerarsi dietro a un silenzio tombale, aiutata da una provvidenziale influenza che cancella tutti gli eventi in agenda. Ma la temperatura del centrodestra si può misurare da due dichiarazioni.

La prima è quella del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che di Forza Italia è anche il coordinatore nazionale, che definisce Berlusconi “un uomo di pace” che non avrebbe “mai cambiato idea sul sostegno all’Ucraina”. Lo seguono a ruota i ministri Crosetto e Piantedosi. È stato frainteso, insomma, per la milionesima volta nella sua carriera.

Ma molto significativa è la voce che arriva da Fratelli d’Italia: “Berlusconi non bisogna prenderlo sul serio”, dicono i meloniani. Sarà per questo che hanno deciso di farci un governo insieme. Le elezioni regionali sospendono può la crisi. È una vittoria netta, nettissima, che non lascia dubbi sul fatto che questo centrodestra potrà sconfiggersi solo con le proprie mani, per errori propri. Il primo a esultare al profumo delle prime elezioni è i leader della Lega Matteo Salvini.

“Vittoria. Grazie Lombardia. Grazie Lazio”, scrive su Twitter postando due foto di se stesso con Fontana e con Rocca. Rispetto alle ultime politiche la Lega recupera 3 punti in Lombardia (nonostante qualche vecchio colonnello che si è spostato nelle liste di Letizia Moratti) e sostanzialmente tiene nel Lazio. è facile immaginare che il segretario leghista – che già ha tenuto botta nonostante il destino calo alle politiche – ora usi questi risultati per consolidare la sua leadership.

E questa per Giorgia Meloni potrebbe essere anche una notizia pericolosa, sapendo che Salvini (come Berlusconi) soffre a stare nelle retrovie. Non è un caso che Salvini rivendichi la vittoria in Lombardia come “una vittoria della Lega” provando a sovrapporsi al riconfermato presidente Attilio Fontana.

Chi scende invece è Forza Italia, con Silvio Berlusconi sempre più incapace di riprendere smalto. Ci pensa, come al solito, Antonio Tajani a parlare di “un voto di fiducia al governo di centrodestra”. Dalla sede di Forza Italia arrivano porche voci. I dirigenti del partito sanno bene che i risultati delle elezioni regionali hanno solo rimandato una resa dei conti con gli altri partita della maggioranza, Meloni in testa, e i numeri sono sempre troppo bassi per poter chiedere posizioni di rilievo.

La vera partita Silvio Berlusconi ha intenzione di giocarsela sui temi che da sempre gli stanno a cuore: televisione e giustizia. E tra i suoi serpeggia il dubbio che con un partito così debole l’unica arma che gli resta in mano sia quella del ricatto della crisi del governo. “Ma con questi numeri rischiamo di essere irrilevanti anche nelle polemiche”, confessava ieri un deputato lombardo.

Per Meloni invece è il giorno della festa ma soprattutto l’ennesimo giorno delle recriminazioni. Non sono nemmeno finiti gli scrutini che i suoi uomini stanno già facendo i conti sugli assessorati che gli spettano (“Nuovi equilibri nella coalizione, ora è un destra-centro, dice soddisfatta Daniela Santanchè che chiede “almeno 8-9 assessori in Lombardia”).

A metà pomeriggio si fa sentire anche la presidente del Consiglio e leader di Fdi Giorgia Meloni sui social, gongolando per l’en plein e il nuovo exploit del suo partito: “Complimenti a Francesco Rocca e Attilio Fontana per la netta vittoria di queste elezioni regionali, sicura che entrambi daranno il massimo per onorare il voto e il mandato ricevuto dai cittadini di Lazio e Lombardia”.

La premier si sente più forte, lo dice espressamente: si tratta di “un importante e significativo risultato che consolida la compattezza del centrodestra e rafforza il lavoro del governo”. E mentre il risultato elettorale assume i contorni del trionfo, secondo quando apprende l’Adnkronos la presidente del Consiglio alza la cornetta per chiamare i due vincitori, Rocca e Fontana, congratulandosi con loro per la vittoria. La presidente del Consiglio esprime a entrambi la soddisfazione “per un risultato netto”, sia nel Lazio che in Lombardia.

Al di là dell’entusiasmo del momento, ora però, sul tavolo della Meloni c’è sempre di più il nodo dei nuovi equilibri interni alla coalizione. Il cambio dei rapporti di forza tra gli alleati con Fdi nel ruolo di asso pigliatutto, infatti, peserà e non poco. In Via della Scrofa c’è la piena consapevolezza dei risvolti del voto regionale e si guarda con una certa preoccupazione alla coabitazione con Lega e Fi, anche se l’input all’esterno è mettere la sordina a qualsiasi polemica. Vincere è un fatto, stravincere è altra cosa, dice a mezza bocca un big azzurro.

Francesco Lollobrigida prova a minimizzare (“nessuna polemica, ha ragione Salvini quando parla di risultato di squadra, di tutti”) per poi ammettere: “è evidente che il primo governo di centrodestra della storia repubblicana con una donna come Giorgia Meloni premier sta premiando anche il centrodestra nel suo complesso, permettendogli di raggiungere dei risultati non solo alle politiche, ma anche nel primo test elettorale”. Dopo la vittoria arriverà l’assestamento. E non sarà indolore.

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Cambiare la narrazione del Paese sembra Putin invece è il governo Meloni

“Cambiare la narrazione del paese”. Fratelli d’Italia e Lega lo dicono senza un’ombra di vergogna, Sanremo è solo la leva per compiere un repulisti in grado di lasciare spazio ai propri scendiletto.

Per il Governo Meloni Sanremo è solo la leva per compiere un repulisti in grado di lasciare spazio ai propri scendiletto

Con malinconia ricordiamo quando la politica almeno fingeva, pur fingendo malissimo, di voler “depoliticizzare” la Rai, usava perifrasi per la vergogna di ammettere che si trattasse semplicemente di un’occupazione. “Dobbiamo cambiare la narrazione del Paese” lo dice schiettamente Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura. I sottosegretari del resto sono i cannoni a palle incatenati del governo, fingono di stare nelle retrovie ma dicono ciò che Giorgia Meloni pensa in privato e non può permettersi di pronunciare in pubblico.

La prima urgenza è sostituire il direttore del Tg1: da Monica Maggioni a Gianmarco Chiocci, oggi direttore dell’AdnKronos. I meloniani avranno così le mani sui principali telegiornali, dopo la nomina di Nicola Rao al Tg2. Poi punteranno più in alto, sloggiando Fuertes e piazzando il fedelissimo Giampaolo Rossi. Stanno aspettando solo un’invenzione legislativa, un comma da inserire da qualche parte, per permettere a Rossi di sfondare il tetto dei due mandati per i consiglieri di amministrazione Rai.

“Cambiare la narrazione del paese” per il governo significa non dare più spazio alle tesi che sono incapaci di argomentare e che quindi vogliono nascondere sotto il tappeto. Credono, Meloni e gli altri, che la libertà di amare sia un vezzo di Fedez e Rosa Chemical, che la legalizzazione della cannabis sia solo un piglio di J-Ax, che il polso del razzismo sia un’isteria di Paola Egonu, che il diritto a essere donne anche senza maternità sia un’invenzione artistica di Chiara Francini.

Sono talmente oscuri, oltre che oscurantisti, che nemmeno hanno contezza che il Paese che vorrebbero “cambiare” è già diverso da come lo immaginano. Così ala fine perde la pazienza anche Stefano Coletta, direttore dell’Intrattenimento Prime time di Rai Uno, che abbandona l’abituale aplomb e risponde senza mezzi termini: “non posso rispondere di ogni gesto che fa un artista in diretta. Allora dovrei dimettermi ogni giorno. Non è civile”. Ha ragione Coletta a metterlo sul piano della civiltà: considerare i diritti civili un punto programmatico in capo a una parte politica è ignorante, reazionario e incivile.

L’ha detto ieri il calendiano Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione: “ma fa più scandalo il normalmente scandaloso Fedez che strappa, in modo plateale e da censurare, la foto di un signore in divisa nazista oppure il sottosegretario di Stato Giovanni Bignami che qualche anno fa era dentro quella divisa”.

È un dibattito al contrario. C’è perfino Vittorio Sgarbi che dice che “non si deve ostentare l’omosessualità”, detto da lui che non esisterebbe senza ostentare anche le sue sedute sulla tazza del cesso. “È paradossale la richiesta di dimissioni da parte di FdI dei dirigenti Rai responsabili dell’esibizione di Fedez: sul palco non ha detto o mostrato nulla che già non fosse pubblico e risaputo. FdI intende governare limitando la libertà di espressione? Tira aria di Minculpop“, il ministero della propaganda fascista, scrive su Twitter la capogruppo dem al Senato Simona Malpezzi.

“Fratelli d’Italia che minaccia la Rai per Sanremo è gravissimo istituzionalmente ed è emblematico di una concezione reazionaria dei diritti e della società”, afferma invece il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova.

Intanto, non è un caso, al direttore Rai Coletta arrivano perfino attacchi omofobi, tanto per avere un’idea dell’aria fetida coltivata dal governo. “Cambiare la narrazione del paese”: sembra Putin e invece è il governo Meloni.

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Condannati per discriminazione: il razzismo è nelle sentenze

Era già accaduto nel 2019. «Rilasciare il certificato di idoneità alloggiativa ad un costo troppo oneroso, anche se in astratto non è richiesto ai soli stranieri, è discriminatorio perché solo per essi finisce per incidere su diritti fondamentali della persona come quelli alla unità familiare. Il certificato serve infatti per le pratiche di ricongiungimento familiare. Renderlo cosi difficilmente ottenibile vuole quindi dire operare una illecita discriminazione indiretta in danno degli stranieri»: lo scrisse la Corte di Appello di Brescia condannando i comuni di Rovato e Pontoglio (Brescia).

La vicenda nasce nel 2015 quando i Comuni di Rovato e Pontoglio – con l’evidente finalità di scoraggiare la presenza di stranieri nei due Comuni – avevano applicato un aumento vertiginoso del diritto di segreteria per ottenere il certificato di idoneità alloggiativa: addirittura + 624% per il Comune di Rovato e + 212% per il Comune di Pontoglio. Il comune di Pontoglio era già stato condannato per dei cartelli chee invitavano ad andarsene quanti non condividevano la “cultura occidentale”: in quel caso il Comune aveva rimosso i cartelli e non aveva proposto appello.

Qualche giorno fa si è espressa anche la Corte dei Conti che ha condannato i membri della giunta di Rovato al danno erariale. Secondo la Procura Regionale, gli oneri finanziari sostenuti dal Comune di Rovato in conseguenza della soccombenza giurisdizionale nei due gradi di giudizio avrebbero determinato un evidente pregiudizio erariale, direttamente imputabile alla responsabilità gravemente colposa degli amministratori comunali che adottarono con voto favorevole e la Deliberazione della Giunta Comunale n.108/2015 (con cui si incrementarono gli importi dovuti dai cittadini a titolo di diritti di segreteria per ottenere le certificazioni dell’idoneità degli alloggi) e le successive Deliberazioni n.166/2015 e n.168/2016 con le quali l’ente territoriale dispose di resistere in giudizio avverso il ricorso di primo grado e, successivamente alla soccombenza in tale sede, decise di proporre appello contro l’ordinanza del Tribunale di Brescia. Il danno erariale, sempre secondo la procura, andrebbe collegato ad un’inescusabile negligenza degli amministratori che avrebbero approvato all’unanimità le menzionate deliberazioni in assenza di una apprezzabile ragione giustificativa rilevante a livello pubblicistico e per finalità discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri.

Asgi esprime grande soddisfazione per questa pronuncia che evidenzia come le discriminazioni non sono solo atti illegittimi e “moralmente ingiusti” ma comportano anche un grave danno economico all’intera collettività. E questo non è un monologo al Festival di Sanremo.

Buon lunedì.

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Afghanistan: “Qui per le donne è sempre peggio. Ma noi restiamo”

«L’Afghanistan è al collasso economico da tutti i punti di vista. Insicurezza alimentare e catastrofi climatiche hanno prodotto un’emergenza umanitaria che ha già ridotto il 97% della popolazione sotto la soglia di povertà».Susanna Fioretti da vent’anni attraversa i dolori che si srotolano nel mondo. Ha lavorato con il ministero degli Affari Esteri, la Croce Rossa Italiana e la Croce Rossa Internazionale viaggiando tra Mauritania, India, Yemen, Mozambico, Grecia, Italia e ovviamente Afghanistan. Nel 2012 ha fondato Nove Onlus e in Afghanistan con i suoi soci ha seminato per l’autodeterminazione femminile: hanno dato vita aWiBh, un centro che ha permesso l’accesso all’educazione, la formazione e l’avvio al lavoro amigliaia di donne, hanno offerto corsi gratuiti per la patente, hanno pensato al Pink Shuttle, il primo servizio di trasporto con autiste per il trasporto delle donne destinato a diventare un’impresa femminile autonoma.

VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI – Racconta l’Afghanistan come «un inestricabile intreccio di interpretazioni diverse, violenti contrasti, spaventose violazioni dei diritti umani a ogni livello, buio e raggi di luce, tanta sofferenza, pene e paura, piccole oasi di speranza, coraggio, forza, resistenza, capacità di andare avanti nonostante tutto. Il cuore di questa trama sono milioni di esseri umani che non hanno ruoli importanti né secondari, nessuna scelta se non quella di subire». Mentre rientrava dal suo ultimo viaggio, a dicembre, Susanna Fioretti sperava che «d’ora in poi le cose andassero non dico bene ma almeno un po’ meglio» ma l’illusione è durata poco. In una manciata di settimane, l’emirato talebano ha aggiunto ai tanti veti già in vigore la proibizione per le donne di frequentare l’università e i corsi di alfabetizzazione, ha ordinato alle ong nazionali e internazionali di non assumere personale femminile e ha annunciato la imminente chiusura di tutti gli orfanotrofi femminili.

PER LE DONNE È SEMPRE PEGGIO – «Tra Natale e Capodanno, Nove», racconta Fioretti, «ha dovuto sospendere la maggior parte delle attività, dire “restate a casa” alle donne che avevano quasi completato le lezioni per imparare a leggere e scrivere, a quelle che avevano appena iniziato i corsi semisegreti, alle ragazze arrivate a metà della preparazione all’esame di ammissione alla statale e a tutto lo staff femminile. Senza il quale è molto difficile effettuare anche le distribuzioni di emergenza di cibo e denaro a centinaia di donne in povertà, che solo da donne possono essere avvicinate. Al momento riusciamo a continuare solo un paio di attività “sommerse” e il supporto all’orfanotrofio di Kapisa». Di fatto l’Afghanistan, nonostante le promesse dei talebani, è tornato a essere quello del 1996/2002. «Le donne possono solo frequentare le scuole elementari. Una condanna all’ignoranza più nera», dice Susanna, «che aggrava ancora di più la situazione del Paese». I “talebani 2.0” hanno tradito le promesse. «Non sono un fronte unico, contengono molte anime spesso in disaccordo tra loro. Ci sono quelli che hanno mandato la famiglia all’estero e quelli estremisti oltranzisti». C’è molta poca speranza, in Afghanistan, «anche perché molti della generazione cresciuta nel periodo della repubblica post-talebana, sono emigrati. Non sono più lì». Ma, dice, «la speranza va aiutata anche se è difficile coltivarla mentre sei in trappola. Per questo rimaniamo lì». E perché noi ce ne siamo già dimenticati? «Credo che l’Occidente sia concentrato sui propri guai e traguardi, che dia attenzione a catastrofi internazionali che lo toccano più da vicino, dove ci sono interessi economici che lo riguardano.

IL PAESE È POVERO E DIMENTICATO – L’Afghanistan non ha petrolio, non ha risorse che ci interessano, conta molto poco sulla scena internazionale, gli afghani sono poco numerosi rispetto a cinesi, pakistani e indiani. E poi in Afghanistan abbiamo fallito, in maniera quasi totale». Ora l’urgenza è garantire continuità. «Se lei pianta una rosa poi le deve dare acqua, proteggerla. Se queste cose vengono interrotte precipitano, muoiono. Nove ha grandi sostenitori, come Only the Brave Foundation e il Trust Nel nome della Donna, che lo capiscono e ci permettono di dare continuità». Anche perché, avverte Fioretti, «il principio di dimenticare qualcuno a favore di altri è pericoloso». Magari, per non dimenticarlo, dovremmo cominciare trovando il coraggio di guardarlo negli occhi questo lembo di terra che è la somma dei loro orrori e dei nostri errori.

(il mio pezzo per OGGI)

https://www.oggi.it/attualita/notizie/2023/02/12/afghanistan-qui-per-le-donne-e-sempre-peggio-ma-noi-restiamo/

Lezioni di pace alla politica La PerugiAssisi si rimette in… Marcia. I promotori raccolgono l’appello del Papa

Il Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi per la Pace ha presentato ieri il documento con cui raccoglie l’appello di Papa Francesco per fermare la guerra con le proposte di iniziative per la politica. È un documento da tenere in tasca per ogni occasione in cui alcuni innamorati della guerra ritirano fuori la solita tiritera dei “pacifisti che vorrebbero la resa dell’Ucraina”.

Pacifisti che non esistono se non nelle teste e nelle bocche di chi, fregandosene anche degli ucraini, utilizza l’invasione russa come manganello contro gli avversari politici.

L’appello

“Alla politica chiediamo di raccogliere l’appello di Papa Francesco e fare tutto ciò che è in suo potere per ottenere l’immediato cessate-il-fuoco”, scrivono gli organizzatori della marcia che si svolgerà nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2023 in solidarietà con le vittime innocenti di questa e di tutte le altre tragiche guerre che continuano a devastare la famiglia umana e il pianeta. “Non è vero che non possiamo fare niente di diverso da quello che stiamo facendo. Non è vero che non ci sono alternative alla guerra. Non è vero che non c’è spazio per il negoziato politico”.

Alla politica si chiede di riconoscere che “è interesse degli ucraini ma anche dei russi e nostro che la guerra finisca al più presto e che si cominci a costruire la pace con “soluzioni concordate, giuste e stabili”, che “l’invio nel campo di battaglia di armi sempre più potenti e sofisticate alimenta l’escalation militare, moltiplica gli orrori e innalza il livello dello scontro”, che “i cittadini europei sono sempre più preoccupati per l’estensione della guerra e l’aumento della povertà e, in particolare, la maggioranza degli italiani è contraria ad ulteriori invii di armi e all’ingresso in guerra della Nato” e “è sempre più urgente decidere come impedire l’estensione della guerra al resto dell’Europa e del mondo con uno scontro aperto tra Russia e Nato e che le tensioni internazionali ci portino, come ha denunciato Papa Francesco, all’autodistruzione”.

Ricordano alla politica “il dovere (anche costituzionale) di assicurare la pace e di proteggere i cittadini” come sancito dalla Costituzione italiana, dalla Carta delle Nazioni Unite e dal Diritto internazionale dei diritti umani.

La pace che si dovrebbe costruire – scrivono – comprende il ritiro dell’esercito russo dall’Ucraina, il ripristino della legalità internazionale, il rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli e il dispiegamento sul terreno di una Operazione di Pace delle Nazioni Unite istituita con Risoluzione del Consiglio di sicurezza e con il compito di svolgere un’azione di interposizione, monitorare la cessazione delle ostilità, verificare il ritiro delle truppe russe, assicurare l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il volontario e sicuro ritorno delle persone sfollate.

Dialogo e confronto

Tra le proposte anche l’istituzione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione sotto l’egida delle Nazioni Unite (guerra 2014-2023), la ricostruzione di un sistema di sicurezza in Europa (il dialogo multilaterale dovrà portare ad una “Helsinki 2” come proposto dal Presidente Mattarella nel discorso pronunciato all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022) e l’allestimento del sistema di sicurezza collettiva previsto dal capitolo VII dalla Carta delle Nazioni Unite.

Per questo il documento insiste sull’iniziativa politica dell’Ue, dell’Osce e su un’iniziativa politica dell’Onu promuovendo un serio dialogo con la Cina. Il Comitato specifica che “documento è volutamente incompleto perché la ricerca della via della pace è un processo collettivo, un cammino che dobbiamo fare in tanti”. Altro che “resa dell’Ucraina”.

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A Bruxelles è svolta autoritaria, arrivano i muri anti-migranti. Linea dura del Consiglio Ue a difesa delle frontiere e la von der Leyen apre alla costruzione delle barriere

L’Europa ha deciso di diventare ancora più fortezza. Nonostante la retorica dell’accoglienza e le lacrime spese dai leader europei per le povertà, le guerre e la fame del resto del mondo le conclusioni del vertice di Bruxelles sono chiare: “Mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere, dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature”, si legge nel documento finale d’intesa.

Giro di vite

“L’Unione europea rimane determinata ad assicurare il controllo efficace delle sue frontiere esterne terrestri e marittime”, si legge nel documento. Per farlo, “ribadisce il proprio sostegno” a Frontex, l’agenzia europea di guardia di frontiera e costiera che da mesi è sotto il fuoco delle polemiche a causa di una gestione allegra dei fondi e per avere chiuso gli occhi sui respingimenti illegali operati dalla Grecia.

Criticità che sono considerate influenti dai leader europei se è vero che a Frontex viene chiesto non solo di svolgere il “suo compito principale” (protezione delle frontiere esterne, contrasto alla criminalità transfrontaliera e intensificazione dei rimpatri), ma anche di operare nell’ambito degli accordi tra gli Stati dell’Ue e i Paesi terzi per la “cooperazione” nella gestione delle frontiere.

Tolleranza zero

Il documento è un concentrato di disumanità: “Il Consiglio europeo – si legge – ha valutato l’attuazione delle sue precedenti conclusioni, finalizzate allo sviluppo di un approccio globale alla migrazione che combini il rafforzamento dell’azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue e la dimensione interna”, il tutto “nel rispetto del diritto internazionale” (che viene vissuto ogni giorno di più come un fastidioso impedimento, ndr), “dei principi e dei valori dell’Ue” (che a questo punto sarebbe curioso capire esattamente quali siano, ndr) “nonché della tutela dei diritti fondamentali”.

Novità anche sui rimpatri: accettata la proposta dell’Olanda di “introdurre misure restrittive in materia di visti nei confronti dei Paesi terzi che non cooperano” nel riprendersi i migranti giunti illegalmente nell’Ue. È stato trovato anche il grimaldello per disarticolare le leggi internazionali che vietano i rimpatri in Paesi non considerati sicuri: la soluzione sembra essere stata trovata anell’Easa, l’agenzia europea per l’asilo, che dovrà “fornire orientamenti per incrementare il ricorso ai concetti di Paesi terzi sicuri e di Paesi di origine sicuri”. In sostanza ora ci si occuperà di trovare il modo per allargare la schiera dei “Paesi sicuri” con qualche acrobazia giuridica, fregandosene dei diritti umani.

La clausola

Per completare l’opera orribile la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen in conferenza stampa lascia intendere di essere pronta a rivedere la sua posizione sui finanziamenti dei muri (come richiesto dal presidente del Ppe Manfred Weber, dall’Austria e da altri 11 Paesi, tra cui l’Ungheria di Viktor Orban, ma anche il governo di centrosinistra della Danimarca) spiegando che i fondi andranno a “telecamere, strade lungo le barriere per pattugliarle, torrette di sorveglianza, veicoli. Giorgia Meloni esulta e parla di “cambio di passo dell’Ue sulle politiche dell’immigrazione”. Chissà che ne penserebbe Altiero Spinelli di questa Europa.

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Non permettiamo all’Arabia Saudita di usare il calcio per ripulirsi

L’Arabia Saudita ha capito che per completare il suo “rinascimento” ha bisogna del testimonial più influente di tutti, di qualsiasi ex capo di Stato: il pallone. La proposta è da far girare la testa: i sauditi si sono offerti di pagare i nuovi stadi in Grecia e in Egitto se avessero accettato di collaborare a una candidatura.

Il 75 per cento delle partite dovrebbe giocarsi nello Stato del Golfo

L’offerta (dal valore spropositato di diversi miliardi di euro) è stata oggetto di una conversazione privata tra Mohammed bin Salman, il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, nell’estate 2022, secondo un alto funzionario che ne ha parlato con i giornalisti di Politico.eu. Tra le condizioni ci sarebbero il 75 per cento delle partite che dovrebbe giocarsi nello Stato del Golfo. Non è difficile comprendere come dietro un’operazione di questa portata ci sia il disegno, da parte di bin Salman, di creare un asse di alleanze transcontinentali che peserebbe in fase di voto.

Omicidio Khashoggi, archiviato negli Usa il caso contro il principe del'Arabia Saudita bin Salman, che gode dell'immunità.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. (Getty Images)

Contando i voti, la proposta ha forti chance di vittoria

Nel tentativo di convincere i membri dell’organo di governo mondiale del calcio, la Fifa, delle virtù dell’offerta guidata dall’Arabia Saudita, il torneo proposto vedrebbe partite in tre continenti, fornendo un equilibrio geografico che supererebbe lo scoglio di un Mondiale che solo l’anno scorso è stato giocato in Qatar. I principali rivali sauditi sono un’offerta congiunta di Spagna, Portogallo e Ucraina dall’Europa e un’offerta sudamericana di Argentina, Uruguay, Paraguay e Cile. La decisione su chi ospiterà la Coppa del Mondo 2030 è sottoposta a un voto pubblico dell’intero Congresso Fifa, composto da più di 200 associazioni di tutto il mondo. Se i Paesi africani, attratti dalla presenza dell’Egitto e dagli investimenti sauditi in tutta l’Africa, convergono sull’idea di bin Salman e le nazioni asiatiche fanno lo stesso, mentre la Grecia si sottrae ad alcuni voti europei, la proposta guidata dai sauditi avrà forti chance di vittoria.

Dopo boxe e Formula 1, ora ci siamo col calcio

La Coppa del Mondo di calcio sarebbe il culmine dell’ambiziosa strategia del principe saudita che è già riuscito a ospitare incontri di boxe, calcio europeo e la Formula 1. «L’Arabia Saudita sta strategicamente cercando di posizionarsi come un centro afro-eurasiano, il centro di un nuovo ordine mondiale», ha spiegato Simon Chadwick, professore di sport ed economia geopolitica alla Skema Business School di Parigi, a proposito della candidatura saudita per i mondiali. «Questo posizionamento consentirebbe all’Arabia Saudita di esercitare un potere e un’influenza significativi in una vasta area geografica, che sta cercando di raggiungere costruendo relazioni con partner chiave».

Mondiale, come l'Arabia Saudita sta sfruttando gli sforzi del Qatar
Gianni Infantino con Bin Salman e al Thani. (Getty)

Calpestati i diritti di donne e persone Lgbtq+

Ovviamente le organizzazioni umanitarie hanno sottolineato come lo sportwashing (come già avvenuto in Qatar) servirebbe a nascondere un enorme problema di diritti (per per persone Lgbtq+, per le donne e per i lavoratori, solo per fare qualche esempio): «Finché l’Arabia Saudita discrimina le persone omosessuali e punisce le donne per l’attivismo per i diritti umani e non ha protezioni per i lavoratori migranti che costruirebbero la maggior parte dei nuovi stadi e strutture, il Paese non può soddisfare i requisiti sui diritti umani che la Fifa ha già in atto», ha spiegato Minky Worden, direttore di Human Rights Watch.

La ragazza condannata a 34 anni di carcere per aver usato Twitter

Solo ad agosto dell’anno scorso una studentessa saudita che studiava all’Università di Leeds, Salma al-Shehab, è stata condannata a 34 anni di carcere per avere usato Twitter per seguire dissidenti e attivisti con la solita accusa di «mettere a rischio la sicurezza nazionale». Anche in quel caso i soldi però hanno pesato sui diritti: Twitter non prese nessuna posizione sulla questione. Del resto uno dei maggiori investitori (prima dell’avvento di Elon Musk) era il miliardario saudita Prince Alwaleed bin Talal, che possedeva più del 5 per cento di Twitter attraverso la sua società di investimento, la Kingdom Holdings.

Arabia Saudita, donna condannata a 34 anni di carcere per aver usato Twitter
Salma al-Shehab con la sua famiglia.

Arabia diventata strategica per cavi sottomarini e rinnovabili

Bin Salman, tornato nelle grazie dell’Occidente per merito di una crisi energetica innescata dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, ha firmato una serie di accordi bilaterali ad Atene quest’estate, tra cui un nuovo accordo sui cavi dati sottomarini e un accordo sulle energie rinnovabili, impegnandosi a rendere la Grecia un centro energetico per la distribuzione di «idrogeno verde». Negli ultimi anni anche la Fifa si è avviata ai sauditi: Il presidente della Fifa Gianni Infantino ha persino partecipato a una partita di boxe a Jeddah, assistendo all’incontro al fianco del controverso principe ereditario saudita. Rotola il pallone ma dietro, invisibili, si muovono i soldi. Per i diritti al massimo si troverà ancora una volta qualche spazio in uno spot pubblicitario o in qualche cartellone a bordo campo.

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Salvini, Fedez, le foibe e il razzismo. A Sanremo più liti che musica. Si chiude il Festival, ma è sembrato Tribuna politica. Polemiche di ogni genere. Non ci è mancato Zelensky

Le canzoni sono l’ultima cosa. Quello che conta, per certi politici e per certi giornalisti, è innescare polemiche per mettere dentro Sanremo i loro pregiudizi, le loro nevrosi e le loro inettitudini. Ecco il nostro Bestiario sanremese.

Liberi di fare schifo

“Noi le diamo la maglia azzurra, la Egonu ci dà dei razzisti”, titola il quotidiano Libero, riferendosi al monologo della pallavolista Egonu che ha parlato del razzismo in Italia. Solo che quelli di Libero non si sono resi conto di avere confezionato un titolo che è la certificazione in carta bollata del loro razzismo. La divisione tra “noi” e “loro” è un’idiozia che ormai si usa solo nel Ku Klux Klan dove credono che i diritti siano una gentile concessione. A dire il vero è anche l’ideologia di questa destra e di Libero, in effetti. Quindi forse il “noi” sta per “noi razzisti”.

Urca, le foibe!

Dalle parti del governo si sono dimenticati – piuttosto in ritardo – che le foibe tornano sempre utili per fare un po’ di propaganda contro la Giornata della memoria che a loro va sempre di traverso. Così ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani ha usato il Festival di Sanremo per meritarsi qualche spazio sui giornali: “Fa male vedere che anche nella televisione pubblica dello Stato esistono ancora tragedie di serie A e di serie B: trasmissioni in cui si dà voce a tutti ma pare non ci siano 30 secondi per dar voce al dolore e al ricordo delle foibe e dell’esodo dei fiumani, degli istriani e dalmati”, ha spiegato ieri.

Poi ha precisato di non voler “interferire con Sanremo, che – dice Ciriani – dovrebbe essere solo una trasmissione di canzonette ma vedo che è diventato il luogo politico per eccellenza di Italia”. Sempre con questo brutto vizio di scambiare i diritti per “politica”. Politica degli altri, ovviamente.

Niente… gilioli per Gramellini

“Gramellini, forse anche per difendere se stesso, difende Ferragni – o meglio difende il principio secondo cui la banalizzazione è lo strumento più efficace di divulgazione, perché se “parli difficile” non ti ascolta nessuno”, scrive sul suo profilo Facebook il direttore di Radio Popolare Alessandro Gilioli.

Gilioli esprime un concetto che vale per Sanremo ma sta bene su quasi tutto: “Di Ferragni non so. Di Gramellini penso – senza alcun astio, semmai solo con invidia per il suo modello Unico – che abbia un filo esagerato nella ricerca della semplificazione, e non sono sicuro che questo giovi a una società in cui la semplificazione è ormai quasi totalizzante, al limite dell’analfabetismo di ritorno. Rinunciare totalmente a un minimo di “pedagogia della complessità” rischia di diventare una sconfitta sociale, anche se probabilmente giova al successo del comunicatore”.

Roccella di poca Fedez

Il cantante Fedez, ospite a Sanremo, ha tuonato contro i viceministri che si vestono da nazisti e contro la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella. La ministra risponde spiegando che “quelle che passano per contestazioni oggi sono spesso il massimo del conformismo. Mentre a volte dire una cosa di semplice buonsenso diventa un gesto quasi trasgressivo”.

Quello che non capisce la ministra è che le sue dichiarazioni contro l’aborto non sono “trasgressive” ma solo stupide.

La malinconia di Salvini

Ogni pomeriggio Matteo Salvini rilascia dichiarazioni in cui dice di non essere interessato al Festival di Sanremo e che non lo guarderà. Per un misteriosa congiunzione spazio-temporale il giorno dopo commenta le vicende di Sanremo. Ormai è in tilt. Tra poco lo vedremo infilarsi nelle telecamere dietro ai cantanti come un disturbatore qualsiasi

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Affossato pure il bonus psicologo

Il bonus psicologo che tutti avevano largamente elogiato nello scorso governo? Niente, era solo uno scherzo. Nonostante gli indicatori dicano che la questione della salute mentale sia centrale nel nostro Paese il governo decide di affossare il bonus.

Dal governo altro schiaffo ai più fragili. Bocciato l’emendamento per aumentare le coperture da destinare al bonus psicologo

Lo spiega benissimo l’ex parlamentare del Pd, Filippo Sensi, uno degli ispiratori della misura nella scorsa legislatura: “Certo che non è la soluzione – ci dice -. Certo che ci vorrebbero misure stabili e di prospettiva, psicologi di base, nelle scuole, presidi raggiungibili e disponibili nella sanità pubblica. Ma, a fronte della richiesta che si è fatta più acuta, della sofferenza che si è fatta più spessa, dico: non disperdiamo quello che abbiamo ottenuto con il bonus. È stato stabilizzato, è previsto anche per i prossimi anni. Ma la sua dotazione è diminuita molto sensibilmente, da 25 – che erano una goccia nel mare – a solo 5 milioni. L’emendamento del Pd che rimpingua quel fondo e che è condiviso da tutti i gruppi parlamentari non ha avuto l’ok del governo in Commissione. Sconfessando lo sforzo bipartisan dei partiti di maggioranza e di opposizione. E, in sostanza, dicendo: non è una priorità per noi, fatevi bastare il poco che c’è. E senza rinviare ad altre misure che vadano nella direzione della salute mentale e del benessere psicologico delle persone. Ora il Pd riproporrà l’emendamento in aula. Non resta che sperare nel sussulto d’orgoglio dei partiti che dicano al governo questo ci preme, questo ci riguarda, riguarda le persone, le più fragili, le più esposte, cioè noi”.

L’emendamento bocciato nel decreto milleproroghe rischia di diventare un caso politico. Il bonus è un contributo per sostenere le spese di chiunque abbia bisogno di assistenza psicologica, senza limiti di età. L’obiettivo è rispondere ai problemi psicologici, cresciuti a causa dei lockdown dovuti alla crisi pandemica, e favorire l’accesso ai servizi di psicologia e psicoterapia. Nonostante la somma esigua, considerando come milioni di italiani e italiane fruiscano ogni anno di questi servizi, si tratta di un primo passo verso la tutela della salute mentale delle persone da parte dello Stato. Sono più di 395mila coloro che in 3 mesi l’anno scorso hanno fatto domanda per ricevere il contributo dedicato all’assistenza psicologica. Il 60% dei richiedenti è under 35. I fondi previsti però sono bastati solo per accogliere meno di 42mila domande. Sul tema ieri è intervenuto anche il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi.

Il presidente David Lazzari ha spiegato che “Il bonus psicologico deve essere un impegno di tutti, bipartisan. Così come lo psicologo a scuola e quello di base. Perché i problemi psicologici sono sotto gli occhi di tutti e l’aiuto psicologico non può essere un lusso per i pochi che possono permetterselo economicamente. Dopo il mancato sostegno da parte del governo in Commissione, adesso i cittadini si aspettano che nell’aula del Senato tutte le forze politiche supportino questa misura, l’unica messa in campo sinora, con un fondo adeguato. Si tratta di una questione di civiltà e un investimento nel futuro del nostro Paese”.

“Il governo ha detto no all’emendamento al decreto milleproroghe per incrementare il bonus psicologo che era diventato permanente grazie a un’iniziativa del Partito democratico. – dice la presidente dei senatori Pd Simona Malpezzi -. Una misura, molto utilizzata, che ha contribuito al miglioramento del benessere psicologico di tante persone. Ennesimo schiaffo ai più fragili. Presenteremo un emendamento in aula, sperando che il governo non pensi di mettere la fiducia anche in questo caso”.

Leggi anche: “Inadeguata a guidare il Paese. Meloni è solo una bulletta”. Parla il senatore del M5S, Licheri: “In Europa ci ha ridotti a semplici spettatori”

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