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E se dietro il presunto “piano Mattei” ci fosse un vero “piano Descalzi”?

Il dubbio lo propongono quelli di Energia per l’Italia (un gruppo di docenti e ricercatori che si occupa di energia) che senza mezze parole scrive: «Dopo Gentiloni, Conte, Di Maio e Draghi, è toccato questa volta a Giorgia Meloni seguire le orme della diplomazia Eni in Algeria. Risponde a realtà, infatti, che in certe aree a pesare di più siano i buoni uffici dei funzionari di San Donato Milanese piuttosto che l’operato della Farnesina e che il cosiddetto nuovo “Piano Mattei” sia ispirato più dalla visione strategica di Eni e del suo amministratore delegato che del presidente del Consiglio».

Secondo il comitato «la missione di Giorgia Meloni in Algeria è avvenuta a cose già fatte: il Cane a sei zampe “è presente in Algeria dal 1981 ed è oggi la principale compagnia energetica internazionale operante nel Paese”; qui nel corso del 2021 Eni ha prodotto petrolio e condensati per 20 milioni di barili, 1,7 miliardi di mc di gas naturale e 31 milioni di mc di barili equivalenti di idrocarburi. Anche grazie agli accordi siglati con la compagnia di Stato algerina Sonatrach, nel 2023 la produzione di olio di Eni in Algeria raggiungerà la quota record di 43,8 milioni di barili l’anno. Non male per una compagnia che ha fissato al 2050 il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni!».

Spiegano: «Nel corso dell’ultimo anno Eni ha impresso una forte accelerazione allo sviluppo delle sue attività sul suolo algerino: ha avviato un nuovo campo nel Berkin Basin per la produzione di olio e la produzione di due campi a gas del nuovo contratto Berkin Sud, in entrambi i casi in collaborazione con Sonatrach; acquisito le attività di British Petroleum dei più importanti campi produttivi a gas operati da compagnie internazionali in Algeria; annunciato una nuova scoperta onshore nel bacino di Berkin Nord; firmato nuovi contratti per i blocchi 404 e 208; siglato numerosi accordi con Sonatrach». A Eni segue a ruota la “gemella” Snam: questo vale sia per i due memorandum strategici firmati da Meloni e dal presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, sia per le ricadute che le intese produrranno sul territorio italiano in termini di realizzazione di nuove infrastrutture per il trasporto del gas. La prima partnership tra Eni e Snam sui gasdotti tra Algeria e Italia risale al 2021 ed è stata suggellata dalla cessione da Eni a Snam del 49.9% «delle partecipazioni detenute (direttamente e indirettamente) da Eni nelle società che gestiscono i due gruppi di gasdotti internazionali che collegano l’Algeria all’Italia (Ttpc e Tmpc). Eni ci informa che l’operazione si è perfezionata il 10 gennaio scorso. Non alle dichiarazioni rese da Giorgia Meloni in conferenza stampa, quindi, bensì ai contenuti delle interviste rilasciate dall’Ad di Eni, Claudio Descalzi, dobbiamo guardare per comprendere la portata delle nuove intese Italia-Algeria e come si è involuta la politica energetica dell’Italia. Cosa prevede il Piano battezzato dal Governo come “Nuovo Piano Mattei” e che sarebbe invece più corretto denominare “Piano Descalzi”, che intende fare dell’Italia l’hub energetico del Mediterraneo?».

Come precisato nel comunicato stampa ufficiale di Sonatrach, «il primo memorandum di intenti strategici mira a identificare le migliori opzioni per aumentare le esportazioni di energia dell’Algeria verso l’Europa, al fine di garantire la sicurezza energetica supportando al contempo una transizione energetica sostenibile. Si baserà sulla valutazione dei seguenti quattro assi: l’estensione della capacità di trasporto gas esistente, la posa di un nuovo gasdotto per il trasporto di gas naturale e in alternativa idrogeno e ammoniaca blu e verde, la posa di un cavo elettrico sottomarino e l’estensione dell’attuale capacità di liquefazione del gas naturale. Il secondo protocollo di intenti strategici identificherà le opportunità per ridurre le emissioni di gas serra in Algeria e le migliori tecnologie per attuare tale riduzione».

Secondo “Energia per l’Italia”, riletto dalla sponda italiana del Mediterraneo, il primo memorandum si tradurrà in un «ulteriore aumento delle importazioni di gas dall’Algeria dagli attuali 25 miliardi di metri cubi ai 28 del prossimo anno, fino a raggiungere quota 35 miliardi, nella prospettiva di azzerare le importazioni di gas russo dal 2024/2025. Il Piano Descalzi in verità mira a fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa, un ponte tra l’Africa e L’Europa. La partnership italo-algerina è solo uno dei tasselli di cui si compone il mosaico di Eni». Scrivono: «Il comunicato diramato il 23 gennaio da Eni e Sonatrach ha il sapore della beffa, in tutto e per tutto drammaticamente coerente con la campagna di greenwashing e mistificazione che Eni sta finanziando da anni nel nostro Paese: “L’Amministratore Delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’Amministratore Delegato di Sonatrach, Toufik Hakkar, hanno firmato oggi ad Algeri accordi strategici che delineano i futuri progetti congiunti in materia di approvvigionamento energetico, transizione energetica e decarbonizzazione. … Attraverso questi accordi, Eni e Sonatrach identificheranno opportunità per la riduzione delle emissioni di gas serra e di gas metano, definiranno iniziative di efficienza energetica, sviluppo di rinnovabili, produzione di idrogeno verde e progetti di cattura e stoccaggio di anidride carbonica, a supporto della sicurezza energetica e allo stesso tempo per una transizione energetica sostenibile”. In estrema sintesi, parrebbe che Eni e il Governo italiano abbiano individuato un partner privilegiato per lo sviluppo di rinnovabili, l’efficientamento energetico e la produzione di idrogeno verde in un Paese che è decimo produttore al mondo di gas naturale, detentore dell’1,2% delle riserve provate di gas a livello mondiale e di importanti riserve di metano non convenzionale. Quando si dice “il profilo del partner ideale».

«In realtà, vista la marginalità degli investimenti in rinnovabili ed efficienza energetica, Eni è ancora oggi sinonimo di gas e petrolio e tale sarà ancora per molto. Nihil novi sub sole, dunque, se non fosse per il riferimento di Descalzi a certi “colli di bottiglia” che con molta probabilità anticipano una riedizione dello “Sblocca Italia” di renziana memoria e la realizzazione di nuove grandi opere dannose e inutili, che renderanno l’Italia ancor più dipendente dalle importazioni di gas e sempre più esposta agli effetti devastanti della crisi climatica. L’Ad di Eni ha già evocato un piano Gnl ed un piano Gasdotti per il Sud, e non v’è dubbio che il Governo di Giorgia Meloni li farà propri riscrivendo in peggio sia il Piano nazionale integrato energia clima sia il Piano nazionale di ripresa e resilienza, assecondando le richieste di Eni e di Snam. La lista della spesa è nota: raddoppio della linea adriatica; raddoppio del Tap; raddoppio/potenziamento del Trasnmed; autorizzazione del gasdotto Galsi; rilancio del gasdotto Eastmed; 5 nuovi gasdotti per il Sud; nuovi rigassificatori, tra cui uno a Gioia Tauro (Enel) ed uno a Porto Empedocle (Sorgenia e Iren), con le partite dell’idrogeno blu e della cattura/stoccaggio di CO2 tutte ancora da giocare a favore dei “killer del clima”, Eni in testa».

Perché si rallenta Il comitato avanza un’ipotesi: «Le ragioni di un prevedibile rallentamento sono evidenti: le opere fossili dreneranno risorse pubbliche e private sottraendole ai progetti riguardanti rinnovabili ed efficientamento. Non solo. Atteso che, citando Sergio Ferraris, il ritorno sugli investimenti in infrastrutture fossili si compie tra gli 8 ed i 15 anni e che ne occorrono altri 10 per superare “l’inerzia industriale dovuta agli investimenti accessori relativi all’utilizzo del gas naturale negli usi finali”, ove attuato il Piano Descalzi renderebbe l’Italia dipendente dalle fonti fossili fino al 2048. In ultimo e non per ultimo, l’eventualità che, superata l’emergenza gas, l’eccesso di offerta di rispetto a una domanda in contrazione possa far precipitare il prezzo del chilowattora elettrico prodotto da gas al di sotto di quello “rinnovabile”. Tirando le somme, a chi giova, dunque, il Piano Descalzi?».

Buon martedì.

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Calenda, il piccato incompetente

Vale la pena rileggere lo scambio avvenuto ieri su Twitter tra Luca Di Bartolomei (consulente nel settore dell’energia dei servizi, impegnato da tempo nella divulgazione dei pericoli delle armi) e Carlo Calenda, frontman del cosiddetto Terzo polo che vorrebbe essere il polo della competenza e della serietà.

Vale la pena rileggere lo scambio su Twitter tra Luca Di Bartolomei, impegnato da tempo nella divulgazione dei pericoli delle armi e Calenda

Di Bartolomei riprende uno dei tanti interventi televisivi in cui Calenda si pavoneggia da esperto di geopolitica e scrive: “Calenda ha la preparazione culturale, politica o in questo caso geografica di un Di Maio o un Di Battista. Solo nato ai Parioli”. Passa poco tempo e Calenda accorre trafelato e piccato: “Luca non ho mai capito la tua feroce avversione per me. Immagino che sia un hobby come un altro. Mi spieghi però esattamente gli errori storici o di altro tipo? Così tanto per circostanziare la boutade”. Già dalla prima risposta appare evidente la solita strategia del populismo da terzo polo: il vittimismo.

Di Bartolomei gli risponde: “Carlo nulla di personale ma rappresenti buona parte dei problemi di questa presunta sinistra volendo passare per competente ma inanelli solo gaffes. Qui nello specifico: Kaliningrad è russa, la Transnistria non è riconosciuta ed è uno stato fantoccio e la Moldavia non è Nato. se questa serie di inesattezze un tanto al kg le avessero esclamate dei 5stelle avreste suonato la gran cassa Ma la cosa drammatica è che perlopiù siete quasi tutti una manica di impreparati in un momento drammatico della storia del paese”. Essendo il polo della serietà ci si aspetterebbe di avere una risposta nel merito. Sì, ciao.

Sentite bene Calenda: “Ok Luca. Inutile discutere. Passi troppo facilmente il limite della maleducazione e non mi va di litigare con il figlio di Agostino Di Bartolomei anche quando si comporta da cafone. Pace e bene”. Dentro c’è tutto: il non rispondere, il non sapere ma fingere di essere esperti, il vittimismo e il buttare la palla in tribuna. In più Calenda ci mette dentro “un figlio di” (Luca Di Bartolomei è figlio di Agostino, celebre capitano della Roma). Roba da pelle d’oca.

E infatti Di Bartolomei risponde: “Vedi Carlo quale è il problema Fai la vittima, provi ad eludere il tema della superficialità delle tue risposte/proposte tentando di delegittimare l’interlocutore (peraltro su un piano sbagliatissimo) E cmq se non scappi sempre pronto a dibattere con te su un tema a tua scelta”.
Calenda fa il Calenda e insiste: “ti stai attaccando a questo?”, scrive piccatissimo.

Di Bartolomei chiude la discussione con due tweet che da soli sono un editoriale: “Carlo non mi attacco a nulla perchè hai dato prova dozzine di volte di essere politicamente impreparato e superficiale sui temi Vogliamo parlare del tuo piano nucleare? O di tutte le volte che hai detto peste e corna dei navigator salvo poi fare marcia indietro? Sei diventato un personaggio mediatico e basta. E questo lo dico con dolore visto che comunque delle doti le avresti. Politicamente parlando la tua fortuna è che quelli del @pdnetwork sono delle seghe inenarrabili. Comunque occhio che sulla vigilanza rai ti hanno raggirato”.

Calenda risponde? Ma va. Lascia liberi i suoi seguaci di azzannare il nemico e intanto rispondendo, con la solita strategia, a tutti quelli che commentano stupefatti l’episodio. È una storia piccola, di pochi minuti, assolutamente irrilevante, accaduta su Twitter ma rivela la natura di Calenda e del sedicente Terzo polo. Sta tutto qui.

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Oggi l’Italia regala un’altra motovedetta alla cosiddetta Guardia costiera libica

Si terrà oggi a Adria, in provincia di Rovigo, presso il Cantiere navale Vittoria, la cerimonia di consegna alle Autorità libiche di una motovedetta “classe 300 “di nuova fabbricazione, nell’ambito del progetto europeo Sibmmill (Support to integrated border and migration management in Libya). Lo riferisce una nota informativa congiunta dei ministeri degli Esteri e dell’Interno. Lo scorso 28 gennaio, in occasione della visita in Libia del presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Tripoli, i ministri Tajani e Mangoush hanno firmato un memorandum d’intesa che disciplina la consegna di cinque imbarcazioni alla Guardia costiera libica. Si tratta in particolare di due motovedette classe “Corrubia” (simili a quelle già in dotazione della Guardia costiera libica) e tre motovedette “classe 300” di nuova fabbricazione. Le motovedette classe 300 sono specializzate per le attività di salvataggio a mare (Search and Rescue, Sar); si tratta di una tipologia di imbarcazione già in uso alla Guardia costiera italiana.

La fornitura si inquadra nell’ambito del progetto europeo Sibmmil finanziato dal fondo della Commissione “Trust Fund Africa” di cui l’Italia è il principale soggetto attuatore attraverso il ministero dell’Interno. Il progetto, avviato nel luglio 2017, mira a rafforzare la capacità delle autorità libiche competenti nei settori della gestione delle frontiere e della migrazione, compresi il controllo e la sorveglianza delle frontiere, la lotta al contrabbando e alla tratta di esseri umani, la ricerca e il salvataggio in mare e nel deserto.

Gli obiettivi finti del progetto sono: rafforzare la capacità operativa delle autorità libiche competenti nella sorveglianza marittima, affrontando gli attraversamenti irregolari delle frontiere, compreso il rafforzamento delle operazioni Sar e dei relativi compiti di guardia costiera; allestire strutture di base per consentire alle guardie libiche di organizzare al meglio le operazioni Sar, di sorveglianza e controllo delle frontiere; assistere le autorità libiche interessate nella definizione e dichiarazione di una regione Sar libica con adeguate procedure operative standard Sar, compreso il completamento degli studi per sale operative a pieno titolo; sviluppare la capacità operativa delle autorità libiche competenti nella sorveglianza e nel controllo delle frontiere terrestri nel deserto, concentrandosi sulle sezioni dei confini meridionali maggiormente interessate dagli attraversamenti illegali.

Concretamente, senza troppi giri di parole, le nuove motovedette serviranno agli sgherri libici travestiti da Guardia costiera per accalappiare i disperati (che spesso pagano scafisti in combutta proprio con la cosiddetta Guardia costiera libica) per riportarli nelle prigioni libiche che l’Onu e le più importanti organizzazioni umanitarie hanno già bollato come illegali e infernali.

Complimenti. Buon lunedì.

Nella foto: una motovedetta della Guardia costiera “classe 300”

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Polemica gender di FdI a Sanremo. Alliva: “Polverone per coprire guai peggiori”

Simone Alliva, giornalista e scrittore e attivista LGTIBQ+. Tra i suoi ultimi libri Caccia All’Omo (2020) e Fuori I Nomi! (2021).
Che cosa ne pensa dell’ultima polemica di Fratelli d’Italia su Sanremo e sul presunto “Jen der Floyd”?
“Sembra il perfetto esempio di polemica inesistente usata come diversivo. Si agita per ottenere – con successo – la reazione pavloviana di chi si indigna e tiene banco. Si oscurano temi come la giustizia, i migranti, le inflazioni. Ma bisogna concentrarsi bene. In realtà questa uscita è il sigillo. Certifica l’assorbimento da parte di questa destra delle lotte anti-lgbt e anti-scelta. Nella storia della politica italiana, dopo i nostalgici del duce, l’arrivo dei Pro-Vita in Parlamento ha segnato l’evoluzione della destra: dopo i tre modelli di destra italiana (mussoliniana, dorotea, berlusconiana) c’è questa anti-scelta. Maddalena Morgante viene da quel mondo fatto di bufale e diritti negati”.

Qual è lo stato dei diritti con il Governo Meloni?
“Questo è un governo che soffoca i diritti con garbo e intelligenza. Da un punto di vista di potere guardiamo alla scelta di ministri e sottosegretari: vengono dal mondo fondamentalista cattolico. Su Roccella, Fontana è stato scritto di tutto ma occhio su chi resta nell’ombra: Alfredo Mantovano, assiduo frequentatore e punto di riferimento del mondo pro-life, sottosegretario alla Presidenza, paragonava le unioni civili ai lager. Una volta entrati nelle stanze dei bottoni hanno aperto i Palazzi ai negazionisti. I primi di dicembre le associazioni CitizenGo Italia e Non Si Tocca La Famiglia sono stati ricevuti al Ministero dell’Istruzione. A fine anno Jacopo Coghe di Pro-Vita ha incontrato il ministro Valditara per consegnargli un dossier anti-gender e anti-LGBT. Il 2 febbraio a Montecitorio si è tenuto un incontro tra negazionisti del clima e negazionisti dei diritti, dal titolo “Custodire l’ambiente, custodendo l’uomo”. Mai questi gruppi, le cui istanze sono esplicitamente illiberali, avevano raggiunto un tale livello di accesso alle istituzioni”.

Giorgia Meloni continua a rassicurare le associazioni, nonostante anche nei progetti di legge sia evidente una certa piega da parte dei parlamentari dei partiti di maggioranza. È un gioco dei ruoli?
“Il gioco di questo governo si chiama “A titolo personale”. Ogni volta che spunta una proposta di legge orrenda che punta a cancellare o limitare un diritto acquisto (il diritto all’aborto o all’autodeterminazione delle persone trans) scoppia la polemica e il Governo corre ai ripari giustificandosi: “è stata presentata titolo personale”. Quindi o Meloni non riesce a governare i suoi oppure, e ne sono convinto, è una pantomima. Secondo lei può esserci davvero un attacco ai diritti civili fondamentali nel corso di questa legislatura Quando tu lasci morire le persone in mare, ti muovi per bloccare le carriere Alias nelle scuole, ripeti in tutti i salotti televisivi che le famiglie arcobaleno non esistono, cosa fai? L’attacco è in corso. Sparano con il silenziatore. E sono passati solo cento giorni, hanno cinque anni davanti per trasformare l’Italia nella Russia di Putin”.

Come valuta l’opposizione?
“Non vedo un’opposizione ma un’orchestra di flauti. Il Pd parla di mozioni, tessere, primarie. Di nulla. Altri pensano di poter fare opposizione tramite card social, dirette Instagram con influencer invece che dentro le Aule. Patetici. Ma l’opposizione non è solo politica. Anche mediaticamente ci troviamo circondati da una stampa scarsa che somiglia a una batteria di mortaretti e Meloni decide di azionarla per accreditare la propria immagine di leader simpatica, brava e competente. L’opposizione è da ricercare nelle piazze e nei movimenti civili”.

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Scendono in campo i signori delle tessere Pd

Che ormai si sia nel pieno della prima fase del congresso del Pd, quella tra gli iscritti del partito che voteranno 2 dei 4 candidati (Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli) si nota dalle polemiche sulle tessere che cominciano ad accendersi. Ieri al Nazareno si è parlato di migliaia di iscrizioni a rischio di invalidamento. Solo a Napoli sarebbero un migliaio su un totale di seimila, dicono alcune fonti parlamentari del Pd.

Nel Pd è boom di iscrizioni pro Bonaccini. E c’è chi chiede lo stop dei congressi locali. Il governatore emiliano favorito al primo turno.

“È un caos tale che non si capisce ancora quanto sia largo”, spiega un parlamentare dem. Un quadro confuso soprattutto a Salerno ed Avellino, federazioni su cui si stanno concentrando in queste ore le verifiche. A far emergere il caso è stato il nuovo sistema di tesseramento online che rende tracciabili le operazioni. Sulla carta, si possono sottoscrivere fino a tre tessere per volta con una unica carta di pagamento. “Ma c’è stato chi si è creduto più furbo della piattaforma online del Pd, usando carte che riconducevano ad un unico conto fino a ottanta volte”.

Sandro Ruotolo chiede che si blocchino i congressi locali, l’altro ieri era stata Susanna Camusso (eletta in Campania) dal palco, in un comizio a Caserta con la candidata segretaria, a tirare fuori la questione puntando il dito contro il presidente del consiglio regionale campano, Gennaro Oliviero, sostenitore di Stefano Bonaccini.

“Ho letto che a Sessa Aurunca, proprio il paese natio di Oliviero, c’è stato un boom di tesseramenti”, ha detto Camusso. Oliviero si dice “basito” e lega l’aumento di tessere alla “speranza nella ventata di novità” rappresentata da Bonaccini. Schlein va all’attacco e nel filo diretto a Radio Immagina, ha rilanciato la questione: “Abbiamo letto di tesseramenti gonfiati, abbiamo fiducia nel lavoro delle commissioni congresso. Noi siamo altro, non accetteremo i soliti giochi, i pacchetti di tessere e i signori delle tessere. È questione di cambiare metodo. Da qui passa una credibilità diversa in alcuni territori in cui il partito è diventato una rincorsa al potere per il potere”.

Bonaccini, dal canto suo, ribadisce la richiesta di “trasparenza e rigore”: “se qualcuno sbaglia, bisogna essere capaci di intervenire in maniera radicale. Ci sono le commissioni preposte e laddove c’è qualche anomalia, quell’anomalia va immediatamente perseguita e risolta, non solo in Campania ma in tutta Italia”.

I congressi dei circoli e le polemiche annesse indicano che i “signori delle tessere” (di cui il Partito democratico non è mai riuscito a liberarsi) sono scesi in campo. Non è difficile capirne la strategia: sembra ormai scontata la vittoria in questa prima fase di Bonaccini su Schlein, prima del confronto nelle primarie aperte a tutti, dove invece il divario è meno scontato.

“Se Bonaccini vincerà di molto sarà facile depotenziare Schlein nella fase successiva – sussurra un senatore dem – perché perfino nel caso in cui a vincere alla fine fosse lei non riuscirebbe mai a prendere la guida reale del partito e della macchina interna”. Anche per questo il comitato di Elly Schlein in questi ultimi giorni ha convogliato le sue energie per convincere più gente possibile a iscriversi al partito senza aspettare la seconda fase, quella delle primarie.

“Sta crescendo l’onda. Percorro cinque Regioni in due giorni, giro da anni, 20mila persone si sono iscritte alla mia pagina. Il Pd ha 60mila iscritti. Se questi primi 20mila sostenitori registrati votano, e crescono, cambiano i rapporti di forza delle vecchie correnti”, ha detto ieri Schlein. Il rischio, per l’ennesima volta, è che il congresso non finisca mai. Nel momento in cui si ufficializzerà un vincitore le correnti che avrebbero dovuto scomparire sono pronte a scorrere ancora.

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Il colera in Etiopia e le epidemie degli altri che non ci interessano

È tornato il colera. Non è un film. Un’epidemia di colera sta colpendo le regioni dell’Oromia e dei Somali, in Etiopia, con almeno 1.055 casi comunicati da settembre 2022 e 28 decessi. Solo nell’ultimo mese sono stati segnalati più di 316 casi nelle due regioni, un balzo del 30 per cento rispetto ai 739 casi di fine dicembre 2022, con un milione di persone a rischio di malattia nella stessa area del Paese. Secondo le autorità sanitarie, si registrano anche picchi di casi di morbillo (357 nuovi casi e sei decessi segnalati solo nell’ultima settimana di gennaio).

La gente si ammala perché beve acqua di fiume

L’allarme lo lancia Save the Children che segnala come le epidemie di morbillo e colera rappresentino una minaccia mortale per i 3,9 milioni di bambini già gravemente malnutriti. Mentre i rubinetti si prosciugano, molte famiglie combattono per avere acqua pulita da usare a casa. Le autorità sanitarie del Paese hanno sottolineato che oltre l’80 per cento dei pazienti ricoverati per colera ha consumato acqua di fiume. «In Etiopia più di 13 milioni di persone, tra cui 6,8 milioni di bambini, hanno un disperato bisogno di acqua potabile. È probabile che la situazione peggiori man mano che il Paese entri nella stagione secca di gennaio-marzo. Le previsioni dicono che le precipitazioni ad aprile, nella prossima stagione delle piogge, saranno inferiori alla media», scrive l’organizzazione.

Il colera in Etiopia e le epidemie degli altri che non ci interessano
In Africa c’è ancora l’epidemia di colera. (Getty)

Allarme su siccità e crisi alimentare

Il mese scorso Save the Children ha diffuso l’allarme sulle siccità causate da cinque fallite stagioni delle piogge che hanno lasciato 12 milioni di etiopi a far fronte alla fame, mentre il conflitto e lo sfollamento forzato aggravano la crisi alimentare nel Paese. Ciò sta causando anche una diffusa malnutrizione, con 3,9 milioni di bambini gravemente malnutriti in tutto il Paese, che rappresentano circa la metà delle persone che soffrono di malnutrizione in tutto il Corno d’Africa. Nelle regioni dei Somali e dell’Oromia dell’Etiopia, madri sconvolte stanno arrivando nei centri di stabilizzazione della malnutrizione di Save the Children con bambini che mostrano gravi sintomi e complicanze causate dalla malnutrizione. A metà gennaio di quest’anno, il Kelafo Health Center aveva ricoverato 18 bambini affetti da grave malnutrizione acuta, tre in più rispetto a tutto il gennaio 2022, questo indica un peggioramento della situazione in Etiopia.

I focolai per colpa delle salme delle vittime

«In Etiopia, più di due terzi dei malati di colera sono bambini. La maggior parte di coloro che sono morti sono bambini di età inferiore ai 14 anni, con il 25 per cento di loro sotto i cinque anni». Intanto anche in Mali si sta consumando la peggiore epidemia di colera degli ultimi anni. I morti hanno già superato quota mille, mentre i contagi, secondo il ministro della Sanità del Malawi, Khumbize Chiponda, sarebbero oltre 30.600. Il ministro della Sanità del Paese, Khumbize Chiponda, ha chiesto alla popolazione di prestare la massima attenzione nel maneggiare le salme delle vittime di colera prima dei funerali. Le persone morte a causa dell’epidemia, vengono quasi sempre lavate dai membri della famiglia che poi preparano banchetti funebri. «Ed è così che nascono sempre nuovi focolai», ha aggiunto la Chiponda.

Il colera in Etiopia e le epidemie degli altri che non ci interessano
Colera nei Paesi dell’Africa. (Getty)

Non basta la campagna di immunizzazione

La maggior parte dei decessi si è verificata nelle due città principali, a Lilongwe, la capitale del Malawi, e a Blantyre, dove i bambini sono tornati in classe solo recentemente. Le scuole hanno ritardato il rientro proprio per cercare di contenere la diffusione dell’epidemia. La campagna di immunizzazione è stata intensificata a novembre 2022, grazie all’invio da parte dell’Onu di quasi 3 milioni di dosi di vaccino orale. Malgrado ciò, i casi sono in costante crescita e le scorte ricevute alla fine del 2022 sono ormai esaurite, dunque è impossibile procedere con la prevenzione. Il portavoce del ministero della Sanità, Adrian Chikumbe, ha spiegato che è molto difficile ottenere nuovi vaccini contro il colera, visto che in tutto il mondo viene prodotto da una sola ditta che lo distribuisce ovunque quando occorre e quando c’è richiesta.

Noi continuiamo a ripetere che la pandemia è finita

Si leggono queste notizie e si pensa: per fortuna da noi la pandemia è finita. Invece la pandemia è continua e ossessiva in forme diverse in giro per il mondo e diventa notizia solo quando si infila a casa nostra. Siamo globali quando bisogna lasciare passare i soldi e le merci e diventiamo locali quando si tratta di far passare i bisogni. Ma non preoccupatevi: finché non muore qualche italiano, imprenditore o safarista di ritorno da un viaggio, queste notizie non infrangono il muro delle redazioni e del dibattito. Rimangono relegate per gli “attivisti” (che è il nuovo nome dei non indolenti) e per riempire le pagine degli esteri. Torna anche comodo metterle sotto la sezione “Africa”. Guai poi a ricordare che è la stessa Africa che bussa alle nostre porte: dircelo rovinerebbe la narrazione e magari anche l’appetito.

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In Lombardia l’emergenza abitativa è fuori controllo

Tra le candidate del Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni regionali si distingue, per quanto riguarda la tematica delle politiche giovanili, Veronica Iannone: attualmente collaboratrice parlamentare M5S presso la Camera dei Deputati e docente a contratto presso l’università privata Limec, precedentemente docente di sostegno.

Perché si è avvicinata al Movimento 5 Stelle?
“Ho da sempre nutrito una simpatia per il Movimento 5 Stelle, sin da quando ha mosso i suoi primi passi sulla scena politica italiana. Il motivo principale per cui mi sono avvicinata è che il Movimento, finalmente, permetteva di ritornare a parlare della politica come servizio verso i cittadini e non come professione: situazione di fatto che ha allontanato molti giovani della politica, finendo per rinfoltire le file dell’astensionismo. Oggi sono in prima linea per dare voce a tutti, soprattutto, ai giovani lombardi e ai problemi che vivono ogni giorno”.

A proposito di problemi legati ai giovani, cosa possiamo dire a un ragazzo che vorrebbe trasferirsi nel capoluogo lombardo e che deve necessariamente fare i conti con un costo della vita sempre più alto e con affitti proibitivi?
“Una tematica importantissima con cui la gioventù lombarda, e in particolar modo milanese, si confronta spesso è la ormai tristemente nota bolla immobiliare milanese. Una stanza in città è arrivata a costare tra i 600 e i 700 euro al mese (finanziariamente insostenibile per un giovane che vuole essere indipendente dai genitori), e purtroppo gli stipendi di molti ragazzi sono rimasti ancorati a cifre ormai passate. Bisognerebbe andare incontro ai giovani, argomento di cui il centrodestra si è totalmente disinteressato. Occorre, da parte di Regione, un’inversione di marcia rispetto alle politiche abitative”.

Un altro tema scottante per i giovani è tutto il settore inerente ai trasporti pubblici, che ne pensa della situazione lombarda
“Se al costo degli immobili, degli stipendi bassi e del carovita aggiungiamo il costo dei mezzi di trasporto pubblico, diventa per un giovane insostenibile vivere in più città della Lombardia. La nostra proposta è quella di garantire agli under 25 il trasporto gratuito, operazione che non deve essere vista come una spesa pubblica ma un investimento verso le nuove generazioni”.

Qualche settimana fa ha sottoscritto i 7 punti di Wikimafia per i candidati alle Regionali. Perché è importante farlo?
“Ritengo che in un paese come l’Italia in cui vi sono realtà socialmente molto complesse, non si debba mai abbassare la guardia in tema di legalità e sicurezza. Sono davvero fiera di aver sottoscritto, sin da subito, i 7 punti di Wikimafia e credo anche che ogni forza politica che si rispetti debba fare uno sforzo in questo senso. Viviamo in un’epoca politica in cui non bisogna assolutamente dare nulla per scontato, tenere alto il senso civico, i valori essenziali della nostra Costituzione e difendere la gestione limpida e trasparente della Cosa Pubblica, devono rimanere priorità dell’agire politico di ogni candidato ed eletto”.

Le cronache di questi giorni ci dicono come sia importante investire sulla salute mentale, lei che ne pensa
“A livello regionale la figura dello psicologo di base è stata accantonata dalla stessa maggioranza in Commissione Bilancio. Il centrodestra ha deciso di non investire in prevenzione e tutela della salute mentale, tutto ciò è vergognoso. il mio auspicio è che si lavori in maniera più seria e strutturata superando anche le bandiere politiche”.

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Buon compleanno, memorandum Italia-Libia

ActionAid ha messo un po’ d’ordine. Ieri si è rinnovato per altri tre anni il Memorandum di Intesa tra l’Italia e il Governo di accordo nazionale libico firmato nel 2017 dall’allora Presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, e Fayez Mustafa Serraj, Presidente del Consiglio Presidenziale.

L’intesa – mai passata dalla ratifica del Parlamento e concepita come estensione del primo Trattato di Amicizia tra i due Paesi siglato nel 2008 dal Governo Berlusconi – ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi al fine di aumentare la capacità del Paese nordafricano di fermare i flussi migratori verso l’Unione Europea. Un accordo di appena quattro pagine – si legge nel comunicato The Big wall di ActionAid – dove l’Italia si impegna a fornire mezzi, strumentazione, supporto tecnico e formazione alle autorità libiche preposte al controllo delle frontiere marittime e terrestri per aumentare la loro capacità di presidiare, intercettare e respingere i migranti in viaggio, in particolare verso le coste italiane.  

Nel quadro di questa rinnovata intesa, l’Italia, con il sostegno economico e politico dell’Ue, ha in questi anni destinato poco più di 124 milioni di euro per la fornitura di mezzi navali e terrestri, di motori, di strumentazione satellitare, di corsi di formazione, oltre che per la rimessa in efficienza di imbarcazioni e la fornitura di moduli abitativi per la creazione di un sistema integrato di controllo delle frontiere marittime e terrestri in Libia. Si tratta di una stima al ribasso realizzata dall’osservatorio sulla spesa esterna in migrazione dell’Italia, The Big Wall, di ActionAid. Una spesa difficile da monitorare, sia per la complessità nelle modalità di gestione, sia per i continui silenzi e dinieghi che le Pubbliche Amministrazioni coinvolte, in particolare Ministero dell’Interno e Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, antepongono alle continue richieste di accesso alla documentazione di dettaglio relativa ai progetti. Sullo sfondo un Parlamento che non ha mai svolto quella necessaria funzione di controllo sulla spesa che, secondo ActionAid, andrebbe estesa anche al merito delle attività finanziate, in particolare con riferimento alle conseguenze sui diritti umani delle persone migranti.  

Oltre ai costi monetari quel memorandum ha un costo umano e politico di cui gran parte della politica sembra non farsi carico. Non è meramente una questione di politiche di immigrazione, qui si tratta di un accordo con pezzi criminali ritenuto salubre per la nostra sicurezza e la nostra democrazia. Mentre la politica ieri discuteva su presunte vicinanze “mafiose” per la visita in carcere di alcuni parlamentari a pochi è venuto in mente di una vicinanza criminale, per niente presunta, a acclarati mafiosi travestiti di volta in volta da diplomatici o da ufficiali della cosiddetta Guardia costiera libica.

Perfino il compleanno di un accordo così sanguinoso è passato sotto silenzio come se fosse un male necessario. Anzi, abbiamo fatto di più: qualche giorno fa abbiamo regalato alla Libia cinque nuove motovedette fiammanti per attrezzare i criminali nell’azione di recupero di chi vorrebbe sfuggire dalla violenza delle prigioni libiche.

Buon venerdì.

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Migrantes accusa il Governo. Discrimina chi entra nel Paese

Il primo punto che ogni volta tocca ribadire è che la gente si sposta, da sempre, e si sposterà per sempre. Nel 2021 il numero di migranti internazionali è stimato intorno ai 281 milioni di persone. Parliamo del 3,6% della popolazione mondiale. Due terzi di loro si spostano per motivi di lavoro. Cento milioni di loro sono migranti forzati, persone che non “scelgono” di partire ma che “devono” partire per occuparsi della propria sopravvivenza.

Migrantes accusa il Governo sulla gestione dei migranti: “Solidali con gli ucraini e discriminanti con altri”

La fondazione Migrantes (che questi presunti cattolicissimi membri del governo dovrebbero leggere tutti i giorni, esse un autorevole e importante organismo pastorale della Cei) l’aveva scritto già a dicembre e ieri l’ha ripetuto presentando a Parma il report sul Diritto d’asilo in Italia nel 2022 (Un’Unione europea e un’Italia “sdoppiate”), nel quale le curatrici Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti denunciano fin dall’introduzione: “Solidali con gli ucraini e discriminanti e in violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali con altri. Per qualcuno le frontiere sono aperte, mentre per altri non lo sono nemmeno i porti dopo un naufragio. A essere a rischio è lo stesso diritto d’asilo e persino lo stato di salute delle nostre democrazie”. 2022, l’anno in cui la guerra d’Ucraina nel giro di poche settimane ha disperso nel cuore d’Europa rifugiati e sfollati a milioni, come non si vedevano dai tempi della Seconda guerra mondiale.

L’anno già difficile in cui l’Europa ha saputo accogliere milioni di profughi senza perdere un decimale in benessere e “sicurezza” (oltre 4,4 milioni le persone registrate per la protezione temporanea solo nell’Ue fino all’inizio di ottobre). Ma anche l’anno in cui la stessa Unione e i suoi Paesi membri hanno fatto di tutto (hanno continuato a fare di tutto) per tener fuori dai propri confini, direttamente o per procura, ora decine di migliaia, ora migliaia, ora poche centinaia o decine di migranti e rifugiati altrettanto bisognosi di protezione (se non ancora più fragili): è avvenuto dalla Grecia a tutti i Balcani, dalla Libia alla frontiera con la Bielorussia, dalle enclave spagnole sulla costa africana alle acque mortifere del Mediterraneo e dell’Atlantico sulla rotta delle Canarie fino, ultima “novità” dell’anno, ai moli dei porti italiani.

Cioè quelli di un Paese i cui governi di ogni colore ripetono da anni che l’«Italia non può fare tutto da sola», ignorando le statistiche sui rifugiati presenti nei Paesi europei che l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, aggiorna ogni semestre. Alla fine dello scorso giugno, ormai nel pieno della crisi umanitaria ucraina, vivevano in Italia poco meno di 296 mila “rifugiati” (cioè rifugiati in senso stretto e persone con protezione complementare o temporanea, e quindi profughi ucraini inclusi: la cifra equivale a cinque persone ogni mille abitanti). Però alla stessa data i rifugiati in Francia erano 613 mila e in Germania addirittura 2.235.000.

“Viene così da chiedersi – scrivono le curatrici – chi dovrebbe prendersi i migranti da chi, per restare al livello dell’attuale “dibattito” nell’Ue. (Piuttosto, occorrerebbe discutere del fatto che le persone che sbarcano sulle nostre coste, a differenza di molte altre che chiedono protezione nell’Europa continentale, devono essere prima salvate da un mare pericoloso con missioni di soccorso degne di questo nome e dovrebbe essere loro risparmiato l’inferno di Libia: qui sì, è vero che l’Italia non può farcela da sola).

Leggendo i numeri ci si rende conto che il polverone sollevato dal Governo non abbia nulla a che vedere con la realtà

Con i numeri in mano ci si rende conto di quanto il polverone sollevato (com’era prevedibile) da Piantedosi e dal governo non abbia nulla a che vedere con la realtà. I migranti continuano a essere solo un grimaldello di comunicazione. Nel XXXI rapporto di Caritas e Migrantes sull’immigrazione si legge: “prima con la riconquista talebana del potere in Afghanistan e in seguito con la guerra in Ucraina, l’accoglienza è tornata ad essere una tematica di rilievo nel racconto mediatico della mobilità. Si tratta di un ambito che nella narrazione del fenomeno immigratorio in Italia ha sperimentato fasi anche molto diverse fra loro, in concomitanza con momenti differenti della storia politica e sociale del Paese (2013-2017, 2018-2021, 2022)”.

Come sottolinea il rapporto “il rinnovato spirito di accoglienza non rappresenta, però, una novità, bensì la logica conseguenza di diversi fattori che da anni caratterizzano la narrazione della mobilità, fra i quali la perdurante visione delle migrazioni come fenomeno esclusivamente emergenziale. In Italia molta parte dello storytelling vive ormai da anni di “emergenze”, con un netto incremento nel tempo della pandemia.

Un cambiamento è tanto più necessario ed urgente se si considera che la maggior parte delle realtà che oggi si trovano ad operare per il dialogo interculturale privilegia l’uso dei media, della cultura e delle arti performative non per una “gestione dell’emergenza” quanto piuttosto come supporti per documentare e valorizzare le storie di vita di cui sono portatrici le persone migranti (41%) e per facilitare l’inclusione sociale a medio termine (31%) e nuove forme di convivenza tra cittadini italiani e non (20%)”.

Dopo la bocciatura del Consiglio Ue, arrivano i rilievi sul decreto Ong dell’Associazione per gli studi giuridici dell’immigrazione

Inventarsi norme illegittime e che non risolvono il problema è solo propaganda. Mentre il Consiglio Ue mette nel mirino il decreto Ong del governo italiano, altri rilievi contro il provvedimento del ministro Piantedosi arrivano da Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici dell’immigrazione) sottolinea come “il decreto legge 1/2023 non può essere convertito, nella consapevolezza che il Parlamento deve avere che esso viola la Costituzione”.

Le soluzione, se si avesse voglia di applicarle, sono sempre le stesse: introdurre canali regolari di ingresso (visti per ricerca lavoro, per lavoro, per asilo, ecc.) e predisporre, unitamente all’Unione europea, un piano di evacuazione delle persone migranti dalla Libia, ove è acclarata la sistematica violazione di diritti umani con violenze, torture, trattamenti inumani e degradanti, stupri ed estorsioni.

 

Leggi anche: Dirottati a La Spezia per finire a Foggia. Piantedosi si accanisce sui migranti. Dopo lunghi giorni in mare, quasi 800 chilometri in pullman

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Studenti arruolati alla base di Sigonella

Sarà questa aria di guerra che rintuzza il ministro Guido Crosetto e tutto il governo, sarà che l’alternanza scuola-lavoro deve essere lacrime e sangue come teorizzano alcuni nel Parlamento ma non può non destare stupore che alcune scuole superiori siciliane abbiano deciso di tenere gli stage all’interno della base militare di Sigonella.

Alcune scuole superiori siciliane hanno deciso di tenere gli stage all’interno della base militare di Sigonella

La notizia l’ha scovata Antonio Mazzeo, giornalista sempre attento a questioni di militarismo e affini, che racconta come 350 studenti di sette istituti superiori per lo svolgimento della famigerata alternanza scuola-lavoro accederanno alla principale base aeronavale delle forze armate italiane, Usa e Nato nel Mediterraneo che da quando è scoppiato il sanguinoso conflitto in Ucraina ha assunto un ruolo chiave nelle operazioni alleate di cobelligeranza a fianco dei militari di Kiev e di “contenimento” delle unità di terra, navali e subacquee russe.

“A seguito di autorizzazione da parte delle Superiori Autorità, il Comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica Militare (colonnello pilota Emanuele Di Francesco) è stato delegato alla sottoscrizione del Pcto – Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (come oggi si chiama l’alternanza scuola-lavoro), da tenersi all’aeroporto di Sigonella nel periodo marzo/maggio 2023, a favore di studenti degli Istituti del comprensorio”, riporta una nota della Difesa.

L’elenco delle scuole “premiate” comprende l’Itas “Arturo Ferrarin” (indirizzo aeronautico) di Catania; l’Itca “Fabio Besta” (aeronautico e commerciale) di Ragusa; l’Isis “Duca degli Abruzzi” (nautico) di Catania; l’Itt “Ettore Majorana” (aeronautico) di Milazzo, Messina; l’Iiss “Benedetto Radice” di Bronte, Catania; l’Iiss “Francesco Redi” di Paternò, Catania e l’Iiss “Ettore Majorana” (ancora una volta indirizzo aeronautico) di Gela, Caltanissetta.

“Allo scopo di dare la giusta sensibilità comunicativa all’attività, che vede tanti giovani maturandi avvicinarsi al mondo del lavoro e dell’Aeronautica Militare”, aggiungono i vertici delle forze aeree, è stata organizzata a Sigonella per il prossimo 7 febbraio 2023, una “giornata dedicata alla firma delle convenzioni Pcto”, a cui parteciperanno i dirigenti scolastici, gli insegnanti tutor e una rappresentanza degli studenti degli Istituti coinvolti nell’alternanza scuola-caserma.

Il programma di massima dell’evento di martedì 7 è stato pubblicato da NewSicilia: alle ore 10 è prevista l’accoglienza del personale scolastico presso i Gruppi Volo del 41° Stormo dell’Aeronautica; alle 10,15 i “saluti” e gli “accenni alla proposta formativa”; alle 10,30 un briefing sulla “storia e le realtà/attività dell’Aeroporto Militare”; alle 11 la firma delle convenzioni PCTO; alle 11,15 la “visita guidata” ai nuovi pattugliatori marittimi P-72A “in mostra statica sul piazzale” e agli aerei cargo C-130 “Hercules” “in hangar manutenzione”; alle 11,45 la “foto di gruppo sul piazzale velivoli” e, infine, alle ore 12, i “saluti” di commiato. Contro gli accordi di alternanza nelle installazioni di guerra – racconta Mazzeo sul sito di Osservatorio Repressione – si sono dichiarati i Cobas Scuola siciliani.

“Tutti dovremmo essere terrorizzati da scenari di guerra sempre più drammatici, rispetto ai quali, in spregio alla nostra Costituzione, l’Italia non svolge un ruolo attivo in direzione della pace, ma contribuisce, con l’invio delle armi, alla prosecuzione del conflitto in Ucraina”, dichiara il prof. Nino de Cristofaro dell’esecutivo nazionale del sindacato di base.

“La base di Sigonella è, purtroppo, in prima linea in questo tragico impegno. La scuola deve essere luogo di educazione e di pace, mandare gli alunni a fare l’alternanza scuola-lavoro nelle basi militari contribuisce a rendere normale la guerra, e questo non possiamo permetterlo”. Evidentemente qualcuno crede che alla guerra, e il suo spirito, vadano coltivati fin da giovani.

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