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Missione farsa di Giorgia in Libia

Dopo la visita in Algeria del 22 e 23 gennaio il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sbarca oggi in Libia. Il governo continua a programmare la sua fitta agenda nel Mediterraneo, dopo Libano e Iraq nel dicembre scorso, Turchia lo scorso 13 gennaio, Tunisia e Algeria. In Libia, come i suoi predecessori, Meloni fingerà di incontrare un governo che non esiste.

Dopo la visita in Algeria del 22 e 23 gennaio il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sbarca oggi in Libia

Oggi la Libia è straziata tra il premier Abdul Hamid Ddeibah, riconosciuto dall’Italia e dalle Nazioni Unite, e Fathi Bashaga, l’ex ministro dell’Interno del governo di Fayez Al Sarraj, in carica fino al 2021, votato capo dell’esecutivo dal parlamento stanziato a Tobruck. Un esecutivo però con scarso appoggio e riconoscimento internazionale.

A Tripoli la presidente del Consiglio firmerà intese che non piaceranno a Bashaga e di questo il governo italiano dovrà renderne conto. In particolare, come anticipato dal presidente della Noc (National Oil Company) Farhat Bengdara ai media libici, ci sarebbe sul tavolo un accordo da otto miliardi di Euro tra la stessa Noc e l’Eni. L’obiettivo riguarderebbe la creazione di due nuovi impianti offshore per il gas e il trasporto di 24 milioni di metri cubi di gas metano al giorno verso l’Italia.

“Il settore energetico non vedeva un investimento di questa portata da più di un quarto di secolo”, ha detto a Bloomberg il capo della Noc. È “un chiaro messaggio alla comunità imprenditoriale internazionale che lo Stato libico ha superato la fase dei rischi politici”, ha detto ancora Bengdara. Come anticipato mercoledì da dichiarazioni fatte in tv dal presidente Noc, l’accordo riguarda due giacimenti off-shore e Bloomberg ora precisa che sono prospicienti alla “costa occidentale”, dove si trova Tripoli.

Secondo Bengdara per sviluppare i due giacimenti, che hanno riserve stimate per 6 trilioni di piedi cubi, saranno necessari circa tre anni e mezzo. Al ritmo di 850 milioni di piedi cubi al giorno già evocato dal presidente Noc, la produzione potrà andare avanti per 25 anni. Stringere accordi con un Paese diviso comunque sarà molto più difficile di qualche fotografia in bella posa con il sorriso stampato.

La Libia è ancora impantanata in una lotta tra fazioni

In guerra dal 2011, la Libia è ancora impantanata in una lotta tra fazioni. L’impasse politica attuale difficilmente porterà a una transizione democratica senza una deciso contributo da parte di garanti stranieri, il cui intervento, al contrario, fino ad ora non ha favorito la stabilità del Paese. La necessità di una nuova data per presentarsi alle urne, dopo l’annullamento delle elezioni del 24 dicembre 2021, sembra mettere d’accordo tutti, libici e Paesi stranieri, e ha trovato nuova linfa nella nomina da parte delle Nazioni Unite di un nuovo inviato speciale per la Libia, il senegalese Aboulaye Bathily.

Lo scorso anno una legge con tanto di data sulle elezioni è stata promulgata dal presidente del Parlamento libico di Tobruk, Aqilah Saleh, ma è fallita miseramente perché non ha trovato accordo con l’altro parlamento libico, quello della capitale Tripoli. Accordo necessario in base a una legge del 2015. Le milizie di Bashaga sono tornate ad assaltare la capitale a inizio settembre, e oggi la situazione sarebbe molto diversa se a respingere le milizie di Tobruk non fossero intervenuti ancora una volta i droni turchi.

Poi ci sarebbero i diritti. Anche ieri l’Onu ha rimarcato che “lo status di migranti e rifugiati rimane un serio motivo di preoccupazione” facendo riferimento agli oltre 1.100 migranti intercettati e rimpatriati dall’inizio dell’anno. Ieri Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas), ha detto che la cosiddetta Guardia costiera libica (tagliagole al servizio degli scafisti) non riceve finanziamenti dall’Ue. “Diamo sostegno”, ha precisato Stano. Sosteniamo gli assassini, insomma.

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Di Marco: “Da Fontana & C. solo disastri. Ma un’altra Lombardia è possibile”

Nicola Di Marco lei è capogruppo del M5S e capolista per Milano in vista delle elezioni regionali, la vittoria è davvero possibile?
“Stiamo lavorando per costruire un’altra Lombardia. I numeri dicono che il nostro lavoro sta avendo riscontro. Quello che posso dire io è che girando le piazze e i mercati incontro moltissimi cittadini che non si sono dimenticati di quanto il governo Conte è stato vicino, con sostegni concreti, alle persone in difficoltà durante i tragici anni della pandemia. Al pari non sono stati dimenticati gli errori di Fontana, Gallera e Moratti: le mascherine pannolino, il loro algoritmo che ci ha costretto in zona rossa più del dovuto, fino alle prenotazioni impossibili dei vaccini o ai tamponi introvabili. Il centrodestra ha mostrato tutta la propria incapacità. È arrivato il momento di cambiare e sono in tanti a pensarla così”.

Il vostro slogan è “Un’altra Lombardia”, quale significato racchiude?
“La nostra è una regione straordinaria, i cui cittadini hanno sempre saputo distinguersi per operosità e valori. Un’altra Lombardia significa anche che per consentire alle potenzialità di questo territorio di realizzarsi al massimo serve un cambiamento. Chi va al lavoro deve sapere se in banchina troverà un treno ad attenderlo. Chi si cura deve sapere di poter contare su di un medico di base, così come chi ha bisogno di una prestazione clinica deve ottenerla in tempi ragionevoli senza il ricatto del “se paghi c’è posto subito”, chi lavora ha bisogno di meno burocrazia. Serve un’alternativa alle due destre di Fontana e Moratti. L’unica alternativa è votare la coalizione che sostiene Majorino presidente”.

I nervi scoperti del centrodestra in Lombardia sono sanità e trasporti, Fontana promette che taglierà le liste d’attesa e annuncia investimenti per l’acquisto di nuovi treni.
“L’unica promessa che dovrebbe fare Fontana è quella di scusarsi e farsi da parte. In merito alle liste d’attesa trovo vergognoso introducano a due settimane dal voto misure e risorse che non sono stati capaci di introdurre negli ultimi ventotto anni. In merito ai treni la questione è ancora più ridicola. Si tratta degli stessi coinvogli promessi da Roberto Maroni nel 2018, che hanno cominciato a circolare nel 2022. In materia di trasporto pubblico locale, l’unica cosa di cui è stato capace Fontana è stata scaricare colpe e responsabilità su qualcun altro, esattamente come quando attaccava il governo perché lui e Gallera non erano capaci di gestire l’emergenza covid”.

Ha definito Letizia Moratti come il secondo candidato del centrodestra, lei al contrario si presenta come candidata civica.
“In Lombardia è successo qualcosa di incredibile. La Vicepresidente e storico volto del centrodestra lombardo, chiamata dal centrodestra per risolvere i problemi causati dall’incapacità di Fontana e Gallera, con la promessa di una poltrona da Presidente, ha finito per candidarsi contro la sua stessa Giunta. Solo questo dovrebbe bastare a rendere la misura del fallimento di Fontana. Associare Moratti al nuovo che avanza fa ridere. Ha letto le sue liste? Una corte dei miracoli fra ex e personaggi in cerca d’autore, che spazia da Forza Italia fino ad ex grillini, dall’ex segretario provinciale della Lega Nord fino ai candidati di Azione. Un’ammucchiata stile prima Repubblica”.

La Lombardia può essere laboratorio nazionale?
“La Lombardia è la Lombardia. Qui le forze che sono espressione della coalizione che sostiene Majorino hanno avviato un percorso lungo e serio, per discutere di temi, arrivando infine a una sintesi che rispecchia le idee condivise in merito al futuro della nostra regione. Lasciamo a chi ha l’onore e l’onere di occuparsi di politica nazionale il suo difficile compito, perché al momento noi siamo concentrati su di un obiettivo altrettanto complicato: costruire un’altra Lombardia”.

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Un adolescente su sette soffre di disturbi mentali

Il punto è sempre lo stesso, la salute mentale soprattutto dei più giovani che non riesce ad entrare nel dibattito pubblico. Qualche giorno fa su iniziativa della senatrice Elisa Pirro (M5S) durante la conferenza “Potenziare il benessere psicologico: un investimento sulle persone” il portavoce di Unicef Andrea Iacomini ha fotografato una situazione che dovrebbe farci sobbalzare sulla sedia: secondo i dati Unicef, a livello globale un adolescente su sette tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato.

Secondo i dati Unicef, a livello globale un adolescente su sette tra i 10 e i 19 anni convive con disturbi mentali diagnosticati

L’ansia e la depressione rappresentano il 40 per cento dei disturbi mentali diagnosticati. In alcuni casi il disagio è tale da lasciare i giovani con la sensazione di non avere alternative: il suicidio è, nel mondo, una fra le prime cinque cause di morte fra i 15 e i 19 anni ma in Europa occidentale diventa la seconda, con 4 casi su 100mila, dopo gli incidenti stradali.

Poi ci si è messa anche la pandemia, di cui non si parla più ma di cui si intravedono i segni. In Italia nel 2019, in epoca pre-pandemica, si stimava che circa 956mila ragazzi e ragazze fra i 10 e i 19 anni, soffrissero di problemi di salute mentale. La diffusione del Covid-19 e le conseguenti misure di contenimento del virus adottate a partire da marzo 2020 nel nostro Paese hanno mutato fortemente gli equilibri e le routine di tutti i cittadini.

I bambini e gli adolescenti hanno subito gravi ripercussioni anche a livello psicologico ed emotivo a fronte degli effetti della pandemia. “Oggi più che mai è necessario garantire un sostegno adeguato a tutti i livelli per salvaguardare la salute mentale dei più giovani”, ripete Iacomini. È l’allarme che lanciano da tempo medici e associazioni. Nella scorsa legislatura il governo aveva messo in campo il bonus psicologico ma non basta.

E ora “No al bonus psicologico come misura strutturale, che avvia gli utenti verso il privato”, nella risposta ai bisogni psicologici, “assorbendo risorse utili per misure più generali”. Sì, invece, “all’istituzione dello psicologo a scuola” che, attraverso l’assunzione di questi professionisti, “offre un servizio all’interno di un sistema pubblico”, dice così Andrea Filippi, segretario generale della Fp Cgil medici, a proposito dei due emendamenti bipartisan al decreto Milleproroghe, presentati nei giorni scorsi al Senato, per la promozione del benessere psicologico e per dare risposte alla forte domanda in questo settore, in crescita soprattutto nella popolazione giovanile.

“Bene l’emendamento per istituire lo psicologo scolastico, bene anche se verrà introdotto in futuro lo psicologo di comunità, perché stiamo parlando di professionisti che vanno a svolgere la loro funzione di tutela della salute mentale all’interno di una rete pubblica”. “Assolutamente contrari”, invece, a rendere strutturale il bonus psicologo che “sembra essere in qualche modo un intervento che dà risposte (transitorie) al disagio psicologico dei giovani – analizza Filippi – ma che, in realtà, rischia di trasformarsi, inevitabilmente, come tutte le politiche dei bonus, in un avviamento verso il privato. Il bonus psicologico introduce il concetto che solo attraverso il privato si possono avere risposte. è un falso. E il pericolo, in questo modo, è di distrarre risorse necessarie per dare risposte sul pubblico”.

Chi era adolescente nel 1990 sta meglio dei suoi figli adolescenti oggi. I disturbi mentali diagnosticati fra gli adolescenti europei sono aumentati del 32% in 30 anni, anche se di dati ampi a livello europeo nazionale ne abbiamo ancora pochi. Uno studio pubblicato su The Lancet l’aprile scorso indica che i disturbi mentali sono la principale causa di anni di vita persi e anni vissuti con una forma di disabilità in tutti gli Stati membri dell’Ue e in tutte le fasce di età studiate. In molti casi il problema è il sottofinanziamento, in molti paesi, verso politiche mirate alla prevenzione dei comportamenti a rischio e all’intercettazione della fragilità nei ragazzi.

La letteratura scientifica precedente ha già dimostrato come i disturbi mentali rappresentano le principali cause di disabilità tra gli adolescenti e che l’esordio del primo disturbo mentale emerge in un terzo degli individui prima dei 14 anni, in quasi la metà entro i 18 anni. Eppure, emerge che solo il 20-40% degli adolescenti con problemi di salute mentale viene diagnosticato dai servizi sanitari e solo il 25% riceve un trattamento adeguato. Intanto l’altro ieri gli esperti riuniti per il XXIV Congresso nazionale della Società Italiana di Neuro-Psico-Farmacologia (Sinpf) lanciano un altro allarme: sono gli psicofarmaci utilizzati per lo ‘sballo’, ovvero non per curare una patologia ma come nuova forma di svago.

È la moda che sta dilagando tra gli adolescenti, già a partire dai 13-14 anni, e che gli psichiatri segnalano con preoccupazione: ben un teen-ager su dieci, avvertono, usa questi medicinali a scopo ‘ricreativo’, andando incontro a seri rischi per la salute. Conviene pensarci, subito. Del resto cosa c’è di più politico del futuro?

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L’autonomia È disuguaglianza certificata

Incapaci di ridurre le disuguaglianze hanno avuto un’idea brillantissima: legalizzarle. L’ultimo alla stessa stregua non poteva che essere il ministro all’Istruzione e al merito Giuseppe Valditara: «Il mio obiettivo», dice il ministro, «è quello di elaborare ipotesi, anche sperimentali e tenuto conto delle opportunità offerte dal Pnrr, volte a favorire la sinergia tra il sistema produttivo, la società civile e la scuola, nella consapevolezza che ci vorrà un approccio particolarmente innovativo per attrarre al sistema d’istruzione risorse sempre maggiori, in grado di elevare la dignità del personale scolastico e la qualità della nostra offerta formativa». Tradotto: farsi finanziare dal privato (che sarà ben contento di contribuire alla scuola come fabbrica di faticatori) e tornare alle gabbie salariali.

Le gabbie salariali nascono con un accordo firmato il 6 dicembre 1945 tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. Entrate in vigore nel 1946, all’inizio furono previste solo al nord, e solo in seguito estese a tutto il Paese. In origine, la divisione era in quattro zone, ciascuna con un diverso calcolo dei salari. Nel 1954 il Paese intero viene diviso in 14 zone nelle quali si applicano salari diversi a seconda del costo della vita. Tra la zona in cui il salario era maggiore e quella in cui il salario era minore la distanza poteva essere anche del 29%. Nel 1961 il numero di zone fu dimezzato, si passò da 14 a 7, e la forbice tra i salari passò dal 29% al 20%. Non essendo capaci di immaginare il futuro questi ripescano nel passato. Devono avere dimenticato gli scioperi a partire dal 1969, le mobilitazioni operaie. O forse semplicemente sono troppo ignoranti per conoscerle.

Il segretario Flc Cgil, Francesco Sinopoli, sottolinea che l’idea di introdurre salari differenziati per Regione in base al costo della vita «è totalmente strampalata, ci riporta indietro di 50 anni. Semmai c’è un problema che riguarda tutto il personale della scuola: il ministro dovrebbe far finanziare il contratto collettivo che ora vede zero risorse. Il combinato disposto tra ingresso dei privati e disarticolazione del sistema contrattuale è la distruzione della scuola pubblica, è la cosa peggiore che si può fare. Siamo pronti a mettere in campo ogni mobilitazione se questa sarà confermata come proposta». Anche Ivana Barbacci, segretaria Cisl Scuola ha un posizione netta: «Noi siamo drasticamente contrari all’autonomia differenziata: il contratto nazionale e il sistema di istruzione devono rimanere nazionali ma le Regioni, già oggi a normativa invariata, possono sostenere le scuole in particolari progetti, fornendo incentivi in termini di personale e di progetti a sostegno a dell’offerta formativa. E’ giusto incentivare l’offerta formativa fermo restando la struttura nazionale dei contratti, del reclutamento e dei programmi», dice.

Nella proposta di Valditara però c’è la matrice dell’idea di autonomia di questo governo: un federalismo che certifichi le zone depresse e gli costruisca un ecosistema intorno per non “danneggiare” gli altri. Disunire l’Italia per renderla più facile da governare. Complimenti.

Buon venerdì.

Nella foto: frame del video dell’audizione del ministro Valditara alle commissioni riunite di Camera e Senato, 15 dicembre 2022

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La Moratti dice che Sala vota per lei ma è una Fake news

Chissà che risate si faranno i consulenti della comunicazione per la campagna elettorale delle prossime elezioni regionali in Lombardia di Letizia Moratti, ex vicepresidente di quell’Attilio Fontana che ora finge di conoscere appena e ora punta di diamante del cosiddetto Terzo Polo. Ieri, probabilmente sfiancata dall’irrilevanza a cui è condannata in una campagna elettorale che è un testa a testa tra Pierfrancesco Majorino e l’attuale presidente Fontana, Moratti ha twittato: “Per chi voterà il sindaco Beppe Sala Voterà per me”.

Letizia Moratti twitta l’endorsement del sindaco di Milano Sala. Che la sbugiarda e spinge Majorino

Già il dover utilizzare un esponente di un altro partito per potersi accreditare dà l’idea dello sfacelo ma Moratti è riuscita a scadere rumorosamente nel ridicolo perché a stretto giro di posta è stata contraddetta proprio da lui, il sindaco di Milano in persona, che fa sapere di “prendere l’esternazione di Letizia Moratti con simpatia” (che mai come in questo caso è l’elegante sinonimo di compassione) e rimarca per l’ennesima volta di votare Majorino.

“Come ho anche ribadito di recente”, aggiunge Sala, rigirando il coltello nella piaga di una Moratti sbadata nella migliore delle ipotesi e disperatamente bugiarda nell’altra. Anzi ad ascoltare bene la conferenza stampa a Palazzo Marino del sindaco Sala ieri si poteva cogliere tutt’altra strategia: “se Fontana dovesse vincere per poco e Majorino e Moratti insieme, invece, rappresentassero una possibilità di successo con grandi numeri, ci sarebbe da mangiarsi le mani”, ha spiegato Sala, invitando al voto disgiunto che, pur stando sempre sotto il 10%, potrebbe essere decisivo.

Quindi non solo il sindaco di Milano non vota la Moratti ma addirittura invita gli elettori del cosiddetto Terzo polo a non disperdere il proprio voto per la presidenza. Majorino dal canto suo la prende con un preoccupato sorriso. “Qualcuno le parli, vi prego. Le dica di non fare così che non è bello”, dice ai giornalisti, ricordando che Letizia Moratti non è nuova all’uso della menzogna: “Non so più veramente cosa rispondere, è un caso bizzarro.

Letizia Moratti aveva detto che Pisapia aveva rubato un’auto, adesso dice quest’altra bugia”. In effetti da sindaca uscente del comune di Milano Moratti accusò il suo avversario Giuliano Pisapia (che poi risulterà eletto) a maggio del 2011 del furto “di un furgone che sarebbe stato usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Pisapia è stato amnistiato”, disse Moratti. Una calunnia in piena regola. Deve essere questo il taglio elettorale del “polo della serietà”.

Se invece dovessimo stare sulla politica e non sul chiacchiericcio potremmo raccontare che ieri Moratti ha rivendicato di avere “cambiato la piattaforma di prenotazione vaccinale” quando era assessora di Fontana risolvendo il caos e di avere contribuito “alla scelta di un amministratore delegato per merito, non per le visioni politiche” per Aria, l’azienda regionale lombarda per l’innovazione e gli acquisti. Che poi la firma per la nomina dell’amministratore delegato di Aria sia di Fontana a Moratti deve essere sfuggito.

Contemporaneamente il presidente leghista Fontana definisce Letizia Moratti “una delusione: dopo essersi proposta come candidata del centrodestra, quando poi non è stata scelta allora il centrodestra non andava più bene”. “Pare un po’ la volpe e l’uva”, ironizza il governatore Fontana. Alla fine di un’altra giornata paradossale la domanda resta sempre la stessa dell’inizio di questa campagna: quanto potrà osare ancora Letizia Moratti per nascondere sotto il tappeto la sua storia di donna di destra a braccetto con quelli che oggi vuole bollare come amministratori falliti?

 

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Berlusconi vede il traguardo. E spinge la spallata sulle intercettazioni

Ogni giorno la stessa storia, sperando che la goccia scavi la pietra. Dichiarazioni fotocopia che si ripetono di giorno in giorno, ripetendo balle che non hanno nessuna connessione con la realtà. A chi giova tutto questo? Difficile dirlo con certezza. Di sicuro meno intercettazioni fanno felici coloro che non vogliono essere ascoltati e di sicuro non vogliono essere ascoltati coloro che hanno qualcosa da nascondere. Sembra una banalità ma di questi tempi la banalità è del bene, mica del male.

Meno intercettazioni fanno felici coloro che non vogliono essere ascoltati perché hanno qualcosa da nascondere

Silvio Berlusconi ne lancia una delle sue: “Il contrasto alla criminalità organizzata e la tutela delle persone perbene in uno Stato di diritto non possono mai essere contrapposti”, spiega al Corriere della Sera annunciando di essere al fianco di Carlo Nordio. Figurarsi se c’è in giro qualcuno che gli faccia notare di avere enunciato un paradosso: persone perbene e criminalità organizzata sono contrapposti, eccome.

E non convince nemmeno l’intervento del ministro degli Esteri Antonio Tajani che in giornata prova a correre in difesa del suo padrone: “La riforma della giustizia si fa nell’interesse dei cittadini non contro i magistrati”, dice il coordinatore nazionale di Forza Italia intervistato da Rtl, facendo riferimento alle intercettazioni. Che l’interesse dei cittadini coincida con l’agibilità dei magistrati (ovvero arrestare i delinquenti) non sfiora Tajani e compagnia.

È lo svolgimento del solito copione. Tanto che alla fine tocca a Roberto Scarpinato – che oltre a essere senatore è uno che la mafia l’ha combattuta con la toga – provare a rimettere al centro la realtà dei fatti: “Ieri in audizione nella commissione Giustizia del Senato il presidente dell’Autorità Garante per la Privacy Pasquale Stanzione, – dice il senatore M5S – a seguito di una mia precisa domanda, ha confermato quanto stiamo ripetendo da giorni: la nuova normativa sulle intercettazioni in vigore dal 2020 funziona bene rispetto al pericolo di pubblicazioni illegittime sui giornali di contenuti processualmente irrilevanti lesivi della privacy.

Infatti, dalla sua entrata in vigore l’Autorità non ha registrato alcuna violazione. Inoltre, Stanzione ha aggiunto che anziché intervenire di nuovo su una legge che sta mostrando di funzionare, è più opportuno verificarne a pieno gli effetti. Si scioglie come neve al sole la propaganda con cui il governo e la maggioranza nascondono la loro vera intenzione: delegittimare e indebolire il mezzo investigativo delle intercettazioni, che insieme ai collaboratori di giustizia sono l’unico strumento nelle mani dei magistrati per individuare i reati dei colletti bianchi”. Gli abusi sono fake news, con buona pace di garantisti pelosi.

Ma le intercettazioni sono davvero troppe? Falso anche questo, ovviamente. “Le intercettazioni, dal punto di vista dei bersagli, sono in calo, non in aumento. C’è stato un picco nel 2013, quando erano state 141.169, mentre nel 2021, ultimo dato disponibile, sono state 94.800, il dato del 2021 è vicino a quello del 2004″, ha spiegato in commissione Giustizia Gian Luigi Gatta ordinario di Diritto penale a Milano e già consigliere giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia. C’è di più: le intercettazioni che vorrebbe abolire Nordio (e per cui si lecca i baffi Berlusconi a braccetto con Renzi) sarebbero meno del 3% del totale. Nessun eventuale calo sensibile.

È una bugia anche questa. In compenso ieri – per fortuna la realtà irrompe sempre in questi dibattiti scapestrati – grazie alle intercettazioni un’operazione del Ros in Calabria ha disarticolato un calo di ‘Ndrangheta con ramificazione a Cipro e in Ungheria. Anche le condanne per 160 anni al clan Di Silvio a Latina sono state rese possibili grazie alle intercettazioni. C’è un modo molto semplice per valutare una riforma: vedere chi esulta. Chi esulterebbe per l’ammorbidimento delle intercettazioni come strumento di indagine? La risposta è facilissima, perfino per il ministro Nordio.

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Resistenza, altro che resilienza

Se ne sono fregati del sanguinario e illegittimo decreto del ministro dell’Inferno Piantedosi e hanno fatto ciò che contraddistingue l’uomo: salvare gli uomini in difficoltà. La Geo Barents, nave umanitaria di Medici senza frontiere, ha deviato la sua rotta – nonostante avesse già un porto assegnato – dopo aver ricevuto un’allerta su un’imbarcazione di migranti in difficoltà, ha salvato 61 migranti in zona Sar e poi altre 107 persone pericolanti su un gommone sbrindellato.

“Le autorità italiane sono state avvertite ma al momento non abbiamo ricevuto nessuna risposta”, hanno spiegato da Msf. Dopo questo secondo salvataggio, la Geo Barents “ha continuato a navigare verso la prima segnalazione che aveva ricevuto, in conformità con il diritto internazionale marittimo”, aveva spiegato la ong. La nave dovrebbe arrivare a La Spezia tra sabato sera e domenica. L’aver cambiato la propria rotta andando a soccorrere altri migranti, come raccontato da Msf, sarebbe una violazione delle norme stabilite dal decreto Piantedosi che vorrebbe ridurre a un solo salvataggio per viaggio la possibilità di essere umani. Il fine del decreto è ovvio: lasciare le mani libere ai tagliagole della cosiddetta Guardia costiera libica (che continuiamo a pagare, dopo avere addestrato) e aumentare i costi dei salvataggi. Quanto possa essere meschino rendere economicamente sconveniente salvare vite umane non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo.

Piantedosi, come i suoi pari, continua a mentire: “Il naufragio e il salvataggio sono qualcosa di occasionale non di ricerca sistematica che induce alle partenze. La presenza delle ong, guarda caso, fa ripartire i gommoni, non le barche strutturate. Questo è il dato fattuale che registriamo”, aveva detto nei giorni scorsi. Falso, ovviamente. L’effetto calamita delle navi delle Ong è un’invenzione della ferocissima propaganda. Nessun numero la conferma. Se lo ripetono tra di loro provando a convincere quelli fuori. In mare, nonostante i Piantedosi di turno, vale una legge vecchia di secoli e cementata da mezza dozzina di trattati internazionali: chi è in pericolo va tratto in salvo e sbarcato nel porto più vicino e sicuro.

Da Geo Barents arriva anche una denuncia video: “Il nostro team ha assistito oggi all’intercettazione da parte della Guardia Costiera libica di un’imbarcazione in difficoltà in acque internazionali. Mentre ci avvicinavamo per aiutare le persone e portarle in salvo, hanno minacciato di sparare” spiegano. La Ong ha pubblicato un video sui social in cui si sente lo scambio radio tra la nave di soccorso e la motovedetta libica. “Guardia costiera libica, c’è una persona saltata in mare”, dice l’operatore della Geo Barents. “State lontani figli di p******”, intimano dalla motovedetta. E, ancora, “state lontani dall’area o sarete esposti al fuoco”. “Minacciano di sparare”, osservano quindi dalla nave di Msf.

Resistenza, altro che resilienza.

Buon giovedì.

 

 

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La ‘Ndrangheta sull’asse Italia-Ungheria

Si sviluppa lungo l’asse Italia-Ungheria, con ramificazioni in altri Paesi come Francia, Danimarca e Cipro, l’operazione condotta dal Ros contro un’imponente attività di riciclaggio internazionale di proventi illeciti gestita dalla ‘ndrangheta, ed in particolare dalla cosca Bonavota, che ha la sua base operativa a Sant’Onofrio, nel Vibonese. L’operazione, coordinata dalla Procura antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, ha portato all’arresto di otto persone in esecuzione di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip distrettuale del capoluogo calabrese.

Ad altre tre persone coinvolte nell’inchiesta é stata notificata la misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali. o uffici direttivi di persone giuridiche Un’inchiesta considerata di particolare importanza perché ha consentito di stroncare una delle attività in cui la ‘ndrangheta eccelle da sempre, e cioè il riciclaggio delle somme enormi che le cosche ricavano principalmente dal traffico internazionale di cocaina ed eroina e da altre attività criminali come le estorsioni. Due le persone, entrambe arrestate, attorno all’attività delle quali ruotava l’organizzazione criminale che é stata sgominata. Una è Giovanni Barone, di 53 anni, nato a Roma ma residente a Milano, già coinvolto in altre inchieste contro la ‘ndrangheta come “Rinascita Scott”, condotta nel 2019 dalla stessa Dda di Catanzaro e di cui l’operazione odierna costituisce una sorta di prosecuzione; “Tenacia” di Milano e “Tramonto” di Genova. Barone, tra l’altro, si sarebbe reso responsabile, secondo l’accusa, di numerose truffe e di imponenti attività di riciclaggio. L’altro personaggio importante di questa inchiesta è un’avvocatessa ungherese, Edina Margit Szilagyi, di 57 anni, titolare di un avviato studio a Budapest che sarebbe stato il fulcro di varie attività di riciclaggio. L’indagine si é sviluppata in un contesto articolato di cooperazione internazionale di polizia con il coordinamento di Eurojust, l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea.

“Abbiamo sempre detto – ha affermato, in conferenza stampa, il Procuratore Gratteri – che la ‘ndrangheta non è in grado di fare riciclaggio sofisticato e che, per questo, si deve rivolgere al mondo delle professioni. Ed i risultati di questa operazione ne rappresentano l’esempio classico. Siamo riusciti a dimostrarlo grazie alla nostra credibilità anche a livello internazionale e grazie all’aiuto di Eurojust. È stato possibile così effettuare intercettazioni ambientali in Ungheria”. Gratteri ha citato inoltre un particolare dell’inchiesta che gli ha dato lo spunto per criticare ancora una volta la riforma della Giustizia varata dall’ex ministro Cartabia. “Nel corso di questa indagine – ha detto il Procuratore – non abbiamo potuto contestare, purtroppo, una truffa aggravata per oltre tre milioni di euro perché, per effetto della riforma Cartabia, occorreva la querela della parte offesa, che non siamo riusciti però a rintracciare. Si tratta di un viceministro dell’Oman, Paese che non fa parte, ovviamente, del trattato di Schengen. Non c’è neppure un trattato bilaterale tra Italia ed Oman e fare la rogatoria internazionale per chiedere alla parte danneggiata se volesse fare querela, ci avrebbe fatto perdere molto tempo. Per questo motivo non abbiamo potuto chiedere la custodia cautelare per la truffa”.

Congresso del Pd, poche idee e pure confuse

Si temeva ed è accaduto. Nonostante le premesse del segretario uscente Enrico Letta e nonostante i buoni propositi di tutti i candidati alla segreteria (Elly Schlein, Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli), il congresso del Pd ha l’aria di essere la solita, l’ennesima, seduta di psicoterapia di gruppo di un partito in costante ricerca di un’identità.

Dalla guerra alla riforma della Giustizia. Il Congresso del Pd sembra una seduta di psicoterapia. I dem non hanno posizioni chiare su nulla

Ad oggi i temi che sono diventati notizia sono sempre gli stessi. Si passa dal possibile rientro nel partito dei membri di Articolo Uno (guidati dall’ex ministro Roberto Speranza) con annessa polemica su D’Alema e un pizzico di complottismo sull’ex presidente del Consiglio 23 anni fa al mai superato trauma del renzismo che si è riacceso nei giorni scorsi con le opposte valutazioni dei candidati sul Jobs Act.

Per capirsi: Massimo D’Alema ha guidato Palazzo Chigi ben 23 anni fa e sul mondo del lavoro gli elettori e gli iscritti sarebbero molto più curiosi di sapere cosa si ha intenzione di fare, più di discutere sulle macerie. Bastano questi due esempi per fotografare le battaglie di retroguardia di un partito che nel frattempo in Parlamento non riesce ad avere una posizione univoca sull’invio di armi in Ucraina, sulla proposta del ministro Nordio, sul progetto d’autonomia o sulla gestione dell’immigrazione e perfino sulle commemorazioni di Bettino Craxi.

Il Pd delle ultime settimane appare svuotato, immobile, paralizzato dai sondaggi impietosi e in attesa di una svolta che dovrebbe arrivare da qualche inaspettato successo alle elezioni regionali (in Lombardia il candidato Pier Francesco Majorino lo ripete spesso, “una nuova Lombardia per un nuovo Pd”).

Letta: “Abbiamo bisogno di un nuovo partito, non di un nuovo segretario”

“Abbiamo bisogno di un nuovo partito, non di un nuovo segretario. E per un nuovo partito serve una base politica, e il manifesto la dà, una base che ci mette nelle condizioni di essere molto ambiziosi per il futuro”, diceva Letta qualche giorno fa a proposito dell’ennesima polemica (tutta interna, tutta poco interessante qui fuori) sull’aggiornamento del Manifesto dei valori del partito che risale al 2007.

Questo lo sentiamo ripetere da sempre. Ma come? Ed è questa la risposta che fatica ad arrivare. Qualcuno insiste sulla “fusione a freddo” mai riuscita tra due apparati – più che due ideali – che ancora continuano a farsi la guerra. In questa situazione viene fin troppo facile al cosiddetto Terzo polo infilare il dito nella piaga: “Il dialogo” con il Pd “ci può sempre essere, il problema è che può vincere Bonaccini o Schlein, e mi auguro vinca Bonaccini, ma quel partito è diviso a metà tra chi è riformista e chi massimalista e si vuole avvicinare ai 5 Stelle”, ha detto ieri Carlo Calenda, che aspira da sempre al logoramento dei Dem per poterli annettere.

Il sondaggio Winpoll dà Bonaccini al 46% con Schlein poco dietro (al 41%) e distanti Cuperlo (7%) e De Micheli (6%)

Il sondaggio Winpoll dà Bonaccini al 46% con Schlein poco dietro (al 41%) e distanti Cuperlo (7%) e De Micheli (6%) nella fase della votazione interna al partito mentre nella seconda fase (quella del voto aperto a tutti) la forchetta tra i due contendenti si ridurrebbe a 3 punti a favore del presidente dell’Emilia Romagna. Ma il terrore di molti, dentro e fuori il Pd, è che finisca con una vittoria di Bonaccini, un posto di prestigio per Schlein e qualche spazio per gli altri due candidati.

Sarebbe sostanzialmente una suddivisione di potere che darebbe adito alla sensazione di un’immutata natura con modificati equilibri. Nulla di diverso da quello che il Pd già è, fiaccato dalle correnti e da logiche interne incomprensibili ai più e respingenti per gli elettori. “Siamo l’unica forza che discute al proprio interno”, fa notare qualcuno. È vero. Il punto è che i partiti, tutti i partiti, dovrebbero parlare anche fuori e, nel migliore dei casi, essere convincenti.

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