Vai al contenuto

L’arresto di Messina Denaro non è una fine, è un inizio

Quando gli si sono avvicinati i carabinieri nella clinica Maddalena di Palermo in cui era arrivato con il suo fiancheggiatore Giovanni Luppino a bordo di un’auto ha risposto: “Sono Matteo Messina Denaro”· U Siccu sapeva di essere in trappola, perfino quell’allontanamento verso il bar della clinica privata mentre gli uomini del Ros lo cercavano è uno stanco tentativo di allontanarsi che, raccontano, non è durato più di qualche secondo.

La cattura di Matteo Messina Denaro non è la fine della lotta alla mafia. Troppe le domande senza risposta per poter festeggiare

L’arresto dell’ultimo boss degli stragisti di Casa Nostra è già stato consegnato come fine di un’epoca dalle agenzie di stampa. L’ultimo capo dei capi, l’uomo che Riina aveva allevato con tanta cura prima di rimanerne deluso nei suoi ultimi anni di vita (arrivò perfino a dargli dello “sbirro”, anche questo è un mistero che aspetta di essere spiegato), viene catturato smagrito e stanco.

L’immagine dei carabinieri che lo portano fuori dalla caserma lo mostrano smagrito e stanco. Non c’è nulla mitologia di belle donne, isso e auto veloci. È un anziano uomo che mostra molto di più dei suoi sessant’anni. Gli è stata fatale sulla seduta di chemioterapia fissata da tempo. L’arresto di Messina Denaro è un fatto storico: 30 anni di latitanza sono un peso sulla coscienza che solo per qualche ora potrà essere lenito dalla soddisfazione del momento.

Fedelissimo dell’ala stragista di Cosa nostra, quella dei corleonesi, sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell’ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi Falcone e Borsellino. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l’attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci.

Deve scontare diverse condanne per altrettanti omicidi, tra cui quello feroce del giovane Giuseppe Di Matteo strangolato e sciolto nell’acido dopo due anni di prigionia e le stragi in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero”, confidava a un amico. Ma l’arresto di Messina Denaro non è una risposta. È la prima di una serie di domande. La storia è tutt’altro che finita. La storia inizia adesso. Adesso sarà il tempo di capire come possa un latitante ricercato da tutti aver goduto di trent’anni di impunità, scarrozzando tra la sua Castelvetrano dove aveva i suoi affetti e le sue protezioni.

Chi ha protetto Matteo Messina Denaro finora Questa è la vera domanda

Ora si potrà rispondere alla pm Teresa Principato che nel 2012 era convinta di esserci arrivata vicinissima ma venne intralciata dai suoi stessi colleghi. A proposito: ieri quasi tutti hanno dimenticato il furto delle chiavette usb di Principato che le vennero sottratte dal suo ufficio, contenevano i numeri telefonici tenuti sotto controllo e tutti gli atti d’indagine. Chi ha protetto Matteo Messina Denaro finora Questa è la vera domanda.

Quella rete di protezione, fatta non solo di mafiosi, è ancora là, intatta, pronta a mettersi in moto per inseguire i propri interessi e per riattivarsi anche senza il padrino. Ci vuole memoria, oggi più che mai. Sui giornali e tra i commentatori, presunti esperti, ci si sgola per sottolineare l’applauso dei pazienti nella clinica palermitana al momento dell’arresto. Le scene di gioia le abbiamo viste in occasione degli arresti di Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca. Perfino Falcone una volta disse a Borsellino «la gente comincia a fare il tifo per noi». Poi sappiamo com’è finita.

Sarò anche per questo che il fondatore di Libera don Luigi Ciotti avverte: “Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema”.

Matteo Messina Denaro ha modernizzato la mafia e ne ha fatto un partner dell’Italia apparentemente pulita. Ci è riuscito sicuramente a livello imprenditoriale, trasformando un elettricista di Alcamo, Vito Incastri, nel re della pale eoliche o mettendo le mani sui supermercati Despar e su un’etichetta di vino che s’è preso perfino un premio durante un Vinitaly.

A livello politico sappiamo dei suoi rapporti di lunga data con l’ex senatore berlusconiano Antonio D’Alì (condannato a sei anni di carcere). Ma i padrini veri non li conosciamo ancora. O forse semplicemente fingiamo di non volerli conoscere. Lo straordinario successo delle forze dell’Ordine e della magistratura non ha niente a che vedere con la politica che forsennata esulta.

“L’arresto di Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza e di ricerca senza sosta da parte delle Forze dell’Ordine, dimostra ancora una volta che lo Stato è più forte e la mafia non vincerà”, ha detto ieri Silvio Berlusconi. Come se la mafia non avesse già vinto, presentando il conto delle sue vittime sconfitte per la vigliaccheria della politica. Siamo sicuri che un arresto dopo 30 anni di latitanza sia una vittoria Questa è la domanda che bisognerebbe avere il coraggio di porsi. Non è stata sconfitta la mafia, per niente.

È stato inferto un duro colpo con l’arresto di un capo vecchio e malato, come è accaduto per il suo predecessore. La vera lotta alla mafia si può fare se Matteo Messina Denaro non diventerà, come quelli prima di lui, un feticcio da mostrare al mondo ma una chiave con cui aprire le porte.

Due mesi fa l’ex persona di fiducia di Messina Denaro, Salvatore Baiardo, profetizzò che con il nuovo governo sarebbe potuto arrivare “un regalino”: “Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”, disse intervistato da Giletti. Probabilmente è solo una coincidenza. Ma non è tempo di troppi festeggiamenti: la lotta alla mafia inizia ora.

L’articolo L’arresto di Messina Denaro non è una fine, è un inizio sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Non sono le pistole a uccidere le donne

Martina Scialdone aveva 34 anni. Era un’avvocata specializzata in diritto di famiglia, si occupava di donne vittime di violenza. Aveva deciso di incontrare il suo compagno al ristorante Brado, a Roma, zona Tuscolana. Voleva dirgli che era arrivato il momento di chiudere la loro relazione. Lui, Costantino Bonaiuti, 60 anni e un impiego all’Enav, è un appassionato di armi. In tasca aveva una pistola, la pistola che tutti guardano e descrivono come se fosse la vera colpevole del terzo femminicidio in questo primo scampolo di 2023.

La storia di Martina Scialdone. La 34enne uccisa a Roma dall’ex compagno appassionato di armi

Quella pistola l’ha estratta Bonaiuti, dopo un litigio che s’è fatto sempre più chiassoso e nervoso dentro il ristorante e si è trascinato sul marciapiede all’esterno. Un colpo a bruciapelo, al petto, alle 23.15. Lui ha provato a scappare, è durato poco, si è arreso quasi subito. Un uomo che incontra la propria compagna con aka consapevolezza che quello sarà l’incontro che sancirà la fine della relazione e lo fa con una pistola in tasca è il centro della storia che si dovrebbe raccontare in questi giorni.

Prima un uomo di 82 anni, Vittorio Cappuccini, ex agente della Polizia Municipale in pensione ha ucciso una donna di 70 anni, Oriana Brunelli, sparandole in un parcheggio a Bellaria e poi si è suicidato. I due pare avessero una relazione. Il 5 gennaio a Genova, Andrea Incorvaia, guardia giurata di 32 anni, ha ucciso con la pistola di servizio la fidanzata di 23 anni, Giulia Donato, mentre dormiva e si è suicidato. Incorvaia faceva uso di psicofarmaci ma l’azienda di GPG ne era all’oscuro. In 14 giorni, 3 femminicidi nel 2023.

Tutti commessi da legali detentori di armi. Le armi detenute legalmente di rado servono per la legittima difesa. Vengono invece più spesso usate per commettere omicidi e femminicidi. Come si chiede giustamente Giorgio Beretta, che di armi si occupa da una vita, perché i politici tacciono? Luca Traini, autore della tentata strage a Macerata nel 2018, ottenne la licenza per tiro sportivo (TaV) in 18 giorni. Era un legale detentore di armi ma non praticava nessuna disciplina sportiva. Gli sono bastati due bolle da 16 euro e un modulo prestampato.

Da tempo in molti chiedono l’introduzione di controlli psichiatrici e test tossicologici annuali sui legali detentori. Si discute di rilasciare le licenze solo a chi ne ha effettiva necessità o pratica realmente discipline sportive. Perché assistiamo inermi a una liberalizzazione nei fatti di cui non si è mai discusso? Le pistole non uccidono. A uccidere sono le persone che le impugnano.

L’articolo Non sono le pistole a uccidere le donne sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Ci avevano già provato i fascisti ad arruolare Dante

L’imbarazzante ministro alla Cultura Sangiuliano continua a nuotare nel ridicolo. «So di fare un’affermazione molto forte, io sono convinto che Dante Alighieri sia il fondatore del pensiero di destra nel nostro Paese». Lo ha detto dal palco della convention di Fratelli d’Italia a Milano. «Quella visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali, ma anche la sua costruzione politica, credo siano profondamente di destra» ha aggiunto il ministro.

Non è uno scivolone e non è una novità. Come ricorda giustamente in un tweet il direttore di Oggi Carlo Verdelli «i fascisti del Ventennio, nella loro scenografia di cartapesta, #Dante lo avevano già arruolato: precursore del Duce. Proprio vero che la Storia si ripete: la prima volta come farsa, la seconda pure».

Ne scrisse in un articolo Nicolò Crisafi, che insegna letteratura italiana all’Università di Cambridge. La sua monografia Dante’s Masterplot and Alternative Narratives in the Commedia è in stampa per i tipi di Oxford University Press. «Dante era a un divario: da una parte era stato il simbolo dell’idealismo, delle speranze, e delle ansie risorgimentali per una patria da creare; dall’altra era diventato lo strumento retorico dello Stato liberale che l’aveva incarnata tradendone le aspettative più alte. Fu – scrive Crisafi –  tra queste delusioni e polemiche che il fascismo mise mano a Dante. Nel momento in cui si impadronì del potere, lo Stato fascista non si fece problemi a sfruttare il nazionalismo del Dante risorgimentale epurandone però con cura il lato vulnerabile e oppresso e facendone invece a sua volta uno strumento per opprimere, confinare, esiliare, ed arrestare. In un suo scritto dantesco del 1928 (dedicato proprio all’Italo Balbo celebrato dai manifesti di mio zio Carlo) il capitano della Regia Guardia di Finanza Pietro Jacopini faceva di Dante uno strumento del potere: “Dante […] è un precursore del Fascismo e, se fosse vissuto ai giorni nostri, ci avrebbe onorato sicuramente della sua compagnia, impugnando il manganello contro tutti i socialisti e i comunisti rinnegatori e disgregatori della Nazione”».

Aldo Cazzullo in risposta a una lettera al Corriere ricorda come «il fascismo ovviamente rivendicò Dante per sé, fin da quando nel 1921, a seicento anni dalla morte, Italo Balbo guidò una “marcia su Ravenna” conclusa davanti alla fatidica tomba. E Margherita Sarfatti, la donna che creò Mussolini, venerava Dante, al punto che quando si interrogava sul futuro apriva la Divina Commedia, leggeva una terzina a caso e vi cercava un’indicazione per quel che doveva fare o una profezia per quel che sarebbe accaduto».

Non avviene nulla per caso. Nulla.

Buon lunedì.

La foto del monumento a Dante Alighieri a piazza Santa Croce a Firenze (1865), Jörg Bittner (Unna)Opera propria

L’articolo proviene da Left.it qui

Lacrime di coccodrillo sulla legge Cartabia, chi l’ha votata ora è pentito

Eccoli che si sono svegliati. Il primo effetto della riforma Cartabia è quello di seminari pentiti politici che cominciano a sbocciare dappertutto. Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove in un’intervista lancia un allarme tardivo: “è vero, la legge dice che ci sono due anni di tempo, ma i fatti di Palermo ci dicono che non possiamo aspettare così a lungo”, ha affermato il sottosegretario.

Disastri a raffica

Il riferimento è a Giuseppe Calvaruso e ai sodali Giovanni Caruso e Silvestre Maniscalco accusati del sequestro e del pestaggio a sangue di due mafiosi per una rapina non autorizzata da Cosa Nostra per i quali la procura ha dovuto chiedere l’inefficacia della custodia cautelare perché le vittime non hanno confermato le accuse.

“Non possiamo pensare di mantenere l’obbligo di querela di parte per una serie di reati. E se la vittima non ha il coraggio di presentarla perché e’ stata contattata o si sente in pericolo? E se la ritira perché ha subito minacce? Questa norma riguarda anche reati gravi”. “Penso che per una serie di reati che stiamo valutando non debba essere necessaria la querela per le condanne”, ha sottolineato Delmastro.

Peccato che il sottosegretario (di Fratelli d’Italia) dimentichi le proprie responsabilità politiche. Così tocca alle deputate del M5S Stefania Ascari, Valentina D’Orso, Carla Giuliano e la coordinatrice del comitato Giustizia del Movimento cinque stelle, Giulia Sarti ricordarglielo.

Memoria corta

“Nelle affermazioni rilasciate oggi ad un quotidiano, il sottosegretario alla Giustizia di Fratelli d’Italia Delmastro dimostra di non conoscere i fatti nonché gli atti parlamentari. Quando gli viene ricordato che Fratelli d’Italia si astenne sul parere favorevole al decreto legislativo che stabiliva quali reati diventavano procedibili a querela anziché d’ufficio, il sottosegretario afferma candidamente di non ricordare questo fatto e di dover fare una verifica.

Gli agevoliamo noi il lavoro: il 15 settembre in commissione Giustizia alla Camera fu il deputato Vinci ad annunciare l’astensione di Fratelli D’Italia. Venne invece ignorato il parere alternativo proposto dal Movimento cinque stelle, che chiedeva proprio di cancellare quella e altre parti del testo che a nostro avviso si sarebbero rivelate estremamente pericolose. Purtroppo siamo stati facili profeti”.

Nel pomeriggio di ieri perfino la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno ammette di condividere “l’allarme del Preside del Tribunale di Palermo Antonio Balsamo sulla riforma Cartabia noi abbiamo fatto parte di un governo e io più volte, in interventi pubblici, ho fatto presente che una serie di interventi del ministro Cartabia avrebbero potuto avere quelle conseguenze che adesso si sono verificate”, dice. “Tutto quello che ora sta succedendo era stato indicato da me come possibile conseguenza”, spiega.

Errare è umani ma è umano ma…

Se ne sono accorti tutti oggi, dopo avere passato mesi a chiunque osasse avanzare anche una timida critica. A dire il vero si sono convinti quasi tutti. Il Pd continua imperterrito a sostenere Cartabia come candidata al Csm. Qualcuno avanza l’ipotesi che all’ex ministra spetti il ruolo di vicepresidente.

Nessuna smentita dei Dem, un’assenza che suona come una quasi conferma. E nessuno riflette sulle porte girevoli (a proposito di separazione dei poteri) di un’ex giudice della Corte Costituzionale che diventa ministra (apolitica, sì, del partito di Mattarella) e ora andrà al Csm per difendere la Giustizia dalle intromissioni della politica. Ma anche questo, vedrete, tra qualche tempo diventerà un pentimento generale su cui convergeranno quasi tutti.

L’articolo Lacrime di coccodrillo sulla legge Cartabia, chi l’ha votata ora è pentito sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Gratteri contro la riforma Cartabia: “Un disastro annunciato”. Il magistrato aveva messo in guardia sui rischi, ma è stato ignorato

La riforma Cartabia Un disastro. Non usa mezze parole il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri che, ospite a The Breakfast Club su Radio Capital, ha voluto dire la sua:  “Tre presunti mafiosi a Palermo sequestrano, picchiano e minacciano una persona. Questa persona terrorizzata non denuncia e allora contro questi mafiosi non si può procedere. A Jesi un albergo è stato svaligiato, il proprietario non si trovava, era in ferie e i ladri non sono stati arrestati. E questi sono solo i primi esempi. La criminalità organizzata andrà a svaligiare alberghi gestiti da stranieri, che vivono all’estero e che non si troveranno per fare le denunce. Il senso di questa norma è ridurre il numero dei processi, ma non si riducono così i tempi della giustizia. Così semplicemente non si fanno i processi. Cambiare la riforma Basta un decreto legge. È solo questione di volontà politica e penso che ci sia questa volontà. Qualche politico ha già preso posizione. Anche le opposizioni si adegueranno, dal Movimento 5 stelle al Pd, anche se i parlamentari del Pd sono stati i primi a votare la riforma Cartabia. Sono preoccupato per questa riforma, come cittadino e come magistrato”, aggiunge. 

Senza appello

Il giudizio di Gratteri nei confronti della gestione Cartabia, del resto, era tutt’altro che positivo fin dall’inizio. Già lo scorso settembre aveva lanciato l’allarme: “Le riforme di quest’ultimo anno non le avrei mai immaginate possibili – affermava il magistrato – a cominciare dall’improcedibilità. Con queste leggi, il 50% dei processi non arriveranno alla conclusione, non si celebreranno. Come se nulla fosse avvenuto. Questa la grande riforma che ha chiesto l’Europa No. L’Europa ci ha chiesto di velocizzare i processi, non di non celebrarli”.

Secondo Gratteri, queste riforme non hanno nulla a che vedere con il funzionamento della macchina giudiziaria. “A 30 anni da mani pulite è arrivato il momento della resa dei conti della politica – avvertiva – Quale momento migliore ora che la credibilità è ai minimi termini?”. Oggi il suo giudizio non cambia: “molte, ma veramente molte disposizioni vanno radicalmente cambiate”, ripete Gratteri in ogni intervista. E ora cominciano a pensarlo in tanti.

L’articolo Gratteri contro la riforma Cartabia: “Un disastro annunciato”. Il magistrato aveva messo in guardia sui rischi, ma è stato ignorato sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il processo Open Arms e la guerra vigliacca tra i peggiori politici

Il processo Open Arms che vede imputato Matteo Salvini per non avere fatto sbarcare i 147 migranti a bordo dell’imbarcazione a bordo dell’Ong lo ricorderemo (o forse lo rimuoveremo) come la più alta confessione della bassezza della politica negli ultimi anni in Italia. Ricorderemo che una pessima stampa ha svolto un pessimo servizio alla verità mettendo sotto accusa Open Arms che invece sarebbe la parte lesa, in barba al pruriginoso garantismo che viene sventolato quando serve a proteggere qualche amico potente. Ricorderemo le parole dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte che in un’Aula di tribunale ha testualmente detto: «Il tema dell’immigrazione è stato sempre un tema di propaganda politica. Il ministro ha sempre avuto delle posizioni molto chiare per quanto riguarda la gestione del problema migratorio».

Conte-Salvini, la sfida tra il «debole» e il «rigoroso»

L’ex premier scrisse anche una missiva aperta al leader della Lega lamentando la diffusione non fedele del contenuto di una lettera del 14 agosto. «Siamo al 15 agosto, ci avviavamo verso la crisi di governo e una probabile competizione elettorale, il tema immigrazione è sempre stato caldo per la propaganda politica ed era chiaro che in quella fase Salvini, che ha sempre avuto posizioni chiare sulla gestione del problema, volesse rappresentare me come un debole e lui invece come rigoroso. Scrissi la lettera aperta perché mi infastidiva intanto che uno scritto da me inviato al ministro fosse stato diffuso dal destinatario senza la mia autorizzazione. Inoltre avrei gradito che fosse rappresentato per quel che era».

La disfatta di Salvini e Conte alle Amministrative preoccupano Draghi
Giuseppe Conte e Matteo Salvini (Getty Images).

Tutta una questione di «competizione elettorale»

Conte ha spiegato di essere infastidito dal «fatto che una lettera che era mirata a risolvere un problema fosse stata diffusa dal destinatario senza chiedere al mittente l’autorizzazione. Fermo restando che se il presidente del Consiglio scrive al ministro ci può stare, ma avrei gradito che fosse rappresentata nella sua puntualità. Qui invece colgo il clima incandescente rispetto a una competizione elettorale che poteva essere imminente e si voleva rappresentare un presidente del Consiglio debole sul fenomeno immigratorio, mentre il ministro dell’Interno aveva una posizione di rigore, questo era il clima politico di quel periodo».

Sofferenze inflitte dai politici a persone inermi

Basterebbero queste parole per comprendere in modo cristallino, al di là dell’aspetto giudiziario, che sulla pelle migranti si gioca una guerra vigliacca con politici che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo. Non basta questo per vergognarsene? Come racconteremo ai nostri figli che c’è stato un tempo in Italia in cui le massime cariche dello Stato misuravano la propria autorevolezza sulle sofferenze che erano in grado di infliggere su persone inermi? Dov’è la Costituzione? Dov’è la carità cristiana che quelli indossano, baciano, venerano come un orpello elettorale?

Il processo Open Arms e la guerra vigliacca tra i peggiori politici
Migranti a bordo della Open Arms. (Getty)

Far sbarcare i minori? Solo per questioni legali

Sostiene Conte che sollecitò «il ministro Salvini a far sbarcare i minori a bordo della Open Arms perché secondo me era un tema da risolvere al di là di tutto. Cercai di esercitare una moral suasion sulla questione perché mi pareva che la decisione di trattenerli a bordo non avesse alcun fondamento giuridico». Capito? A spingerli non fu la normale pietà umana, ma il terrore di essere illegali. Il primato della politica (che dovrebbe arrivare “prima” della legge) si schianta contro il frugale terrore di incorrere in sanzioni. C’è qualcosa di più piccolo e vile?

Di Maio e i «taxi del mare», prima ancora Minniti

Poi magari ci permetteremo anche di ricordare che i “cattivi” di questa storia sono diventati avversari e in alcuni casi hanno addirittura invertito le proprie politiche. Magari ci ricorderemo che in quella brutta storia appare come comparsa anche quel Luigi Di Maio che parlò di «taxi del mare» e per un breve periodo è diventato simbolo dei “progressisti” con tanto di candidatura sostenuta dal Partito democratico. E ci verrà facile collegarci con quell’ex ministro dem, Marco Minniti, che diede il via a questa sciagurata discesa negli inferi. Verrà, verrà eccome, il giorno in cui si riconoscerà la responsabilità diffusa di una disumanità molto più bipartisan di come la vorrebbero raccontare.

L’articolo Il processo Open Arms e la guerra vigliacca tra i peggiori politici proviene da Tag43.it.

Valditara porta gli studenti in tribunale

Sul solco di un governo che per governare continua a fare opposizione si inserisce di gran lena anche il ministro dell’Istruzione e il Merito, Giuseppe Valditara, che non ha trovato di meglio da fare che impegnare gli avvocati del suo ministero per una denuncia contro gli studenti.

Il ministro dell’Istruzione Valditara non ha trovato di meglio da fare che impegnare gli avvocati del suo ministero per una denuncia contro gli studenti

Mercoledì scorso la Rete degli Studenti di Milano manifesta davanti agli uffici Inail per protestare contro il mancato risarcimento alla famiglia di Giuliano de Seta, morto durante un progetto di alternanza scuola-lavoro nel mese di settembre. Risarcimento negato per la “mancanza di qualifiche” dello studente, che non era quindi considerato stagista a tutti gli effetti.

Gli studenti hanno imbrattato con vernice rossa la targa dell’Inail e hanno scritto con vernice bianca la parola “vergogna”. Ci sarebbe da capirli visto il tragico susseguirsi di deplorevoli morti nell’odioso sistema del tirocinio lavorativo.

Accade però che sui loro social gli studenti scrivano in un comunicato che “le tre morti che si verificano ogni giorno” sul lavoro, “oltre ai tre studenti morti in stage, non sono morti bianche, bensì posseggono dei mandanti ben precisi: da Confindustria a Mario Draghi, dall’Inail a Valditara, tasselli che compongono il mosaico di un sistema ora più che mai schiavo del profitto e del tutto disinteressato al capitale umano utilizzato per generarlo”.

Si sa, i giovani sono quasi tutti incendiari (anche se poi molti diventano addirittura pompieri) e tra i peccati di giovinezza c’è quell’alzare i toni che è tipico dei pezzi di società che devono urlare per farsi sentire. Un po’ avranno anche contribuito questi mesi passati a cianciare di “merito” che trasforma in sfigati e indolenti coloro che faticano e questa paternalistica reprimenda come re di tutti i mali di una scuola che intanto cade a pezzi, non ha personale e fa i conti con i continui tagli.

“L’alternanza scuola-lavoro uccide”. I ragazzi all’attacco, il ministro li querela

Il ministro Valditara avrebbe potuto esercitare il suo ruolo di ministro (e di adulto) e cogliere l’occasione dell’invettiva studentesca per illustrare le sue intenzioni ma ha preferito indossare i panni dell’assediato, com’è abitudine dei suoi compagni di governo. Le parole degli studenti, che hanno ribadito la loro contrarietà all’alternanza scuola-lavoro definendola “educazione allo sfruttamento ed alla precarietà” hanno scatenato l’ira funesta del ministro.

“Ho dato mandato ai miei avvocati di querelare i responsabili di queste dichiarazioni infamanti e gravemente diffamatorie. Con gli autori di questi comunicati non voglio aver nulla a che fare”, ha così sbottato Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, commentando il comunicato stampa diramato da Rete Studenti Milano.

“Quella di un ministro della Repubblica che querela degli studenti di scuola superiore è davvero una brutta e inedita immagine. Non credo sia mai accaduto nella storia del nostro Paese”, dice Elisabetta Piccolotti dell’Alleanza Verdi Sinistra. “Un ministro ha ruolo, visibilità e potere – prosegue l’esponente rossoverde della commissione cultura di Montecitorio – e non dovrebbe mettersi sullo stesso livello di ragazzi minorenni, che magari possono pure aver esagerato nel lanciare accuse o individuare responsabilità su quanto accade nell’alternanza scuola-lavoro che sempre più si rivela un flop educativo e con conseguenze pure drammaticamente inaccettabili.

Ma un ministro può difendere le proprie tesi e la propria onorabilità attraverso interviste o altri strumenti che possono raggiungere milioni di persone, e per questo non dovrebbe sentire il bisogno di usare le querele per difendersi da un volantino scritto da studenti di scuola superiore e che immagino sia stato stampato in poche decine di copie”. Chissà se ora Valditara querela pure lei.

L’articolo Valditara porta gli studenti in tribunale sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Quelli che li aspettavano Ancona

Ad Ancona c’era qualcuno, al porto, che aspettava la nave Geo barents. L’associazione Ambasciata dei diritti Marche era lì. Centinaia di persone erano lì con il corpo e avevano qualcosa da dire. Il comunicato dell’associazione dice tutto quello che c’è da dire.

«È evidente – si legge nella nota – come il governo italiano nell’assegnare il porto di Ancona alle due navi da soccorso Geo barents e Ocean viking volesse esporre l’equipaggio, gli armatori ed i naufraghi al pubblico ludibrio. Nelle stanze al calduccio del ministero degli Interni chissà con quale sadico divertimento si sono immaginati il loro elettorato deridere e farsi beffe di clandestini e zecche costretti ad un viaggio tanto penoso quanto inutile. La lunga lista di commenti pieni di odio nei vari social alla notizia dell’arrivo delle navi sembrava dipingere una comunità tra l’indifferenza e l’ostilità nei confronti dei naufraghi e dei loro salvatori».

«Oramai da anni il Viminale si è trasformato in una macchina di propaganda che genera odio nei confronti di migranti, profughi e richiedenti asilo – prosegue il comunicato -. Da Minniti passando per Salvini fino a Piantedosi il modus operandi è sempre lo stesso, un enorme strumento di distrazione di massa e costruzione di false emergenze, con tanto di mass media pronti a fare da cassa di risonanza come in un gregge di pecore. Di fronte a questa potenza di fuoco la sensazione di impotenza e di incapacità di reazione sembrava pervadere un po’ tutti. Eppure…»

«Eppure – continua il contributo di Ambasciata dei diritti Marche – la notizia dell’arrivo in città delle due navi ha generato un tam tam positivo tra associazioni e singoli individui che ha avuto fin da subito la capacità di squarciare il pesante velo che la politica razzista governativa voleva stendere sul nostro Paese. Game over … la pacchia è finita continuavano a commentare nel mondo virtuale dei social. Ma come la storia insegna la propaganda spesso fallisce ed ecco nascere in varie parti della città assemblee vere, dal vivo partecipate al di la di ogni più rosea previsione, tutte coordinate e decise nel dare il benvenuto alle persone soccorse ed ai loro soccorritori, ma allo stesso tempo ferme a svelare l’infamia che sta dietro alla politica governativa. Il moto positivo è stato talmente strabordante da rendere impossibile una gestione sincrona di tutte le iniziative poiché la volontà di testimoniare la vicinanza era irrefrenabile».

Chiosano così gli attivisti marchigiani: «Questo è successo ieri sera e sta succedendo questi giorni, centinaia di persone si sono riversate al porto per essere una unica voce di solidarietà, un clima meraviglioso che non si respirava da tempo, le chat di coordinamento esplodono di foto e di appuntamenti per vedersi. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una sola goccia, speriamo sia quella (parafrasando Orso) che innesca una tempesta. L’ingiustizia è talmente chiara che solo una rivolta potrà porre rimedio, non esiste un diritto al sopruso, non è possibile tollerare la violenza gratuita nei confronti di chi non si può difendere. Carola Rakete agì correttamente, lo dice pure una sentenza, forzò il blocco navale per portare in salvo i naufraghi ed aveva ragione. Non ci è dato sapere chi avrà la capacità di ribaltare il tavolo ancora una volta, se sarà un equipaggio, i naufraghi stessi o qualcuno a terra in solidarietà con loro, la cosa certa è che più gocce cadranno più la tempesta si avvicinerà».

Buon venerdì.


* In foto, il presidio di attivisti presenti durante l’arrivo della nave dell’ong Geo barents al porto di Ancona. Immagine pubblicata nella pagina Facebook di Ambasciata dei diritti Marche

L’articolo proviene da Left.it qui

Temperature marine record e oceani in ebollizione

Mentre in Italia nei dibattiti politici e televisivi qualcuno ha il fegato di mettere in discussione l’esistenza del surriscaldamento globale e del cambiamento climatico, nonostante praticamente tutta la comunità scientifica lo certifichi, il 2023 si apre con la notizia di un nuovo record relativo al riscaldamento degli oceani accompagnato da un aumento della stratificazione e dalla variazione di salinità delle acque che prefigurano quale sarà il futuro del mare in continuo riscaldamento.

Il 2023 si apre con la notizia di un nuovo record relativo al riscaldamento degli oceani accompagnato dalla variazione di salinità delle acque

Secondo lo studio Another year of record heat for the oceans, pubblicato ieri sulla rivista Advances in Atmospheric Science, nel 2022, per il settimo anno consecutivo, il contenuto termico delle acque dell’oceano ha segnato un nuovo record. L’articolo firmato da un team internazionale di 24 ricercatori di 16 istituti, evidenzia un valore record di calore accumulato nei primi 2000 metri di profondità dell’oceano nel 2022.

Nello specifico, rispetto al valore record raggiunto nel 2021, il contenuto di calore dell’oceano (OHC, Ocean Heat Content), stimato nel 2022 tra la superficie e i 2000 metri di profondità, è aumentato di circa 10 zetta joule (ZJ), equivalenti a circa 100 volte la produzione mondiale di elettricità del 2021, circa 325 volte quella della Cina, 634 volte quella degli Stati Uniti e poco meno di 9.700 volte quella dell’Italia. Per dare un’idea della enormità del valore di energia accumulato, 10 ZJ di calore possono mantenere in ebollizione 700 milioni di bollitori da un litro e mezzo di acqua per tutta la durata dell’anno.

Lijing Cheng dell’Accademia Cinese delle Scienze, nonché primo autore del lavoro, ha così commentato questi risultati: “Il riscaldamento globale dell’oceano continua e si manifesta sia con nuovi record del contenuto termico delle acque, ma anche con nuovi valori estremi per la salinità. Le aree già salate diventano ancora più salate mentre le zone con acque più dolci diventano ancora meno salate: c’è un continuo aumento dell’intensità del ciclo idrologico”.

Tre indicatori chiave del cambiamento climatico relativi all’oceano confermano il continuo aumento della temperatura in abbinamento a livelli sempre più elevati di salinità e all’aumento della sua stratificazione, ovvero la separazione dell’acqua in strati che può ridurre fino ad annullare il rimescolamento e gli scambi tra la superficie e le zone più profonde. I dati del 2022 confermano che tutti questi fenomeni continuano su scala globale anche se non in modo omogeneo nei vari bacini.

Preoccupa l’alterazione dei livelli di salinità per la vita degli ecosistemi

Tra le tante conseguenze, l’aumento della salinità e della stratificazione dell’Oceano può alterare il modo in cui il calore, il carbonio e l’ossigeno vengono scambiati tra l’oceano e l’atmosfera. Questo è un fattore che può causare la deossigenazione all’interno della colonna d’acqua che suscita forte preoccupazione, non solo per la vita e gli ecosistemi marini, ma anche per gli esseri umani e gli ecosistemi terrestri.

Tutto ciò contribuisce a ridurre la biodiversità marina, inducendo ad esempio specie ittiche importanti a spostarsi, provocando situazioni critiche nelle comunità dipendenti dalla pesca e la loro economia, originando quindi un effetto a catena sul modo in cui le popolazioni interagiscono con il proprio ambiente circostante.

Al tempo stesso, anomalie a livello meteorologico sono state ben evidenti nel 2022, che sarà ricordato per le ripetute ondate di calore in particolare nell’Europa occidentale con nuovi record di temperature atmosferiche in molti periodi dell’anno combinate ad una significativa riduzione delle precipitazioni. La conseguente siccità in queste aree ha influito negativamente non solo sulle attività agricole ma anche sulla qualità della vita delle persone (per gli elevati consumi energetici, per la climatizzazione e per la produzione dell’energia elettrica stessa), aumentando anche il rischio di incendi.

In altre aree si sono verificate invece alluvioni spesso sostenute dall’incremento di evaporazione nei mari più caldi. Tutto questo contribuisce a modificare il ciclo idrologico, rimarcando il ruolo interattivo che rivestono gli oceani. Il nostro Mediterraneo si conferma il bacino che si scalda più velocemente tra quelli analizzati nello studio, ma il contenuto di calore nel 2022 si attesta allo stesso livello del 2021 secondo le stime dello IAP-CAS (Institute of Atmospheric Physics, Chinese Academy of Sciences). I dati del modello di rianalisi del Mediterraneo prodotti e distribuiti dal servizio marino europeo Copernicus indicano invece una sua diminuzione rispetto al 2021.

Tali differenze possono attribuirsi alle diverse tecniche di elaborazione dei dati e alla loro distribuzione spazio-temporale. Variazioni di breve periodo (inter-annuali) sono comunque parte caratteristica del sistema e ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso. Anche l’Oceano, come l’Europa e le città italiane, bolle. Con una temperatura media di 16.9 °C e solo 392.3 mm di pioggia il 2022 a Milano è stato l’anno più caldo e meno piovoso dal 1897 a oggi.

Tra febbraio e marzo vi sono stati 42 giorni consecutivi senza precipitazioni

Tra febbraio e marzo vi sono stati 42 giorni consecutivi senza precipitazioni, ma in generale tutto l’anno è stato caratterizzato da un susseguirsi di lunghi periodi siccitosi. L’unico episodio grandinigeno si è registrato il 9 maggio, mentre non vi sono stati eventi nevosi.

Non agire a sostegno dell’ambiente rischia di rallentare la crescita economica

E ieri Deloitte ha lanciato l’allarme: non agire preventivamente a sostegno dell’ambiente rischia di rallentare la crescita economica e impattare negativamente i livelli di occupazione: sono 800 milioni i posti di lavoro in tutto il mondo – circa il 25% dell’attuale forza lavoro globale – altamente vulnerabili al cambiamento climatico e al suo impatto sull’economia. E tutto questo non si lava via con un po’ d’acqua come la vernice sul muro del Senato.

L’articolo Temperature marine record e oceani in ebollizione sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui