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Tutte le Fake news di Piantedosi sui migranti

Il ministro dirottatore Piantedosi insiste, mostrando però una certa confusione. Pur di dare un senso a un Decreto sicurezza illegittimo di fronte alle leggi internazionali negli ultimi giorni dilaga su giornali e televisioni per dire la sua sull’immigrazione e cade, troppo spesso, in errore.

Piantedosi è riuscito candidamente a dire che nei primi due mesi di governo sono diminuiti gli sbarchi. Ma non è così

Ospite della trasmissione L’aria che tira su La7 il ministro dell’Interno riesce candidamente a dire che “i primi due mesi di azione di questo governo hanno fatto segnare una flessione della curva di crescita degli sbarchi rispetto all’anno precedente”.

Da quanto si è insediato il governo Meloni sono sbarcati sulle coste italiane quasi 23.400 migranti

In studio ovviamente nessuno lo smentisce eppure a Piantedosi basterebbe leggere i dati del suo ministero, gli basterebbe aprire il cassetto del suo ufficio. Come fa notare Pagella politica secondo i dati del Ministero dell’Interno infatti, nei due mesi successivi all’insediamento del governo, ossia da quella data al 22 dicembre 2022, sono sbarcati sulle coste italiane quasi 23.400 migranti. Nello stesso periodo del 2021, durante il governo Draghi, gli sbarchi erano stati oltre 12.600.

Nell’intervallo di tempo indicato da Piantedosi c’è stato dunque un aumento degli sbarchi dell’85,7 per cento. La percentuale di crescita raggiunge il 98,7 per cento se si guarda il periodo tra il 22 ottobre 2022 e il 10 gennaio 2023, il giorno dell’intervista del ministro. In questi quasi tre mesi gli sbarchi in Italia sono di fatto raddoppiati (+98,7 per cento), passando a circa 31.200 dagli oltre 15.700 dello stesso periodo a cavallo tra il 2021 e il 2022.

Più nel dettaglio, nei primi 10 giorni di gennaio del 2023 i migranti sbarcati sono stati 3.709: nello stesso periodo del 2022 erano stati 378 e nel 2021 287. Nel solo mese di dicembre 2022 gli sbarchi sono stati quasi 10.800, contro gli oltre 4.500 di dicembre 2021. I numeri dicono quindi che gli sbarchi, con buona pace del ministro, siano in crescita rispetto al passato. Volendo provare a essere un po’ più seri di questa continua e feroce propaganda potremmo ricordarci per l’ennesima volta che le politiche dei governi hanno un’incidenza minima sul fenomeno.

Gli studi più recenti indicano chiaramente che i due fattori principali che contribuiscono alle partenze dal Nord Africa sono le condizioni meteo e l’instabilità politica della zona. Sul meteo appare difficile che il governo di cui Piantedosi fa parte possa fare qualcosa mentre per la stabilità politica del continente bisognerebbe fare qualcosa di più (e di meglio) dell’assoldare qualche banda travestendoli da sedicente Guardia costiera per compiere il lavoro sporco che l’Europa vergognosamente appalta.

Ong calamite di profughi? È una vecchia balla già smontata

Per completare la serie di sciocchezze il ministro ha ritirato fuori dal cilindro ancora una volta l’astrusa teoria del pull factor secondo cui dei disperati rischierebbero la vita in mare non per salvarsi la pelle ma perché invitati dalle navi delle Organizzazioni non governative. Che le Ong possano avere un “effetto calamita” sulle partenze è una panzana che usa solo la destra italiana.

Rapporti dell’Università di Oxford, dell’Università di Londra, dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze e dell’Istituto Italiano per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) hanno dimostrato che non esiste un nesso causale tra le traversate nel Mediterraneo centrale e la presenza di navi di soccorso delle ONG che si occupano di Search and Rescue. Lo dimostrano anche diversi esempi concreti: dopo l’interruzione dell’operazione di salvataggio Mare Nostrum nel 2014, il numero di partenze e arrivi in Italia non è diminuito.

Al contrario, è aumentato, così come il numero di morti: 3.165 persone morte nel 2014 secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), 3.232 nel 2015. Qualcuno consigli al ministro dell’Interno di applicarsi di più.

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La vera accisa è questo governo

Nella commedia dell’assurdo a cui stiamo assistendo con questo governo di partiti “pronti” che sono ogni giorno più farsescamente impreparati si aggiunge l’atto delle accise sui carburanti. Come negli episodi precedenti (e nei prevedibilissimi episodi successivi) la risata è amara, forse un po’ malinconica, sicuramente salatissima.

Tipicamente, quando si tratta di Salvini e Meloni, non serve nemmeno entrare nei tecnicismi. I due leader di Lega e di Fratelli d’Italia hanno passato gli ultimi anni a utilizzare le accise sul carburante come fermenti vivi della propaganda. L’equazione è facile: si tratta di qualcosa che usano praticamente tutti, è un’ottima semplificazione del “costo” dello Stato e di quanto pesi in termini percentuali, è di facile comprensione. Ci rimangono in memoria le scenette dell’attuale presidente del Consiglio con il benzinaio e la lavagnetta su cui Salvini prometteva l’abolizione delle accise in diretta televisiva mentre irrideva il centesimo per la guerra in Abissinia.

La destra che si ritrova al governo del resto ha riempito i granai di voti con la politica più facile, l’opposizione fitta e sconclusionata che disegna la politica come un gioco da ragazzi finito semplicemente nelle mani dei ragazzi sbagliati. Conquistare un voto distratto promettendo che il pieno costerà meno è molto più semplice del dover spiegare cosa si intenda per giustizia sociale e del dover progettare una pianificazione delle risorse dello Stato. Solo che per loro sfortuna Meloni, Salvini e compagnia cantante hanno vinto. E qui inizia la farsa.

Il governo interviene sul taglio delle accise e il costo della benzina si alza. Giorgia Meloni spudoratamente dichiara di non averne mai promesso il taglio. Viene sbugiardata. Salvini intanto prova a eclissarsi ma si ritrova costretto ad alzare i pedaggi autostradali e quindi finisce nel fango. Ieri il vice capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Salvatore Sallemi ci ha spiegato che «se il governo avesse tagliato le accise non ci sarebbero stati fondi a sufficienza per sanità e famiglie», sfoderando addirittura un ricatto morale. Quelli non sanno più che fare e provano a urlare che l’aumento dei carburanti è “solo speculazione”. Falso: i dati del ministero dell’Ambiente dicono che per entrambi i carburanti il rialzo è stato di circa 16-17 centesimi al litro, dunque in linea con l’aumento delle accise da 18 centesimi dopo la fine dello sconto.

Intanto la Cna di Padova fa i conti per gli autotrasportatori: per il settore dell’autotrasporto il 2023 si apre con un aumento dei costi che può arrivare ad incidere per 10mila euro all’anno per ogni singolo veicolo pesante. A pesare è soprattutto lo stop allo sconto sulle accise, che porta l’Italia al terzo posto nella graduatoria dei prezzi del gasolio alla pompa più alti d’Europa (secondo l’Osservatorio sui prezzi dell’energia della Commissione europea). Quelli impazziscono. Paroli (di Forza Italia) dice che «oggi le risorse servono a tutelare famiglie e imprese dai rincari delle bollette». Altro ricatto: volete il caldo o l’auto? Fenomenale Farolfi di Fratelli d’Italia: «Se il governo avesse mantenuto la sospensione delle accise – dichiara -, avrebbe compiuto un’ingiustizia sociale». Insomma, lo stanno facendo per noi. E poi si sa che la giustizia sociale è il primo dei loro pensieri. In serata interviene Paolo Trancassini, deputato di Fratelli d’Italia: «Sulle accise solo menzogne». Insomma, ce lo siamo inventati.

La vera insostenibile accisa sono loro al governo, in effetti.

Buon giovedì.

La foto ufficiale del governo Meloni (Quirinale.it, commons.wikimedia.org)

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Unione popolare denuncia a Fanpage.it: “Ci impediscono di raccogliere le firme per le regionali in Lombardia”


Secondo quanto denuncia la candidata di Unione popolare a Fanpage.it, sia alcuni sindaci di centrosinistra che di centrodestra starebbero impedendo al movimento di raccogliere le firme per presentare la loro lista alle elezioni regionali in Lombardia. “Far sapere che c’è una lista più piccola dà fastidio”, denuncia Mara Ghidorzi.
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Milano metropoli dei 30 all’ora

A Milano dal 2024 si viaggerà a 30 chilometri orari in tutta la città. Lo ha stabilito il Consiglio comunale che ha approvato un ordine del giorno della maggioranza che invita il sindaco, Beppe Sala, e la sua giunta a proclamare Milano ‘Città 30’, istituendo il limite di velocità in ambito urbano a 30 chilometri orari a partire dal 1° gennaio 2024.

A Milano via libera ai nuovi limiti di velocità. Si parte dal 2024. La misura voluta dal sindaco Sala sulla scia della normativa Ue

Si tratta di una vera e propria rivoluzione della mobilità urbana che riprende la strategia di molte città europee, tra le quali: Graz, Grenoble, Helsinki, Valencia, Zurigo, Lilla, Bilbao. Il primo firmatario della proposta, il consigliere Marco Mazzei della Lista Sala, ha spiegato in Aula che “l’impatto tra un’automobile che viaggia a 50 chilometri orari e un pedone o un ciclista è quasi sempre fatale per l’utente leggero della strada, e al contrario l’impatto a 30 chilometri non è quasi mai letale e offre ampie rassicurazioni sulla minore gravità delle conseguenze”.

Nelle città poi, secondo dati Aci-Istat, riportati nell’ordine del giorno, avvengono oltre il 70% degli incidenti in Italia e tra le prime cause in assoluto c’è proprio l’eccesso di velocità. Questi incidenti in ambito urbano provocano il 43,9% dei morti e il 69,7% dei feriti.

Non è questione di mera ideologia: già il Piano nazionale per la sicurezza stradale (Pnss) dice che “dove ci possono essere impatti che coinvolgono veicoli e pedoni, la velocità dovrebbe essere ridotta a trenta chilometri orari” e una risoluzione del Parlamento europeo (la 2021/2014) invita ad “applicare la velocità massima di trenta chilometri all’ora, come regola generale, nelle zone residenziali e nelle zone con un numero elevato di ciclisti e di pedoni”.

Nella risoluzione approvata a Bruxelles i deputati sottolineano che ogni anno circa 22.700 persone perdono la vita sulle strade dell’Ue e circa 120mila rimangano gravemente ferite. I progressi compiuti per ridurre il tasso di mortalità stradale si sono arrestati e, di conseguenza, l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada tra il 2010 e il 2020 non è stato raggiunto (il numero di morti sulle strade è sceso del 36%).

“Per questo, – si legge nella risoluzione – la Commissione europea dovrebbe elaborare una raccomandazione per l’introduzione di limiti di velocità di 30 km/h nelle zone residenziali e nelle zone con un numero elevato di ciclisti e di pedoni”. In Europa Parigi e Bruxelles hanno imposto il limite urbano di 30 chilometri orari, la prima dall’agosto del 2021 e la seconda dal gennaio del 2021. Dopo il primo anno di sperimentazione i risultati ottenuti sono stati un aumento del rispetto dei limiti di velocità, i morti sulle strade che si sono più che dimezzati e si sono ridotti in modo significativo i feriti gravi.

Puntuali sono arrivate le critiche del centrodestra con il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana in testa: “Forse il limite dei 50 km credo potrebbe essere più utile per evitare che si rischi il blocco della circolazione”, ha detto ieri Fontana ai giornalisti. Peccato che sia falso. La velocità media di un’auto in città “è già sui 10-12 chilometri orari”, come ha spiegato il consigliere Mazzei.

Il report dell’Ufficio prevenzione infortuni mostra che la riduzione del limite di velocità in area urbana non ha “nemmeno un influsso significativo sui tempi di viaggio”: si parla di due secondi ogni cento metri, che scendono a zero nelle ore di punta. C’è in compenso un ulteriore aspetto positivo: la sperimentazione nella città di Bruxelles indica che la riduzione della velocità ha ridotto mediamente il rumore stradale di 1,6 dB (A) durante il giorno e di 1,7 dB (A) durante la notte. Molto meno degli strilli degli antiambientalisti.

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Enti locali, Pertici: “L’obiettivo di abolirli ha lasciato un vuoto”

Professor Andrea Pertici, la senatrice Licia Ronzulli ha annunciato di avere pronto il ddl per il ripristino delle Province. Da una nostra verifica con la riforma Delrio, con tutti i suoi difetti, si è passati da una spesa di 14 miliardi a circa 5. È davvero una priorità?
“Non partirei dai costi. Il tentativo di abolizione delle Province non è andato a buon fine. E non solo perché gli italiani hanno saggiamente respinto la riforma costituzionale del Governo Renzi, ma anche e soprattutto perché ci si è presto resi conto che lo svolgimento di alcune funzioni amministrative può essere adeguatamente svolto solo a livello di ente intermedio. Ma un ente che svolge rilevanti funzioni amministrative deve avere un’adeguata legittimazione e poter essere chiamato a rispondere delle proprie scelte dai cittadini. Adesso i cittadini non sanno neppure quando gli amministratori comunali si votano tra loro per andare negli organi provinciali. Questo sistema era pensato da una legge (la Delrio) che aveva come prospettiva l’eliminazione delle Province. Oggi, appurato che le Province servono, occorre ripensarne il modello in relazione alle loro funzioni che sono, da un lato, quelle di amministrazione attiva e, dall’altro, quelle di coordinamento dei Comuni e di supporto agli stessi”.

Nella proposta tra l’altro si parla anche di abolizione dei ballottaggi in caso di vittoria sopra il 40 per cento “per risparmiare soldi” e per “evitare il mercato delle vacche”. Che ne pensa
“Questo è già stato previsto per le elezioni comunali siciliane. Ma mi pare una forzatura: se un candidato non ha raggiunto la maggioranza assoluta è più ragionevole che affronti il ballottaggio. Di nuovo, guarderei altrove per i risparmi”.

Cosa pensa delle riforme e del dibattito sulle province in questi anni, da Delrio in poi?
“Penso che sia stato un dibattito spesso confuso, connotato più dall’emotività che dal pragmatismo. Se si fosse fatto un minimo di approfondimento ci si sarebbe resi conto che le Province rappresentano l’ente locale maggiormente omogeneo, imprescindibile in un assetto territoriale come il nostro che vede Comuni tanto disomogenei – da 30 abitanti fino a 3 milioni – e Regioni spesso distanti e certamente meno vocate a svolgere funzioni di amministrazione attiva. Senza considerare che l’ambito provinciale è stato storicamente anche quello di riferimento per il decentramento amministrativo, anche se pure su questo alcuni accorpamenti poco riflettuti hanno ormai creato confusione”.

Da costituzionalista come giudica il trattamento che sta ricevendo la Costituzione (con le promesse di modifiche e con le proposte politiche in corso) da parte di questo governo?
“Su questo per ora non ci sono abbastanza elementi. In generale, direi a Meloni ciò che dicevo a Renzi: quando si parla della Costituzione i banchi del Governo devono essere sgombri. Ci si affidi al dibattito nelle Camere. In ogni caso, mi pare che la nostra forma di governo debba rimanere parlamentare: possono semmai essere introdotti alcuni correttivi. Il potere non deve diventare più verticale, puntando sul “capo”, ma più orizzontale, puntando ad una maggiore partecipazione degli elettori. Un governo con una così chiara base popolare dovrebbe saperlo tenere in considerazione”.

Leggi anche: Vecchi carrozzoni e poltronifici. Riecco le Province. Forza Italia vuole cancellare la legge Delrio che le ha depotenziate. Costo a carico degli italiani: 14 miliardi all’anno

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Dal mare al carcere. Anche nel 2022

Arci Porco Rosso, Borderline Sicilia e Borderline-Europe anche quest’anno hanno continuato il progetto “Dal mare al carcere” sulla criminalizzazione dei cosiddetti scafisti che con questo governo sono ovviamente saliti alla ribalta.

Si parte dalla dichiarazione di Giorgia Meloni che, di fronte alla crisi con la Francia scaturita dal tentativo dell’Italia di bloccare l’ingresso e lo sbarco delle navi Ong che avevano prestato soccorso a centinaia di persone, sostiene: «Meglio isolare gli scafisti, non l’Italia». Affermazioni odiose, che alimentano la demonizzazione di chi non fa altro che condurre oltre la frontiera imbarcazioni di persone in fuga, cercando di imporre nuovamente la figura dello scafista al centro della conversazione, come capro espiatorio universale a cui si possa addossare la responsabilità della morte e della violenza che avviene alla frontiera marittima italiana.

Nel report si legge che «nel 2022, abbiamo contato il fermo di 264 persone in seguito agli sbarchi. Questa cifra non è scientifica, ma si basa su quanto riportato dai giornalisti, soprattutto nella stampa locale. Usando lo stesso metodo, l’anno scorso abbiamo contato 171 fermi, a fronte dei 225 fermi rivendicati dalla Polizia di Stato nel loro report annuale uscito ad aprile. Se abbiamo mantenuto lo stesso livello di precisione, possiamo stimare che il numero di fermi complessivamente nel 2022 è di 350 persone circa».

Il numero di fermi rappresenta una persona ogni 300 persone arrivate, una proporzione simile al 2021, e complessivamente anche simile al periodo 2014-2017. «Molto diverse rispetto a questo periodo, però, sono le nazionalità delle persone fermate. Negli anni successivi all’apertura della rotta libica, tantissime persone provenienti dall’Africa occidentale sono state arrestate, circa un quarto di tutti i fermi. Negli ultimi due anni, abbiamo contato meno di 10 fermi che coinvolgono cittadini di questi Paesi».

Le associazioni hanno seguito nel dettaglio 84 persone criminalizzate, 54 delle quali sono in carcere. «Quasi metà di loro provengono dal Nord Africa, e un terzo dall’Africa Occidentale. Gli altri da paesi asiatici, dall’Africa Orientale o dall’Europa dell’Est. Tra le persone che seguiamo ci sono due donne detenute, una proveniente dalla Russia e l’altra dall’Ucraina».

«Fare uscire la voce delle persone sotto processo e detenute è fondamentale per sfidare la narrazione attualmente dominante che mira a demonizzare le persone accusate di essere scafisti. Per questo motivo negli ultimi mesi ci siamo messə a disposizione di giornalisti che hanno pubblicato articoli di cronaca e inchieste importanti a tal riguardo. Il lavoro del gruppo Lost in Europe ha contributo all’approfondimento della questione dei minori stranieri accusati di essere scafisti, pubblicato, fra altre testate, su L’Essenziale e ANSA. Il Post International invece ha pubblicato un esaustivo articolo che riporta il caso di due cittadini turchi condannati a 12 anni di carcere in primo grado; siamo ora in contatto sia con gli imputati che i difensori. Lorenzo D’Agostino ha scritto per il Domani del caso di Helmi El Loumi , un ragazzo tunisino condannato per l’orrendo naufragio di novembre 2019, condannato ad otto anni di reclusione e con il quale manteniamo una corrispondenza epistolare. In più, la situazione in Italia è stata paragonata a quella in Grecia e Regno Unito da diversi giornalisti: per il New Humanitarian in inglese, e per La Liberation in francese. Si possono leggere tutti questi articoli e altri ancora nel nostro sito”, scrivono gli autori del rapporto.

Tutte queste storie hanno la stessa morale. Come scrivevano gli autori nel loro rapporto precedente la persecuzione sotto il profilo penale dei cosiddetti scafisti in Italia andrebbe letta nel contesto sempre più ampio della criminalizzazione della migrazione verso l’Europa. Nel caso dei cosiddetti scafisti, si tratta della criminalizzazione dell’atto di guidare una barca con a bordo migranti che fanno ingresso in Europa senza visto; va ricordato che i procedimenti penali contro i guidatori delle barche si svolgono non solo in Italia ma anche in Grecia, Spagna, le Canarie e il Regno unito: le tragiche situazioni che emergono da questa ricerca rappresentano, quindi, un tassello di un fenomeno di scala internazionale. Allo stesso tempo, questi eventi devono essere visti e analizzati anche tenendo conto del contesto italiano, un Paese in cui gli atti di solidarietà alle persone migranti sono presi di mira dalle procure, come dimostrato dai procedimenti penali aperti contro gli equipaggi delle missioni civili di ricerca e soccorso (Iuventa, Mediterranea) e dalla condanna in primo grado del Sindaco di Riace.

La realtà è molto più complessa di come ci piacerebbe che fosse. In quelle sfumature di grigio c’è il senso di responsabilità della politica, della stampa e dei cittadini.

Buon mercoledì.

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Quel filo che lega dai complottisti No Vax ai golpisti brasiliani

Andrea Sales i processi psicologici di massa li conosce bene. Da psicoterapeuta e docente universitario li studia, li insegna e li “usa” per formare il personale delle aziende. Professor Sales, vedendo le immagini che arrivano dal Brasile la domanda sorge spontanea: cosa spinge delle persone a mettere in pericolo la propria libertà per seguire i deliri di idoli che sono pronti a scaricarli immediatamente?
“Il ragionamento è già nella domanda. Primo: queste persone agiscono proprio perché vogliono assicurarsi la libertà e, nella loro visione del mondo, il cattivo è quello che ha vinto illegalmente (Lula) e il buono è quello che può garantire loro la libertà. Il secondo fattore importante è la reciprocità e il supporto del gruppo. Il senso di appartenenza (è una dinamica studiata addirittura nel 1895 con la psicologia delle folle) porta le persone a trarre forza dagli altri che la pensano come loro, come accade per gli ultrà nel calcio. Poi c’è il livello di ignoranza, questo indipendentemente da destra e sinistra: maggiore è l’ignoranza e più l’essere umano ha bisogno di riferimenti solidi”.

Ma come è possibile che così tante persone cadano nell’errore di credere a ciò che non è credibile, nemmeno reale?
“Le statistiche ci dicono che nelle zone di maggior povertà culturale è più alta la presenza di credenze fideistiche. Quando non conosci le persone hai bisogno di affidarti a qualcosa, a un pensiero. C’è un bias di conferma: se ci riconosciamo tra simili tendo a fidarmi di più”.

C’è un filo rosso nel meccanismo psicologico che abbiamo visto in pandemia e poi tra gli assalitori di Capitol Hill negli Usa e ora in Brasile?
“A un certo punto c’è una situazione “x” che richiede una presa di posizione e questa presa di posizione richiede uno schieramento. Io scelgo lo schieramento a seconda dei bias di conferma e a seconda di quello che ritengo essere più utile ai miei obiettivi e ai miei interessi. Nel momento in cui sentiamo di appartenere a un gruppo, qualsiasi, è più facile che prendiamo per buone anche le nuove asserzioni o affermazioni di quel gruppo. Perché ci fidiamo”.

Ma i leader, da Trump a Bolsonaro, sono poi stati smentiti dai fatti. Perché credergli ancora
“Perché se sostengo la mia posizione sostengo anche il fatto che ci sia un complottismo contro la mia posizione. Nel momento in cui sostengo una persona molto forte quando viene smontata devo mantenere la mia posizione altrimenti crollerei con lei. Quindi la sostengo fino alla morte”.

Quindi sono schieramento impossibili da spostare…
“Impossibili”.

Dobbiamo convivere con gli irrazionali?
“È sempre stato così. La storia è piena di queste cose. I grandi leader riescono a manipolare per fare massa. Creano un gruppo oligarchico e poi usano gli altri per fare manovalanza. È un potere psicologico. Saper usare la parola è una competenza irraggiungibile”.

Quindi l’allarme populismo è falso….
“Esattamente”.

E sconfiggere il populismo?
“È un’utopia nella quale credo perché significherebbe elevare il livello di ragionamento”.

C’è da essere pessimisti quindi…
“Ma no… Io tutti i giorni a modo mio nel mio piccolo cerco di educare le persone e farle ragionare. Molti lo fanno con il proprio lavoro. Dobbiamo avere il senso delle proporzioni: noi oggi lottiamo per cose che fra 40 anni saranno possibili”.

E il ruolo dell’informazione?
“La gente legge e vuole leggere tutto ciò che è coerenza narrativa con i loro pensieri. L’informazione è nella bolla, ormai è tutto così. È rarissimo trovare una possibilità di scambio: esiste solo lo spazio di conferma o quello di negazione. Anzi: di completa conferma o di completa negazione. Invece dovremmo essere educati allo spazio intermedio: quello di confronto. A me succede spesso di avere a che fare con pazienti o conoscenti che arrivano da me per chiedermi un consiglio ma hanno una decisione già presa”.

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L’Autonomia nuoce alla Salute. E allarga il gap sanitario Nord-Sud

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, cosa pensa del disegno di legge sull’autonomia differenziata
“In uno scenario di maggiori autonomie regionali la sanità rappresenta una cartina al tornasole, considerato che il diritto costituzionale alla tutela della salute – affidato sulla carta alla leale collaborazione tra Stato e Regioni – è nei fatti condizionato da 21 sistemi sanitari che generano gravi diseguaglianze. Una attuazione tout court delle maggiori autonomie richieste è dunque inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un SSN, oggi universalistico ed equo solo sulla carta: in altre parole, senza un contestuale potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, il regionalismo differenziato rischia di legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.

E rispetto alle tipologie di autonomie richieste?
“Alcune richieste di maggiore autonomia rappresentano oggi strumenti per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario da estendere idealmente a tutte le Regioni: abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e istituzione di contratti di formazione-lavoro per gli specializzandi per anticipare il loro ingresso nel mondo del lavoro, se realmente intesi come contratti sostitutivi delle attuali borse di studio. Altre forme di autonomia rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale in un momento storico in cui la riorganizzazione dei servizi sanitari legata alle risorse del PNRR impone proprio di ridurre le diseguaglianze regionali: dal sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR, all’autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per la scuola di specializzazione e per il corso di formazione specifica in medicina generale”.

La maggiore autonomia legislativa, organizzativa e amministrativa in materia di fondi sanitari integrativi che effetti può provocare?
“È un ambito in cui non esiterei a definire francamente “eversiva” una maggiore autonomia (richiesta peraltro solo dalla Regione Veneto), che darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali totalmente sganciati dalla normativa nazionale. Una normativa frammentata e incompleta che ha consentito sia l’ingresso strisciante delle assicurazioni sanitarie in un ecosistema che era stato creato per enti no-profit, sia l’utilizzo di fondi pubblici provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari per alimentare lasanità privata”.

Ma è vero che il SSN, come si sente dire da alcuni, è così piatto e “troppo uguale”? Non erano proprio le disuguaglianze il vero problema del SSN?
“Una simile affermazione è frutto di ignoranza e/o malafede, perché i dati documentano rilevanti diseguaglianze e iniquità tra le 21 Regioni e Province autonome, sia in termini di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia di appropriatezza dei processi, sia soprattutto, di esiti di salute. In ogni caso, se il SSN fosse “piatto”, ovvero se garantisse il diritto alla tutela della salute in tutte le Regioni, farebbe esattamente il suo dovere: quello che gli assegna l’art. 32 della Costituzione”.

Quali dovrebbero essere invece le misure per diminuire il gap tra nord e sud?
“Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie e della legislazione concorrente, secondo quanto previsto dall’art. 117 della carta costituzionale”.

 

Leggi anche: Autonomia differenziata, Calderoli vuole spaccare l’Italia a colpi di Dpcm. Ma le destre attaccavano Conte per averli usati durante la pandemia

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Soumahoro e il delitto perfetto (della sinistra)

La notizia che tutti sapevano irrompe nel pomeriggio. Un’agenzia riporta le parole di Aboubakar Soumahoro: «Mi ha francamente stupito e amareggiato, ad eccezione di qualche parlamentare, l’assenza della solidarietà umana e del supporto politico da parte del gruppo parlamentare Alleanza Verdi-Sinistra, con quale sono stato eletto da indipendente. Dopo un’attenta e sofferta meditazione sul piano umano e politico, ho maturato la decisione di aderire al gruppo parlamentare Misto, lasciando il gruppo Avs, per proseguire la mia attività di parlamentare».
Qualcuno si potrebbe aspettare delle spiegazioni. Soumahoro dice che è stato frainteso sulla sua frase del “diritto all’eleganza”: «Mi spiace sinceramente che non sia stato compreso ciò che realmente intendevo dire quando ho parlato di diritto alla moda e all’eleganza, laddove intendevo riferirmi al diritto di chiunque di vestirsi come meglio crede», spiega il deputato. Sono passate settimane e ancora non si è centrato il punto. Incredibile. «Tuttavia trovo davvero singolare che mi si chieda di esprimere un giudizio di valore circa foto della mia compagna risalenti a 4 anni prima che io la conoscessi», aggiunge Soumahoro. Non ha tutti i torti però qualcuno dovrebbe spiegargli che accade così: si diventa una personalità pubblica e i giornalisti scavano nel passato. È uno dei compiti della stampa.
Nel dossier del deputato (che dovrebbe chiarire tutto) si legge che le foto di Liliane Murekatete sono state riprese «da quotidiani, siti e rotocalchi che hanno sottolineato e commentato il suo modo di vestirsi, la tipologia di abbigliamento e accessori utilizzati, etc». «Soprannominata provocatoriamente ‘lady Gucci’ – prosegue il dossier – la donna è stata al centro di una serie di pesanti commenti e insinuazioni da parte della stampa e di opinionisti di varia natura». Impossibile dargli torto: i nemici di Soumahoro sono i templari del patriarcato e l’occasione per loro era imperdibile.
Una riflessione merita un altro passaggio. Il deputato osserva che qui da noi una persona di colore «va bene finché è un ‘negro da cortile’, finché protesta con gli striscioni, che che peraltro ho fatto mille volte e non smetterò mai di fare, se è povero e sta ai margini. Ma se prova a fare un salto di qualità immediatamente disturba». Spiega di avere chiesto chiarimenti nel 2021 sulla cooperativa di famiglia: «A fine 2021 lessi da alcuni articoli di stampa sulla mancata retribuzione ad alcuni dipendenti della Karibu e – pur non avendo alcun interesse diretto nelle cooperative – chiesi immediati chiarimenti a riguardo. Venni informato del fatto che non erano ancora pervenuti tutti i soldi necessari per pagare gli stipendi, che si erano sollecitati gli Enti pubblici, e che – così mi venne detto – auspicabilmente tutto si sarebbe risolto in tempi ragionevoli». È consapevole però dell’errore: «Alla domanda del perché io non mi sia immediatamente attivato per intervenire a sostegno dei lavoratori della Karibu in difficoltà, posso rispondere due cose: la prima, a giustificazione del tutto parziale, è che mentre ero fortemente impegnato con le mie attività sindacali e sociali sul territorio nazionale, avevo speranza che la situazione potesse rapidamente risolversi una volta arrivati i fondi pubblici attesi; la seconda è porre le mie scuse incondizionate a quei lavoratori, che avrebbero meritato da parte mia – in ogni caso e a prescindere da quanto sopra – una più sollecita attenzione. Quando una persona sbaglia, anche se solo per sottostima del problema e non in malafede, esiste una sola soluzione: scusarsi, ed impegnarsi a fare meglio in futuro affinché non capiti mai più».
Passa qualche minuto e la capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra spiega di non avere mai avuto occasione di parlare con il suo deputato dopo l’esplosione del presunto scandalo. Mai, ripete. In compenso le sue dimissioni sono arrivati solo in copia alla mail spedita al presidente della Camera Lorenzo Fontana. «Diciamo che Aboubakar ha fatto tutto da solo, non abbiamo più avuto nessun confronto, ne sappiamo di dossier. Mi sarei aspettata una comunicazione più diretta e meno burocratica», spiega ai giornalisti. Passa un’ora e interviene il leader dei Verdi Angelo Bonelli. Spiega che il dossier di Soumahoro “non fa chiarezza”: «Se io fossi stato in lui avrei aspettato non più di 48 ore per tirare fuori tutti i documenti e chiarire tutto quello che c’era da chiarire. E invece c’è stato silenzio», dice Bonelli. E aggiunge: «Avrebbe dovuto spiegare. Avrebbe potuto farlo. Anche nei rapporti padre-figlio, mio padre mi dava solidarietà se mi comportavo bene, se mi comportavo male, mi dava uno schiaffone. Se voleva solidarietà doveva essere chiaro».
«Siamo cornuti e mazziati», dice Bonelli. Anche la sinistra. Pensa gli elettori. Una storia in cui ci hanno rimesso tutti mentre la destra gongola.
Buon martedì.

 

*L’immagine di apertura è tratta da uno dei video del Dossier dell’onorevole Soumahoro

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Alternanza scuola-armi

Il mondo che sognano alcuni anche se non hanno il coraggio di ammetterlo è già qua. I senatori dell’Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi e Peppe De Cristofaro presentano un’interrogazione al ministro dell’Istruzione (e del merito, eh già) in cui chiedono conto sull’alternanza scuola-lavoro presso la «MES S.p.A., con sede operativa a Roma, in via Tiburtina 1292, su di un’area di circa 22.000 m², di cui la metà è dedicata alle attività produttive. La società opera da 60 anni nel settore militare e spaziale, ed è specializzata nella produzione di armi, in collaborazione con AID (Agenzie Industrie Difesa), progetta e produce munizioni per impiego terrestre, navale e aeronautico di piccolo, medio e grosso calibro, sistemi di autoprotezione “Chaff and Flares”».

I senatori sottolineano come sia «inopportuno che il sistema scolastico autorizzi percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto) presso aziende che producono armamenti militari o che siano impegnate nelle produzione di componentistica militare, ciò tanto sul piano della sicurezza personale e della salute dei ragazzi e delle ragazze, ma anche sul piano della compatibilità di progetti di tal fatta con gli obiettivi pedagogici ed educativi promossi dalla scuola pubblica, e ancora della loro compatibilità con i valori e i principi costituzionali».

Non è una storia nuova. Come scrive Antonio Mazzeo nel suo studio Scuole armate «in un articolo pubblicato in Peacereporter (“L’ingresso di AgustaWestland nelle scuole medie inferiori del territorio ”), il giornalista Ferrario sottolineava come “un altro anello importante della catena della produzione militare ”fosse rappresentato dal “rapporto tra le aziende a prevalente produzione bellica e le scuole del territorio, con il coinvolgimento dei comuni, indipendentemente dal colore partitico dell’amministrazione comunale” . Il giornalista puntò il dito contro l’opera di “reclutamento” dei giovani all’interno delle aziende controllate al tempo dal gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo): “Facciamo l’esempio di alcune situazioni in provincia di Varese che ha un’alta concentrazione d’aziende aeronautiche con AgustaWestland (a Samarate, Vergiate, Somma Lombardo e altri nuclei minori in altri Comuni), Aermacchi (Venegono Inferiore) e l’indotto a loro collegato (come è un’altra storica azienda aeronautica, la Secondo Mona) e Novara, che avrà un polo aeronautico d’importanza internazionale, come l’aeroporto militare di Cameri, dove Alenia Aeronautica assemblerà i cacciabombardieri F35». Nel suo report sono citati decine di esempi.

Lo scorso mese di luglio, ad esempio, presso la caserma di Solbiate Olona si è tenuto l’International Day 2022, «evento di consolidamento dei legami e di coesione condivisa degli aspetti culturali tra le nazioni partecipanti al Corpo di armata di reazione rapida NATO». A collaborare nella gestione degli stand della manifestazione come hostess e camerieri 44 studenti dell’Istituto alberghiero “Giovanni Falcone” di Gallarate. «Con piacere il Dirigente scolastico ha ricevuto espresso apprezzamento degli alti ufficiali della NATO per il comportamento degli alunni presenti, che ringrazia ed ai quali annuncia che sarà loro conferito un segno di riconoscimento della Organizzazione Internazionale», si legge nella circolare pubblicata all’albo dell’Istituto. Alla cerimonia del Comando Nato era presente il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Varese, professor Giuseppe Carcano.

Così il quadro è completo: allevare schiavi e/o soldati. Se poi nell’alternanza scuola-lavoro ci muore qualcuno una bella commozione di Stato non si nega a nessuno.

Buon lunedì.

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