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Il presepe della ministra Roccella

Con la complicità dei luculliani pranzi che hanno offuscato la lucidità di questi giorni è passata quasi inosservata l’uscita della ministra alla Famiglia Eugenia Roccella che ha pensato bene di rimpinzare la propria pagina Facebook nelle ore natalizie con una storia recuperata dalla cronaca locale riuscendo a strumentalizzare contemporaneamente il Natale, la legge 194 e la povertà raccontata – per l’ennesima volta – dal lato sbagliato.

Il quotidiano Il Giorno racconta che a Milano una coppia di senzatetto è stata costretta dalle condizioni di povertà a rinunciare al riconoscimento di un figlio appena nato.  «Come farebbe a sopravvivere con me al gelo?», avrebbe detto la madre. La coppia vive in una tenda vicino a una stazione nei pressi di Milano. La ragazza non ha riconosciuto il bambino entro i dieci giorni previsti per legge, ma non l’ha fatto perché ha realizzato che non sarebbe stata in grado di accudirlo: «Mi hanno dato dieci giorni di tempo per riconoscere mio figlio – ha raccontato al quotidiano Il Giorno -. Ma come farebbe a sopravvivere con me al gelo?». Quindi, ha lasciato trascorrere, per necessità, il termine per riconoscere il neonato e dunque il parto è diventato anonimo e si è automaticamente avviata la procedura per l’adottabilità.

La ministra, come accade nei giorni in cui la politica è in vacanza, ha pescato dalla cronaca e ha rilanciato: «Fra le storie che il Natale ci racconta – scrive Roccella – c’è stata in queste ore quella di Sabrina e Michael, giovani genitori in condizioni di difficoltà economica estrema. La ragazza, nel dare alla luce il suo bimbo nato prematuro, ha scelto di lasciarlo in ospedale senza riconoscerlo»

«Una situazione – ha scritto la ministra Roccella – che determinerebbe uno stato di adottabilità. Di questa vicenda non conosciamo abbastanza, solo le notizie riferite dagli organi di informazione, fra cui le parole della ragazza. Non possiamo avere la certezza che in condizioni diverse Sabrina avrebbe tenuto il bambino, sappiamo però che queste sono le motivazioni addotte. E sappiamo che sono tante le Sabrina che rinunciano alla maternità per ragioni economiche». La ministra ha chiuso ricordando con forza che: «Non serve una legge, perché la legge c’è. È la 194, e andrebbe soltanto attuata. Perché anche tanti che a parole la difendono poi non la mettono in pratica nella sua interezza. Anche questo è un problema di libertà femminile».

L’intento è chiaro: mettere in discussione per l’ennesima volta la 194 lasciando intendere che qualcuno vorrebbe raccontarne solo una parte. La ministra sa e finge di non sapere che quella coppia non avrebbe tenuto il figlio in cambio di qualche bonus utile solo a fare bassa propaganda di basso spirito di “famiglia”. Si tratta, si badi bene, di una ministra di un governo che tra le poche misure prese finora può annoverare l’avere innescato l’ennesima guerra ai poveri oltre alla solita guerra agli invisibili. La coppia sventolata dalla ministra Roccella rappresenta il nemico perfetto per la propaganda del governo di cui fa parte: sono senza documenti e quindi non hanno accesso a nessun tipo di cure mediche, sono senza lavoro e quindi rientrano nei canoni dei “nulla facenti” contro cui si scagliano ogni giorno e sono senza documenti rientrando di fatto nel paradigma dei “clandestini”. Quei due genitori mancati fanno parte dell’esercito dei 100mila che non hanno una casa, non hanno soldi per un affittare un tetto sopra la testa e non sono iscritti nelle liste di nessun medico di base. Un buco legislativo che Emilia Romagna, Puglia e Piemonte hanno sanato con una legge regionale e che la ministra Roccella potrebbe risolvere molto velocemente con una legge semplice semplice che si occupi del diritto di iscrizione alle liste dei medici di base anche senza dimora e ripristinando fondi per il disagio abitativo, senza bisogno di masticare la legge 194 per sporcarla.

Buon martedì.

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Il record dei suicidi in carcere e le possibili soluzioni

A luglio sarebbe stato libero, ma i sei mesi mancanti non sono bastati per farlo desistere dal suicidio. Si è impiccato con un lenzuolo in cella nel carcere di Rebibbia. Era «un ragazzo di 30 anni», sottolinea la Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni, «con una pena breve». Il trentenne doveva scontare una condanna a meno di due anni per concorso in rapina e sotto i tre è possibile chiedere una pena alternativa al carcere. Il giovane, di origine bengalese, è l’82esima vittima di suicidio del 2022.

Sono 195 le vittime in totale: molte morti in corso di accertamento

Secondo il 
segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria (Spp) Aldo Di Giacomo «il suicidio a Rebibbia squarcia il velo del clima solo ritualmente natalizio per ristabilire il clima vero della “mattanza di Stato” che raggiunge il terrificante numero di 82 suicidi dall’inizio dell’anno. Mai un numero così alto da oltre 20 anni: tra suicidi e decessi sono 195 le vittime in totale, senza sottovalutare che per un buon numero le cause sono ancora in corso di accertamento». In realtà l’83esimo suicidio è quello di Giovanni Carbone, il 39enne originario di Matera che lunedì scorso ha ucciso a Miglianico (Chieti), la compagna Eliana Maiori Caratella.

Delitto Urso, l'ergastolo è stato annullato perché uno dei giudici superava il limite di età previsto per legge.
Carcere (facebook.com)

Serve un ripensamento della funzione della pena

Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), il primo e più rappresentativo di questa categoria, spiega che «la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere». Capece ha richiamato un pronunciamento del Comitato nazionale per la bioetica che ha sottolineato come «il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi d’identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze».

Nel Carcere di Ivrea sono stati indagati 45 persone accusate di aver torturato numerosi detenuti con botte e altro.
Carcere (Unsplash)

Molti soffrono di disagi psichici e dipendenze

L’associazione Antigone che di questo si occupa da sempre non ha dubbi: «Ovviamente non è possibile ricondurre l’accelerazione del fenomeno di quest’anno a delle ragioni precise. Ogni storia è a sé, frutto di personali dolori e personali considerazioni. Quello che però possiamo sicuramente dire è che la maggior parte delle persone che entrano in un istituto di pena ha alle spalle situazioni già di ampia complessità: marginalità sociale ed economica, disagi psichici e dipendenze caratterizzano gran parte della popolazione detenuta. In questi ultimi anni, Antigone nelle sue visite ha raccolto un numero sempre crescente di segnalazioni relative all’aumento di persone detenute con patologie psichiatriche e alla difficoltà di intercettare e gestire queste situazioni, spesso per mancanza di risorse adeguate e per l’inadeguatezza del carcere come luogo per la loro collocazione».

Presente in Italia dagli anni Novanta, l'ergastolo ostativo impedisce ai mafiosi non pentiti di accedere ai benefici penitenziari.
Carcere (Getty Images)

Serve più attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita

Il 2022 è stato l’anno peggiore per i suicidi avvenuti in carcere da quando si registra il dato. Una mattanza. In carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero. Quando nel 2009 si suicidarono 72 persone, i detenuti erano circa 7 mila in più. Le proposte sono sul tavolo da anni: una particolare attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate e durante le quali anche quest’anno sono avvenuti numerosi casi di suicidio; reparti ad hoc per i nuovi giunti, un servizio di accoglienza strutturato in cui vengono informati sui diritti e le regole all’interno del penitenziario, la fruizione di colloqui con psicologi e/o psichiatri e maggiori contatti con l’esterno; più telefonate (da poter effettuare in qualunque momento, direttamente dalla propria stanza detentiva, non solo ai familiari e alle persone terze che rappresentano legami significativi, ma anche alle autorità di garanzia) e allo stesso modo più colloqui. E magari avere carceri degne di un Paese degno. Che “custodia” è quella di uno Stato che non riesce a salvare i suoi custoditi?

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Pure Cuperlo corre nel Pd. Ma nella ressa di candidati spicca il vuoto delle idee

La domanda a cui si dovrebbe rispondere subito nel dibattito per il congresso del Partito democratico è “perché il Pd continua a perdere consenso?”. Forse così gli elettori potrebbero capire quali siano le differenze tra i quattro candidati in campo (Elly Schlein, Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli) che si sfidano in questa prima fase in un confronto che appare farraginoso, effuso in principi astratti e inintelligibile ai più. Nel gioco degli equilibri interni (che tutti respingono pubblicamente e poi ricercano in privato) la Schlein punta su Francesco Boccia come coordinatore politico della mozione.

La scelta di un ex della Margherita non è un caso: Schlein vuole smussare le critiche di chi la dipinge come troppo spostata a sinistra e Boccia è il nome che può allargare anche ai non ex Ds. “Vogliamo cambiare gruppo dirigente: ma questo non basta, senza un’identità chiara e un blocco sociale di riferimento”, dice Schlein che ieri ha annunciato anche l’ex viceministro dell’Economia Antonio Misiani come coordinatore del programma, un orlandiano doc che a breve dovrebbe essere seguito da tutta la corrente dell’ex ministro.

Dal canto suo Bonaccini annuncia il sostegno della vicepresidente del parlamento europeo Pina Picierno. “Una donna giovane, del sud, e ha preso i voti mettendoci la faccia quando si è candidata alle Europee”, dice il presidente dell’Emilia Romagna che anche ieri ha provato a prendere le distanze da Matteo Renzi (il cui fantasma continua ad aleggiare su questo congresso) chiarendo di “non avere mai rottamato ma sempre unito perché questo è il compito di una classe dirigente”: “Non ho mai utilizzato il termine rottamazione – ha spiegato Bonaccini ospite a Rainews – neppure quando votai Renzi al congresso a fine 2013. Non mi è mai piaciuta come parola, non l’ho mai usata. è una espressione che rischia di essere non solo arrogante, ma anche non rispettosa di chiunque voglia stare in una comunità e in una famiglia”.

Ieri è stata anche la giornata della candidatura di Gianni Cuperlo: “Ci sarò con umiltà, nella chiarezza delle idee, fuori dai trasformismi che hanno impoverito l’anima della sinistra”, ha spiegato. “So che diversi pensano sia una follia – ha aggiunto Cuperlo – altri invece credono vi sia una ragione più forte di qualunque timore su quale potra essere il risultato”, ovvero evitare al Pd “l’incubo di una deriva greca come per il Pasok o francese con la tradizione socialista precipitata nell’irrilevanza” Mentre si assestano le alleanze interne i candidati continuano a ripetere di voler unire. È tanta la paura di spaccature irrimediabili. Ma siamo sempre alle discussione interne, sempre lì.

Ieri l’ex leader della Cgil Sergio Cofferati ha provato a dirlo, come lo dicono tutti. Quando gli hanno chiesto “Schlein o Bonaccini?” Cofferati ha sbottato: “è l’unica domanda a cui mi pare si sia ridotta la discussione, il problema è proprio questo. Il cittadino che ha passione o cerca risposte nella politica, nel Pd, non vede uno spazio dove discutere”.

Anche Cuperlo chiede di cambiare le modalità del congresso: “chiunque vinca – spiega nell’intervista all’Huffington Post con cui annuncia la sua candidatura – avrà bisogno di un confronto vero e di una partecipazione larga almeno se vogliamo capire perché in quindici anni abbiamo perso sei milioni di voti”.

È vero, la manovra del governo fa schifo ed è iniqua, come dicono tutti i candidati. È vero, ci sarebbe bisogno di un’alternativa. Ma la domanda è sempre la stessa: perché il Partito democratico continua a perdere consenso? A questo bisogna rispondere, urgentemente. Almeno che qualcuno sia stoltamente convinto che basti cambiare la segreteria.

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Il condono s’è mangiato i soldi promessi alla Sanità

Non è bastata una pandemia per alzare l’attenzione sulla sanità. Non sono servite nemmeno le promesse del governo. Nella prima manovra finanziaria del governo guidato da Giorgia Meloni sono scomparsi anche i due emendamenti che erano stati annunciati nei giorni scorsi.

Uno prevedeva l’anticipazione al primo gennaio 2023 dell’incremento di 200 milioni dell’indennità di pronto soccorso già riconosciuta al personale della dirigenza medica e al personale del comparto sanità, dipendente delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale operante nei servizi di pronto soccorso.

L’altro prevedeva l’istituzione nello stato di previsione del ministero della Salute di un fondo denominato “Fondo per l’implementazione del Piano Oncologico nazionale 2022-2027 – Pon”, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024, destinato al potenziamento delle strategie e delle azioni per la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza al malato oncologico. Sulle indennità di pronto soccorso tuona Fabio De Iaco, presidente nazionale Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza-urgenza: “l’aumento dell’indennità per gli operatori del pronto soccorso già dal prossimo anno era un segno di attenzione del Governo e rimaniamo in attesa che venga confermata dalla Manovra”, dice.

“Cosa si può dire di una legge di bilancio in cui ci sono condoni e sanatorie per 1 mld di euro? Condoni che se evitati avrebbero consentito di avere 1 mld in più per scuola e sanità che sono due settori su cui questa manovra taglia. Quando la destra arriva al governo prende soldi sempre dalle stesse voci: istruzione e salute”, afferma la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi. Il segretario di Azione Carlo Calenda parla di “mance” per gli evasori e per il calcio mentre per la sanità “non c’è nulla”.

Duro anche il Movimento 5 Stelle: “Il Governo continua ad accanirsi contro la sanità pubblica, smentendo sé stesso e le promesse del suo ministro”, ha detto Mariolina Castellone, vicepresidente del Senato. “Addirittura il sottosegretario Gemmato – ha affermato – rilasciava dichiarazioni sulla base di un emendamento mai presentato, per un incremento delle indennità che quindi non è mai esistito se non nelle dichiarazioni di una maggioranza dilettantesca e in totale confusione. Come se non bastasse lo stesso ministro Schillaci si era impegnato davanti al Parlamento per un Fondo per l’implementazione del Piano Oncologico nazionale 2022-2027 – Pon, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per il 2023 e il 2024”.

Non c’è solo la pandemia. Ben prima la Fondazione Gimbe aveva rappresentato il Ssn come un paziente cronico affetto da varie patologie che ne compromettevano lo stato di salute”: l’imponente definanziamento pubblico di circa € 37 miliardi nel decennio 2010-2019; l’incompiuta del Dpcm sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) che aveva ampliato prestazioni e servizi a carico del Ssn senza la necessaria copertura finanziaria; gli sprechi e le inefficienze a livello politico, organizzativo, professionale; l’espansione incontrollata dell’intermediazione assicurativo-finanziaria.

Ieri ha perso la pazienza perfino il vicolo Matteo Bassetti (non certo ostile a Meloni): “I problemi del Ssn vanno affrontati, – ha detto – ma purtroppo anche oggi, come in passato, non si mettono le giuste risorse. Si sta scherzando col fuoco: il rischio di una implosione del sistema sanitario nazionale nei prossimi 3-4 anni è reale”. Anche nella sanità si registrano solo dichiarazioni d’intenti e provvedimenti simbolici a costo zero. Il Covid è scomparso nascondendo i dati. Rimettere in piedi il sistema sanitario nazionale non sarà così facile.

 

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La Francia frena ancora su Kiev nella Nato

Nel dibattito internazionale interviene il presidente della Francia Emmanuel Macron. Che se fosse italiano sarebbe sicuramente ascritto alla lista dei putiniani. Per sua fortuna, e per fortuna del dibattito internazionale, in Europa tira un’altra aria e così è normale riflettere sugli equilibri europei e sui condizionamenti Usa e allo stesso tempo è ragionevole riflettere sui delicati equilibri internazionali che condizionano l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

Dalla Francia una lezione pure all’Italia. Parigi non ci sta a provocare Mosca. Seguendo Biden la guerra non finirà più

Il presidente francese infatti ritiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sarebbe vissuto dalla Russia come un’azione conflittuale e che non sia lo “scenario più probabile”. Lo ha affermato in un’intervista a diversi media ieri, all’indomani della visita di Zewlensky a Washington. “L’ingresso dell’Ucraina nella Nato sarebbe percepito dalla Russia come qualcosa di conflittuale. Non è con questa Russia che si può immaginare”, ha detto ai quotidiani francese Le Monde, americano Wall Street Journal e libanese An Nahar e ha insistito sulla necessità di concedere “garanzie di sicurezza” all’Ucraina ma anche alla Russia alla fine del conflitto ucraino, posizione che gli è valsa forti critiche da Kiev e dall’est Europa.

“Alla fine, dovremo mettere tutti intorno ad un tavolo. E allora tutti gli europei e gli occidentali che danno lezioni di morale mi spieghino con chi saranno seduti intorno al tavolo”, ha detto. “Non voglio che siano solo i cinesi e i turchi a negoziare il giorno dopo”, ha detto, riferendosi in particolare agli sforzi di mediazione della diplomazia turca. Il presidente francese ha anche nuovamente invocato l’autonomia strategica dell’Europa, all’interno della Nato, ma con una minore dipendenza dagli Stati Uniti. “Non c’è architettura di sicurezza europea senza autonomia strategica, nella Nato e con la Nato, ma non dipendente dalla Nato”, ha sottolineato.

“Un’alleanza non è qualcosa da cui dipendo, è qualcosa che scelgo (…) Dobbiamo ripensare la nostra autonomia strategica”, ha insistito. “L’Europa deve guadagnare in autonomia tecnologica, capacità, anche nei confronti degli Stati Uniti”, ha ripetuto il presidente francese. Secondo il presidente francese l’Europa per essere più forte deve riuscire a dipendere meno dalla Nato. Un’Europa più forte consentirà al continente di diventare più autonomo all’interno dell’Alleanza atlantica, agendo “all’interno della Nato, con la Nato, ma anche non dipendendo dalla Nato”, ha affermato Macron al Wall Street Journal.

“Un’alleanza non è qualcosa da cui dover dipendere. È qualcosa che posso scegliere, qualcosa con cui lavoro… Dobbiamo ripensare la nostra autonomia strategica”, ha dichiarato. “Un’alleanza non è qualcosa su cui dovrei fare affidamento. è qualcosa che dovresti scegliere, qualcosa con cui lavorare. Dobbiamo ripensare la nostra autonomia strategica”, ha affermato il capo dell’Eliseo.

Alle dichiarazioni di ieri del presidente Macron non ha riposto praticamente nessuno. Accade sempre così quando qualcuno prova a riflettere sul ruolo dell’Europa all’interno dell’Alleanza atlantica. Ogni volta che qualcuno si permette di mettere in discussione gli equilibri della Nato viene tacciato di antiamericanismo o, peggio, di vicinanza con Putin. Eppure questa vergognosa invasione russa sta dimostrando come l’Europa sia troppo spesso un’appendice di decisioni prese da altri. Non si tratta di essere “meno amici dell’Ucraina”, come strumentalmente accusa qualcuno, ma semplicemente più europeisti nel senso più pieno del termine. Avrebbe voluto farlo Giorgia Meloni e invece spicca solo, malinconico, Emmanuel Macron.

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La Libia non esiste, lo dice pure l’Onu

Ma con chi stiamo trattando in Libia? Qual è quella Libia che il governo Meloni (come tutti i governo precedenti, da Minniti in poi) continua a dipingere come un partner indispensabile? La Libia non esiste. Non esiste un governo, non esiste la democrazia ma nemmeno esiste il banale meccanismo della politica.

Il Governo imita Minniti per frenare l’immigrazione. Senza referenti credibili in Libia però non si può fare

Se servissero altre prove ieri i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti hanno espresso profonda preoccupazione per il perdurare della crisi politica in Libia e la loro delusione per la mancanza di progressi. In un comunicato rilasciato ieri e ripreso dai media libici, i Paesi membri hanno affermato il loro forte sostegno all’inviato delle Nazioni unite, Abdoulaye Bathily, per dare nuovo slancio “al vacillante processo politico e migliorare la stabilità nel Paese”.

Il Consiglio di sicurezza ha invitato tutte le parti libiche e le principali parti internazionali interessate a dialogare con l’inviato Onu “in uno spirito di compromesso e in modo trasparente e inclusivo”, ribadendo l’impegno a sostenere il dialogo tra libici, allo scopo di formare un governo unificato riconosciuto in tutto il Paese e in grado di rappresentare l’intero popolo libico. Da febbraio ormai la Libia divisa tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba (nella foto), riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Fathi Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, inizialmente da Egitto e Russia ma oggi apparentemente abbandonato a sé stesso.

I Paesi membri del Consiglio di sicurezza hanno invitato tutte le parti a mantenere la calma sul terreno, dove è in vigore un cessate il fuoco dall’ottobre 2020, affermando di sostenere la volontà del popolo libico di scegliere chi lo governa attraverso nuove elezioni. Gli Stati membri del Consiglio di sicurezza hanno poi sottolineato l’importanza di condurre un dialogo nazionale complessivo e hanno incoraggiato gli sforzi del Consiglio di presidenza, con il sostegno della Missione delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, per raggiungere la riconciliazione nazionale.

I membri del Consiglio di sicurezza sottolineano nel comunicato l’importanza di istituire un meccanismo guidato dalla Libia per determinare le priorità di spesa e garantire che le entrate derivanti dal petrolio e dal gas siano gestite in modo trasparente e responsabile. L’organismo del Palazzo di vetro di New York ha sollecitato a sostenere l’accordo di cessate il fuoco nell’ambito del piano d’azione approvato dal Comitato militare congiunto 5+5 (formato da cinque alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest del Paese).

Infine, i membri hanno chiesto il “ritiro senza ulteriori indugi di tutte le forze, combattenti e mercenari stranieri dal Paese”, e la necessità di compiere progressi verso la smobilitazione, il disarmo e il reinserimento dei gruppi armati come concordato dal comitato militare congiunto 5+5. La domanda rimane sempre la stessa. Se la Libia come Stato non esiste cos’è la Libia di cui tutti parlano per risolvere il problema – dicono loro – dell’immigrazione?

Esattamente a chi stiamo dando i soldi per gestire i centri in cui – lo dice l’Onu e lo dicono le organizzazioni internazionali – vengono illegalmente trattenuti i migranti? Chi sono i referenti del programma dell’Ue Frontex? Se la Libia non esiste significa che non esiste nemmeno la retorica degli ultimi governi. Qualcuno se n’è accorto?

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Governo dietro la lavagna

Ieri il testo della manovra di quelli che hanno passato l’intera campagna elettorale a dirci che erano “pronti” è dovuta tornare per la seconda volta in commissione Bilancio alla Camera per essere corretta. La Ragioneria dello Stato ha evidenziato con il pennarello blu 44 errori e ha chiesto uno stralcio.

È saltato il finanziamento triennale a Radio radicale poiché per il 2024 e il 2025 non c’erano i soldi per poterlo coprire. Sono state riviste anche le norme sul bonus cultura ai 18enni poiché mancavano le coperture. Sullo smart working dalle parti del governo non avevano fatto i conti con la sostituzione di professori e insegnanti.

La Ragioneria di Stato ha contestato anche l’aumento di risorse al ministero per l’Agricoltura: una norma, scrivono, «foriera di generare o ampliare disparità di trattamento rispetto ad altri ministeri, con verosimili onerose richieste emulative da parte di quest’ultimi».

La Legge di Bilancio è rimasta per sei giorni in commissione, mentre i partiti della maggioranza litigavano tra di loro. Appena arrivata in Aula è stata rispedita indietro per correggere gli errori compiuti (tra cui un emendamento del Pd votato per errore dalla maggioranza che sarebbe costato mezzo milione di euro che non c’è).

Hanno dovuto bloccare lo scudo penale ordinato da Silvio Berlusconi. Hanno ritirato le proposte su Pos, su innalzamento del tetto dei contanti, sull’eliminazione dello Spid. Da settimane parlano del protocollo del ministro Piantedosi sulle Ong (che già sappiamo essere illegittimo, anche solo da ciò che ha anticipato il ministro) ma ancor non si vede. Non c’è nessuna idea a lungo raggio al di là delle consuetudini già in vigore con il governo Draghi. Improvvisazione e mancanza di coesione nella maggioranza: alla fine servirà mettere la fiducia per riuscire a stare nei tempi.

Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, in una intervista al Corriere della Sera, dice che nella manovra ci sono i loro “punti di forza”. A posto.

Buon venerdì.

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Niente ristori per il rigassificatore di Piombino

Avevano promesso opere compensative per il rigassificatore a Piombino ma non ci saranno, nonostante siano previste per legge. Simona Bonafè, vice presidente dei deputati Pd e prima firmataria della proposta di modifica alla Manovra 2023, aveva presentato un emendamento che prevedeva interventi che, spiega la deputata, “avrebbero riguardato la messa in sicurezza del porto, la bonifica delle aree industriali presenti, lo sviluppo di impianti di fonti rinnovabili, l’ammodernamento delle infrastrutture viarie, la valorizzazione delle aree archeologiche della zona e la realizzazione di un gasdotto per metanizzare l’Isola d’Elba”.

Il Governo aveva promesso opere compensative per il rigassificatore a Piombino ma non ci saranno

Altre misure specifiche prevedevano “l’istituzione di una Zona logistica semplificata (Zlg) per promuovere nuovi investimenti nell’area portuale, ulteriori stanziamenti per la reindustrializzazione per l’area di crisi industriale complessa di Piombino ed una riduzione del 50 per cento per le bollette di famiglie ed imprese”. Secondo Bonafè “la chiusura da parte del governo su questi temi è francamente inaccettabile”.

Si complica inevitabilmente il rapporto con i cittadini, lo sa benissimo il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani che puntualizza che “se le opere compensative ci sono tutto procede bene come è stato finora” ma “se questo non avvenisse, – dice Giani – è evidente che si rimetterebbero in discussione tante cose”.

Il presidente toscano si dice fiducioso che a gennaio, passata la Legge di Bilancio, si possa fissare un incontro e trovare un’intesa: “Del resto sulle bonifiche – spiega Giani – le direzioni generali hanno collaborato bene con i nostri uffici e le stanno impostando, c’è già il progetto da 81 milioni di bonifiche inclusa la falda, per le energie rinnovabili il sottoscritto ha già incontrato l’amministratore delegato di Enel Starace per parlarne, sulla strada 398 su cui ho già avuto tutti gli incontri necessari per impostare il lavoro con l’amministratore delegato di Anas, queste sono tutte realtà. Quindi nel momento in cui da un punto di vista tecnico ho fatto gli incontri ho visto che le cose del memorandum stanno procedendo: significa che anche la parte politica gli ha dato input”.

Nel pomeriggio di ieri il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin in audizione sulle linee programmatiche nelle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera è tornato sull’argomento sottolineando “l’impegno mio e del Governo è per per un uso temporaneo, non oltre i 3 anni”.

“Sono in corso interlocuzioni con i soggetti interessati alla riqualificazione delle aree. Si tratta di realizzare opere di riqualificazione che auspico possano essere attuate in tempi rapidi”, ha detto Pichetto Fratin. Proprio ieri si è tenuta l’udienza in camera di consiglio nell’ambito del ricorso al Tar contro il rigassificatore presentata dal Comune di Piombino.

Il sindaco della città che si sta opponendo con tutte le sue forze all’installazione del rigassificatore, vale la pena ricordarlo, è Francesco Ferrari, sostenuto da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia che qualche giorno fa ha contestato le modalità di gestione del cantiere di Snam “che sembra essere contraria non solo alle prescrizioni poste dalle amministrazioni, ma anche alle misure cautelari che la stessa Snam aveva dichiarato di adottare nel proprio progetto, al fine di evitare il dilavamento e la diffusione degli inquinanti presenti in area Sin”. Com’era facilmente prevedibile Piombino sta diventando uno scoglio per tutti.

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Psicodramma Pd, perde l’1% di consensi a settimana

Ora il Pd comincia ad avere paura. I sondaggi indicano che il partito si ritrova ai minimi storici di gradimento, il congresso agita gli equilibri interni ma non scalda per ora gli elettori. Goffredo Bettini parla di un “congresso povero e stanco” e definisce “un pasticcio” la Carta dei valori voluta da Letta.

Cresce il pressing interno al Pd per anticipare le primarie a gennaio, un mese prima rispetto al termine fissato del 19 febbraio

Gianni Cuperlo descrive il congresso come “nato male”: “Non facciamo le due cose che dovremmo fare: scegliere finalmente di discutere e tornare a pensare”, dice, annunciando a breve la decisione sulla sua candidatura. Cresce di ora in ora il pressing interno al Pd per anticipare le primarie a gennaio, un mese prima rispetto al termine fissato del 19 febbraio.

“Perdiamo un punto percentuale a settimana. Cos’altro serve per stringere i tempi del congresso? Ma davvero vogliamo farci così male?”, scrive l’ex deputata dem Alessia Rotta. Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci (mozione Bonaccini, nella foto) chiede di anticipare al 22 gennaio.

Un pressing che a sinistra leggono come il tentativo di frenare Elly Schlein, proprio mentre il consenso sulla sua candidatura sta crescendo: “Elly sta cominciando a percorrere in lungo e largo il Paese ricevendo un consenso largo e convinto e questo, evidentemente, sta infastidendo chi, fino a ieri, era in campo e ha deciso all’ultimo momento di sostenere Bonaccini”, riflette una fonte della sinistra dem.

Non poteva mancare Renzi: “Sul congresso il Pd le sta sbagliando tutte”. E nel partito qualcuno risponde: “Allora siamo sulla strada giusta”.

Leggi anche: Pd… Partito devastato. E ai minimi storici. Neppure la sfida congressuale tra Bonaccini e Schlein ferma l’emorragia. Il governatore è visto come la fotocopia di Renzi

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Rocca chi? Candidato nel Lazio. Il caso Rampelli spacca FdI

Francesco Rocca, il candidato del centrodestra per il Lazio, non convince nemmeno i partiti che lo sostengono e che lo vorrebbero fare votare ai cittadini. Poche ore dopo l’annuncio ufficiale del centrodestra sulla candidatura dell’ex presidente della Croce Rossa all’interno di Fratelli d’Italia la base e i colonnelli sono in subbuglio.

Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli eterno escluso. La moglie punge la Meloni: “La facevo più intelligente”

Nelle chat interne si sottolinea come il vicepresidente della Camera e giornalista del Secolo d’Italia, Fabio Rampelli, avesse un gradimento maggiore nei sondaggi e tra i militanti. Ieri la moglie di Rampelli, pure lei giornalista del Secolo d’Italia Gloria Sabatini, sul suo profilo Facebook si è lasciata sfuggire un post, scomparso pochi minuti dopo: “La facevo più intelligente”, scrive Sabatini e il riferimento a Giorgia Meloni non è troppo difficile da intuire. Nel quartier generale di Fratelli d’Italia non si rilasciano commenti ma l’uscita è definita “incredibile e grave”.

Sicuramente a Via della Scrofa si respira l’insoddisfazione per le modalità con cui si è arrivati alla candidatura di Rocca. “Scegliere un tecnico con una rosa di politici così validi a disposizione rischia di essere un modo per delegittimare la propria classe dirigente”, sottolinea un dirigente meloniano di lungo corso che preferisce rimanere anonimo.

Fare fuori Rampelli significa rinnegare il mito di Colle Oppio, la sezione del Movimento sociale italiano di cui era segretario e dove la Meloni ha iniziato a fare politica. Qualcuno legge nelle mosse della presidente del Consiglio una strategia per “rimettere a posto” Rampelli e smussarne il peso all’interno del partito. Il vicepresidente della Camera nel giro di qualche mese ha visto sfumare la propria candidatura a sindaco di Roma, un ministero e ora anche la corsa alla Regione Lazio.

Poche ore prima dell’ufficializzazione della candidatura di Rocca, Rampelli sulla sua pagina Facebook aveva scritto: “Io ho commesso l’errore di dare la disponibilità già settimane fa. Io ci sono e se ci fosse una chiamata sarei disponibile”. Qual è “l’errore” a cui fa riferimento Rampelli? Giorgia Meloni, è vero, gode in questo momento di un gradimento altissimo ma quando i rapporti con gli alleati si faranno ancora più ostici non sarà difficile immaginare che l’opposizione interna in Fratelli d’Italia possa compattarsi e giocare a logorare la leader, com’è naturale in politica. Regalare (o relegare, dipende dai punti di vista) agli oppositori interni una figura storica come quella di Rampelli potrebbe rivelarsi una pessima idea.

Il candidato Francesco Rocca intanto è ritornato sulla sua condanna per spaccio quando era diciannovenne: “Vivevo ad Ostia, che non è proprio un ambiente tranquillo, e sono finito in un giro di amicizie sbagliate. Ma ho pagato il conto con la giustizia”, spiega. Rocca però sembra non capire il punto sostanziale: in Italia un cittadino non può accedere a un concorso pubblico per i suoi precedenti penali, non può diventare magistrato se non ha una condotta incensurabile (che è requisito diverso dall’assenza di precedenti penali in quanto non si riferisce solamente alle condanne ma a qualsiasi tipo di condotta disdicevole).

Ed è proprio la parte per cui si candida, il centrodestra, che vorrebbe escludere (anche se poi alla prova dei fatti non lo fa mai) i pregiudicati da ogni cosa, perfino dal Reddito di cittadinanza. L’ex presidente della Croce Rossa ieri nel suo primo giorno di campagna elettorale ha puntato inevitabilmente sulla sanità promettendo grandi rivoluzioni. Intorno a lui la paura di un nuovo caso Michetti (un tecnico misconosciuto che ha innervosito la base politica ed è rimasto con un pugno di mosche) è palpabile. Parleranno le urne.

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