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Non erano pronti ma non sono nemmeno capaci

A un certo punto passa per sbaglio un emendamento firmato dal dem Andrea Gnassi: 450 milioni di euro per i Comuni e per Anci. Poi si corre per recuperare l’errore. C’è da capirlo, 450 milioni di euro sono una cifra maggiore rispetto a quella messa a disposizione per tutte le modifiche parlamentari.

La manovra è un quasi fallimento nei contenuti e nei modi. Giorni di preoccupazione al ministero, tra i funzionari, in Bankitalia per una quadra che non si riusciva a trovare. A Giorgia Meloni e compagnia viene facile raccontare che la colpa sia dell’opposizione. La “colpa dell’opposizione” è un condono sempre disponibile per tutti i governi. Due giorni fa rifletteva il deputato del Terzo polo Luigi Marattin: «Se la maggioranza ha i numeri per fare passare i provvedimenti che c’entra l’opposizione?»· Ed è proprio così.

Forse sarà che il centrodestra ha elargito promesse (molte irrealizzabili e molte molto stupide) per anni e ora alla prova dei fatti si ritrova con la coperta troppo corta. «Non è un problema di idee, è un problema di fondi», spiega il leghista Giorgetti. Certo, con una disponibilità infinita di soldi la legge di Bilancio sarebbero capaci di farla tutti, perfino i bambini.

La manovra di un governo, soprattutto la prima manovra di un governo, è la messa a terra del proprio manifesto politico e questa manovra finanziaria è esattamente la fotografia di una destra pasticciona e pasticciata, divisa in mille rivoli anche dentro i partiti che la compongono, senza nessuna idea. Per settimane abbiamo discusso di provvedimenti che non ci sono (dal Pos, al tetto dei contanti e così via) perché questa maggioranza continua ad adottare le tecniche dell’opposizione: distoglie, fa rumore, solletica un populismo rivoluzionario molto naïf. Ma qui non c’è nulla da cui distogliersi perché nelle carte c’è un’idea economica di Paese che è molto la copia sbiadita di Draghi e per il resto contiene le solite stolide teorie della destra.

Ieri sera nelle trasmissioni televisive, a poche ore dalla legge di Bilancio in aula, si discuteva di cinghiali che finalmente possono essere ammazzati davanti ai cassonetti sotto casa. L’agenda dei temi di discussione intorno alla manovra finanziaria è un termometro chiaro.

Che non siano pronti ormai è evidente a tutti. Ora c’è il ragionevole dubbio che non siano nemmeno capaci.

Buon giovedì.

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Regionali Lombardia, prima grana per Majorino

Non c’è solo l’alleanza con il Movimento 5 Stelle a agitare la coalizione di centrosinistra che sostiene per le elezioni regionali in Lombardia Pierfrancesco Majorino. Dopo l’annuncio della candidatura del virologo Fabrizio Pregliasco nella lista civica l’associazione Medicina democratica (che per bocca di Vittorio Agnoletto nelle scorse settimane aveva lasciato intuire il suo appoggio all’europarlamentare del Pd decide di sfilarsi con un duro comunicato.

Non c’è solo l’alleanza con il M5S ad agitare la coalizione di centrosinistra che sostiene Majorino alle prossime regionali in Lombardia

“Abbiamo appreso con sconcerto e stupore dalla stampa, – scrivono – la notizia della candidatura come capolista, in una delle liste civiche create in appoggio alla candidatura a presidente di Majorino, del direttore sanitario del Galeazzi-Sant’Ambrogio, una delle maggiori realtà della sanità privata lombarda e nazionale”.

Il comunicato prosegue: “Il dott. Pregliasco, eminente virologo, nel presentare la sua candidatura ha oggi dichiarato “la risposta della sanità lombarda alla pandemia è stata buona…” un giudizio in totale contrasto con le tragedie che i cittadini lombardi hanno sperimentato. Tragedie favorite dalla desertificazione della sanità territoriale, dalla quasi totale cancellazione della prevenzione primaria, da una sanità privata foraggiata da rimborsi pubblici e attenta unicamente ai propri profitti; le liste d’attesa, per le quali si è recentemente distinto, E insieme ad altri, proprio il gruppo Galeazzi-Sant’Ambrogio, sono frutto di tali scelte. Le affermazioni del dott. Pregliasco, associate al ruolo che ricopre, rappresentano un vulnus verso l’intero percorso che da anni stiamo portando avanti insieme a decine di associazioni in difesa della sanità pubblica”.

Per questo Marco Caldiroli presidente di Medicina Democratica, parla di “una scelta politica chiara e secondo noi miope, al limite della cecità, in totale contrasto con le proposte, riassunte nei 23 punti, presentate il 4 novembre a tutte le opposizioni che le avevano ritenute condivisibili”.

Attacca anche Unione Popolare – che si presenterà da sola alle elezioni – che per bocca del segretario di Milano di Rifondazione Comunista Matteo Prencipe parla di una cambiamento della sanità pubblica con il Pd come di una “chimera se non finzione” e invita M5S e Alleanza Verdi-Sinistra a ripensare le alleanze. Majorino ieri ha ridimensionato la polemica: “Ho visto che la presenza di Fabrizio Pregliasco ha suscitato un po’ di dibattito. È una figura forte quindi lo ritengo inevitabile. Io sono alfiere totale delle ragioni della sanità pubblica. Non vedo contraddizioni”.

Secondo il candidato del centrosinistra “per costruire un’alleanza più forte di tutti dobbiamo guardare al presente”. Ieri è saltato però l’incontro che Majorino avrebbe dovuto avere con la rete civica “Curiamo la Lombardia”, di cui anche Medicina democratica fa parte.

A tenere banco ieri è stata anche la richiesta di Giuseppe Conte di avere garanzie sul nome di Majorino, alla luce del suo ruolo di eurodeputato e del delicato momento per lo scandalo del Qatar-gate. La Lega attacca parlando di “Majorino smentito da Conte” mentre il segretario di +Europa Della Vedova (che ha già annunciato di sfilarsi dall’alleanza per la presenza del M5S) parla di una telenovela da parte dei grillini per “azzoppare Majorino”: “magari Conte tirerà la corda senza spezzarla, ma di fatto Majorino – ha spiegato Della Vedova – è indebolito”.

Lui, Majorino, parla di “confronto in atto” e dice di non sentirsi “sotto esame”. Ma la campagna elettorale è troppo breve per permettersi di farsi logorare perfino dagli amici. E questo Majo, come lo chiamano i suoi, lo sa benissimo.

Leggi anche: Pd… Partito devastato. E ai minimi storici. Neppure la sfida congressuale tra Bonaccini e Schlein ferma l’emorragia. Il governatore è visto come la fotocopia di Renzi

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Mentivano: le hanno lasciate sole

Il buco nero dell’Afghanistan che promettevamo di “non lasciare mai solo” aggiunge una nuova prevedibile ferita: stop a tempo indeterminato all’accesso nelle università per tutte le donne. Il nuovo divieto è stato emesso dalle autorità talebane. Ad annunciarlo il ministero dell’Istruzione superiore in una lettera inviata a tutti gli atenei governativi e privati del Paese. La lettera è stata confermata e diffusa dall’emittente locale Tolo news.

«Vi informiamo di attuare il citato ordine di sospendere l’istruzione femminile fino a nuovo avviso», si legge nella lettera firmata dal ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem. Soltanto meno di tre mesi fa migliaia di ragazze e di donne hanno sostenuto gli esami di ammissione per le università in tutto il Paese. Alle ragazze era già stato negato l’accesso alle scuole secondarie del Paese.

Le promesse con cui i Talebani rassicuravano il mondo dimostrandosi “cambiati” sono carta straccia. Dopo il fragoroso ritiro delle truppe Usa e la fuga in massa di migliaia di afghani il Paese è tornato quello tra il 1996 e il 2001. La costosissima e mortifera esportazione della democrazia da parte dell’Occidente è stata solo una parentesi. Il 23 marzo scorso, poche ore dopo la riapertura, i talebani avevano già vietato alle studentesse di frequentare la scuola oltre il sesto grado, l’equivalente della prima media. Le donne sono state escluse dalla maggior parte dei lavori, è stato negato loro accesso a parchi e palestre, è stato ordinato loro di indossare abiti che coprissero dalla testa ai piedi in pubblico.

Avevamo promesso di non lasciare sole le donne in Afghanistan e invece sono sole. Avevamo promesso di non lasciare solo l’Afghanistan e invece blocchiamo i profughi alle frontiere subappaltate dall’Unione europea. Resta una guerra che non solo è stata tragica (come tutte le guerre) ma anche completamente inutile, come tutte le guerre.

Buon mercoledì.

 

* In foto: Personale di sicurezza talebano davanti all’ingresso dell’università di Kabul, dopo che le autorità hanno imposto lo stop all’istruzione universitaria per le donne. Afghanistan, 21 dicembre 2022

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La destra candida un ex pusher nel Lazio

L’ex presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca, candidato dalle destre alla presidenza della Regione Lazio, ha alle spalle una condanna per spaccio di droga. Così Salvini – che dava la caccia ai pusher al citofono – sa già chi chiamare.

L’ex presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca, candidato dalle destre alla presidenza della Regione Lazio, ha alle spalle una condanna per spaccio di droga

Se Matteo Salvini avesse ancora la sua smania di citofonare in favore di telecamere per buttare superficiale propaganda contro la droga potrebbe suonare al suo nuovo candidato nel Lazio, Francesco Rocca. Il candidato del centrodestra per le prossime regionali a 19 anni infatti era il nemico perfetto per la propaganda destrorsa: condannato a tre anni e due mesi di reclusione per spaccio, 7 milioni di lire di multa, condanna confermata in Appello.

Prima di diventare il presidente della Croce Rossa Italiana Rocca, all’età di 19 anni, venne pescato dai militari che indagavano su un giro di spaccio a Casal Palocco, nella zona litorale romana. C’è di più. Non solo Rocca era uno di quei diciannovenni che per diversi casi della vita si ritrova incagliato in qualche brutta storia ma con lui c’era anche un gruppo di nigeriani che smerciavano eroina. Nigeriani, neri, con le buste di eroina in mano: cosa manca perché Salvini non faccia un salto sulla sedia e urli contro il disfacimento morale della patria

Dalle carte di quel processo si scopre infatti che proprio per conto degli spacciatori nigeriani Rocca avrebbe “più volte consegnato” a un ventitreenne romano eroina per un totale di circa “140 grammi”. “Un’ottima scelta. Mettiamo il Lazio in ottime mani”, ha dichiarato Matteo Salvini a proposito della candidatura di Rocca per le elezioni regionali nel Lazio.

Proviamo a ribaltare la situazione. Provi qualcuno, un giornalista qualsiasi con un microfono in mano, a chiedere al leader della Lega (leader piuttosto azzoppato, verrebbe da dire, visto il malcontento interno) cosa ne penserebbe di candidare alla guida di una Regione qualcuno che a 19 anni era uno spacciatore. Non è difficile immaginare lo strepito disgustato di Matteo.

È la doppia morale di questa destra che estrae il garantismo a fasi alterne: se ne ricorda quando serve per proteggere gli amici degli amici e se ne dimentica quando deve bastonare qualche avversario politico. Così la droga e gli stranieri in quest’occasione diventeranno, vedrete, un trascurabile errore di gioventù mentre reati ben più lievi commessi da altri sono un’onta tatuata addosso fino alla morte.

Lui, Rocca, sapendo bene come funziona la politica questa storia l’aveva raccontata già nel 2017 quando prendendo la guida della Croce Rossa mondiale ammise: “Quello sbaglio in gioventù, che mi fa soffrire anche oggi, mi ha dato una grande spinta, mi ha fatto capire che non potevo pensare solo a me stesso, che c’erano anche gli altri. Io ci credo profondamente. E sono maturato, in fretta”.

Disse Rocca che “bisogna imparare dagli errori e migliorarsi ogni giorno che passa. Questa la mia filosofia di vita. – spiegò – Ho creduto giusto ricordare il mio errore anche davanti a chi mi doveva giudicare idoneo o no a guidare il Comitato internazionale della Cri”. E concluse con una frase che è l’esatto opposto della morale di questa destra, Salvini in primis: “L’umanità è fragile, ogni individuo è fragile e può sbagliare – disse – ma si deve rispondere alle fragilità, generali e individuali”.

Verissimo, l’umanità è fragile. Ma qualcuno dovrebbe spiegare a Matteo Salvini che o si accetta (e noi gli auguriamo di impararlo in fretta) di essere comprensivi con tutti – siano anche neri, gialli, musulmani, comunisti – oppure si merita di essere bollati come vili opportunisti, forti con i deboli e deboli con gli amici che tornano utili. Poiché il garantismo è una cosa seria noi siamo convinti che Rocca abbia avuto il modo e il tempo di riscattarsi.

Del resto i giornali di queste ore si sdraiano sulla sua illuminazione: volontario nel 1988, laureato in fretta in Giurisprudenza alla Sapienza e poi l’innamoramento per la Sanità. Una sanità, va detto, piuttosto “politica” e dirigenziale con la direzione dell’ospedale Sant’Andrea, una poltrona nel consiglio d’indirizzo dello Spallanzani e poi commissario straordinario dell’Asl Napoli 2. A proposito di errori e di riscatti, di Rocca presidente di Croce Rossa si segnala la scelta di Marcello De Angelis (ex parlamentare di An ed ex esponente di Terza Posizione) come portavoce: è il fondatore del gruppo musicale 270bis, dall’articolo del codice penale relativo alle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, reato per cui De Angelis è stato condannato a 5 anni e mezzo.

Braccio destro e segretario particolare di Rocca in Croce Rossa è stato anche Paolo Pizzonia, un ex terrorista dei Nar. Ci sarebbe, volendo essere curiosi, anche un’interrogazione parlamentare del 4 luglio 2012 a firma Enzo Raisi (Futuro e Libertà per il Terzo Polo) in cui si chiedeva della società immobiliare di Rocca (la Ciak srl) e del suo potenziale conflitto di interessi “alla luce della potenziale gestione privatistica del patrimonio immobiliare” di Croce Rossa, scriveva Raisi. Erano i giorni in cui la trasmissione Report raccontò di 68 immobili di Cri di cui “si erano perse le tracce”, disse così Milena Gabanelli.

Ancora. Il 5 novembre 2018 l’Associazione Themis & Metis sul proprio sito pubblicò un articolo (“Croce Rossa Italiana in rosso. Dove sono finiti i soldi?”) in cui si raccontava di “una vera e propria voragine debitoria”: “un’eccellenza italiana – si legge nel pezzo – ridotta a colabrodo… forse la spiegazione può arrivare dagli sprechi pazzeschi, le ruberie, gli sperperi e le consulenze d’oro? Non si sa bene…”..

Si legge (l’articolo è ancora online) che al tempo Rocca guadagnasse “la bellezza di 263.995 Euro più 126.525 euro per spesucce varie, totale 390.520 euro. Circa 32.000 euro al mese più o meno”, nonostante Croce Rossa fosse in cattive acque finanziarie. Rocca querelò l’autore del pezzo ma gli andò male. Il Tribunale di Torino diede ragione al giornalista di quel pezzo e ricordò l diritto/dovere del giornalismo d’inchiesta (come riconosciuto da Pubblici Ministeri e Giudici) di svolgere la propria attività senza subire l’intimidazione di azioni penali, difendendo il diritto dei lettori di conoscere cosa accade realmente dietro le quinte del potere. Se Salvini citofonasse a Rocca avrebbero un sacco di cose da raccontarsi.

Leggi anche: Nel Lazio si è toccato il fondo. Con D’Amato e Rocca è contesa tra due impresentabili. L’ex capo della Cri ha una condanna per spaccio. L’assessore uscente è stato stangato dalla Corte dei Conti

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Un miliardo alla Serie A. La lobby del calcio da noi è già in Parlamento

Non serve chiudere le porte ai lobbisti in Parlamento, ce ne sono di eletti ben seduti sugli scranni di Camera e Senato che funzionano benissimo. Il senatore e presidente della Lazio Claudio Lotito, grazie alla copertura di Forza Italia e di Licia Ronzulli, riesce a sconfiggere ben due ministri (Abodi e Giorgetti) e impone la manovra cosiddetta “salva calcio” sulla rateizzazione di passività e versamenti. Si tratta di quasi un miliardo di euro regalati alle società calcistiche di serie A.

La destra taglia il Reddito di cittadinanza. E poi fa il regalo di Natale a Lotito & C che riescono a imporre la norme “salva calcio”

Il ministro dello Sport Andrea Abodi e il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti avevano avanzato dubbi sull’opportunità di regalare soldi alla Serie A mentre l’opinione pubblica è alle prese con austerity e bollette. Si parla di mezzo miliardo di versamenti Irpef e contributi sospesi nel corso del 2022 con la scusa del Covid: una maxi-cartella esattoriale in scadenza il 22 dicembre, che riguarda tutto il settore dello sport, ma è chiaro che i grandi debitori (e quindi i veri beneficiari della proroga) sono i club di Serie A.

Nei giorni scorsi sembrava decaduta l’ipotesi di un regalo ai presidenti delle squadre di calcio ma ieri la situazione si è ribaltata. L’accordo sembra ormai definito: in totale, le imposte arretrate strano pagate in 60 rate mensili di pari importo, con una penale del 3% e con il versamento delle prime 3 rate entro 7 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Matteo Renzi è andato all’attacco: “Per un mese hanno parlato solo del pos e oggi fanno marcia indietro. I soldi delle pensioni minime finiscono ai presidenti della serie A: pazzesco. Spero che i parlamentari di maggioranza abbiano un sussulto di dignità”. Il taglio della 18App, unitamente al sostegno del mondo del calcio – che ha trovato in Claudio Lotito, senatore di Forza Italia, una sponda molto autorevole – indigna anche Raffaella Paita, che invita i colleghi della maggioranza a “vergognarsi”.

“Quello che sta accadendo con la prima legge di bilancio targata Giorgia Meloni è davvero allucinante. Da un lato tagliano il reddito di cittadinanza per le persone più povere, dall’altro si apprestano a regalare soldi alle società multimilionarie della serie A di calcio consentendo loro di spalmare i debiti che hanno verso lo Stato. Se confermato sarebbe qualcosa di assurdo e vergognoso”, ha dichiarato la capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione cultura e sport alla Camera, Anna Laura Orrico.

A Lotito non è servito troppo tempo per entrare negli ingranaggi parlamentari

A Claudio Lotito non è servito troppo tempo per entrare negli ingranaggi parlamentari. In poche settimane è stato eletto vicepresidente della Commissione Bilancio e Programmazione economica del Senato, poi membro della Commissione Finanze e Tesoro di Palazzo Madama. Quindi ha firmato due emendamenti a tema pallone: uno per prolungare le licenze di trasmissione e un altro contro le trasmissioni pirata online.

Da quando è stato eletto senatore Lotito a Palazzo Madama tira la giacchetta a tutti, da Ignazio La Russa ai senatori di ogni colore. Da lobbista del calcio e di se stesso Lotito, arriva là dove non hanno osato il presidente della Serie A, Lorenzo Casini, ex capo di gabinetto di Francschini e amico intimo di Giulio Napolitano e Giuseppe Chinè, a lungo e contemporaneamente sia procuratore federale che capo di gabinetto all’Economia, prima che Giorgetti gli desse il benservito.

In Italia si è già molto più avanti rispetto al Qatar: perché cercare politici che avvantaggino il mondo del pallone quando si può tranquillamente eleggere un presidente di una squadra di Serie A senza troppa fatica

 

Leggi anche: La destra ci riporta al Medioevo. Ora mancano solo i No Spid. Butti prepara la crociata contro l’identità digitale. Che però è già stata attivata da 33 milioni di italiani

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Ora mancano solo i No Spid. La destra ci riporta al Medioevo

Ci mancavano i No Spid. Dopo avere fatto una pessima figura sul Pos e sui pagamenti elettronici dalle parti del governo di Giorgia Meloni si sono messi in testa di abolire lo Spid, lo strumento di identità digitale che viene utilizzato per accedere ai servizi pubblici e che dopo qualche difficoltà iniziale comincia a funzionare in Italia.

Butti prepara la crociata contro l’identità digitale. Ma lo Spid è già stata attivato da 33 milioni di italiani

La battaglia la annuncia il sottosegretario con delega all’Innovazione tecnologica Alessio Butti (nella foto), d FdI, che all’iniziativa per il decennale del partito ha dichiarato: “Cerchiamo di spegnere gradualmente Spid che raccoglie una serie di identità digitali e facilitare l’azione delle nostre imprese e dei cittadini con la Pubblica amministrazione”.

Come? tenendo “la carta d’identità elettronica come unica identità digitale”, ha spiegato il ministro, adducendo “difficoltà per gli anziani” nell’utilizzo. Per Butti non è una novità: già prima del lockdown era intervenuto in Parlamento contro lo Spid con la solita retorica dei servizi “in mano ai privati” mentre la carta d’identità elettronica sarebbe in mano al ministero dell’Interno e ai Comuni.

Dopo quel suo intervento in Parlamento però in Italia 30 milioni di italiani hanno attivato il proprio Spid. Non male per essere un servizio destinato a fallire. Butti però ha deciso di insistere fingendo di non sapere che a inizio 2022 erano 28 milioni le identità Spid attive in Italia mentre ora siamo arrivati a 33 milioni. Prima della pandemia, invece, erano appena 6 milioni i cittadini italiani che avevano richiesto lo Spid, completando la procedura di identificazione che viene effettuata da un ente terzo accreditato da AgiD (come Poste Italiane, Aruba, Telecom e altri ancora).

Secondo l’AgiD si sono registrati oltre mezzo miliardo di accessi nel 2021 e circa 330 milioni solo nel primo quadrimestre del 2022

Sempre a proposito di numeri: secondo i dati ufficiali forniti da AgiD si sono registrati oltre mezzo miliardo di accessi nel 2021 e circa 330 milioni solo nel primo quadrimestre del 2022. Lo Spid, tra le altre cose, rientra anche negli obiettivi del Pnrr tant’è che lo scorso maggio l’ex Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale, Vittorio Colao dichiarava: “Abbiamo raggiunto in anticipo l’obiettivo annuale di diffusione dell’identità digitale previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pari al 38% della popolazione), e ci avviciniamo sempre di più all’obiettivo del 2023 (il 46% della popolazione). È un tassello fondamentale per proseguire il percorso della digitalizzazione e grazie a questa capillare diffusione lo Stato potrà offrire servizi pubblici ancora più efficienti e semplici da utilizzare, migliorando così il rapporto dei cittadini e delle imprese con la Pubblica Amministrazione. Ciò sarà possibile anche grazie agli interventi che le PA locali e centrali stanno avviando con grande partecipazione, in linea con i tempi del Pnrr”.

La carta d’identità elettronica già oggi è utilizzabile per accedere ai servizi pubblici

Attenzione: come nel caso del Pos e i contanti, la carta d’identità elettronica già oggi è utilizzabile per accedere ai servizi pubblici. Spid e Cie sono due metodi che si possono liberamente scegliere. In più da almeno un anno è esplosa la questione microchip che scarseggiano. Lo ha ricordato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi nell’intervento alla Camera del 23 marzo 2022.

Dopo il taglio del 40% annunciato dalla giapponese Toyota, ad agosto 2021 Stellantis e Volkswagen sono dovuti intervenire per far fronte alla mancanza di microchip. Stellantis è stata costretta a fermare la produzione in due fabbriche in Francia. Volkswagen ha annunciato il taglio della produzione dell’impianto di Wolfsburg, Il risultato immediato della crisi, l’anno scorso, è stato: un milione di veicoli prodotti in meno, soltanto in Europa, rispetto al 2020. Sono gli stessi chip che servirebbero al governo per le carte d’identità.

Ma perché il governo vuole abolire lo Spid? Semplice: in mancanza di una reale capacità di pensare nuovi strumenti e nuove riforme alla Meloni e i suoi ministri non rimane che affossare ciò che già c’è per darsi un tono identitario. Così come accaduto sul Pos (con una figuraccia internazionale passata in sordina grazie a i servigi di un’informazione morbidissima) ci prepariamo ad ascoltare per settimane la barzelletta del “si stava meglio prima”, della “libertà di andare in Comune” (come se lo Spid impedisse di perdere una mattina tra gli uffici comunali o prendersi quattro mesi di tempo per ottenere una carta d’identità elettronica).

Il vero nemico di questo governo è il progresso in tutte le sue forme

Il vero nemico di questo governo è il progresso in tutte le sue forme. Ma questi non sono solo conservatori, sono dei veri e propri regressisti che odiano tutto ciò che è tecnologia, scienza e innovazione. L’obiettivo di smontare tutto il prima possibile, nel modo più rumoroso possibile rientra nell’idea trumpiana di ripristinare una passato mai esistito per tranquillizzare i propri elettori spaventati dal progresso. Il futuro disegnato come pericolo per le proprie posizioni di rendita è la matrice di ogni politica di estrema destra, figuriamoci se Meloni e soci non ci si buttano. Dategli qualcosa da abolire, un macinino del caffè. Almeno stanno tranquilli.

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Spagna et labora

Lo scorso marzo il governo spagnolo ha introdotto nuove norme per il mercato del lavoro. La riforma limita a due i tipi di contratto a tempo determinato: il contratto strutturale legato alla produzione e quello di sostituzione di un altro lavoratore. Nel primo caso si fa riferimento ad aumenti occasionali e imprevedibili di produzione che richiedono un aumento temporaneo della forza lavoro. Può durare fino a sei mesi, fino a un anno nel caso in cui lo prevedano gli accordi di settore. Nella riforma sono rientrati anche i cosiddetti contratti “stagionali” che ora calcolano l’anzianità del lavoratore sulla base della durata del rapporto di lavoro e non solo sui periodi effettivamente lavorati. Si potrebbe dire che in Spagna il governo sia andato in direzione contraria rispetto a quello che ripetono da noi gli accesi sostenitori della precarietà come volano del fatturato e dell’occupazione.

E i risultati? Tra gennaio e novembre di quest’anno i nuovi contratti a tempo indeterminato sono stati oltre 6,5 milioni contro i circa 1,9 milioni sottoscritti nello stesso periodo dell’anno precedente: in percentuale, un aumento del 238,4%. I numeri sono stati resi pubblici dal ministero che prevede per il 2022 più di 7 milioni di nuovi posti fissi. A beneficiarne sono i lavoratori giovani (+142%) con una consequenziale discesa della disoccupazione giovanile. Raymond Torres, capo economista del think tank Funcas di Madrid ha spiegato che i «contratti stabili possono aumentare la fiducia dei consumatori e favorire un incremento della spesa per consumi». «Abbiamo messo fine all’idea che l’introduzione dei giovani nella forza lavoro debba avvenire attraverso contratti flessibili e instabili», ha detto Joaquin Perez-Rey, viceministro del lavoro e ideatore della riforma.

A proposito: in Spagna dal 2020 è stato introdotto un reddito minimo vitale, roba che qui da noi farebbe rizzare i capelli ai liberali scatenati. In Spagna il governo e i due principali sindacati del Paese, Ugt e Comisiones Obreras, hanno stretto un patto per fissare il salario minimo di quest’anno a 1.000 euro al mese (per 14 mensilità), con un aumento di 35 euro rispetto a quello del 2021. Anche in quel caso qualcuno aveva urlato allarmato che “non era il momento”. I numeri li smentiscono.

Buon martedì.

Nella foto: il primo ministro Sanchez al Senato, Madrid, 22 novembre 2022

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Vorrei ma non Pos

Giorni interi buttati via a parlare della mirabolante possibilità di poter evadere qualche decina di euro da parte dei commercianti. Un dibattito surreale in cui la compagine di governo si inventava le più incredibili scuse per giustificare un provvedimento che altro non era che l’ennesimo concime per la cosiddetta “evasione di sopravvivenza” tanto cara alla destra e ai suoi elettori. Pagine intere di editoriali che tiravano in ballo la libertà “di pagare in contanti”, sempre con un pizzico di complottismo contro i “poteri forti” che starebbero tutto il giorno a controllare nella borsa della spesa della persona qualunque di qualche sperduta provincia.

Loro, i commercianti che hanno votato questa destra senza nemmeno sperare che possa concepire una riforma fiscale decente ma semplicemente confidando in regole più lasche da aggirare più facilmente, fieri di poter rifiutare il Pos. E qui altre pagine di giornali e ore di talk show: c’era l’intervista al tassista che esultava come se avesse risolto il problema del Pil nazionale, c’era il barista che fiero mostrava il suo cartello “Pos fuori servizio” e c’erano quei soliti politici amici del caos con gli occhi che brillavano per questo deregolamento padre di tutte le riforme.

Qualcuno, a dire il vero, ha timidamente tentato di rimettere le cose al loro posto. Ha fatto presente che se di una manovra di bilancio l’unico argomento discusso è un tetto di condono per i pagamenti elettronici significa che la politica e la sua analisi sono ridotte veramente male. Agli elettori evidentemente bastava: una “decisione fortemente simbolica” spiegavano gli appassionati fan di Giorgia.

Poi ieri è accaduto che Giorgia Meloni tra i denti ha fatto marcia indietro. L’obbligo di accettare pagamenti elettronici «è un obiettivo del Pnrr e quindi lo stiamo trattando con la Commissione», ha ammesso la premier lasciando Palazzo Madama dopo il concerto di Natale. «Se non ci sono i margini ci inventeremo un altro modo per non fare pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti». Commissioni, tra l’altro, che sulle micro operazioni sono già azzerate. Il governo è in un cul de sac: ha impostato una narrazione bugiarda e ora non può permettersi di dire “troveremo un altro modo per farvi evadere comodamente” così si ributta sulla questione delle commissioni bancarie.

Così anche la scelta “altamente simbolica” è decaduta. Anche in questo caso Giorgia Meloni e i suoi ministri non hanno “sfidato l’Europa” ma si sono dovuti rimettere a cuccia. Un capolavoro: discutere di un’inezia per nascondere il quadro generale e non riuscire a ottenere nemmeno quella.

Buon lunedì.

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Don Ferrari resti in silenzio: l’ennesimo paradosso del rapporto Italia Libia

Una Procura invita un prete a essere «silenzioso». Non è uno scherzo. Don Mattia Ferrari è il cappellano di Mediterranea saving humans ma soprattutto è una voce limpida sul ruolo criminale della mafia libica legata ai servizi segreti di diversi Paesi. Quando il prete decide di presentare querela per i ripetuti attacchi ricevuti sui social network alla Procura di Modena era probabilmente convinto che lo spessore criminale dei suoi nemici avrebbe ricevuto la giusta attenzione. Del resto un prete protetto da una «radiosorveglianza» decisa dal Comitato provinciale per la sicurezza proprio sulla base della pericolosità dei mittenti di quei messaggi è già una notizia che dovrebbe rimbalzare ovunque.

L’account sarebbe di «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi»

Per la Procura di Modena invece quei messaggi sono irrilevanti, semplici frasi. Come scrive su Avvenire Daniela Fassini, nel testo in cui propone l’archiviazione il pm non cita mai l’account dal quale sono arrivate e che, come attestano inchieste giornalistiche e atti parlamentari, sarebbe invece «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi». Quell’account infatti, sottolineano le fonti vicine a chi subisce minacce, pubblica continuamente materiale per conto della mafia libica e periodicamente anche foto “top secret” di velivoli militari europei e di apparati italiani. L’account Twitter Migrant Rescue Watch (@rgowans) è il profilo di qualche “manina” libica (rubo la citazione all’amico Nello Scavo) che gode evidentemente della fiducia di alcune istituzioni italiane che passano documenti e video inaccessibili alla stampa. A oggi nessun magistrato ha trovato il tempo di coordinare delle indagini per chiarirne l’origine.

Don Ferrari resti in silenzio: l'ennesimo paradosso del rapporto Italia Libia
Don Mattia Ferrari a Che tempo che fa.

Secondo la Procura di Modena il prete deve fare il prete senza occuparsi d’altro

Ma che aggiunge nella sua archiviazione la Procura di Modena Nel documento della Procura si legge che «se il prete esercita in questo modo, diverso dal magistero tradizionale», deve aspettarsi minacce di questo tipo. Secondo il pubblico ministero le reazioni sono inevitabili se «come già evidenziato chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale – e lo faccia propalando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti». Insomma, il prete faccia il prete come ci si aspetta che debba fare e non si occupi d’altro. Sembra di sentire quei moralismi dei politici che invitano i cantanti a cantare, gli attori a recitare e così via, ogni volta che qualcuno decide di opporsi. Stia al suo posto don Mattia e lasci che la moria di disperati in mezzo al Mediterraneo e nelle prigioni libiche lautamente pagate da soldi europei si compia senza troppo disturbo.

Le minacce a Nello Scavo e il cortocircuito italiano

Tutto questo accade mentre il ministro libico Dbeibah chiede adesso il ritiro delle restrizioni e la libertà di viaggiare per Abdurahman al-Milad, nome di battaglia: Bija. Bija è l’autore di minacce mafiose che costringono un giornalista italiano, Nello Scavo, a essere protetto con una scorta. Notate il tilt: il governo italiano finanzia i libici che minacciano un nostro giornalista che ha bisogno della protezione dello Stato per essere difeso. È l’ennesimo paradosso di un’amicizia tra Italia e Libia che nella Storia verrà ricordata come un concorso esterno. Quando racconteremo ai nostri figli che i nostri soldi sono stati usati per finanziare un governo mafioso avremo anche il capitolo del prete minacciato a cui è stato consigliato di essere “silenzioso”. Ma alla fine saranno proprio i “silenziosi” a portare addosso la macchia della vergogna.

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“Accuse gravi ai volontari Ma il ministro non ha prove”. Parla la presidente di Open Arms Italia, Alfonsi

Veronica Alfonsi, presidente Open Arms Italia, il ministro Piantedosi ha confermato di lavorare su “norme più stringenti” per le Ong. Siamo ancora alle Ong come problema Che sensazione le dà?
“Noi rimaniamo sempre con una sensazione di straniamento quando leggiamo certe dichiarazioni. Sono sette anni che leggiamo dichiarazioni di questo tipo. Quello che si dichiara sostanzialmente è di voler sanzionare il soccorso in mare. Abbiamo assistito in sette anni a una costante, continuativa e trasversale criminalizzazione del soccorso in mare, tutto questo è insopportabile. Anche perché le Ong sono tante, di tanti tipi, ce ne sono di diverse che lavorano in ambiti e contesti differenti. Le Ong non sono un’entità astratta: in molti casi sono cittadini europei che si prendono delle ferie, che si mettono a disposizione, che usano il proprio tempo per fare qualcosa che dovrebbero fare i governi. Parliamo di società civile e della parte migliore di questa Europa”.

Eppure il ministro cita il commissario Ue Schinas e dice che in mare è il Far West…
“Io l’ho sentito Schinas che parlava di Far Far West. Una giornalista gli ha chiesto un esempio ma lui non ha saputo rispondere. Sa perché? Semplicemente perché non è vero. Le navi umanitarie sono in mare e rispettano le convenzioni internazionali che regolano soccorso e diritto del mare, regole già scritte che qualunque natante deve rispettare. Il vero Far West è nei governi visto che sono loro che non rispettano le costituzioni e le regole, sono loro che dovrebbero coordinare i soccorsi in mare e non lo fanno. Noi chiediamo da sempre di essere coordinati ma i governi europei hanno smesso di farlo, non assegnano un porto di sbarco sicuro nei tempi in cui dovrebbero farlo. Loro sono il Far West”.

Sempre Piantedosi ha detto che “non può bastare una visita medica a bordo per depotenziare l’azione del governo”. Quindi l’azione del governo è impedire lo sbarco?
L’azione del governo va contro il diritto. Quello che non si può fare è stabilire la vulnerabilità delle persone con criteri soggettivi che vorrebbero farci credere che i maschi e i giovani non posano essere sbarcati. Il diritto stabilisce che debbano scende nel porto più vicino per chiedere diritto alle cure e alla protezione internazionale”.

Piantedosi tra l’altro ha usato l’arma del sospetto, facendo riferimento a un complotto delle Ong contro gli Stati. Roba che circola da anni puntualmente smentita. Perché funziona ancora
“È un problema enorme su cui ci interroghiamo anche noi. Il ministro dovrebbe anche portare delle prove, che non esistono. Siccome sono 7 anni che veniamo attenzionati con inchieste giudiziarie e amministrative credo che se ci fossero stati dei comportamenti illegittimi sarebbero venuti fuori. Nessuno è più osservato di noi eppure tutte le inchieste si sono concluse con un nulla di fatto. Quelle del ministro sono affermazioni molto gravi senza nessun riscontro probatorio. Del resto ci ritroviamo in un processo contro il ministro Salvini e siamo noi a doverci difendere nonostante sia lui l’imputato. È uno stravolgimento della realtà continuo. Noi proviamo a riportare il discorso sul piano della realtà. A volte ci riusciamo, a volte meno. Nel processo con Salvini addirittura sono saltate fuori delle immagini di un sottomarino della Marina Italiana che avrebbero dovuto inchiodarci e che invece dimostrano la limpidezza della nostra azione. Ora stiamo valutando con i nostri legali se presentare denuncia per omissione di soccorso. Non è bizzarro un sottomarino della Marina militare che si mette a filmare mentre noi soccorriamo?”.

Ma l’Europa cosa sta facendo salvare le vite dei migranti?
“Nulla. Sostanzialmente nulla. Quello che facendo dal 2015 è finanziare con denaro pubblico degli Stati illiberali come la Turchia e la Libia per esternalizzare le frontiere e fermare le persone che tentano di fuggire. Nella fattispecie l’Italia ha dato soldi – con un accordo appena rinnovato – alla Libia oltre a motovedette e addestramento delle milizie armate per operare da Guarda costiera. Anche per questo siamo scomodi: per quello che vediamo in mare. Non è solo il soccorso (i nostri sono una percentuale minima), quando siamo in mare possiamo documentare quello che accade: respingimenti su procura, Frontex che ha solo aerei per individuare le imbarcazioni in difficoltà e segnalarle alla Guardia di costiera libica e portarli indietro (modalità vietata dalla Convenzione di Ginevra). Anche i naufragi avvengono per questo: nessuno interviene. Dopo due o tre giorni in mare su imbarcazioni che non sono in grado di resistere i naufragi sono inevitabili. Vogliono farci smettere? Noi smettiamo anche domani se in mare viene organizzata un’operazione strutturata a livello europeo come Mare Nostrum. Ma questa volontà non c’è”.

Come far tornare di moda la solidarietà?
“Domanda da un milione di dollari. La solidarietà dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo. Forse dovremmo interrogarci su perché ci poniamo questa domanda, come siamo arrivati a questo punto. Noi dobbiamo continuare a difendere la vita, rispettare le leggi. Abbiamo lanciato da poco una campagna che ricorda che da quando nasciamo siamo abituati a avere empatia. Questo siamo e questo dobbiamo rimanere”.

Come vede il futuro con questo governo e con questa Europa
“Non c’è da essere ottimisti. Ma siamo abituati a questa situazione. Bisogna essere resilienti. La resilienza ce la dà l’incontro con le persone che incontriamo in mare, di cui si parla molto poco. Sono persone straordinarie: hanno coraggio, resistenza e una capacità di credere nel futuro che è veramente contagiosa e ci dà forza. I tempi non sono facili ma vale la pena insistere e andare avanti e questo vale per tutti. Noi non stiamo difendendo i diritti di pochi, difendiamo i diritti di tutti. Quando si abbassa l’asticella dei diritti si abbassa per tutti, lo vediamo con il ritorno di discorsi pericolosi sui diritti delle donne e in altri contesto. Ci riguarda tutti”.

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