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“Basta inseguire Calenda & C. Con loro la Sinistra non ha nulla da spartire”

L’ultimo sondaggio parla chiaro: in Lombardia è sfida tra Attilio Fontana e Pierfrancesco Majorino. Letizia Moratti raccoglie un misero 13% che la taglia completamente fuori dai giochi. E il Pd, dato al 30% potrebbe puntare alla vittoria con l’11,6% del Movimento 5 Stelle. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Pacini, segretario regionale dei Giovani Democratici in Lombardia.

Pacini, quindi i numeri dicono che il Pd con il Movimento 5 Stelle potrebbe puntare alla vittoria in Lombardia
“Direi proprio che il sondaggio è molto chiaro. I 5 anni passati insieme all’opposizione dicono che una linea comune su cui poter lavorare c’è già: penso ai trasporto, alla sanità, alle politiche per la casa e alla tutela dell’ambiente e del territorio. Per ora loro non hanno un candidato alla presidenza, sarebbe un’ottima cosa convergere su Majorino e se facessimo insieme la battaglia. Tra l’altro Majorino ha già teso la mano in tutti i modi al M5S, è ovvio che la colpa di questo stallo è di Letta che ancora non si è schiodato dalla poltrona. Anche perché l’accordo deve essere fatto a livello nazionale, loro chiedono questo. Nel Lazio non si riesce ad andare? Amen. In Lombardia facciamo diversamente. Del resto finché c’è Letta continuerà a far danno al partito”.

E di Moratti che colleziona un misero 13% che ne pensa
“Penso che avevamo ragione noi. Per una volta hanno ragione i politici e non i giornalisti e gli editorialisti che hanno perso per 30 anni e ci insegnano come continuare a perdere. Moratti sarà la terza forza in Lombardia. Spero solo che rubi abbastanza voti alla destra di Fontana – poiché anche lei è una candidata di destra – e possa aiutare il centrosinistra a vincere. Quei numeri sono la dimostrazione del fatto che in Lombardia il centrosinistra deve provare a vincere, non deve aiutare una candidata di destra a vincere contro la destra”.

Però il Terzo polo continua ad attrarre molti all’interno del suo partito…
“Il Terzo polo ha fatto una scelta chiara: sostenere una candidata e un programma di centrodestra. Calenda ha dato dell’estremista a Majorino… Parliamo di un ex veltroniano, uno che stava a destra nei Ds. Calenda si dimostra come sempre una persona che ha evidentemente delle capacità ma è arrogante ed è fondamentalmente una persona di destra. Penso che tantissimi suoi iscritti e elettori non voteranno per Letizia Moratti e torneranno a casa sostenendo il centrosinistra che li accoglierà a braccia aperte. Accogliamo tutti i moderati, progressisti e riformisti che non si sentono giustamente rappresentati da una donna di destra e conservatrice come Letizia Moratti”.

Però anche in vista del vostro congresso nazionale ci sono molti che indicano nel Terzo polo la via da seguire per le alleanze. Che ne pensa
“Penso che abbiano sbagliato partito. Se la pensi come Renzi vai nel partito di Renzi. Poi in Lombardia io avrei voluto un’alleanza con Terzo polo e M5S, come l’avrei voluta a livello nazionale. Il Terzo polo non vuole? Auguri. Basta inseguirli”.

Quanto pesa sulle prossime regionali la presenza di Letta dimissionario?
“Tantissimo. È intollerabile. È allucinante. Non è mai successo nella storia di un partito europeo che dopo una sconfitta del genere si rimanga così”.

Ma lei è ottimista sul fatto che il congresso possa rinnovare davvero la classe dirigente?
“Se le cose vengono fatte bene, con coraggio e rispettando la parola data possiamo fare questo passaggio. Serve molto coraggio. Serve molta sincerità”.

Forse il Pd deve scegliere se essere un partito socialdemocratico o liberale, tra le altre cose?
“Sì. Il partito deve scegliere da che parte stare in un mondo in cui esiste il conflitto sociale, esistono la destra e la sinistra sinistra, esistono gli sfruttatori e gli sfruttati. Finché esisteranno le ingiustizie esisterà la sinistra e il bisogno di sinistra. Il Pd vuole essere socialismo europeo o un’accozzaglia di valori vagamente democratici che non elabora nulla come proposta È diventato il momento di scegliere. Basta con i postcomunisti degli anni ’70 e con i post democristiani. Basta con la terza via. Blair ha fallito, Renzi ha fallito”.

Il M5S è riuscito a sottrarvi battaglie che dovevano essere del Pd?
“Non sono i 5 Stelle che hanno sottratto alcune battaglie: noi abbiamo deciso che non le volevamo affrontare. Intere categorie di cittadini le abbiamo abbandonate. I 5S in quest’ultima fase, perché non sono più quelli di Di Maio e Di Battista, sono un’altra cosa. Tra l’altro non ho capito perché ci siamo alleati con Di Maio e non con Conte con cui sarebbe stato naturale allearsi. Sul reddito di cittadinanza, ad esempio, dovremo fare una battaglia anche noi. Lo dice l’Istat, non l’addetto stampa del M5S: il Rdc ha salvato un milione di persone povere. Noi siamo a favore o contro? Io non ho ancora capito”.

Chi vede come possibile candidato al congresso per il cambiamento?
“Chiunque vorrà portare attraverso un grande percorso partecipativo delle idee di serio progressismo, di socialismo europeo, di lotta alle disuguaglianze. Chiunque porterà avanti questo progetto avrà il mio sostegno e di tanti altri.

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Per niente sani

Dopo una pandemia che ha messo in ginocchio l’Italia non solo dal punto di vista sanitario ma soprattutto dal punto di vista economico e sociale, la cosa più stupida che si potrebbe fare sarebbe fingere che il nostro sistema sanitario si sia dimostrato all’altezza. L’hanno fatto.

Nella bozza della legge di Bilancio per il 2023 per la sanità vengono previsti due miliardi di euro in più per il fabbisogno standard ma di questi 1,4 miliardi di euro sono da destinarsi solo al caro bollette. Avanzano quindi solo 600 milioni dopo avere pagato i costi delle luci e dei macchinari, una cifra che non basterà nemmeno a fronteggiare l’inflazione galoppante. Si può dire che la legge di Bilancio di questo governo consiste in un taglio alla sanità (l’ennesimo) dopo una pandemia. Non serve essere degli esperti per capire quanto tutto questo sia irresponsabile e dannoso.

Come un filo rosso che attraversa tutte le decisioni del governo anche in questo caso a pagare saranno i lavoratori. “Alla sanità del 2023 vengono destinate certo più risorse, ma per bollette e vaccini e farmaci anti Covid, non per servizi e personale. Niente per il Contratto di lavoro 2019-2021, che prevede incrementi pari a un terzo del tasso inflattivo attuale, e nessun finanziamento per quello 2022-2024», denunciano le organizzazioni sindacali dei medici, veterinari e dirigenti sanitari.

Anaao assomed, Cimo-Fesmed, Aaroi-Emac, Fassid, Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, Fvm federazione veterinari e medici, Uil Fpl e Cisl medici esprimono preoccupazione e aggiungono: «Le condizioni di lavoro dei dirigenti medici, veterinari e sanitari, divenute insopportabili, anche a causa di una pandemia non ancora superata, alimentano uno stato di crisi della sanità pubblica che ha ridotto il Ssn a malato terminale».

«Le fughe di massa dei professionisti, insieme con l’insoddisfazione e lo scontento di chi non fugge – dicono i sindacati – suonano un allarme che, però, non arriva alle orecchie del ministro della Salute e del governo che non vedono organici drammaticamente ridotti al lumicino al punto da mettere a rischio l’accesso dei cittadini alla prevenzione e alle cure, insieme con la loro qualità e sicurezza».

«Servono – rincarano i sindacati – investimenti per le retribuzioni e per le assunzioni, perché la carenza di specialisti non può essere colmata dalle cooperative dei medici a gettone, pagati per lo stesso lavoro il triplo dei dipendenti e gratificati di una flat tax che porta a livelli intollerabili anche il differenziale contributivo».

«Per un adeguato rilancio del Ssn servono risorse per allineare spesa sanitaria a media europea, coraggiose riforme e visione lungo periodo. Altrimenti, Ssn è condannato ad una stentata sopravvivenza e finirà per sgretolare un pilastro della nostra democrazia», dice Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

L’obiettivo non dichiarato è facilmente intuibile: distruggere la sanità pubblica è il metodo migliore per pompare la sanità privata. La salute tolta dal cassetto dei diritti e messa sulla bancarella del mercato è il sogno recondito di questa destra (che in alcune regioni come in Lombardia è riuscita a realizzare). Difendere la sanità pubblica oggi ancora di più è un manifesto politico.

Buon venerdì.

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È una guerra ai poveri

Chi si preoccupa di povertà da sempre ora è davvero preoccupato. Alleanza contro la povertà (gruppo in cui siedono associazioni che vanno da ActionAid e Save the children ai sindacati all’Anci, passando per Comunità di Sant’Egidio e Forum Nazionale del Terzo Settore) parla di un mancato contatto con la realtà da parte del governo. Forse è anche peggio di così: Meloni e compagnia sanno benissimo cosa stanno facendo e per chi devono farlo.

«Preoccupante annunciare la soppressione di una misura di contrasto alla povertà a partire dal 2024 senza delineare alcuna ipotesi di sostituzione. Intervento che tra l’altro andrebbe a definirsi in un periodo che si preannuncerebbe di recessione», rileva l’Alleanza contro la povertà: «La logica non può essere quella di tagliare uno strumento, ma di renderlo più efficiente ed efficace. Da tempo l’Alleanza sostiene che sono certamente necessarie modifiche per migliorare il Rdc per rispondere alla crescente popolazione in condizione di bisogno. Si tratta di modifiche che vanno dall’ampliamento della platea degli aventi diritto all’adeguamento degli importi in relazione all’aumento del costo della vita fino al rafforzamento effettivo dei percorsi di politiche attive del lavoro».

L’abolizione del Reddito di cittadinanza, sottolinea il gruppo, colpisce «quelle famiglie in povertà in cui il componente abile al lavoro risulterebbe colpevolizzato rispetto al fatto di non riuscire ad essere occupato entro 8 mesi». Ma l’occupabilità dei percettori è un concetto molto relativo e se le risposte sono quelle che dice il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon la situazione sarà nerissima. «Cosa succederà se questi 660mila non troveranno lavoro?», gli ha chiesto ieri a Radio24 il giornalista Simone Spetia. «Se lo cercheranno», è stata la risposta.

Come si dice da tempo molti di coloro che non avranno più accesso al Reddito di cittadinanza (i cosiddetti “occupabili”) hanno più di 50 anni, una basso titolo di studio e una povertà che non è solo economica. I poveri assoluti tra l’altro si trovano anche all’interno di famiglie in cui qualcuno è occupato ma riceve uno stipendio talmente basso da non riuscire a garantirsi una vita dignitosa. Per questo secondo l’Alleanza contro la Povertà «ridurre la durata per il 2023 e rendere più stringenti le condizioni per i lavoratori considerati occupabili è un intervento che non tiene conto di tutti i dati ufficiali e dei principali studi che mostrano quanto la platea presa in considerazione abbia bisogno di essere inserita in adeguati e supportati percorsi di formazione e riqualificazione, di inserimento lavorativo o di promozione dell’auto-imprenditorialità cooperativa». «Abolire un sussidio che aiuta 3 milioni e 380 mila individui è ingiusto e rischioso per la tenuta sociale del Paese», scrivono. Tenetelo a mente perché quando accadrà Meloni e compagnia ricominceranno con il solito metodo del vittimismo o del complotto.

Buon giovedì.

Nella foto: persone in fila per presentare la domanda per ottenere il Reddito di cittadinanza, Torino, 6 marzo 2019

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La mafia in Lombardia è endemica. Solo Moratti non l’ha visto

C’è tutto il solito copione. Ci sono le minacce in perfetto stile mafioso con il vecchio boss Gaetano Bandiera che il 16 febbraio dell’anno scorso si presenta da un fruttivendolo per chiedere il pizzo e ottiene in omaggio “in segno di rispetto” arance e banane. “Si è comportata bene, che mi ha detto che quando c’ho bisogno…”, annota Bandiera, “Eh… e questo è il bello”, commenta un affiliato.

In Lombardia, tra i candidati che dovrebbero tenerci al riparo dalla ‘Ndrangheta sempre più avida, c’è anche Letizia Moratti

C’è una testa di maiale lasciata sullo zerbino di un pregiudicato, Marco Giordano, accusato di essere un’infame. C’è l’idea di usare una testa di capretto con un biglietto in bocca “la prossima testa è di vostro figlio”. Anche a Rho la ‘Ndrangheta agisce con gli usi e costumi di chi si sente impunito: i Bandiera, padre e figlio, sono affiliati alla Santa e hanno eletto capa anche la quarantacinquenne Caterina Giancotti, prima donna boss in Lombardia di cui sappiamo.

Siamo nella Lombardia che si prepara a gestire i soldi del Pnrr e quelli che arriveranno per le Olimpiadi invernali, a pochi mesi dal voto che designerà il prossimo presidente della Regione. Tra i candidati che dovrebbero tenerci al riparo dalla ‘Ndrangheta sempre più avida c’è anche Letizia Brichetto vedova Moratti. Allora conviene fare un passo indietro.

Il 25 maggio 2009 Moratti interveniva nella trasmissione Annozero, invitata da Michele Santoro a commentare le recenti inchieste antimafia che riguardavano soprattutto l’Ortomercato e le ‘ndrine di Platì (Barbaro-Papalia) che monopolizzavano il movimento terra. La preoccupazione era che, senza adeguata vigilanza, l’Expo2015 potesse diventare un affare per le cosche da tutta Italia.

L’allora sindaca non si espresse mai direttamente sul tema e, di fronte ai servizi che raccontavano quanto emergeva dalle inchieste, dichiarò: «Io credo che Milano e il territorio circostante, la Lombardia, non possa essere descritta così, perché davvero è un modo di descrivere il nostro territorio che non corrisponde all’anima del nostro territorio. Quindi io davvero credo che ci debba essere la possibilità anche di far vedere ciò che Milano è davvero, quindi non è questo».

Quello stesso giorno al Comune di Milano (che Moratti guidava) venne cancellata la Commissione consiliare antimafia su spinta delle folli dichiarazioni dell’allora Prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi che in una lettera alla sindaca scrisse che la lotta alla mafia “esula del tutto dalle competenze comunali”, “confligge con le norme in vigore” e addirittura “è suscettibile di interferire con le istituzioni preposte”.

Il capogruppo del Popolo delle Libertà (allora si chiamava così Forza Italia) Giulio Gallera – sì, proprio quel Giulio Gallera – ebbe gioco facile nel dichiarare che “il compito dei consiglieri comunali non è quello di combattere la mafia, che spetta alla magistratura”. L’anno successivo Moratti insiste: “Io parlerei, più che di infiltrazioni mafiose, di infiltrazioni della criminalità organizzata”.

Quando a luglio di quell’anno l’operazione Crimine-Infinito svelò la profondità della presenza mafiosa in Lombardia sempre Letizia Moratti si disse sorpresa “che la rete fosse così ampia”. Ma dai? In questi ultimi dieci anni Moratti non ha mai rinnegato quelle posizioni. Ha semplicemente deciso di non parlarne più. Anche nel periodo in cui tentava di irretire il Pd non ha nemmeno fatto finta di pentirsi della sua pericolosa ignoranza sulle mafie nella Regione che vorrebbe governare. Nulla.

La domanda sorge spontanea: eleggereste presidente di una Regione in cui accadono fatti mafiosi come quelli di Rho chi per tutta la carriera li ha negati sfidando il senso del ridicolo? Chissà che ne pensano anche Renzi e Calenda.

 

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Licheri: “Niente sconti a questa destra”

Senatore Ettore Licheri (M5S), Conte parla di “governo vigliacco” che “mostra i muscoli con gli ultimi”. Siamo all’inizio di un massacro sociale?
“Vigliacco, perché tagliano le gambe ai percettori del reddito di cittadinanza e facilitando la vita a chi vorrà andare in giro con un rotolo di 5.000 euro di contanti in tasca. Questo è lo specchio di questa manovra. Gli evasori ed i colossi che hanno fatto guadagni da favola su questa crisi oggi traggono un sospiro di sollievo perché il governo ha deciso che farà cassa colpendo coloro che da 3 anni vivono con 500 euro al mese. E sa come si motiva questa scelleratezza Perché sono “occupabili”, si è detto, e se non hanno un lavoro evidentemente è perché preferiscono stare sul divano. Tutto questo è semplicemente sconcertante. La Commissione europea ha chiesto ai 27 paesi membri, con una raccomandazione, di rafforzare i rispettivi redditi di cittadinanza. Tutti i paesi stanno aumentando le tutele ai poveri, il governo italiano le cancellerà. E lo farà nel modo più odioso possibile: criminalizzando i nostri disoccupati e tacendo una verità: per via del rincaro delle materie prime, del caro-energia e di una crescita vicina allo zero, oggi c’è scarsa offerta di lavoro e quello che c’è nella maggior parte dei casi è precario e sottopagato. Una verità scomoda e nascosta agli italiani”.

Il M5S sembra pronto alla piazza. Anche il Pd potrebbe farlo. È nelle piazze che si gioca la credibilità dell’opposizione?
“L’opposizione guadagnerà in credibilità se sarà capace di interpretare nelle aule del Parlamento il sentimento di dolore che proviene da un ceto medio che continua inesorabilmente ad impoverirsi, e da un tessuto produttivo ed imprenditoriale stremato dalla inflazione e dai rincari della guerra. Detto questo è chiaro che se in Parlamento troveremo solo muri invalicabili, adotteremo tutte le iniziative per contrastare questa manovra. Anche quella di scendere in piazza”.

Ma con i numeri che questa maggioranza ha in Parlamento non si rischia che rimangano pochi spazi per riuscire a fare opposizione ?
“L’opposizione efficace è fatta di proposte ed emendamenti. Per fronteggiare gli extra-costi delle bollette in questa manovra ci saranno risorse per 21 miliardi che, per stessa ammissione di Giorgetti, basteranno solo per i primi mesi del 2023. Ecco, l’opposizione è pronta per trovare un rimedio, nella consapevolezza che non è interesse di nessuno consegnare questo paese alla recessione o alla stagnazione”.

Calenda e il Terzo polo accusano voi e il Partito democratico di usare le piazze in maniera populista. “Meloni va aiutata”, dice. Che ne pensa
“Le piazze parlano, ascoltano, suggeriscono e non vanno mai schernite o sminuite sotto la parola populismo. Le piazze sono state fondamentali nella crescita storica della democrazia di questo Paese. Calenda dovrebbe saperlo. Piuttosto, sono stati spesso i salotti o i club ristretti che hanno contaminato la politica italiana. E sono certo che anche questo non sfugga a Calenda”.

Le reazioni alla legge di Bilancio dimostrano ancora una volta una certa vicinanza tra Movimento 5 Stelle e Pd. È possibile un riavvicinamento?
“Guardi, per come la vedo io oggi il Pd deve decidere che strada imboccare: se quella liberista di Renzi-Calenda o quella della nostra agenda sociale, che guarda ai poveri, alle periferie e alle fabbriche. Al Pd oggi mancano le idee perché gli manca una base sociale. Il punto dunque non è la scelta del nuovo segretario, ma il coraggio di tracciare un solco di vera discontinuità con il partito dei salotti e delle élite”.

A questo proposito: nel Lazio sembra ormai chiusa la possibilità di andare insieme alle prossime Regionali, ma in Lombardia gli ultimi sondaggi dicono che un’alleanza potrebbe puntare alla vittoria sfruttando la spaccatura a destra provocata dalla Moratti. Che ne pensa
“L’abbiamo ripetuto tante volte: il nostro obiettivo è presentare agli elettori un progetto di trasformazione della società e, se questo progetto sarà coerente e convincente, gli elettori ci premieranno. Le nostre posizioni sulla pace, la nostra agenda sociale, la nostra sensibilità ambientale sono scritte nella nostra carta dei valori. È finita la stagione delle alleanze elettorali buone solo per vincere. La gente ha capito, ha bisogno di serietà e per questo il M5S è percepito come una forza politica credibile che non è disposta a derogare ai propri principi per vincere una gara elettorale o battere l’avversario. Il rinnovamento della politica italiana passa anche da questo cambiamento culturale”.

Secondo lei la maggioranza è allineata sulle prime iniziative di governo?
“Non lo dico io, ma loro stessi. Sulle trivelle il Governatore leghista Zaia è contrario alle posizioni del suo partito, sull’autonomia differenziata Fratelli d’Italia è contrario alle posizioni della Lega, sul Superbonus diversi esponenti di Fdi e Lega nella scorsa legislatura partecipavano alle manifestazioni a favore, mentre ora si sentono dire dalla Meloni e da Giorgetti che l’agevolazione verrà tagliata. E siamo solo all’antipasto”.

Ritiene che ci siano altri responsabili, al di fuori dei partiti di maggioranza, che hanno concorso alla distruzione del Reddito di cittadinanza Il Movimento 5 Stelle ha compiuto degli errori?
“Il Reddito di cittadinanza ha rappresentato e rappresenta un argine contro il lavoro sottopagato, ha reso evidente la necessità di alzare i salari ed ha acceso i fari sul “flop” dei nostri centri per l’impiego, causato da anni di politiche miopi portate avanti dai governi di destra e di sinistra. Tre evidenze clamorose e dirompenti. Certo, come ogni legge anche questa è perfettibile, ma scatenare una guerra ideologica solo perché la misura è stata ideata dal M5S va oltre il ridicolo. Ricordo a tal proposito che, nonostante gli sia stato messo a disposizione un miliardo di euro per attuare un piano di reclutamento straordinario nei centri per l’impiego, le Regioni hanno finora speso solo 300 milioni e assunto il 30% del personale. È giunto il momento che ognuno si assuma le proprie responsabilità davanti agli italiani”.

 

Leggi anche: Al Pd la lezione non è servita. Letta cerca altri fischi in piazza. Ora vuole difendere il Reddito di cittadinanza che aveva bocciato

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Caterina Giancotti, la prima donna boss in lombardia

«Vuoi che divento cattiva ed io divento cattiva…vuoi fare lo stronzo, ok farò la stronza anche io». E ancora: «stasera devi portare i soldi delle fatture…ha detto che devi portare tutto, non me ne frega un c…, sennò ti taglio la testa».

«Devi saldare… le regole le faccio uguali per tutti, fino ad oggi ho avuto pazienza, ieri ti avevo avvisato». Per la prima volta in Lombardia si registra un’inchiesta antimafia in cui le donne hanno un ruolo organizzativo apicale.

Alla lombarda “doc” Caterina Giancotti, 45enne nata a Triggiano, nel Barese, e residente a Rho, nel Milanese, il boss Gaetano Bandiera, 74enne originario di Cropani, aveva delegato il recupero dei crediti nei confronti dei clienti “insolventi”, essendo persona di fiducia del figlio Cristian Leonardo Bandiera, tant’è che avrebbe avuto un ruolo di decisione e pianificazione delle strategie del clan in assenza di quest’ultimo, al quale non era sentimentalmente legata e che coadiuvava nelle intimidazioni, nelle estorsioni, nel traffico di stupefacenti, ma anche nella spartizione dei proventi illeciti tra gli affiliati.

Una vera e propria “donna d’onore”, con ruolo di promotore e organizzatore, ma sono in tutto cinque le donne coinvolte nell’indagine. Ed è forse questo il tratto caratterizzante dell’operazione condotta dalla Squadra Mobile della Questura e dalla Dda di Milano, che hanno eseguito 49 misure cautelari nei confronti del clan capeggiato da Bandiera, che appena uscito dal carcere, nel luglio 2021, in seguito all’aggravamento delle condizioni fisiche (invalido al 100 per cento, avrebbe bisogno di una carrozzina per deambulare), per il differimento di esecuzione di una pena definitiva di 13 anni e 5 mesi inflittagli in quanto capo del “locale” di ‘ndrangheta di Rho, disposta nei suoi confronti nell’ambito del processo “Infinito”, avrebbe riorganizzato le fila del clan, rimettendosi all’opera con estorsioni, traffici di droga e false fatturazioni senza, a quanto pare, adottare particolari precauzioni quando parlava al telefono.

«È tornata la legge, è tornata la ‘ndrangheta», diceva. Non a caso il prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato, ha osservato che i vertici delle organizzazioni mafiose «quando escono dal carcere, dopo essere stati detenuti modello, ricominciano con più forza. O pentimento o morte – ha aggiunto – dalle organizzazioni mafiose non si esce in altra maniera. Questo è un tema importante, tanto più che ci troviamo a giocare una partita delicatissima sul 41 bis e l’ergastolo ostativo». Ma la vera novità è il ruolo delle donne, per la prima volta con posizione apicale in Lombardia. «Abbiamo cinque donne e soprattutto abbiamo una donna nel ruolo di capo organizzatrice dell’associazione mafiosa», ha sottolineato la pm Alessandra Cerreti, che ha coordinato le indagini insieme al procuratore aggiunto Alessandra Dolci.

Caterina Giancotti, infatti, era «il braccio destro di Christian Bandiera, figlio del boss Gaetano Bandiera. Questa donna – ha spiegato la pm – ha un ruolo fondamentale ed è ancora più spietata degli uomini». Nonostante il codice ‘ndranghetistico non preveda l’affiliazione formale delle donne, che non sono “punciute”, con riferimento al rituale del “battesimo”, il “salto di qualità” è evidente. «Assistiamo – ha concluso la pm – ad un cambio di mentalità all’interno dell’organizzazione. Le indagini hanno mostrato un ruolo delle donne attivo, spesso sono messaggere dal carcere. Questa volta abbiamo visto di più».

Con la scarcerazione del boss si era, quindi, ricostituito il “locale” di Rho, sgominato, insieme ad altri in Lombardia, con l’operazione Infinito. Almeno una decina di estorsioni e cinque di minacce, senza che nessuno abbia mai denunciato. Ai vertici del clan ci si rivolgeva pure per beghe condominiali e liti banali, per questo è “allarmante” – ha sostenuto sempre la pm Cerreti – quando emerso dall’ordinanza firmata del gip Stefania Donadeo. Eppure «non siamo a Platì o Rosarno, siamo in Lombardia» ma «c’è un’omertà assoluta, la gente ha paura a parlare».

Sequenze meno sofisticate di quelle cristallizzate dalle inchieste più recenti, ma la cappa mafiosa sul territorio era asfissiante. Il clima di minacce è restituito dalle intercettazioni. «Gli dobbiamo fare trovare qualcosa dietro la porta…vengo io di notte e la metto…vado dal macellaio prendo una testa di un agnello, di capretto, sì che è un segno e gli mettiamo un biglietto in bocca». E ancora: «La prossima testa è di vostro figlio…gliela fate trovare là che mi sono rotto i c….oni».

«La narrazione, talvolta sostenuta, di una ndrangheta evolutasi al punto da abbandonare l’aspetto militare in favore di strategie criminali più sofisticate non è del tutto precisa. A Milano la Polizia di Stato e la magistratura continuano ad affrontare la minaccia mafiosa ben consapevoli che il contrasto dell’ala militare della ndrangheta deve continuare ancora a lungo e deve essere affiancato da una sistematica aggressione all’accumulo dei patrimoni illeciti, che ne costituiscono la linfa vitale», ha sostenuto  il prefetto Messina. I tentacoli erano anche sull’economia locale. Il procuratore Marcello Viola ha sottolineato che gli arresti hanno «disarticolato anche una imponente attività di commercio di stupefacenti» legata a «sistemi complessi che portano alla ripulitura del denaro». La vocazione imprenditoriale del clan sarebbe attestata dalla gestione di locali e dall’acquisto di immobili intestati a prestanome.

Sullo sfondo, rispunta la truffa del reddito di cittadinanza. Il nucleo familiare dei Bandiera, ossia il vertice della ‘ndrangheta di Rho, aveva richiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza. In particolare, Cristian Bandiera,  figlio del boss Gaetano, aveva fatto domanda il 17 luglio 2020 poi accolta il 14 agosto. Bandiera aveva dichiarato di non aver prodotto alcun reddito. La sua fonte di guadagno principale era, secondo l’accusa, il denaro ottenuto dallo spaccio di sostanze stupefacenti da lui direttamente gestito. Anche altri presunti sodali del clan, come Alessandro Furno e la stessa Caterina Giancotti, erano percettori di Rdc mentre un altro indagato, Antonio Procopio, aveva richiesto l’indennizzo allo Stato per il covid-19 in quanto titolare di impresa  edile ottenendo un rimborso di 1.000 euro.

Le radici non si dimenticano mai. L’ indagine avrebbe consentito di documentare l’affiliazione di nuovi membri. Sarebbe stata accertata, stando a quanto riferito dagli indagati nelle intercettazioni, quella di Cristian Leonardo Bandiera, figlio di Gaetano del quale ha ereditato la posizione di vertice e la dote di “santa”, e per la quale pretenderebbe il dovuto rispetto, e di Antonio Procopio, ritenuto l’azionista del clan mafioso e affiliato con il grado di “picciotto” concessogli da Cesare Rossi, condannato per mafia quale partecipe del “locale” di Rho e figura carismatica nel consesso mafioso. Era intestata fittiziamente proprio a Procopio un’abitazione all’interno della quale erano stati sequestrati, tra l’altro, due documenti contraffatti su cui erano state apposte le foto dell’allora latitante Francesco Nirta,  all’epoca inserito nell’elenco dei dieci latitanti di massima pericolosità, esponente di spicco della famiglia Nirta-Strangio anche se non coinvolto direttamente nella  strage di Duisburg.

(fonte)

Aporofobia e viltà

Che un governo guidato da Giorgia Meloni con Salvini e berluscones come scherani potesse odiare i poveri con tutte le sue forze era prevedibile. Non l’avevano previsto e si sono scordati di esercitare la memoria quei media (tra giornali e televisioni) che per servilismo verso il potente in fieri hanno passato settimane a dirci che Giorgia Meloni era “cambiata”, unta dalla mano santa di Mario Draghi che per un astruso motivo avrebbe dovuto sanificarla.

Che Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi odino i poveri lo sappiamo da quando il trio in tempi diversi ha cominciato a fare politica. Matteo Salvini odia i poveri perché gli rovinano l’immagine del Paese puro, della razza splendida e vincente e perché rimane ancorato al “Roma padrona” da cui ha preso i natali politici. Silvio Berlusconi i poveri non li odia per davvero, è solo il risultato del suo spasmodico amore per i ricchi, la ricchezza e per i padroni che vuole conquistare per essere il presidente tra i presidenti. Giorgia Meloni odia i poveri perché non sa amministrare nemmeno gli sgarbi di un condominio e poiché è solo narrazione, quei cenciosi le rovinano la favola da presidente del Consiglio.

Ma la direzione presa dal nuovo governo non è solo figlia dei suoi leader politici. Lì dentro ci sono le responsabilità enormi di chi ha concimato l’aporofobia parlando a vanvera di “merito”, di “fatica” educativa, di precarietà come un valore. La bancarotta morale del sedicente Terzo polo ha apparecchiato la tavola per la grande abbuffata di Meloni e compagnia cantante. Il balbettio del Pd su una misura argine della povertà riuscita a far apparire il sostegno alla povertà come un obiettivo solo della sinistra extraparlamentare riuscendo – come spesso gli accade – a figurare come il partito che avrebbe difeso gli interessi di chi non lo voterebbe mai. Lì dentro ci sono anche le responsabilità del Movimento 5 Stelle che avrebbero dovuto migliorare una misura per salvarla.

Ci sono poi i mezzi di informazione (giornali e televisioni) che in questi ultimi anni si sono impegnati per raccontare i poveri come fannulloni, mafiosi, furbi. Hanno intervistato imprenditori che per anni hanno truffato la democrazia parandosi dietro al Reddito di cittadinanza per non dover ammettere di essere alla ricerca di schiavi e per non dover riconoscere di offrire salari d fame. Stamattina su quegli stessi giornali e in quelle stesse trasmissioni fioccano le storie di chi ovviamente è sul bordo della disperazione perché non sa come potrebbe fare a salvarsi. Una scena abominevole.

Il mix di aporofobia e di viltà di tutti gli attori ha prodotto questo risultato. I responsabili sono molti di più dei partiti di governo. Conviene tenerlo a a mente.

Buon mercoledì.

Nella foto: la presentazione della Legge di bilancio, 22 novembre 2022

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La manovra della Meloni frega i poveri ma anche i ricchi

Arriva la manovra e le settimane passate in campagna elettorale spargendo propaganda si sciolgono come neve al sole anche se sull’Italia piove a secchi. Giorgia Meloni presenta il primo atto politico del suo governo e osservandolo da fuori sembra un governo Draghi, la stessa tiepidezza, con qualche spunto da regalare alla narrazione.

Così la prima Manovra approvata dal Governo Meloni ha tradito tutte le promesse, sia ai ricchi che ai poveri

La rivoluzione promessa non c’è, i conti contano per la Meloni come imbrigliavano i governi venuti prima di lei solo che questa volta è più difficile millantare il cambiamento perché le misure sono scritte nero su bianco, i bilanci sono verificabili con i fogli in mano. “Aboliremo il Reddito di cittadinanza” hanno ripetuto in campagna elettorale Meloni e Salvini, andando di piazza in piazza sospinti dal vento del cosiddetto Terzo polo che è stato fondamentale per innescare la guerra tra poveri e poveracci.

Il Reddito di cittadinanza in realtà non hanno nemmeno avuto il coraggio di abolirlo del tutto, terrorizzati dalla povertà che quando stringe se ne fotte delle buone maniere e riempie le piazze e incapaci di proporre un’alternativa in tempo utile. Così le promesse della campagna elettorale diventano otto mesi di Rdc per gli abili al lavoro nel 2023 e una presunta cancellazione nel 2024. Meloni e compagnia cantante dicono che a salvare le persone dalla disperazione ci penseranno le nuove politiche attive per il lavoro. Quali? Non si sa.

Da Quota 100 a 103 sulle pensioni. E l’Iva che resta su pane e latte

“Il Reddito di cittadinanza verrà sostituito da un’altra misura”, ripetono. Quale? Non si sa. La misura presa in Consiglio dei Ministri permette intanto di dire tutto e il contrario di tutto. “Quota 100” sventolata in campagna elettorale è diventata Quota 103. Anche qui funziona come sopra: la decisione è presa solo per il 2023 e poi si vedrà. Una legge di Bilancio con uno sguardo così corto che sembra un tentativo di restare a galla almeno per scavallare il 2023. È un gioco di promesse da fare annusare più che mantenere.

Così la “flat tax” (che non è una flat tax) per le partite Iva che Salvini prometteva a 100mila euro escono ridimensionate a 85mila. I pensionati, lambiccati durante tutta la campagna elettorale, possono mettersi il cuore in pace: si conferma il taglio delle rivalutazioni per le pensioni più alte, ossia a partire dai 2.100 euro lordi al mese ossia 1.670 euro netti. L’adeguamento all’inflazione fissato al 7,3%, sarà ridotto in misura via via più significativa. Altra promessa non mantenuta.

Anche qui doveva esserci un’inversione di marcia e invece sembra una manovra scritta d un qualsiasi Governo Draghi terrorizzato dai vincoli. A proposito di grandi classici nelle bugie a destra. Matteo Salvini ogni giro promette di togliere le accise sui carburanti al primo Consiglio dei Ministri. Non accade mai. Qualcuno però sperava che, visti i tempi e vista la crisi energetica, qualcosa potesse accadere.

Si è materializzato lo scenario peggiore: il governo dimezza gli sconti sui carburanti e valuta un “aumento limitato” delle imposte su sigarette e tabacco. Sul primo fronte, il primo dicembre si passerà dall’attuale taglio di 25 centesimi, che considerando l’Iva equivaleva a uno sconto al distributore di 30,5 centesimi, a una riduzione di 18,3 centesimi complessivi. Ma le bugie sono tante: Salvini e Meloni urlavano contro Draghi per chiedere l’azzeramento dell’Iva su pane e latte. “Una proposta di buonsenso”, ripetevano. C’è stato? No, per niente.

Salvini proponeva l’assunzione di 10mila tra poliziotti e carabinieri. Ci sono? No. L’abolizione della legge Fornero? No. La pensione minima a mille euro promessa da Berlusconi? No. Perfino gli evasori sono rimasti scontenti perché volevano un condono migliore. “Ma avremmo dovuto fare tutto in un mese?”, si difendono i membri di governo. No, non lo diciamo noi, eravate voi a prometterlo.

Noi semplicemente segnaliamo che questa manovra è un brodino caldo che non assomiglia alla vostra propaganda. Anche se fare i giornalisti innervosisce la presidente Meloni che in conferenza stampa non ha mancato di esibire il solito vittimismo.

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Terzo Polo e M5S sono incompatibili. Ma Bonaccini finge di non vederlo

Infine venne l’ora di Stefano Bonaccini. Il presidente della Regione Emilia Romagna lancia la sua candidatura al prossimo congresso del Partito democratico e scegli di farlo dal circolo della sua Campogalliano, nel modenese.

Il governatore emiliano Stefano Bonaccini punta alla segreteria Pd e snobba le correnti. Poi però cerca Conte e Calenda per accontentarle tutte

Decide di farlo prendendo subito le distanze dalle correnti del Pd: “Non chiederò ad alcuna corrente di sostenermi né vorrò il sostegno di qualsivoglia corrente. Non possiamo più permetterci di selezionare le classi dirigenti attraverso le correnti, basta”, spiega, non rinunciando a una stoccata contro le scelte dell’ultima campagna elettorale: “Mi ha impressionato vedere tutti i nostri dirigenti candidati nei listini – spiega – invece che nei collegi uninominali a strappare voto su voto, come fanno i sindaci. Non possiamo selezionare il gruppo dirigente attraverso le correnti. Basta. Questo metodo non seleziona il merito ma la fedeltà, e ci toglie consensi. Io non chiedo il sostegno di nessuna corrente”.

Ha ragione da vendere il candidato segretario sugli effetti catastrofici dei caminetti interni tra i Dem. Resta da capire però cosa intenda: “Io non ho mai fatto parte di correnti – ha insistito -. Ho coordinato la campagna elettorale in cui Renzi vinse le primarie, ho sostenuto l’elezione di Bersani, ma non sono mai stato della corrente bersaniana o renziana.

Può essere. Di certo Bonaccini ha sostenuto convintamente Matteo Renzi nelle primarie dell’8 dicembre 2013, per eleggere il nuovo segretario nazionale al punto da diventare il coordinatore della campagna elettorale renziana. Forse non era “iscritto” alla corrente ma di certo l’essere stato così vicino all’ex segretario avrà influito sulla sua nomina a Coordinatore degli Enti Locali e al fatto di essere stato a un passo dal posto di responsabile dell’organizzazione del partito.

Niente correnti dice Bonaccini ma intanto la corrente Base riformista (formata dagli ex renziani guidati da Lotti e Guerini) ha già annunciato la propria convinta adesione. Ed è un fatto politico che all’annuncio della sua candidatura fossero presenti Graziano Delrio, il presidente della regione Toscana Eugenio Giani, Alessia Morani e l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci.

Sarà per questo che ospite di Lucia Annunziata ha aggiustato il tiro chiarendo che “le correnti in sé non sono per forza un male, ma negli ultimi anni sono diventate più un elemento di presenza territoriale per delle classi dirigenti che per fedeltà arrivavano anche in Parlamento”. Valutare la composizione della sua lista di candidati all’assemblea nazionale sarà la cartina tornasole. Sulle alleanze, come già ripetutamente ha spiegato in queste settimane, Bonaccini promette attenzione sia al M5S (a cui non vuole “delegare di rappresentare da soli la sinistra”) e il cosiddetto Terzo polo (che non devono essere “da soli i moderati”) rilanciando quindi l’idea di un Pd come asse “imprescindibile del panorama politico”.

Anche in questo caso al di là dei propositi e della teoria resta da capire cosa il Pd intende fare quando M5S e Terzo polo si escluderanno a vicenda perché lì c’è tutto l’incagliato imbarazzo del Pd: dovendo scegliere da che parte di deciderebbe di stare il Pd? Perché a oggi Renzi e Calenda non hanno nessuna intenzione di dialogare con Conte e vale anche il contrario.

Nel momento in cui ci si ritrova di fronte a una scelta (come sta accadendo nel Lazio e nella Lombardia) i propositi di trovare una sintesi non sembrano funzionare. A meno che qualcuno non sia un nuovo Gandhi. Ma Bonaccini non è Gandhi e anzi di Gandhi in giro, di questi tempi, non se ne vedono proprio. Su questo fraintendimento continua a caracollare il Pd.

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‘Ndrangheta, decapitata la locale di rho: i nomi e cognomi

La Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica – direzione distrettuale antimafia di Milano, sta eseguendo 49 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, minacce, violenza privata, incendio, detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa nonché per il reato di intestazione fittizia di beni.
L’indagine condotta dalla squadra mobile di Milano ha svelato la ricostituzione di una struttura territoriale di ‘ndrangheta, denominata «Locale di Rho», già oggetto dell’indagine «Infinito» condotta dalla dda di Milano nel 2010, da parte del promotore, condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso, una volta scontata la sua pena.

I nomi

Sono in tutto 55 gli indagati dalla Dea di Milano. 48 in carcere: 

Abdelatik Akachab, nato in Marocco; Gaetano Bandiera 74 anni di Cropani; Cristian Leonardo Bandiera 46 anni di Rho; Antonio Lorenzo Bandiera 21 anni di Rho; Luigi Capitanio 47 anni di Rho; Agazio Cosimo Carioti 47 anni di Guardavalle; Vincenzo Carvelli 48 anni di Rho; Giovanni Castaldi 46 anni di Napoli; Domenico Curinga 74 anni di RosarnoFrancesca Curinga 66 anni di Rosarno; Gustavo De Angelis 68 anni di Napoli; Fabio De Ciechi 47 anni di Varese; Nicola De Cristofaro di Giffoni 62 anni; Luca De Giorgio 39 anni di Rho; Victor Mariano De La Cruz Cuevas 35 anni Repubblica Dominicana; Giuseppe Di Liddo 62 anni di Milano; Said Elhomran nato in Marocco; Mouloud El Mansouri nato in Marocco; Angelo Fabiani 46 anni di Rho; Rolando Franco 37 anni di Catanzaro; Alessandro Furno 48 anni di Varese; Vito Galati 48 anni San Vito sullo Jonio; Marco Galliano 34 anni di Rho; Matteo Galliano 27 anni di Rho; Caterina Giancotti 46 anni di Triggiano; Marco Giordano 52 anni di Rho; Lorenzo Antonio Guzzo 25 anni di Rho; Barbara Lacerenza 49 anni di Milano; Antonio La Torre 51 anni di Foggia; Fabrizio Maggioni 51 anni di Rho; Salah Mahahoul nato in Marocco; Vito Maisano 30 anni di Rho; Vittorio Marchio 72 anni di Belcastro; Gianluca Martino 44 anni di Milano; Tiziano Mazza 50 anni di Busto Arsizio; Onofrio Melito 65 anni di Centrache; Matteo Moretti 47 anni di Rho; Franco Moscato 62 anni di Niscemi; Davide Orlando 50 anni di Rho; Marco Palmabella 58 anni di Rho; Ivano Piperissa 46 anni di CatanzaroAntonio Procopio 62 anni di Isca sullo JonioAntonio Procopio 50 anni di Isca sullo Jonio; Laura Procopio di Rho; Antonio Sansotta 51 anni di Rho; Silvano Santini 44 anni di Varese; Franco Serrao 63 anni di Centrache; Fernando Sutera 39 anni di Milano; Salvatore Tomarchio 49 anni di Paternò.

“Ti mangio il fegato”, le minacce clan nel Milanese

«Io ti mangio il fegato a te e questi due infami di mer.., hai capito?». «Oggi vengo a casa tua e ti ammazzo di botte, capito o no?». «Ti faccio vedere io chi sono io, forse non mi conosci bene, non giocare, non me ne fotte un ca… che mi stanno ascoltando, non voglio neanche più i soldi però a casa mia ti ricordi che mi portano un pezzo di te!». Sono solo alcuni dei dialoghi, che dimostrano la forza e la violenza delle intimidazioni e delle minacce estorsive, intercettati nell’inchiesta della Squadra mobile e della Dda di Milano che stamani ha smantellato, con 49 misure cautelari, un clan della ‘ndrangheta, quello dei Bandiera, che aveva ricostruito la ‘Locale di Rho’, nel Milanese, già finita, assieme a molte altre ‘locali’, al centro dello storico maxi blitz ‘Infinito’ della Dda milanese nel 2010.

Nel Nord Italia come in Calabria

«L’operazione eseguita oggi testimonia che l’agire mafioso della ‘ndrangheta in Nord Italia ha assunto da tempo caratteristiche assolutamente sovrapponibili a quelle che ne caratterizzano l’azione nei territori in cui il fenomeno è endemico» dichiara il prefetto Francesco Messina, Direttore Centrale Anticrimine della Polizia di Stato.

«La narrazione, talvolta sostenuta, di una ‘ndrangheta evolutasi al punto da abbandonare l’aspetto militare in favore di strategie criminali più sofisticate non è del tutto precisa. A Milano la Polizia di Stato e la magistratura – continua Messina – continuano ad affrontare la minaccia mafiosa ben consapevoli che il contrasto dell’ala militare della ‘ndrangheta deve continuare ancora a lungo e deve essere affiancato da una sistematica aggressione all’accumulo dei patrimoni illeciti, che ne costituiscono la linfa vitale. Peraltro, gli esiti investigativi odierni attestano ancora una volta come sovente la detenzione carceraria non riesca a recidere il legame tra affiliato e struttura mafiosa di appartenenza. La Direzione centrale anticrimine, con le squadre mobili e con il Servizio centrale operativo – conclude – continuerà in questa azione indifferibile di contrasto, sotto il coordinamento della magistratura delegante».

(fonte)