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Elezioni regionali in Lombardia, fumata nera sui candidati

Alla fine hanno deciso di non decidere. La direzione regionale del Pd avrebbe dovuto deliberare sul nome o almeno sul percorso dei Dem per le prossime elezioni regionali in Lombardia si è chiusa senza nemmeno mettere al voto una rosa di papabili. Nulla.

Il solito Pd in Lombardia decide di non decidere. L’eurodeputato Majorino non scioglie la riserva

Eppure si arrivava con la candidatura ufficializzata di Pierfrancesco Maran, disponibile a correre per la presidenza della Lombardia e anche a confrontarsi con gli altri nomi in campo per le primarie, l’ex sindaca di Crema Stefania Bonaldi e il capogruppo in Consiglio regionale Fabio Pizzul.

Oltre a loro in assemblea sono usciti i nomi dell’eurodeputata Irene Tinagli – che già da maggio esclude categoricamente la sua disponibilità a candidarsi per il Pirellone e che i bene informati indicano come irremovibile dalla sua decisione – della capogruppo in Senato Simona Malpezzi e di Pierfrancesco Majorino (nella foto). Ma è solo Majorino il vero nodo della contesa.

Per i dirigenti regionali l’eurodeputato ed ex assessore avrebbe dovuto essere già ieri sera la chiave di volta per evitare le primarie e presentare ai partiti di coalizione un nome su cui convergere senza perdere altro tempo. Majorino tra l’altro potrebbe essere un nome gradito anche dal Movimento 5 Stelle che continua a stare alla finestra in attesa di indicazioni da Roma.

Lui stesso nella giornata di ieri aveva chiarito di pensare “seriamente” a una sua candidatura solo se fosse servita a “sciogliere la situazione” e se non fosse stato un ulteriore problema. Inoltre i partiti della coalizione hanno fatto sapere di non essere interessati alle primarie e di ritenerle anzi una perdita di tempo mentre tutti gli altri sono già in piena campagna elettorale. La pacificazione però non c’è stata e alla fine, ancora una volta, si è deciso di non decidere.

Il Pd lombardo quindi si sveglia in questo martedì 15 novembre con una rosa di candidati alle primarie (Maran, Bonaldi e Pizzul) consapevoli di volere qualcosa che nel partito non vuole quasi nessuno. Con Majorino che galleggia in attesa che qualcuno si prenda la responsabilità di sbloccare la situazione e con i no incassati da Cottarelli e Pisapia che pesano come macigni sulla credibilità del percorso elettorale.

Intanto il Terzo polo procede spedito con la candidatura di Letizia Moratti

Tutto questo mentre il Terzo polo procede spedito con la candidatura di Letizia Moratti continuando a logorare il Pd e mentre il centrodestra unito sulla riconferma di Fontana si è ritrovato con i suoi big (Salvini e La Russa) per l’inaugurazione del tratto di autostrada Rho-Monza. E mentre gli altri stanno già formando le liste e programmando gli eventi elettorali il Partito democratico ieri ha votato i saggi interni, tra l’altro 16 voti astenuti e contrari.

Il 5S Violi ha negato qualsiasi accordo con il Pd e sul nome di Majorino

Come se non bastasse proprio ieri il 5S Dario Violi ha negato qualsiasi accordo con il Pd e sul nome di Majorino spiegando che “manca l’accordo sulla visione comune” e annunciando che nei prossimi giorni il Movimento detterà la sua linea “per vedere chi ci sta”. Il Pd sostanzialmente è solo. Come avvenuto alle Politiche si ritrova in una campo strettissimo senza un’idea precisa su cosa fare, come e con chi.

La spaccatura del centrodestra tra Moratti e Fontana rischia di diventare un boomerang

Così anche la spaccatura del centrodestra tra Moratti e Fontana rischia di diventare un boomerang. Ieri sera dopo la direzione regionale le facce scure dei Dem lasciavano presagire una pazienza al limite. Qui fuori gli elettori continuano a non capire come si possa arrivare così impreparati alle elezioni regionali dopo 5 anni del leghista Fontana e dopo la sonora sconfitta del 25 settembre.

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Dalla Sicilia alla Lombardia. Ormai i clan pascolano ovunque

Sono passati 30 anni ma non abbiamo ancora imparato. C’è un processo, che sia in Sicilia o in Campania o in Calabria, in cui l’odore di mafia pervade un settore produttivo della realtà italiana e le altre regioni, la politica e i media leggono la sentenza come una notizia di cronaca locale. Niente domande, nessuna inquietudine, nulla.

l business dei fondi Ue sui terreni per gli allevamenti. Così le cosche ramificano i loro affari in tutto il Paese

Così è una notizia durata giusto il tempo di attaccarci qualche foto, quella dei sei secoli di carcere nella condanna del tribunale di Patti per il processo “Nebrodi” contro la cosiddetta “mafia dei pascoli”, scaturito dall’inchiesta sulle truffe all’Agea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura) che hanno interessato i gruppi mafiosi tortoriciani: 91 condanne e 10 assoluzioni per una truffa che punta sui contributi comunitari percepiti illegalmente che la mafia aveva individuato come fonte facile di guadagno.

Un sistema mafioso che ci consegna, ancor di più dopo la sentenza, anche un “buono” che tornerebbe utile per difendere il Paese dalle mafie che sono completamente scomparse dal dibattito politico: l’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci (nella foto). Antoci aveva introdotto un protocollo, poi recepito nel nuovo Codice antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015, che aveva rovinato i piani dei boss (una costola del clan dei Bontempo Scavo) e per questo fu vittima di un attentato da cui riuscì a sfuggire fortunosamente e, soprattutto, fu obiettivo di una campagna di delegittimazione, come spesso accade, alimentata dai cosiddetti cattivi e dai presunti buoni.

I mafiosi potevano contare su insospettabili consiglieri che conoscevano alla perfezione il meccanismo e i tempi delle richieste di finanziamento, trasferendo i soldi anche su conti esteri. A questo si aggiungeva la truffa dei terreni fantasma, terre mai possedute messe a disposizione dal “Feaga”, il fondo europeo agricolo di garanzia, e dal “Feasr”, il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Un enorme patrimonio di territorio e di denaro finito nelle mani sbagliate e diventato ossigeno per il rafforzamento dei clan.

Le due storiche cosche di mafia di Tortorici, Bontempo Scavo e Batanesi, potevano contare su un trentina di dipendenti dei centri di assistenza agricola. Il gip di Messina Salvatore Mastroeni lo disse senza troppi fronzoli: “Fa impressione che Agea, Comunità europea e organi di controllo ‘si bevano’ istanze di quel tipo per terreni e finanziamenti”.

Nel maggio 2017, Sebastiano Bontempo Scavo, in odor di mafia, riuscì a farsi assegnare dall’ufficio di Messina del dipartimento Sviluppo rurale dell’assessorato all’Agricoltura un lotto di terreno in località Batessa: per fortuna, ad agosto il provvedimento venne revocato, ma solo perché la prefettura di Messina aveva risposto alla richiesta di informazioni della Regione.

Una risposta, ha accertato l’indagine, arrivata quasi due anni dopo, per un’altra pratica. Il boss messo alla porta a Messina però fu accolto nello stesso anno a Catania, riuscendo a ottenere alcuni terreni demaniali a Randazzo. Ma tra le carte di quel processo c’è anche quell’Italia che assiste da lontano credendosi immune. Nel parco regionale di Monte Sole, siamo sull’Appennino che divide l’Emilia dalla Toscana, secondo i giudici i clan avrebbero guadagnato circa 200mila euro.

Il trucco è sempre lo stesso: falsificare le carte per dimostrare di lavorare su particelle di terreno prese in affitto per portare i fondi europei che avrebbero dovuto aiutare agricoltori e allevatori. Nella video inchiesta “Ipossia Montana” (di Cecilia Nardacchione, Andrea Giagniorio, Cecilia Fasciani) finalista dell’ultima edizione del Premio Roberto Morrione si racconta di come Giuseppe Scinardo Tenghi nel 2014, 2015 e 2016 (unico anno in cui il contributo non venne erogato) attraverso la sua impresa Geo-Zoot avrebbe indotto in errore l’Agea, attestando falsamente la riconducibilità alla sua impresa di particelle di terreno del Parco storico di Monte Sole e facendosi quindi erogare contributi dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia.

“L’operazione Nebrodi – racconta Antoci in un’intervista della video inchiesta – ha rivelato forti interconnessioni con altri pezzi di territorio: sono coinvolti l’Abruzzo, l’Emilia-Romagna con Marzabotto e tanti altri territori. Non è quindi solo un fenomeno siciliano, ma un fenomeno più ampio che riguarda il nostro paese e non solo. Questa vicenda dimostra il mutamento delle mafie: sono sempre state liquide, si sono adattate ai contenitori”.

La corsa ai pascoli è stata evidente: in Trentino, alcune grandi imprese con allevamenti intensivi in pianura hanno iniziato a procacciare terreni in zone montane innescando un forte incremento dei costi dell’affitto dei pascoli a scapito degli allevatori e malgari locali. Altre aziende raggirano la legge facendo passare costoni di roccia, dirupi, sentieri di montagna come terreni di pascolo con cui ottenere i finanziamenti comunitari.

Nel 2017 in val Camonica (tra Bergamo e Brescia), i carabinieri forestali hanno scoperto un “cartello del malaffare” dove la truffa era basata sulla fittizia conduzione degli alpeggi che non avevano mai visto animali, ma che avevano reso più di 500mila euro di contributi dell’Unione europea nei soli anni 2016-2017. Nel 2019, la guardia di finanza aveva scoperto nei territori dell’Alto lago di Como e della Bassa Valtellina, sempre in Lombardia, delle società fittizie che – falsificando diversi documenti – avevano fornito a ben 91 aziende agricole un pacchetto completo di atti utili a richiedere più contributi aumentando virtualmente, quindi solo sulla carta, le superfici agricole in uso.

A Bardonecchia, in Piemonte, e a Etroubles, in Valle d’Aosta: in questa località nel giugno 2020 i carabinieri forestali hanno scoperto un imprenditore agricolo bresciano che aveva preso in affitto ettari di alpeggio portando alcuni animali “figuranti”, bestie malate al pascolo, per eludere i controlli e ottenere i fondi europei destinati alla transumanza. Nel 2023 entrerà in vigore la nova Pac e l’Italia potrebbe recepirla dall’Ue rivedendo il sistema dei “titoli” così utile alla mafia, imparando la lezione di quel processo siciliano. Secondo voi il governo lo farà?

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Le trivelle premiano chi ha alimentato il caro energia

Il Coordinamento nazionale No Triv (a cui aderiscono centinaia di associazioni di tutta Italia) prova a spiegare perché la decisione del governo non abbia senso.

«Con un emendamento al Dl Aiuti-Ter approvato il 4 novembre il governo Meloni rompe il muro delle 12 miglia consentendo nuove trivellazioni in Adriatico anche fino alla distanza di 9 miglia marina dalle linee di costa. Viene così meno il divieto di nuove attività di ricerca e coltivazione di gas che, fatte salve alcune eccezioni, era stato introdotto nella Legge di stabilità 2016 modificando il precedente articolo 6, comma 17, del Decreto legislativo 152/2006, sulla spinta della campagna referendaria No Triv.

L’area marina interessata, posta al largo del Delta del Po e vasta 126 chilometri quadrati, è compresa tra il 45° parallelo, poco più a sud del golfo di Venezia, e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro nel fiume Po. Qui si potrà quindi trivellare anche a solo 9 miglia dalla costa a condizione che si sfruttino giacimenti con un potenziale minerario di almeno 500 milioni di metri cubi: un vero incubo per i residenti ed i Comuni del Polesine, più volte duramente colpiti dal fenomeno della subsidenza.
Nella relazione illustrativa del provvedimento si citano ben 5 permessi di ricerca che insistono parzialmente o integralmente in quest’area e di questi, uno riguarda la costa veneta, con il 40% dell’area interessata oltre le 9 miglia e, quindi, potenzialmente coltivabile.
Obiettivo dichiarato del governo è riammettere a produzione le concessioni presenti in Adriatico fino ad esaurimento dei giacimenti senza tuttavia considerare che parte di quelle concessioni è scaduta e che le concessioni hanno comunque una durata ben definita che prescinde dall’esaurimento o meno del giacimento.
L’emendamento approvato nel Consiglio dei ministri introduce pesanti deroghe al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai): estende la misura prevista per l’area marina al largo del Delta del Po a tutte le aree marine, consentendo quindi il rilascio di concessioni per la coltivazione di gas anche tra le 9 e le 12 miglia marine per giacimenti con un potenziale superiore ai 500 milioni di metri cubi; inoltre prevedendo attività di ricerca e di estrazione di gas in alcune aree interdette, ma non ancora individuate, dal Pitesai.
L’insieme delle misure varate dall’esecutivo dovrebbe consentire di ottenere in 10 anni 15 miliardi di metri cubi di gas, di cui 2 subito, che andrebbero ad aggiungersi agli attuali 3,5.
Negli intendimenti del governo la misura ha lo scopo di mettere a disposizione di un numero imprecisato di imprese gasivore italiane -si stima possano essere 150- gas naturale ad un prezzo calmierato, quindi inferiore a quello ancorato all’indice Tff di Amsterdam.
La procedura scelta è simile a quella definita del Decreto legge n. 17 del 2022, approvato dal governo Draghi: sarà il Gruppo Gse a raccogliere le eventuali manifestazioni di interesse provenienti dalle compagnie Oil&Gas titolari delle concessioni e a stipulare contratti di fornitura di durata decennale ad un prezzo, che verrà fissato con decreto, compreso tra un minimo di 50 euro ed un massimo di 100 euro per megawattora.
La scelta di Meloni e della maggioranza che la sostiene, al tempo del Referendum del 2016 contraria a nuove attività estrattive in mare entro le 12 miglia marine, mostra limiti evidenti: non incide sulle cause strutturali del caro-energia che sta colpendo duramente tutte le imprese (non solo quelle gasivore) e le famiglie; premia i principali player dell’Oil&Gas – Eni tra tutti – che hanno tratto enormi profitti grazie alla crisi; promuove l’estrazione ed il consumo di gas naturale assestando un duro colpo alla transizione energetica.

Le cause del caro energia sono ormai note da tempo: mix energetico delle fonti di generazione elettrica sbilanciato a favore del gas, meccanismo di formazione del prezzo sulla borsa del gas e sulla borsa elettrica, ecc.. In particolare, il prezzo del gas risente fortemente delle manovre speculative di pochi operatori che, facendo cartello, determinano l’andamento della borsa di Amsterdam.

Paradossalmente, a beneficiare della misura saranno soprattutto coloro che hanno tratto maggiore vantaggio dalla crisi energetica. La maggior parte delle concessioni fanno capo a Eni, la stessa che nei primi 9 mesi del 2022 ha portato a casa utili per 10,8 miliardi di euro. Come? L’Eni, che importa circa la metà del gas naturale importato dall’Italia in un anno, si approvvigiona di gas per il 61% del suo fabbisogno dalle importazioni tramite contratti pluriennali (fino a 30 anni), a prezzi blindati e secretati dallo Stato, espressi sostanzialmente dai prezzi doganali. Il prezzo di riferimento per le sue vendite di gas a terzi è però quello spot-Psv (Ttf). Il differenziale tra prezzo spot-Psv (Ttf) e prezzo doganale fa sì che Eni, al pari di altri operatori, tragga profitto dal caro-gas.
La linea estrattivista dettata da Meloni risponde in modo errato ad un problema reale ed incentiva l’estrazione di modesti quantitativi di gas “nazionale” rallentando la già lenta transizione energetica in atto nel nostro Paese. Piuttosto che spingere sulle leve dell’efficienza e delle rinnovabili, il governo rilancia lo sfruttamento ed il consumo del gas naturale, rendendo ancor più dipendente famiglie ed imprese da una fonte energetica di cui il nostro Paese è povero.
Le riserve di gas accertate dal Mite al 31/12/2021, tra certe, probabili e possibili, ammontano a 111.075 miliardi metri cubi ma la concreta possibilità di sfruttamento riguarda soltanto 70/80 di essi. Premesso che, secondo dati Arera, nel 2021 i consumi di gas naturale hanno toccato quota 74 miliardi di metri cubi, le riserve nazionali di gas concretamente disponibili potrebbero far fronte alla domanda interna per 12 mesi o poco più.
Si tratta di quantità non disponibili tutte e subito e, comunque, non rinnovabili una volta esaurite. I freddi numeri ci dicono quindi che “sovranità energetica” e “nuove estrazioni di gas nazionale” sono un ossimoro e che l’approccio del governo è dettato da una visione ideologica.
Ma non è tutto. Il nuovo mix energetico voluto da Meloni avrà immediate ricadute in termini di mancato rispetto degli obiettivi climatici ed ambientali che l’Italia si è impegnata a rispettare in sede internazionale. Ne consegue che anche il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) ed il Pnrr, che si riconnette al primo, dovranno essere riscritti. C’è da stupirsi, a questo punto, che in sede Cop 27 Meloni chieda di rallentare l’uscita dalle fonti fossili?
In un quadro di così lucida coerenza “fossile” non deve parimenti stupire che il governo non abbia inserito nell’ordine del giorno della seduta del 4 novembre l’approvazione delle norme attuative sulle Comunità energetiche rinnovabili e le linee-guida per identificare le aree idonee su cui installare impianti fotovoltaici, misure attese da mesi e che potrebbero consentire la realizzazione di almeno 10 GW/anno di nuova generazione elettrica in un Paese, come il nostro, “baciato dal sole” come pochi altri ma in cui metà della produzione di energia elettrica dipende dal gas.
Meloni e la sua maggioranza hanno, evidentemente, ben altre priorità».
Buon martedì.
Nella foto. frame di un video sulle azioni di protesta di Greenpeace in Adriatico nel 2018

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A proposito della credibilità del calcio

Mi pare che si parli molto poco di ciò che è accaduto negli ultimi giorni nel calcio italiano. In un’indagine che ha portato a 42 ordini di custodia cautelare (26 in carcere) per traffico internazionale di droga è stato arrestato l’ex procuratore capo dell’Associazione Italiana Arbitri Rosario D’Onofrio (nella foto), premiato a luglio dall’Aia.

Tra il caso D’Onofrio e i prossimi mondiali in Qatar: com’è difficile dare credito al mondo del calcio

«Sono sconcertato. Una cosa è certa, la FIGC assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale», le parole – riportate da La Gazzetta dello Sport – utilizzate dal presidente Gabriele Gravina per commentare la vicenda. L’inchiesta milanese ha fatto venire a galla la doppia vita di una persona che nel 2013, sotto la presidenza di Marcello Nicchi, era entrata nella commissione disciplinare Aia e che poi l’attuale presidente, Alfredo Trentalange, ha nominato a capo dell’ufficio che indaga su eventuali irregolarità degli arbitri.

Secondo la Guardia di Finanza, D’Onofrio, ribattezzato ‘Rambo’, era al centro di un traffico di droga tra Italia e Spagna, e durante il lockdown usava la mimetica dismessa per muoversi liberamente. L’Associazione arbitri si trova esposta sulla delicata questione anche perché prima dell’arresto di due giorni fa – coinvolto in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti anche con l’accusa di associazione per delinquere -, D’Onofrio era stato arrestato nel maggio 2020 in flagranza di reato mentre consegnava un carico di 40 chili di marijuana.

Per oltre due anni, l’ex militare ha continuato ad esercitare la sua attività, prima da componente della Commissione di disciplina e quindi, con la nomina avvenuta nel marzo 2021 – un mese dopo il cambio delle guardia alla guida dell’Associazione tra Nicchi e Trentalange – quale Procuratore capo.

D’Onofrio, tanto per avere un’idea del personaggio, era stato sospeso da ufficiale dell’Esercito poiché era ufficiale medico, ma si era scoperto che non aveva mai conseguito la laurea in medicina. E anche la sua attività collaterale di arbitro prima e di procuratore arbitrale poi era terminata con D’Onofrio deferito il 28 ottobre scorso dal procuratore federale della Figc Chiné per non aver instaurato un formale procedimento disciplinare nella vicenda relativa all’assistente arbitrale Robert Avalos.

Insomma il procuratore che viene indagato: una vicenda che ben rappresenta il doppio volto di D’Onofrio. Da militare sospeso D’Onofrio si sarebbe fatto prestare una mimetica da un commilitone per girare durante il lockdown e trasportare così carichi di stupefacenti. Il primo aprile 2020, dopo essere stato fermato in un controllo, telefona alla compagna e si vanta: «Oh mi ha appena fermato la polizia locale. M’ha visto in divisa, il tesserino, m’ha salutato militarmente e ha detto: “no, no, grazie… buona giornata!».

Un procuratore capo in uno dei settori più ricchi del Paese che giudica coloro che giudicano la regolarità del gioco. Il tutto a poche settimane dal Mondiale che è costato la vita a circa 6500 lavoratori nel Qatar in cui i diritti umani sono calpestati tutti i giorni. Avete notato come ne parlino poco coloro che sono pronti a ciarlare di legalità contro i poveri disperati?

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Montesano colleziona magliette

Enrico Montesano, dopo avere già dato un pessimo spettacolo durante la pandemia accarezzando i più stupidi complottismi, si è presentato nella televisione pubblica italiana sfoggiando una maglietta della X Mas. Poiché in questo Paese molti italiani conoscono la propria storia molto meglio di Montesano inevitabilmente si è alzato un grido di sdegno che ha coinvolto cittadini, giornalisti e politici.

Qualcuno ha fatto anche notare che il video in cui Montesano indossa la maglietta nera che puzza di sangue era inserito in un montaggio di alcune prove di ballo (sì, Montesano balla in prima serata su Rai Uno) quindi quel video è stato visto, scelto e proposto dopo essere passato sotto gli occhi di diverse persone. Forse ci si potrebbe spingere anche un passo più in là e dirci che Montesano è stato voluto e scelto, nonostante le sue posizioni siano chiare a tutti da diversi mesi. Un atto politico, si direbbe.

Montesano si è difeso come si difendono tutti coloro che gocciolano nostalgia per il ventennio per accarezzare i propri sostenitori: si è sbagliato ed è stato frainteso. Dice Montesano che “colleziona magliette” provenienti da “ogni fazione” e quindi anche dal fascismo che – dice – “disprezza profondamente”. Il gioco di questo tempo è quello di mostrarsi fascista e poi farsi intervistare per dire che si disprezza il fascismo. Ci sono illustri esempi negli scranni più alti di questo governo. Da uomo di spettacolo Montesano sa bene anche che ogni volta che si condanna il fascismo è una mossa arguta condannare “tutti gli estremismi”, giusto per annacquarlo in mezzo a altro che però non è citato nella nostra Costituzione (antifascista, appunto).

La Rai nella giornata di ieri ha preso provvedimenti con un comunicato in cui si scusa con tutti i telespettatori e in cui annuncia che Montesano non farà più parte della gara. Perché quella che Montesano chiama “ingenuità” si ripete con preoccupante frequenza in televisione, sui social, nei consessi politici e viene il dubbio che in fondo sia semplicemente una lenta ma inesorabile strategia di erosione per rendere potabile ciò che è vietato dalla legge.

Buon lunedì.

Nella foto: Montesano con la maglietta della Decima Mas (twitter S.Lucarelli)

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Migranti, tutte le bugie della propaganda di governo

Per fortuna parlano i numeri perché se dovessimo rimanere appesi alle parole oggi saremmo seppelliti dalle teorie con poco senso del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. A proposito di Piantedosi: se qualcuno ha pensato, anche solo per un momento, che togliere Salvini dal Viminale avrebbe garantito maggiore ragionevolezza oggi può mettersi il cuore in pace. Questo governo che ha finto di essere lontano dal sovranismo che l’ha riempito di voti è tornato a fare quello che sa fare meglio, sparando contro i migranti nei comunicati stampa, nei porti e nelle dichiarazioni dei membri del governo.

Migranti, tutte le bugie della propaganda di governo
L’opera dello street artist Laika (da Fb).

Nella classifica dei rifugiati accolti nel 2021 l’Italia è agli ultimi posti

Per fortuna che ci sono i numeri che sbriciolano il teorema che l’Italia sia lasciata sola nella gestione dei migranti. Leggendo i numeri – che Ispi ha messo in fila – si scopre per esempio che nella classifica dei rifugiati accolti nel 2021 l’Italia naviga negli ultimi posti con lo 0,2 per cento della popolazione. Dietro di noi stanno solo Ungheria e Polonia (con lo 0,1 per cento) mentre la Svezia è al 2,3 per cento, la Germania all’1,5 per cento, la Grecia all’1,1 per cento. L’odiata Francia, che nelle parole di Piantedosi appare come una nazione che vorrebbe scrollarsi di dosso le proprie responsabilità nell’accoglienza, sta allo 0,7 per cento, ben lontana dai numeri italiani. Perfino Danimarca, Paesi Bassi e Spagna fanno meglio di noi.

Migranti, tutte le bugie della propaganda di governo
L’arrivo dei migranti della Ocean Viking nel Sud della Francia (Getty Images).

Chi arriva in Italia non ci vuole restare

Dicono dal governo che l’Europa non ci aiuta e che rimangono tutti da noi. È falso. Anche la retorica sulle richieste di asilo non ha nessun fondamento. L’Italia ha lo 0,16 per cento della popolazione che richiede asilo, meglio di Danimarca e Polonia e Ungheria ma la Grecia ha lo 0,42, la Germania lo 0,36, la Spagna 0,34 per cento e l’odiatissima Francia, sempre lei, lo 0,32 per cento. Falso anche questo, segnatevelo bene. È vero che secondo il verbo sovranista noi avremmo poche richieste d’asilo perché i migranti rimarrebbero tutti qui come irregolari. Falso, falsissimo. Il numero degli irregolari non cresce da tempo dopo la cosiddetta “grande invasione”. Questo numero tra l’altro non dipende dagli sbarchi: chi arriva in Italia non vuole restarci. Aspetta solo il momento di avere i documenti in regola per andarsene.

C’è chi usa i migranti come randello per colpire gli avversari

La realtà è il contrario della narrazione: l’Italia sta facendo meno di altri Paesi dell’Ue. Semplicemente siamo bombardati dalle bugie di una parte politica che usa i migranti come randello per colpire gli avversari politici e come arma di distrazione di massa dai problemi reali. Bisogna partire da qui per analizzare il momento di stallo tra Italia e Francia, con i due Paesi pronti a rimpallarsi qualche centinaio di disperati che sottolineano come siano fragili gli equilibri dell’Europa su un tema che nei numeri non ha nulla di spaventoso ma che nelle diatribe politiche interne dei diversi Stati diventa un argomento incendiario.

Migranti, tutte le bugie della propaganda di governo
Un abbraccio sulla nave di SOS Méditerranée (Getty Images).

La propaganda crea l’allarme per potersi proporre come soluzione

Mentre da noi gridano all’emergenza per 88 mila persona arrivate via mare, nello stesso periodo 171 mila ucraini sono arrivati senza entrare nel tritacarne dell’invasione urlata. I numeri – sempre loro – dimostrano che mentre per chi arriva da Kyiv è stata adottata la direttiva 55 del 2001 per l’accoglienza e la protezione dei profughi per chi arriva dall’Africa (come per chi arriva dall’Afghanistan) la stessa normativa non vale. Solidarietà a due tempi, per chi è bianco e chi è nero, solidarietà come scelte politica, svicolata dal diritto. I migranti che arrivano in Italia si ricollocano da soli, aspirano a ben altri Paesi rispetto al nostro. Solo che questo feroce gioco sulla pelle dei disperati non ha nulla a che vedere con i fatti e con i numeri. È una propaganda continua che crea l’allarme per potersi proporre come soluzione. Mentre l’Europa si dimostra ben poco unita sul tema dell’accoglienza. E intanto qualcuno muore.

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Segni di vita a Sinistra. La Schlein in corsa per la segreteria Dem

Ora il percorso per il congresso iniziale del Partito democratico è iniziato davvero. Elly Schlein decide di parlare dopo settimane in cui quasi tutti parlavano di lei e annuncia di aderire “con grande piacere” al percorso costituente del Pd.

Elly Schlein decide di parlare dopo settimane in cui quasi tutti parlavano di lei e annuncia di aderire al percorso costituente del Pd

Di fatto è l’ufficializzazione della sua disponibilità a correre per la segreteria, dopo essere stata invocata fuori e dentro il partito. Dice di non voler correre da sola ma “con tante e tanti” che vorranno accompagnarla: “Ci sono ma serve un percorso collettivo”, precisa.

“Di sicuro non resto a guardare – dice – C’è già una nuova classe dirigente che aspetta una opportunità. Forse è proprio questa. Ascolterò le tante reti che ci sono in questa società. Non è oggi il momento di avanzare corse solitarie, ma è il momento di costruire una visione collettiva insieme. Diamoci un appuntamento. Riconciliamoci con i mondi fuori che non si sono sentiti accolti”.

Il suo è un intervento – in diretta dal suo canale Instagram – a tutto campo: “Finora – dice Schlein – non ho voluto alimentare un processo troppo schiacciato sui nomi. Ho visto anche il mio nome circolare e ho parlato con tante e tanti di voi di cosa serve per sciogliere i nodi irrisolti e le contraddizioni di questi anni. Io trovo molto significativa l’apertura di un processo costituente e ricostituente del Pd dopo la botta delle elezioni. è un gesto non scontato. Ora – prosegue – non serve solo una frettolosa corsa a cambiare il gruppo dirigente, ma una riflessione larga e aperta su cosa vogliamo diventare. A me interessa aderire a questo percorso per portare un contributo di proposte. Non certo da sola, ma con tante e tanti altri che hanno condiviso queste proposte”.

Proverà a fare ciò che ha già dimostrato di saper fare: mettere insieme movimenti, pezzi di società civile e disillusi che aspettano solo di riconciliarsi con la politica. La missione era già riuscita alle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna quando la sua lista “Coraggiosa”.

Ora Elly Schlein vuole riportare quell’esperienza dentro il Pd, sfruttando anche la fase di apertura all’esterno prevista nel programma della costituente che prevede la possibilità di partecipare senza tesserarsi al partito: “Affolliamo questo percorso, – dice Schlein – dobbiamo essere parte del cambiamento. Qui si apre una occasione nuova. Nove anni fa non ci fu l’apertura e l’intelligenza di fare autocritica, per riconnettersi con i bisogni essenziali delle persone. Se si apre una opportunità di questo tipo che facciamo? Stiamo a guardare? Io credo di no. Dobbiamo rimettere in discussione tutto. L’unico modo per riuscirci è vivere questo cambiamento. Serve una casa comune”.

E, precisa Schlein, nessuna vicinanza alle correnti: “Scalziamo quelle dinamiche di cooptazione che abbiamo visto spesso: tra le tante ricostruzioni alcune mi hanno fatto sorridere. In questo Paese ancora si fa fatica a pensare che una donna possa farsi strada senza che ci sia un uomo che la spinge da dietro. Finora ho sempre rifiutato la cooptazione, non le seguirò certo adesso. C’è già una nuova classe dirigente, se le si da una occasione. Forse è proprio questa”.

Schlein nel suo intervento ha anche dedicato un passaggio alle prossime elezioni regionali augurandosi un’unità del fronte progressista: “è irresponsabile proseguire in queste divisioni, anche in vista degli appuntamenti regionali”.

E a proposito di regionali è attesa per oggi l’annuncio della candidatura di Pierfrancesco Maran per le primarie in vista delle elezioni in Lombardia. L’assessore del Comune di Milano al Teatro Franco Parenti lancerà un appello per “la grande impresa” di rovesciare l’egemonia del centrodestra. La candidatura di Maran è il risultato di un percorso di incontri che da mesi ha coinvolto i territori e i sindaci dei capoluoghi governati dal Pd. Sullo sfondo rimane anche l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino che sarebbe tentato dal mettersi in gioco. Majorino che, tra le altre cose, ha già annunciato il suo sostegno per Schlein in vista del prossimo congresso.

 

Leggi anche: “Nel Lazio il Pd ha scelto Renzi. I 5 Stelle non si svenderanno”. Parla il capogruppo M5S alla Camera, Silvestri: “Aperti al dialogo con chi condivide i nostri valori”

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Altro che navi delle Ong. Dalla rotta balcanica superati i 100mila arrivi

I dati dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere, Frontex, lo dice chiaramente: dai primi di gennaio fino a settembre ci sono stati più di 106 mila attraversamenti “illegali” dai Balcani verso l’Unione europea.

Dai primi di gennaio fino a settembre ci sono stati più di 106 mila attraversamenti “illegali” dai Balcani verso l’Ue

Spostare la discussione delle migrazioni solo sul Mediterraneo può tornare utile per la propaganda dei sovranisti voi sparsi in giro per l’Europa ma i dati del 2022 indicano che via terra la cifra è del 170% più alta rispetto a quella dello stesso periodo del 2021 e sette volte più alta del 2019 (15 150 attraversamenti) – anno procedente ai lockdown per contenere la pandemia da Covid-19.

A essere porta d’ingresso è la Serbia, stato candidato a entrare nell’Ue, che ha un accordo di agevolazione per il rilascio dei visti per chi vuole soggiornare per un massimo di 90 giorni in uno o più Stati membri dell’Unione. Per questo è diventata meta di migranti siriani, afgani, turchi, indiani, burundesi, cubani che sfruttano la liberalizzazione degli ingressi per provare a raggiungere Croazia e Ungheria.

Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno reintrodotto controlli di confine

Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia (tutti e tre paesi che fanno parte dell’area di Schengen che non prevede controllo di documenti transfrontalieri) hanno reintrodotto controlli di confine, mentre la Bulgaria ha introdotto un parziale stato di emergenza sul suo territorio. Lo scorso agosto il Consiglio d’Europa ha scritto che “il numero dei rimpatri forzati in Serbia è aumentato considerevolmente, con oltre 75.000 casi segnalati solo nel 2022” e che “le accuse di maltrattamenti e uso sproporzionato della forza durante i respingimenti persistono”.

Per rotta balcanica si intende un percorso che dalla Turchia e dalla Grecia arriva fino ai confini orientali dell’Ue

Diversi report raccolgono le testimonianze di violenze su donne a bambini. Per rotta balcanica si intende un percorso che dalla Turchia e dalla Grecia arriva fino ai confini orientali dell’Unione europea. La percorrono persone proveniente da paesi instabili del medio oriente (come Siria e Iraq) e dell’Asia centrale (tra cui ovviamente l’Afghanistan).

La rotta collega questi Paesi con quelli che costituiscono l’estremo margine dell’Ue, come Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Dei punti di transito fondamentali per entrare nell’Unione. L’obiettivo finale del percorso sono solitamente gli Stati dell’Europa nord-occidentale e in particolare la Germania.

Via terra in Italia arrivano soprattutto pakistani. Ma anche afghani, bengalesi e nepalesi

Arrivano ovviamente anche in Italia. Sono soprattutto pakistani (2.576 persone, ovvero il 39,7% del totale). Seguono gli afghani (1.185). Tra le altre nazionalità ricorrenti rientrano anche i bengalesi (782) e i nepalesi (406). Questi dati, forniti dal Consorzio italiano di solidarietà, attivo in Friuli-Venezia Giulia, sono gli unici sugli arrivi via terra. Sono riferiti soltanto alle persone coinvolte nel sistema di accoglienza e quindi escludono tutte le persone che non vengono intercettate e transitano altrove, ma sono i dati più vicini a quelli, mancanti, sugli arrivi.

Il governo italiano infatti non mette a disposizione nessun dato a osservatori e studiosi

Il governo italiano infatti non mette a disposizione nessun dato a osservatori e studiosi. Questa mancanza di trasparenza ovviamente impedisce un reale monitoraggio e garantisce la copertura di eventuali abusi. Il numero di tentativi di ingresso registrato da Frontex aumenta di anno in anno:n el 2020 rispetto al 2019 l’aumento è stato pari al 92%, passando da 14mila a circa 27mila. Mentre nel 2021 rispetto al 2020 ha toccato il 125%, arrivando a oltre 60mila tentativi registrati.

Il 2022 sembra registrare un incremento ulteriore (circa 55mila tentativi solo nei primi sette mesi). In questa rotta di cui si parla sempre troppo poco non mancano gli episodi in cui la solidarietà viene criminalizzata, esattamente come accade nel Mediterraneo.

In Italia ad esempio c’è stato il caso di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, fondatori dell’organizzazione volontaria Linea d’Ombra, che offrono cibo, vestiti e cure mediche ai migranti di passaggio per Trieste, e che per aver ospitato una famiglia di migranti per una notte nel loro appartamento hanno dovuto affrontare un processo per favoreggiamento dell’immigrazione illegale.

 

Leggi anche: Le bravate sui migranti costano caro. Il teatrino del Governo sulle Ong ci si ritorce contro. E intanto in mare si continua a morire

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Regionali Lombardia, dopo il No di Pisapia i Dem costretti alle primarie

Saranno primarie. Primarie subito, primarie il prima possibile. “Primarie prima di Natale”, dice il segretario regionale del Partito democratico in Lombardia, Vinicio Peluffo (nella foto), ben consapevole che la coalizione di centrosinistra ora è in ritardo.

Saranno primarie il Lombardia. Lo ha annunciato il segretario regionale del Partito democratico Peluffo

Dopo l’abbandono di Carlo Cottarelli (che non convinceva tutti all’interno del Pd) ieri è arrivato anche il no ufficiale di Giuliano Pisapia. Di corsa il segretario Enrico Letta ha indetto una riunione in video-collegamento con i sindaci Beppe Sala (Milano), Giorgio Gori (Bergamo), Mattia Palazzi (Mantova), Mauro Gattinoni (Lecco), Davide Galimberti (Varese) e altri.

Il primo tentativo è stato quello di imporre il sindaco di Brescia Emilio Del Bono come soluzione condivisa per evitare lo scoglio delle primarie e per buttarsi subito in una campagna elettorale non facile contro Attilio Fontana e Letizia Moratti. Non è andata come speravano al Nazareno.

I membri del Pd lombardo da settimane invocano l’autonomia di scelta, non gradendo ingerenze da Roma. Primarie, quindi. Si ipotizzano già le date: il 18 dicembre potrebbe essere quella di inizio del confronto interno, per poter arrivare a febbraio con un candidato legittimato dal voto dei territori. In campo i nomi sono sempre gli stessi.

“Tutto molto milanocentrico”, fa notare un senatore Dem preoccupato dall’ipotesi che “le primarie sembrino all’esterno solo una resa dei conti interna al partito”. Continua a esserci Pierfrancesco Maran, assessore del Comune di Milano che le primarie le chiede fin dall’inizio, ci sarebbe il capogruppo del Pd in Consiglio Regionale Fabio Pizzul e c’è l’ex sindaca di crema Stefania Bonaldi.

Qualcuno sottolinea che all’ultimo momento potrebbe provare a giocarsi la partita anche l’europedeputato Pierfrancesco Majorino che potrebbe sparigliare le carte. Nella giornata di ieri si ventilava anche l’ipotesi della parlamentare milanese Lia Quartapelle come candidata. Ma è una voce senza riscontro. A sinistra invece è ufficiale la partecipazione alle primarie di Vittorio Agnoletto che sottolinea come la spaccatura a destra provocata dalla scelta di Letizia Moratti di candidarsi con il Terzo polo sia un’occasione irripetibile per sfilare la Regione.

A proposito di Moratti: mentre Calenda insiste per tirare la giacchetta al Pd (con pochissima considerazione da Letta e compagni) ieri è circolato un ipotetico sondaggio che darebbe l’ex vicepresidente con possibilità di vittoria. “Falso, falsissimo”, giurano gli esponenti Dem. L’unico sondaggio “serio” darebbe l’ex sindaca di Milano sotto al 15%.

“La partita è tra noi e Fontana”, dicono dal Pd, invitando a non cadere nella trappola di una narrazione senza nessun collegamento alla realtà del cosiddetto Terzo polo. È vero invece che qualcuno ancora cova la speranza che Moratti, rendendosi conto dell’impossibilità di puntare alla vittoria, possa decidere di fare un passo di lato e aprire la possibilità di un nuovo confronto con Renzi e Calenda. Chi conosce bene Moratti però sottolinea come la sua ormai sia diventata una battaglia “per il potere” (l’ha detto anche lo stesso Pisapia) che sfocia in una questione di prestigio personale.

Rimane però il problema del perimetro della coalizione. A oggi il Pd può contare su Sinistra Italiana, i Verdi, +Europa e qualche lista civica. Ieri Vinicio Peluffo ha invitato alla partecipazione alle primarie anche il Movimento 5 Stelle ma i grillini appaiono sempre più incagliati, in attesa che arrivino segnali da Giuseppe Conte.

Dal centro invece le suppliche di Calenda a ragionare sul nome di Moratti vengono stoppate con decisione. “È inutile che continuiamo a girarci attorno, abbiamo già spiegato che per noi non è pensabile sostenere Moratti. Il Terzo Polo ritiri l’appoggio a Moratti e si riapre il confronto”, dice Peluffo. Ancora più netto l’eurodeputato dem Majorino: “Calenda propone un confronto senza pregiudizi su Moratti. Ma noi tutti stiamo esprimendo un giudizio, non un pregiudizio”.

 

Leggi anche: Dopo Zingaretti, il Pd nel Lazio prepara un’altra Caporetto. Letta cede a Calenda e candida D’Amato. Ma senza l’intesa con il M5S l’esito del voto è già segnato

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