Come si assomigliano Giorgia Meloni e Al Sisi
La Cop 27, il negoziato dell’Onu sui cambiamenti climatici, ieri ha vissuto la sua prima giornata dedicata alla politica. La giornata più utile per capire cosa si intenda per transizione energetica nei Paesi del mondo, per sondare le posizioni dei Paesi e per testare la reale volontà di agire per il clima.
Giorgia Meloni è arrivata a Sharm el-Sheikh con la ripartenza delle trivelle in tasca nel mare Adriatico. Non male arrivare all’importante vertice con un’azione politica contraria alle linee guida dell’Ipcc (l’organo scientifico delle Nazioni Unite) e dell’Agenzia internazionale dell’energia che prevede la riduzione di tutte le fonti fossili (gas compreso) già dal 2025.
Il segretario del’Onu António Guterres dice senza troppi giri di parole che il cambiamento climatico è «la sfida centrale del nostro secolo» e noi «la stiamo perdendo». Dice sostanzialmente le stesse cose che ripetono coloro che qui da noi vengono bollati come bigratisti ambientali, inutili allarmisti. Ma non si riesce ad uscire dalla falsa cortesia. Secondo l’Onu, si dovrebbe «mettere fine alla dipendenza dai combustibili fossili e dalla costruzione di centrali a carbone, eliminando gradualmente il carbone nei Paesi dell’Ocse entro il 2030 e ovunque entro il 2040». È esattamente il contrario di ciò che pensano (e che vogliono fare) quelli che stanno al governo in Italia.
Basta andare un centimetro più in là delle dichiarazioni di intenti per accorgersi della realtà: secondo un’analisi del sito specializzato Carbon Brief citata ieri dal Guardian, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia non hanno raggiunto la loro “giusta quota” di finanziamenti per il clima a favore dei Paesi in via di sviluppo. I Paesi ricchi si erano impegnati a fornire 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020, ma l’obiettivo è stato mancato.
La presidente del Consiglio ha incontrato il presidente Al Sisi e i due si sono accorti con piacere di assomigliarsi. Entrambi puntano sul gas come elemento di futuro di prosperità nonostante l’Agenzia internazionale dell’energia non lo consideri nemmeno possibile elemento di transizione. Così l’Egitto che possiede un quinto delle riserve del gas di Eni e la presidente del Consiglio non potrebbero non andare d’accordo, non potevano evitarsi un incontro bilaterale a porte chiuse in cui – dicono loro – avrebbero parlato di “energie e migranti” nella lingua in cui Italia e Egitto si parlano da anni: quella dei soldi.
Figurarsi se avevano voglia e tempo di parlare di Giulio Regeni. L’omicidio dello studente italiano è un altro di quei discorsi che si estrae dal cassetto delle buone intenzioni quando serve ma non entra mai negli incontri che contano davvero. Giorgia Meloni ieri ha parlato di “forte attenzione al caso Regeni” (una frase retorica che non significa nulla) e oggi Giuliano Foschini su Repubblica ci fa sapere che nelle scorse settimane il capo dipartimento del Ministero della Giustizia Nicola Russo ha fatto sapere ai nostri magistrati che “per gli egiziani nessun processo e nessuna collaborazione sono possibili”.
Tutto come prima, quindi. L’unica differenza è che ora non si vergognano nemmeno di fotografarsi sorridenti e felici.
Buon martedì.