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Marcia della pace 2022. Antidoto in Italia e Ue alla politica della clava

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“Ci aspettiamo innanzitutto un tempo clemente viste le previsioni”. C’è spazio anche per una battuta propiziatoria nella lunga chiacchierata che Raffaella Bolini, la rappresentante dell’Arci che sta tenendo le redini dell’organizzazione della grande manifestazione di pace che si terrà sabato 5 novembre, concede a La Notizia. “Al di là delle battute, ci aspettiamo una grande partecipazione, perché siamo certi di una cosa”.

Cosa
Avvertiamo che una grande fetta di italiani ha esigenza di tornare in piazza, specie in questo periodo di conflitto. Dal primo giorno della guerra tra Russia e Ucraina la maggior parte delle persone, contrariamente a quello che si crede, pensa che l’Italia debba essere parte della soluzione al problema, e non del problema stesso. La manifestazione di sabato darà modo di dimostrare tutto questo.

Crede che la marcia potrà avere questo ruolo?
Assolutamente sì. Sarà una grande dimostrazione che in tanti vogliono che si lavori per il cessate il fuoco. Abbiamo figure importanti che parteciperanno e che chiedono questo, sia del mondo laico che di quello cattolico. Il momento, peraltro, è giusto e cruciale: la situazione peggiora di giorno in giorno, c’è inoltre il rischio di un allargamento costante del conflitto. Senza dimenticare il ritorno terrificante dell’ombra dell’opzione nucleare. Se ne parla come fosse una cosa normale: è la prova che stiamo superando ogni limite.

Eppure c’è sempre un accostamento troppo semplicistico che si fa in questi casi: chi chiede il cessate il fuoco viene considerato un “putiniano”…
Guardi, questa cosa mi fa sorridere. È un’accusa che non mi fa più né caldo né freddo. È sempre la stessa storia: quando qualcuno di noi contesta una guerra, ci dicono sempre che siamo dalla parte del dittatore di turno. Poi ci vogliono cinque, dieci, venti anni prima che puntualmente si riconosca che noi siamo sempre e semplicemente dalla parte delle vittime. Per il resto, è un’accusa ignobile: non siamo di certo noi che per anni abbiamo foraggiato, commerciato, incontrato o banchettato con Putin. Ed è surreale che a muovere queste accuse sono proprio quelli che fino a un attimo prima tenevano Putin su un piedistallo. Si è completamente ribaltata la realtà.

Entrando nel merito, perché ritiene che l’unica strada sia quella del cessate il fuoco?
Lo dicono i fatti. Se è vero che la guerra lampo di Putin evidentemente non c’è stata, neanche la vittoria della resistenza di Zelensky è all’orizzonte. Il conflitto si è incancrenito. Non possiamo perciò continuare a foraggiare con armi la guerra perché una soluzione sul campo non c’è e non ci sarà. Occorre invece fare in modo che l’Italia e l’Ue promuovano una soluzione di mediazione e di pace.

La marcia ha assunto nell’ultimo periodo anche una valenza politica. Crede sia un merito?
La manifestazione è organizzata come sempre dalla società civile, ma ha sempre una rilevanza politica. Noi siamo sempre favorevoli alla partecipazione dei partiti, purché ovviamente non mettano bandiere sulla marcia. Per il resto ci auguriamo che chi venga, poi si faccia carico del messaggio che la manifestazione vuole lanciare. A noi, al di là delle parole, interessano gli impegni concreti.

E invece della posizione del governo Meloni sul conflitto cosa pensa
In perfetta continuità con il governo Draghi. Ma non mi stupisce: purtroppo siamo in una situazione di vento negativo per cui anche in Europa si pensa che l’unico modo di garantire la sicurezza dei confini sia la strada armata. Ed è triste perché significa che tanto l’Italia quanto l’Ue hanno rinunciato al loro ruolo di mediatori di pace, per cui i confini sono diventati muri armati. L’Ucraina è un esempio proprio di tutto questo.

Perché secondo lei?
Diciamo che il fatto che la sicurezza sia considerata soltanto armata non mi stupisce se penso alla destra che ce l’ha nel suo dna genetico. Il problema è a sinistra, ma purtroppo questo è il ragionamento main-stream che si è affermato.

La sinistra ha rinunciato al suo ruolo?
È tutto molto desolante. Bisognerebbe che a sinistra qualcuno ripensi alle proprie radici, a quello che diceva Berlinguer tra gli altri. Come siamo riusciti ad arrivare da un forte impegno per il disarmo a una visione dell’Europa come baluardo della pace, a una situazione per cui vediamo la guerra come unica soluzione?

Lei che spiegazione si è data
Stiamo tornando alla logica della clava, per cui se ti danno un colpo in testa l’unica soluzione è dare un altro colpo in testa, magari più forte. Ma questo significa far vincere la politica della barbarie.

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Altra grana per la Meloni. Salvini alla frutta fa il premier ombra

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Per rendersene conto basta scorrere qualche agenzia: c’è Adnkronos che ci informa che Matteo Salvini ha promesso di togliere il canone Rai, c’è l’Agi che riporta la frase con sui Salvini promette “il superamento della legge Fornero costi quel che costi”, ce n’è un’altra che ci fa sapere che Salvini è contrario alla vendita della compagnia aerea Ita perché “l’Italia non può fare a meno di avere una compagnia di bandiera”.

Nella maggioranza in troppi sgomitano per apparire. Oltre a Salvini pure Forza Italia gioca al rialzo

Se oggi atterrasse in Italia il corrispondente di qualche giornale straniero crederebbe che Matteo Salvini non sia semplicemente un ministro alle Infrastrutture ma sia il presidente del Consiglio designato dal Presidente della Repubblica. Oppure potrebbe credere che la linea del governo Meloni la faccia Salvini durante le sue dirette sui social.

Salvini riprende da dove aveva lasciato, quando da vice presidente del Consiglio nel primo governo Conte trascorreva le sue giornate nel tentativo di svuotare l’esecutivo di cui faceva parte per aumentare i propri consensi. Giorgia Meloni ne era consapevole ma nessuno prevedeva che il logoramento sarebbe partito così presto, senza nemmeno dare il tempo di un assestamento.

Ma non è solo l’egomania di Salvini il problema. Basta osservare il dibattito tutto interno alla maggioranza sulla norma anti rave per rendersi conto dell’aria che tira. Ieri Francesco Paolo Sisto, viceministro alla Giustizia vicinissimo a Berlusconi, a 24 Mattino su Radio 24, si è affrettato a spiegare che “la norma è in un decreto legge ed è evidente che poi passa al vaglio del Parlamento. Una norma per sua stessa natura soggetta poi alla modifica, con l’intervento del dibattito parlamentare”, lasciando trapelare la posizione non convinta dei berlusconiani.

Passano solo poche ore e il sottosegretario leghista Nicola Molteni smentisce l’alleato: “La norma è chiara, oggi c’è un’intervista del Ministro che specifica le situazioni in cui agirà: la legalità non è né di destra né di sinistra. Il Parlamento potrà fare quello che vuole, è sovrano. La Lega difenderà questa norma”.

Che la difenda da un suo alleato è un dettaglio che è difficile farsi sfuggire. Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia, in quota Lega, in parte smentisce il suo leader di partito Matteo Salvini. “In sede Parlamentare è anche normale che ci sia un dibattito. Se c’è qualche virgola da apporre lo si faccia, non c’è problema”.

“Salvini ha detto che il testo non si cambia Io dico lasciamo che il dibattito si faccia e poi vedremo”. Ma non è tutto perché sempre sulla norma anti rave party il ministro all’Interno Matteo Piantedosi (controfigura di Salvini) aveva rilasciato un’intervista in cui si diceva quasi offeso che si potesse pensare che quella legge potesse essere usata per altro.

Anche qui bastano poche ore per assistere alla scelta della maggioranza che si smentisce da sola: ospite a L’aria che tira il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone ammette l’estensione dell’applicazione della legge. “Se l’occupazione di un edificio – spiega Mollicone – è a danno della proprietà privata o pubblica ed è pericolosa, la norma va applicata. Non verrà applicata invece alle scuole occupate, anzi diamo la solidarietà agli studenti che lo fanno pacificamente. Io le scuole le occupavo per il diritto allo studio ed ero il referente di una giovane Giorgia Meloni”.

Stesso copione per il reintegro dei medici non vaccinati. Nel pomeriggio è il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri a tuonare con un tweet: “Sinceramente i medici #novax , a parte chi avesse delle incompatibilità accertate, mi lasciano perplesso. È come se un militare fosse per il disarmo o se un pilota non volesse salire su un aereo per paura del volo #vaccini”, scrive Gasparri.

Difficile non collegare l’uscita di Gasparri alla polemica che travolge il centrodestra partendo dalle dimissioni di Letizia Moratti in Lombardia. La maggioranza è sfilacciata e non si è ancora affrontato nessun tema che conta davvero come lo scostamento di bilancio per le bollette, la firma del fisco e delle pensioni. Ora si può solo peggiorare.

Leggi anche: “Che errore scaricare i navigator. Un regalo alle agenzie private”. De Masi: “Da Meloni ricette all’insegna di un neoliberismo sfrenato”

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Dopo i “taxi del mare”, le “navi pirata”

L’avevamo scritto: quando il governo Meloni sarà in difficoltà si butterà contro le Ong. L’ha già fatto. Del resto dopo pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo e dopo aver sventolato la norma “anti rave” che già devono modificare perché non piace nemmeno all’interno della maggioranza sono già in stallo. Giorgia Meloni, sempre brava nel ruolo dell’untrice delle disperazioni, ha coniato una nuova definizione: «Se fai la spola tra le coste africane e l’Italia per traghettare migranti – ha accusato – violi apertamente il diritto del mare e la legislazione internazionale. Se poi una nave Ong batte bandiera, poniamo, tedesca, i casi sono due: o la Germania la riconosce e se ne fa carico o quella diventa una nave pirata». È la solita trita retorica di chi vigliaccamente non alza la voce contro i carcerieri libici e contro gli scafisti ma se la prende con le organizzazioni umanitarie che salvano meno del 15% degli sbarchi.

Del resto è comodo essere vigliacchi. Era comodo per Minniti, era comodo per Salvini, era comodo per Di Maio e ora è comodo per questi. Dai “taxi del mare” alle “navi pirata” è un percorso che dobbiamo portarci addosso come conseguenza dell’incompetenza e della disumanità. Così è bastata la prima dichiarazione non cerimoniosa della presidente del Consiglio per essere subito ricacciati nell’angolo dei dilettanti dal governo tedesco: «Per il governo federale – si legge – le organizzazioni civili impegnate nel salvataggio di migranti forniscono un importante contributo al salvataggio di vite umane nel Mediterraneo». «Salvare persone in pericolo di vita è la cosa più importante», prosegue il testo arrivato da Berlino. Che poi sottolinea: «Secondo le informazioni fornite da Sos Humanity sulla nave ‘Humanity 1’, battente bandiera tedesca, attualmente ci sono 104 minori non accompagnati. Molti di loro hanno bisogno di cure mediche». «Abbiamo chiesto al governo italiano di prestare velocemente soccorso», conclude la lettera.

Del resto sotto la propaganda c’è Piantedosi (la controfigura di Salvini messa al ministero del’Interno) che ha inviato una nota ufficiale all’Ambasciata della Repubblica Federale tedesca per chiedere di avere un quadro compiuto della situazione a bordo della “Humanity 1” in vista dell’assunzione di eventuali decisioni. La situazione è chiara: sulla Humanity 1 (bandiera tedesca) i naufraghi raccolti sono 179. La situazione a bordo si va facendo via via più difficile: ci sono oltre cento minori, il più piccolo di soli sette mesi, che stanno «soffrendo di stress psicologico. Hanno bisogno di un porto ora», dicono dalla nave. La Ocean Viking (bandiera norvegese) ospita invece 234 migranti. Sos Mediterranée, la ong francese che la gestisce, chiede da tempo un porto, considerando che tra i salvati c’è chi è in mare da ben 12 giorni. Sulla Geo Barents ci sono oltre 60 minori, tre donne incinte e casi che richiedono un intervento immediato.

Ma soprattutto c’è la legge: è un obbligo per gli Stati fornire il ‘place of safety’ alle navi che sono state impegnate in operazioni di ricerca e soccorso e che trasportano a bordo i sopravvissuti. Se Giorgia Meloni vuole risolvere il problema dell’immigrazione usata dalla Libia come rubinetto per ricattare l’Europa sarà costretta a fare politica, quella vera, nelle sedi europee. Le stesse sedi che ha irriso per anni per fomentare i suoi elettori e da cui si presenta oggi con il cappello in mano per chiedere aiuto.

Buon giovedì.

 

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Quando Salvini era il re dei rave party ma tutti se ne sono dimenticati

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Il governo si è insediato, i sottosegretari di cui si vergognano li hanno infilati nelle pieghe dove non si notano troppo, le bollette sono sempre lì da pagare. Eccoci al nostro quotidiano bestiario di governo.

GIORGIA, CON CHI CE L’HAI?
Meloni: “Bollette insostenibili per milioni di famiglie e molte imprese, governo al lavoro per dare risposte immediate”. Hanno la maggioranza in Parlamento, sono al governo, lei/lui è presidente del Consiglio e capatrena. Esattamente a chi cazzo lo sta dicendo?

QUANDO SALVINI ERA IL RE DEI RAVE PARTY
«Finalmente torniamo a far rispettare le regole», tuona ancora Salvini. Ma evidentemente ce l’ha con sé stesso. Perché basta una sommaria consultazione degli archivi dei quotidiani per certificare che quando agli Interni c’era lui, e l’attuale ministro Matteo Piantedosi era suo capo di gabinetto (lo fu anche con Lamorgese fino all’agosto del 2020) rave, free party e raduni non autorizzati sono stati molti, una cinquantina. Come si stava bene quando c’era lui.

LA VERITÀ OSTATIVA DI GIORGIA MELONI
“Sull’ergastolo ostativo il Parlamento ha lavorato la scorsa legislatura, la Camera ha approvato una norma all’unanimità…“. Nella conferenza stampa dopo il primo Consiglio dei ministri “operativo” del suo governo, Giorgia Meloni butta lì una frase che passa inosservata. Ma è falsa: il disegno di legge che superava l’attuale normativa sulla concessione dei benefici penitenziari ai condannati per mafia (per evitare che la Corte costituzionale la dichiarasse illegittima tout court) non è stato votato da tutti i partiti. A Montecitorio, il 31 marzo scorso, il testo unificato con relatore Mario Perantoni (M5s) passò con 285 voti a favore, un contrario e 47 astenuti: tra questi ultimi c’erano tutti i deputati di Fratelli d’Italia (allora all’opposizione del governo Draghi). Eppure è lo stesso ddl che ora il governo della neo-premier ha trasformato in un decreto legge urgente. Che sbadata, Giorgia.

SOTTOSEGRETARI BRILLANTISSIMI
Due cristalli Swarovski, una borsa Borbonese, storico marchio di moda torinese, tantissimi scontrini di ristoranti, pub e bar, scontrini “a catena”, battuti nello stesso locale nel giro di pochi minuti, oppure fatti quando lei, però, altrove. Sono alcune delle spese per cui Augusta Montaruli, la nuova sottosegretaria all’Università e alla Ricerca in quota Fratelli d’Italia, è finita nell’inchiesta Rimborsopoli della Regione Piemonte, un procedimento per il quale nel dicembre 2021 è stata condannata a un anno e sette mesi di reclusione per peculato. aspetta la Cassazione. Dai, non merita un posto da sottosegretaria

I DELIRI DI TAJANI
Antonio Tajani: “Se le Nazioni Unite avessero nominato Silvio Berlusconi inviato speciale Onu per cercare una soluzione alla guerra in Ucraina si sarebbe forse ottenuto un risultato positivo”. Il fedele Tajani lotta ancora per Silvio re del mondo. Che tenerezza.

QUALCUNO INSEGNI LA STORIA AL SOTTOSEGRETARIO PEREGO
In un’intervista il neo sottosegretario alla Difesa Matteo Perego (Forza Italia) dice: “Credo che un governo serio, come sarà il nostro, debba aprire immediatamente un dossier Africa viaggiando per il continente. A differenza della Francia, non abbiamo un passato coloniale che
alimenta diffidenze. Siamo guardati come un partner strategico importante”. Chissà se Perego sa del massacro di Debra Libanòs tra i giorni 21 e 29 maggio 1937 delle truppe coloniali italiane sotto il comando del generale Pietro Maletti: il peggior massacro di cristiani della storia africana.

PROMESSE, PROMESSE
Anche il secondo Consiglio dei ministri non è andato come promesso in campagna elettorale da Matteo Salvini: non sono stati approvati i decreti Sicurezza, l’autonomia per le regioni, l’estensione del regime forfetario e il decreto Energia da 30 miliardi. A posto così.

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Le salvinate di Piantedosi

Sulla Ocean Viking di Sos Mediterranée, al largo di Malta, ci sono 234 persone. «Senza un posto sicuro, la salute dei sopravvissuti rischia di deteriorarsi», afferma la responsabile dell’équipe medica. Tra loro oltre 40 minori non accompagnati e diversi riportano segni evidenti di torture e violenze subite in Libia. «Nel primo tentativo di fuga dalla Libia la nostra barca si è rovesciata, 9 persone sono morte. Nostra figlia si sveglia ancora di notte, spaventata. Cerchiamo di aiutarla a dimenticare», raccontano Bassem e Hana, soccorsi con la loro figlia di 4 anni. La Geo Barents di Medici senza frontiere, che si trova a sud-est della Sicilia, ha a bordo 572 persone, compresi 66 minori. Sono 179 invece, dopo l’ultima evacuazione medica, sulla Humanity 1, al largo delle coste catanesi. Tra loro c’è un bimbo di appena 7 mesi. Decine di minori non accompagnati «soffrono particolarmente dello stress psicologico». L’hotspot di Lampedusa, ancora una volta, rischia il collasso: sono 1.221 gli ospiti del centro, che ne potrebbe contenere un massimo di 350.

Il ministro dell’Interno Piantedosi – ex capo di gabinetto di Matteo Salvini – si è affrettato a prospettare il divieto d’ingresso a due navi di organizzazioni non governative, Ocean Viking e Humanity 1, con una direttiva che ovviamente è stata subito sventolata dalla maggioranza di governo per agitare la favola dei “porti chiusi”. Una direttiva che nei fatti è carta straccia. Lo spiega perfettamente la giurista Vitalba Azzolini su Domani: «Per motivare la propria direttiva, Piantedosi ha detto di voler “riaffermare un principio: la responsabilità degli Stati di bandiera di una nave” che – a detta del ministro – sarebbe stato riconosciuto nel “famoso caso Hirsi”. Il richiamo a questo caso lascia perplessi. È vero che nella sentenza Hirsi (febbraio 2012) la Corte europea dei diritti umani aveva rilevato la responsabilità dello Stato di bandiera, l’Italia. Ma ciò in quanto, nel maggio 2009, il governo italiano si era reso autore di un respingimento illegittimo di un considerevole numero di profughi, in violazione del principio di non refolulement (Convenzione di Ginevra), dando l’ordine di trasportarli in Libia, ove la loro incolumità era messa a rischio, anziché in un porto sicuro- Dunque, la Corte non ha affermato il principio per cui lo Stato di bandiera della nave di soccorso è responsabile di fornire accoglienza e altro, come sembra affermare Piantedosi. Né la Corte avrebbe potuto farlo, ai sensi delle citate convenzioni internazionali, che ripartiscono le competenze tra gli stati: quello di bandiera deve esigere che il comandante di una nave “presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita quanto più velocemente possibile” (convenzione Unclos), mentre per il resto interviene lo Stato nella cui zona Sar è avvenuto l’evento critico».

Il gioco è fin troppo facile da indovinare: le Ong come colpevoli di un problema che non sanno (e non vogliono) risolvere. Ad oggi le Ong salvano all’incirca il 14% di tutti i migranti, la grande maggioranza arriva autonomamente e grazie alle operazioni di soccorso delle autorità italiane. Qualche giorno fa abbiamo visto il video girato a Tripoli Janzur, zona Syed. in cui un etiope di 17 anni viene torturato dalle milizie con scosse elettriche mentre altri gli puntano una pistola in testa chiedendo 10.000 dollari di valuta americana. «Ogni giorno, centinaia di persone vengono torturate per ottenere un riscatto perché siamo visti come una facile fonte di reddito», raccontano i migranti. Da due anni abbiamo in Italia sentenze che raccontano di come le prigioni finanziate anche dall’Italia siano luoghi di tortura, quando il gup di Messina ha condannato a 20 anni di carcere ciascuno Mohamed Condè, detto Suarez, 22 anni della Guinea, e con lui gli egiziani Ahmed Hameda, 26 anni, e Mahmoud Ashuia, 24. Come raccontò Nello Scavo: «Mohamed Condè si occupava di imprigionare i migranti, di torturarli e di ottenere i riscatti, richiesti ai familiari a cui venivano mostrate le orribili sessioni di tortura. Hameda svolgeva il ruolo di carceriere, torturatore e all’occorrenza cuoco per i prigionieri; Ashuia se lo ricordano perché quand’era di turno nella camera delle torture picchiava brutalmente anche utilizzando un fucile».

Il memorandum Italia-Libia rimarrà intatto. Mentre il governo libico premia con un encomio Abdurahman al-Milad, detto Bija, accusato dalla Nazioni Unite di traffico di esseri umani, crimini contro i diritti umani, contrabbando di petrolio e armi. Siamo tornati alla solita vigliaccheria (bipartisan) aggiungendoci la prevedibile propaganda. Non si trovano nemmeno più le parole per raccontarla.

Buon mercoledì.

Nella foto: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a Porta a porta, 27 ottobre 2022

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Un governicchio da paesello

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un tilt di comunicazione e di politica che ha apparecchiato una diretta urgente su un rave party come se fosse un’urgenza nazionale. Ne esce un Paese completamente fuori fuoco che inverte le priorità e si accomoda sul delirio generale: giornalisti che si sentono inviati di guerra mentre intervistano ragazzetti storditi dall’alcol e dal fumo, politici con il piglio da prefetto Mori mentre esultano come se avessero eradicato le mafie in Italia, editorialisti che scrivono accigliati sull’antropologia del rave mentre frequentano circoli che sprofondano nella cocaina.

Giorgia Meloni, che non è ancora uscita dalla modalità della campagna elettorale, riunisce il Consiglio dei ministri giusto il tempo per presentarsi di fronte alle telecamere e annunciare una nuova legge ad hoc per evitare accampamenti alcolici. Per farlo si va a toccare il reato di “invasione di terreni o edifici, pubblici o privati” prevedendo la reclusione da 3 a 6 anni. Viva la legalità, esultano in molti. Sarà.

Dalla conferenza stampa sappiamo che l’opposizione all’opposizione e al governo precedente si rinforza con la decisione di reintegrare i medici non vaccinati e annunciando “discontinuità” con i governi precedenti. Su questo scrive bene la fondazione Gimbe: «Il potenziale impatto in termini di sanità pubblica sarebbe modesto – spiega la Fondazione – sia perché la misura viene anticipata di soli due mesi rispetto alla scadenza fissata, sia perché riguarda un numero esiguo di professionisti».

«Ben diverso – rileva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – l’impatto in termini di percezione pubblica di questa “sanatoria” e delle relazioni con la stragrande maggioranza dei colleghi che si sono vaccinati per tutelare la salute dei pazienti e la propria, anche al fine di garantire la continuità di servizio. Peraltro, al di là di una scelta individuale incompatibile con l’esercizio di una professione sanitaria, si tratta di persone che hanno spesso seminato disinformazione pubblica sui vaccini, elevandosi a “paladini” del popolo no-vax, a volte con evidenti obiettivi di affermazione politica individuale».

Altro? Hanno approvato una norma che sarebbe passata, identica, con il governo Draghi. Dice Giorgia Meloni che le misure sono altamente “simboliche”, confermando in toto la sensazione di uno sventolio propagandistico che non ha nulla a che vedere con i “reali bisogni urgenti” del Paese. Su bollette, crisi energetica, guerra e povertà niente. Matteo Salvini, che per tutta la campagna elettorale ha promesso di risolvere i “problemi reali” al primo Consiglio dei ministri, ieri ha parlato agli italiani del ponte sullo Stretto dei suoi sogni. In compenso l’infornata di sottosegretari e viceministri fotografa perfettamente la spessore del governo. Basta leggere i nomi.

Dategli tempo, si dice. Intanto segnaliamo che la partenza è da governicchio di paesello.

Buon martedì.

 

* In foto, la conferenza stampa della premier Giorgia Meloni al termine del consiglio dei ministri. Assieme a Meloni, i ministri Orazio Schillaci, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Roma, 31 ottobre 2022 

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Il ricatto paga: Berlusconi sbanca nel sottogoverno e ottiene tutto ciò che voleva

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Fermate le rotative e cancellate tutti i pensosissimi editoriali che da giorni vorrebbero farci credere che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia tenuto a bada i suoi alleati. Niente di tutto questo e per rendersene conto basta scorrere i nomi e le appartenenze dei sottosegretari e dei viceministri. Il sottogoverno è diventato il bidone della raccolta differenziata dove accogliere le mire di Forza Italia, dove riciclare e infilare gli impresentabili e dove risarcire gli alleati.

Si poteva cascare nel balletto di Giorgia Meloni sul coordinatore di Forza Italia in Calabria Giuseppe Mangiavalori, ritenuto “inopportuno” dalla leader di Fratelli d’Italia perché citato in due diverse inchiesta sulla ‘Ndrangheta. Nessun problema: al suo posto c’è Maria Tripodi che nonostante non sia stata rieletta tra i berlusconiani approda comunque a Roma come sottosegretaria gli Esteri. Stesso discorso sulla Giustizia che Berlusconi ha voluto con tutte le sue forze fin dall’inizio delle trattative di governo. È vero, alla fine la scelta è ricaduta sull’ex magistrato Carlo Nordio ma in via Arenula arriva come viceministro. Avere il suo avvocato come numero due del Ministero alla Giustizia può accontentare perfino un crapulone come Silvio.

Si diceva che fosse sconveniente anche qualche scherano di Berlusconi all’ex Mise (ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy) per quel mai risolto problema di conflitto di interessi. Detto fatto: Valentino Valentini affiancherà Alfonso Urso. E per non farsi mancare niente Alberto Barachini, giornalista ed ex anchorman Mediaset (che ha iniziato la carriera accanto a Emilio Fede al Tg4) già presidente della Commissione di Vigilanza Rai. che sia un uomo di Mediaset gestire i fili dei finanziamenti pubblici alle stesse aziende in cui lavorano le reti televisive , l’editoria e i giornali della famiglia Berlusconi rende perfettamente l’idea di quanto sia vecchio il nuovo che Giorgia Meloni vorrebbe rivenderci.

La qualità del sottogoverno, era facile immaginarlo, rispecchia quella del suo fratello maggiore, in versione discount. Così ci ritroviamo la Cultura martoriata dalla leghista Borgonzoni (chi meglio di una che ammise di non leggere libri da almeno tre anni?) e Vittorio Sgarbi (ultimamente famoso per le sue culturalissime dirette social seduto sulla tazza del cesso). Ci pensa invece Salvini a riportare al governo Giuseppina Castiello, già sottosegretaria per il Sud nel governo gialloverde. Dopo una carriera tra AN, Popolo della Libertà e Lega l’ex fedelissima di Nicola Cosentino finisce ai Rapporti con il Parlamento. Dulcis in fundo Galeazzo Bignami, di Fratelli d’Italia, che salì all’onore delle cronache per essersi fotografato con una divisa delle SS e per avere girato un video in cui spiattellava tutti i nomi degli stranieri residenti nelle case popolari a Bologna. Un posticino ovviamente anche per Isabella Rauti, figlia del fondatore dell’MSI, tanto per tenere accesa la fiamma.

Silvio Berlusconi alla fine si prende 17 poltrone, i suoi alleati Salvini e Meloni si accontentano di 11 a testa. Bastano già i numeri per fotografare i rapporti di forza, quelli veri, che escono dalla narrazione.

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A lezione di propaganda: quel vergognoso fumetto sul Milite Ignoto che il Ministero della Difesa si prepara a distribuire nelle scuole

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“Il 24 agosto del 1920, il generale Giulio Douhet, sulle colonne del giornale Il Dovere (testata di riferimento dell’associazione unione nazionale ufficiali e soldati), dichiarò: “tutto sopportò e tutto vinse, da solo, nonostante. Perciò al soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare neppure nei suoi più folli sogni di ambizione”. Recita così l’incipit del fumetto ( visibile qui) che il Ministero della Difesa ha commissionato per le iniziative del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Istruzione e del “Merito” il 4 novembre “Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate”.

All’interno si trova una summa di retorica bellica in cui vengono impunemente mitizzate alcune figure del fascismo al generale Giulio Dohuet (il primo militare a teorizzare i bombardamenti aerei sulle città e le popolazioni inermi, ritenendoli gli strumenti più idonei per vincere le guerre moderne, al parlamentare fascista Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della Marcia su Roma, poi ministro nei governi Mussolini (anche all’Educazione dove contribuì alla rapida “fascistizzazione” della scuola italiana) e pure “governatore della Somalia italiana” dove si rese responsabile di inauditi crimini e feroci repressioni della popolazione civile.

Il giornalista Antonio Mazzeo, che ha segnalato la pubblicazione, non fa sconti: «il fumetto pubblicato dal Ministero della difesa – ci dice –  e in via di distribuzione alle alunne e agli alunni delle scuole, dal titolo “La Storia del Milite Ignoto” è un’irresponsabile orgia di retorica bellico-nazionalista dove vengono esaltate, tra l’altro, alcune delle peggiori figure della storia del fascismo e delle forze armate italiane, dal generale Giulio Dohuet (il primo militare a teorizzare i bombardamenti aerei sulle città e le popolazioni inermi, ritenendoli gli strumenti più idonei per vincere le guerre moderne, al parlamentare fascista Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della Marcia su Roma, poi ministro nei governi Mussolini (anche all’Educazione dove contribuì alla rapida “fascistizzazione” della scuola italiana) e pure “governatore della Somalia italiana” dove si rese responsabile di inauditi crimini e feroci repressioni della popolazione civile».

“Ancora oggi l’Altare della Patria è il luogo più sacro degli italiani”, riporta la didascalia finale dell’infausto fumetto. “Una struttura imponente, in cui sono riportati i simboli più sacri della nostra Nazione. La sua Maestà ed Imponenza incutono Rispetto. Ma se si scruta con attenzione, al suo centro, tra due bracieri e sorvegliato da due sentinelle, c’è il luogo dove riposa il Milite Ignoto. Se si presta attenzione, se si affina l’orecchio (e lo spirito), si può percepire, sotto quintali di marmo e bronzo, qualcosa di vivo, che vibra e fa vibrare l’anima. Questo suono impercettibile e che solo pochi riescono ad udire è il Cuore del Milite Ignoto, che pulsa e batte per gli Italiani, batte per chi felice, fa ritorno a casa. Batte per chi avvolto nell’oscurità non farà ritorno, batte forte e batterà… per sempre”.

Qualcuno ha qualcosa da dire di fronte a questa deriva

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Bolsonaro e la destra che perde quando governa

Lula è tornato. A 77 anni, dopo essere stato perseguitato, incarcerato, diventa presidente del Brasile per la terza volta. È il primo presidente del Brasile che riesce a farsi eleggere per tre volte (se teniamo conto delle elezioni “democratiche”) e si ritrova a governare un Brasile lacerato, con una maggioranza risicatissima che lo costringerà a mediare verso il centro per riuscire ogni volta ad avere la maggioranza al Congresso.

«Hanno cercato di seppellirmi vivo ma sono risorto. Oggi l’unico vincitore è il popolo brasiliano. Sarò il presidente di tutti: riuniamo la famiglia». Bolsonaro, mentre scrivo questo pezzo, ancora questa mattina, ritarda più possibile il riconoscimento dell’avversario, asserragliato nel palazzo presidenziale pronto a rilanciare i sospetti di brogli di voto. Anche in questo è la fotocopia del suo amico Trump, incapace di riconoscere la sconfitta e bisognoso di complotti per riuscire ancora una volta a mistificare la realtà.

Un’altra ombra di diavolo che sta nei dettagli è quell’unico Paese del G7 che adesso, alle 8 e 16 minuti, non si è ancora complimentato con il nuovo presidente del Brasile: noi. Non stupisce questa questa timidezza: c’è nella sconfitta di Bolsonaro tutto l’impianto della destra sovranista che avrebbe dovuto conquistare il mondo e invece raccoglie macerie. C’è il complottismo su Covid e vaccini che in Brasile ha provocato la rabbia tra la gente. Fatti documentati nelle 1.200 pagine del rapporto realizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) del Senato che accusa il presidente Jair Bolsonaro di undici reati per la pessima gestione della pandemia da Covid-19 in Brasile. I reati si dividono in tre categorie: crimini comuni, crimini di responsabilità e crimini contro l’umanità. Nei guai anche i suoi figli e altre 64 persone. Nella tragedia della pandemia circa 600mila brasiliani hanno perso la vita: secondo il report, 300mila morti potevano essere evitate se il negazionismo del governo non avesse prevalso.

C’è l’antiambientalismo che ha distrutto l’Amazzonia. La deforestazione nel 2021 è stata la peggiore degli ultimi 15 anni. Il governo del presidente Jair Bolsonaro non solo non è riuscito a frenare le attività criminali ma ha cercato di legalizzarle, in modo che potessero svolgersi con meno ostacoli. Bolsonaro ha infatti tagliato i fondi per numerose agenzie ambientali e ha messo da parte l’Ibama, l’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili, incaricando invece i militari brasiliani di combattere i crimini ambientali.

C’è l’opposizione all’opposizione. Bolsonaro ha passato gli anni del suo governo ad attaccare i suoi avversari politici rendendosi debole di fronte ai brasiliani: se governate che vi strizzate a fare per delegittimare gli avversari? L’opposizione all’opposizione da parte di chi governa inevitabilmente appare come uno spreco di energie. C’è poi la strumentalizzazione della religione usata come cappio per frenare i diritti civili. C’è dunque l’amore per i ricchi, soprattutto quelli furbi. Dai, non è difficile capire cosa ci sia di fortemente italiano nella sconfitta di Bolsonaro, dopo quella di Trump.

Buon lunedì.

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Perché questa classe dirigente non può parlare di merito

Una scena iconica di questi primi giorni di legislatura è Alessandro Cattaneo, capogruppo alla Camera di Forza Italia, che con il piglio di quelli che vogliono sembrare di sapere illustra l’importanza del “merito e l’avversione della sinistra (loro vedono sinistra dappertutto) per quella parola. Poiché la drammaturgia della realtà e del nostro Parlamento spesso supera qualsiasi farsa, l’inquadratura televisiva riprende Cattaneo infervorato in difesa del merito e al suo fianco, seduta, Marta Fascina. La non-moglie di Silvio Berlusconi, deputata anche lei, ovviamente, di Forza Italia. Marta Fascina è risultata eletta in un collegio elettorale siciliano in cui non si è mai vista in tutta la campagna e in un’intervista ha confessato di esserci andata «in vacanza, da piccola» con i suoi genitori. Troppo potente quel frame per non diventare uno schiaffo virale intorno alla polemica sul merito che in questi primi giorni di governo ha coinvolto l’assise parlamentare e i giornalisti più o meno pensosi.

Perché questa classe dirigente non può parlare di merito
Alessandro Cattaneo alla Camera (da Fb).

La lezione (dimenticata) di Papa Francesco su meritocrazia e talento

Così, di colpo, è tornato in auge un discorso di Papa Francesco nel 2017 a Genova che inquadrò bene l’abuso del merito e della meritocrazia: «La tanto osannata meritocrazia, una parola bella perché usa il merito», ha denunciato il Papa, «sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza». Parlando a braccio, Francesco è andato poi più in profondità: «Il talento», ha spiegato, «non è un dono secondo questa interpretazione, è un merito non un dono». In quest’ottica «il mondo economico leggerà i diversi talenti come meriti. E alla fine quando due bambini nati uno accanto all’altro con talenti diversi andranno in pensione la diseguaglianza si sarà moltiplicata». In quest’ottica, «il povero è considerato un demeritevole e se la povertà è colpa del povero i ricchi sono esentati dall’aiutarli. È la vecchia logica degli amici di Giobbe, che volevano convincerlo che le sue disgrazie fossero colpa sua. No la verità è nella parabola del figliol prodigo: il fratello rimasto a casa pensa che l’altro si sia meritato la sua disgrazie, ma il padre pensa che nessun figlio si meriti le ghiande di porci».

Se il merito in politica è fedeltà o vicinanza (persino geografica) al capo

Farsi dare lezioni di meritocrazia dal Papa è già un segno dei tempi: il capo di un’organizzazione che non brilla certo per mobilità sociale e per meritocrazia supera per illuminismo le organizzazione politiche? Non è un buon segno. Del resto se il merito ce lo insegna una classe politica come quella attuale è tutto piuttosto difficile. Abbiamo oggi in posti di governo persone che per non disturbare il sorriso del loro padrone politico hanno votato in Parlamento Ruby Rubacuori nipote di Mubarak, tanto per dare un’idea. Non occorre nemmeno snocciolare i nomi per rendersi conto che molta della classe dirigente dei partiti in Italia sta lì per avere il merito di essere vicina (addirittura geograficamente) al leader giusto al momento giusto. E quella vicinanza spesso riesce a fruttare anche per più di un mandato, anche in occasione della fondazione di un nuovo partito. Non è un caso che siano innumerevoli gli episodi (questa sì sarebbe una bella inchiesta) di promozioni politiche all’interno dei partiti per meriti o affinità che non hanno nulla con la competenza politica.

Perché questa classe dirigente non può parlare di merito
La ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati (Getty Images).

Il familismo, nemico primo del merito, è una costante delle nostre imprese

Il merito, si diceva, ha bisogno di essere discusso da persone di cui sia almeno riconosciuta l’autorevolezza. Almeno questo, almeno per decenza. Si potrebbe così discutere di come il familismo, nemico primo del merito, sia la costante delle nostre imprese. Come fece notare Maurizio Ricci su Riparte l’Italia, «nel 2016, il 21 per cento delle imprese aveva un solo socio: il doppio di 10 anni prima. Un altro 47 per cento ne ha due. La proprietà è, dunque, sempre più concentrata e sempre più si confonde con la gestione. La metà del capitale di rischio è in mano alle stesse persone che amministrano e gestiscono l’azienda: nel 2005 la percentuale era minore. Il processo è evidente. Nel 2016, i due terzi delle imprese era a proprietà familiare. Nel 2005 erano solo il 56 per cento. Non è, necessariamente, una condanna. Anche nell’efficiente sistema imprenditoriale tedesco, la proprietà familiare è assai diffusa, nelle piccole come nelle grandi aziende. La differenza è nella gestione che, in Germania, viene sempre più spesso affidata a manager, in linea di principio più competenti e più attenti a separare interessi e patrimonio dell’azienda da quelli della famiglia. In Italia, invece, dice lo studio di Bankitalia, nel 60 per cento delle imprese familiari, proprietà e gestione coincidono».

Italia maglia nera in tutti e sette i pilastri del meritometro 

In Italia esiste il “meritometro”. Il meritometro è l’indicatore europeo che misura il livello di meritocrazia di un Paese. Elaborato dal Forum della Meritocrazia in collaborazione con l’Università Cattolica per fornire proposte concrete ai policy maker, si basa su sette pilastri: libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza e mobilità sociale. Il rapporto del 2021 ci dice che il merito segna il passo: sono sei Paesi su 12 con risultati complessivamente in peggioramento. Si conferma un’Europa a tre velocità. L’unico pilastro in aumento è la trasparenza e il pilastro con le performance peggiori è la libertà. L’Italia, a proposito di merito, è maglia nera in tutti i pilastri e nel ranking europeo per il sesto anno consecutivo. L’Index of Economic Freedom posiziona l’Italia è al di sotto delle medie europee (36esima posizione su 45 Stati europei), risultato dovuto al peso negativo dell’efficienza nella spesa pubblica, della burocrazia, della tassazione e delle inefficienze nella regolazione. Dal 1997 a oggi il nostro score è aumentato solo di 3,7 punti. Il Global Social Mobility Index ci posiziona al 34esimo posto su 82 Paesi in termini di mobilità: uno dei fattori determinanti (in negativo) è l’accesso ai livelli di istruzione superiore ancora troppo pesantemente influenzato dalle condizioni della famiglia di origine. Bisogna meritarselo, di poter parlare di merito.

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