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Guerra di secessione nella Lega. Ultimo Bestiario del sottogoverno

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In casa Lega se le danno di santa ragione. Intanto il governo liscia i no vax e viene sculacciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E poi c’è la comica di Giorgia Meloni che cede al gender. Eccoci al nostro quotidiano bestiario del sottogoverno.

BOTTE DA ORBI IN CASA LEGA
Primo strappo tra la Lega per Salvini premier e il “Comitato nord“, la corrente autonomista lanciata all’indomani delle elezioni per iniziativa (apparente) di Umberto Bossi. Il tesoriere di via Bellerio, Giulio Centemero, non ha apprezzato il proselitismo interno portato avanti dalla nuova associazione – rappresentata dall’europarlamentare Angelo Ciocca e dall’ex deputato Paolo Grimoldi – probabilmente attraverso l’uso di mailing list e recapiti in possesso del partito. E ha informato il commissario lombardo Fabrizio Cecchetti di aver “provveduto a inviare diffida a cessare la promozione dell’associazione politica “Comitato Nord” nei confronti degli iscritti a Lega per Salvini premier e l’utilizzazione dei simboli e della denominazione del partito”.

Aggiungendo di aver “depositato segnalazione presso il Garante della protezione dei dati personali per la violazione in opera da parte dell’associazione “comitato Nord” che sta procedendo a una raccolta dei dati personali degli iscritti di Lega per Salvini premier in violazione della normativa sulla privacy”. Ricordate quando in via Bellerio dicevano che non si trattava di nessuna spaccatura Mentivano, ovviamente.

MA VAX?
Il governo Meloni per lisciare i no vax annuncia di voler cancellare il bollettino quotidiano del Covid secondo l’antica strategia dell’ignorare un problema se non si riesce a risolverlo. Poi annuncia il reintegro dei medici sospesi per non essersi vaccinati: un condono sanitario. il Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella intervenendo alla celebrazione de “I Giorni della Ricerca” è intervenuto così: “Dopo oltre due anni e mezzo di pandemia non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid-19. Dobbiamo ancora far uso di responsabilità e precauzione. La sanità pubblica ha il compito di mantenere alta la sicurezza soprattutto dei più fragili, dei più anziani, di coloro che soffrono per patologie pregresse. Tuttavia sentiamo che il periodo più drammatico è alle nostre spalle”. In platea anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Le saranno fischiate le orecchie?

QUELLI CHE IL MERITO
Il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha nominato la senatrice Mariastella Gelmini vicesegretario e portavoce del partito. Lo annuncia una nota dell’Ufficio stampa. Sono gli stessi che da giorni cianciano di “merito”. In effetti hanno ragione: Gelmini ha avuto il merito di demolire la scuola pubblica, di votare Ruby nipote di Mubarak e avere il coraggio di fare una campagna elettorale sotto lo slogan del “polo della serietà”. Ce ne vuole di coraggio.

MELONI CEDE AL GENDER
La Presidenza del Consiglio dei ministri ha mandato una circolare a tutti i ministeri in cui chiede di utilizzare la declinazione al maschile per Giorgia Meloni. Per essere ancora più ridicoli Meloni ha deciso oltre all’articolo “il” di usare l’espressione “il signor presidente”. Con tanto di decisione su carta bollata. Direi non male come inizio, a proposito delle “reali preoccupazioni degli italiani”. (Quando poi “il signor presidente” si presenterà alle occasioni ufficiali con il suo compagno sarà proprio il trionfo del gender).

LA GENIALATA DI ADINOLFI
Mario Adinolfi: “Il ministro Abodi come primo atto dovrebbe chiudere Onlyfans, avvia alla prostituzione”. Onlyfans è un social a pagamento, a sfondo sessuale. Adinolfi non ha bisogno di descrizione, vero?

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Berlusconi atlantista, gli ucraini non se la bevono

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Dice la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che Silvio Berlusconi amico di Putin non è un problema. Ripete che questo governo è una garanzia nel suo posizionamento atlantista e europeista e che la vicinanza del leader di Forza Italia al presidente russo è un’invenzione dei giornalisti.

Il centro ucraino Myrotvorets definisce Silvio Berlusconi “criminale” e “complice di invasori e terroristi russo-fascisti”

Non la pensa così il centro ucraino Myrotvorets, da molti indicato come collegato ai servizi segreti ucraini, che regolarmente aggiorna la sua lista dei cosiddetti “traditori dell’Ucraina”. È la stessa lista, tanto per intendersi, in cui compariva il giornalista italiano Andrea Rocchelli ucciso da un colpo di mortaio ucraino durante la guerra in Donbass il 24 maggio del 2014. Dopo la morte di Rocchelli il sito Myrotvorets ha barrato la sua scheda con una scritta eloquente: “liquidato”.

Nella sua scheda Silvio Berlusconi viene definito “criminale”: “Un complice di invasori e terroristi russo-fascisti. – si legge – Complice dei crimini delle autorità russe contro l’Ucraina e i suoi cittadini. Violazione cosciente del confine di stato dell’Ucraina (Yalta, Crimea, 11.09.2015) insieme a Vladimir Putin. Seguono i dati anagrafici di Berlusconi e dei suoi figli.

“Silvio Berlusconi dice che Putin non voleva la guerra con l’Ucraina, è stato “spinta dalla popolazione russa” e dal suo partito ad attaccare e voleva solo “sostituire l’inutile governo di persone decenti di Zelensky”- si legge nel sito – 1.05.2022. L’amico di Putin ed ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi ha detto che l’Europa dovrebbe convincere Kiev ad accettare le richieste della Russia”.

E poi: “nel maggio 2014, in un’intervista a Die Welt, Berlusconi ha simpatia con la dichiarazione di indipendenza della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Luhansk, e ha anche avvertito che se la Russia fosse stata nuovamente isolata politicamente, si sarebbe riorientata verso la regione Asia-Pacifico”.

E ancora: “Il 14 settembre 2015 è stato emesso un decreto contro il cittadino italiano Silvio Berlusconi che gli vieta di entrare nel territorio dell’Ucraina per un periodo di tre anni nell’interesse di garantire la sicurezza del nostro stato”, afferma il documento.

Si pongono due questioni: l’Ucraina la pensa molto diversamente da Giorgia Meloni e forse qualcuno dalle parti del governo dovrebbe dire qualcosa.

 

 

Leggi anche: Nuova telefonata tra Meloni e Zelensky. “Pieno sostegno del Governo italiano a Kiev”. Il presidente ucraino ha invitato la premier a visitare il suo Paese

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Meloni allergica alla verità. Ecco il Bestiario di sottogoverno

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Sono talmente bugiardi che c’è l’imbarazzo della scelta. Eccone qualcuna. Bentornati al nostro quotidiano bestiario di sottogoverno.

VIA D’AMELIO
Giorgia Meloni, piuttosto inferocita, al Senato ha risposto all’ex magistrato Roberto Scarpinato che ha ricordato come il suo governo sia sostenuto da un leader di partito che ha fatto affari con la mafia (Silvio Berlusconi) e come i padrini politici di Fratelli d’Italia siano eversori nella storia della Repubblica. La Meloni risponde a Scarpinato definendolo “una persona che ha avuto la responsabilità di giudicare gli imputati nelle aule di tribunale”. Falso. Nella sua carriera Scarpinato non è mai stato magistrato giudicante. Bisognerebbe conoscere le carriere, prima di volerle separare. Poi ha parlato del “depistaggio nel primo giudizio per la strage di via d’Amelio“. Altra bugia. Anzi, Scarpinato è stato colui che da procuratore generale ha chiesto e ottenuto la revisione del processo. Bene, no?

E MA ALLORA IL PD?
Ogni volta che si parla di parentele accade la stessa cosa. Quando si scrive che Giorgia Meloni ha nominato suo cognato Francesco Lollobrigida ministro all’Agricoltura la risposta è sempre la stessa: “E allora il Pd? E allora la moglie di quello? E allora la moglie di quell’altro?”. La verità in certi casi, per fortuna, è cristallina. In base alle verifiche di Pagella Politica, è la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana che un presidente del Consiglio nomina un proprio parente (o affine) nel suo governo. Per la precisione, è la prima volta dal 1946 che due persone imparentate tra loro fanno parte dello stesso governo. L’ultimo caso di due parenti presenti contemporaneamente nello stesso esecutivo risale infatti al Regno d’Italia, al governo guidato da Benito Mussolini, durante la dittatura fascista. A proposito di coincidenze.

PURE PIANTEDOSI INIZIA BENE
Il 26 ottobre, in un’intervista con La Stampa, il nuovo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato della strategia che il governo adotterà per contrastare gli sbarchi dei migranti irregolari. Tra le altre cose, Piantedosi ha detto che questi sbarchi “non dipendono solo” dalle navi delle organizzazioni non governative (Ong) presenti nel Mar Mediterraneo, aggiungendo però che queste imbarcazioni “sono un fattore di attrazione per i migranti”. Al momento non esistono studi che supportino la teoria secondo cui le navi Ong attirino le partenze dei migranti, anzi. Secondo una ricerca pubblicata nel 2020, la presenza di navi umanitarie al largo del Nord Africa non influisce sulle partenze. Quest’ultime sembrano essere legate di più alle condizioni meteorologiche e all’instabilità politica della regione. Gli toccherà inventare un ministero del mare mosso per chiudere i porti.

CONTANTI… SALUTI
Secondo la Meloni (che ha rotto il tetto di cristallo, ma anche il tetto dei contanti che la Lega di Matteo Salvini vorrebbe portare a 10mila euro) l’innalzamento del tetto sarebbe giustificato dal fatto che non esiste una “correlazione tra intensità del limite del contante e diffusione dell’economia sommersa”. Detta altrimenti, la premier dà per certo che l’evasione fiscale non aumenterebbe se si alzasse il limite dell’uso del contante, più difficile da tracciare rispetto ai pagamenti elettronici. Solo che a oggi esistono poche ricerche scientifiche sul tema e una risposta definitiva, come lascia intendere Meloni, non c’è. Per quanto riguarda l’Italia, esistono alcune prove scientifiche secondo cui un aumento del tetto al contante può contribuire a un aumento dell’evasione. Gli studi però non dicono quale soglia al tetto sarebbe la più adatta per bilanciare i benefici della misura con i suoi costi, sociali e non solo. Contanti… saluti, alla verità.

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Giornaloni in ginocchio dalla Meloni

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È un riflesso pavloviano per il potere. Un pezzo della stampa italiana – un bel pezzo, si direbbe – ogni volta che viene nominato un presidente del Consiglio, che sia rosso o nero o ricco o povero o professore o cavaliere o donna di partito spezza tutte le matite precedenti per misurarsi in nuove agiografie. Metterli in fila fa spavento.

Da ributtante sovranista a statista come Draghi. Quanta bava per Giorgia Meloni. Come con tutti i potenti di turno

Il 26 ottobre mentre i giornali di destra celebravano il discorso di destra di Giorgia Meloni, Verderami sul Corriere (che vorrebbe essere il giornale dei progressisti) sottolineava invece il “sano pragmatismo”, la “presa d’atto del principio di realtà”, la “responsabilità”, l’“ortodossia”, e la lontananza dall’“armamentario ideologico del sovranismo”. È lo stesso Corriere della Sera che nei giorni dell’insediamento aveva pubblicato un pezzo dal titolo “Giorgia Meloni e il comfort look: pantaloni, camicia bianca e il cambio scarpe”. Quel giorno rimarrà memorabile.

“Pit stop scarpe per Giorgia Meloni, dal mocassino basso al tacco elegante” titolava La Stampa, “Meloni e il cambio di scarpe: al rito della campanella spuntano i tacchi”, scriveva Repubblica, “Meloni, il look: cambio scarpe a Palazzo Chigi, arriva senza tacchi, poi…” scovava Il Messaggero, mentre Tiscali tirava un sospiro di sollievo: “E Giorgia finalmente ha sorriso”, “con quella carica empatica che fa della leader della destra italiana una figura che riesce a strappare simpatia anche da chi sta da tutt’altra parte della geografia politica”.

Ha fatto molto discutere il pezzo di Concita De Gregorio che a proposito del discorso di Giorgia Meloni alla Camera scriveva: “Impeccabile, tuttavia. Convinto. competente, appassionato, libero, sincero. Avercene, si dice a Roma”. E poi: “Non è lei che spaventa, è il caravanserraglio di vecchie cariatidi che sono salite a bordo della sua scialuppa entusiaste di ritrovare una verginità grazie alla sua giovinezza”. E infine: “Per la prima volta da molti anni ho sentito – in un discorso di insediamento – l’eco di una storia personale appassionata e convinta e ho avuto voglia, avrei voglia, di discuterne”.

Del resto Giorgia Meloni è piaciuta fin da subito. Il 5 ottobre Repubblica la raccontava più forte della bronchite, più forte delle bizze di Salvini e del sonno: “Non bastasse Matteo Salvini, a peggiorare l’umore ci si mette anche una fastidiosa bronchite. Giorgia Meloni, però, non può riposare. Chiusa nel salone del gruppo, che domina la sommità di Montecitorio, la premier in pectore non si ferma un minuto”, si leggeva.

Il governo è partito con un’ottima stampa. Ci potrebbe anche stare se non fosse la stessa stampa, le stesse firme che fino a poche settimane fa randellavano la Meloni perché colpevole di opporsi al governo dei migliori di Mario Draghi (un altro esempio di ributtante luna di miele offerta dai media).

Giorgia Meloni contro Mario Draghi (che era il potente di turno) era una pazza dissennata che voleva la rovina d’Italia, magicamente nel giro di un mese la dissennata (che intanto ha conquistato il potere) diventa una “statista” che non ci eravamo accorti di avere. Ma c’è un altro particolare ancora più raccapricciante: oggi a essere sotto tiro sono gli alleati di governo, Salvini e Berlusconi, che fino a un mese fa erano esempi di responsabilità perché garantivano il proprio appoggio al governo Draghi.

La vedete l’ipocrisia Tranne poche eccezioni, la stampa nazionale ha completamente invertito la narrazione smentendo in gran parte tutto quello che aveva scritto. Qui non si tratta solo di essere benevoli con il potente di turno, si tratta anche di non avere la minima considerazione per l’integrità della propria linea editoriale (normale in un Paese che ha rarissimi esempi di editori puri) e poco rispetto per i propri lettori.

Lettori che improvvisamente si ritrovano catapultati nel mondo della Meloni che si è fatta da sola grazie alla sua autorevolezza: la stessa autorevolezza con cui aveva votato che Ruby Rubacuori fosse figlia di Mubarak per salvare Berlusconi. Poi ci si chiede perché i giornali perdano copie e i politici perdano voti.

Leggi anche: Dal caro-energia alla Manovra. Per il Governo già si mette male. Draghi ha lasciato in dote un tesoretto di 10 miliardi. Ma solo per sforbiciare le bollette ne servono 20

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Il senso di Crosetto per la stampa

Una giornata esemplare. Ieri Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi hanno pubblicato un’inchiesta sul nuovo ministro alla Difesa Guido Crosetto. Che le porte girevoli tra produttori d’armi e politica siano un problema in questo Paese lo scriviamo (e lo scrivono in molti) ben prima di Crosetto. Minniti, già ministro degli Interni e deputato, va a Leonardo. Cingolani, da Leonardo al ministero e ritorno. E ora Crosetto, da Aiad (la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, ndr) alla Difesa.

Domani racconta che «nel 2021 ha incassato da Leonardo 619 mila euro in consulenze. La somma girata dal nostro colosso degli armamenti al fondatore di Fratelli d’Italia risulta in pratica superiore allo stipendio garantito al presidente della partecipata, che lo stesso anno ha preso 504 mila euro. Leonardo è tra le prima aziende fornitrici del dicastero ora guidato da Crosetto». Poi, secondo Domani, «bisogna aggiungere altri 82 mila euro incassati da Orizzonte sistemi navali, altra azienda controllata da Fincantieri e Leonardo. Più altri 200 mila euro versati all’ex lobbista da spa con soci privati e pubblici, tutte impegnate nel settore difesa».

Il ministro, sentito dai giornalisti, rilascia una spiegazione curiosa. Dice che era a Leonardo «come advisor in quanto presidente dell’Aiad. Per intenderci, io non avevo un ufficio a Leonardo, e non rispondevo a nessuno in Leonardo. Il mio compenso e il tipo di lavoro che svolgevo sono due cose distinte, nate dal fatto che il presidente dell’Aiad è indicato dalle aziende associate. Io sono stato indicato da Leonardo, che mi pagava per quell’incarico».

Con i giornali in edicola Crosetto ieri mattina pubblica un tweet (piuttosto sgrammaticato) in cui dice: «Ho dato mandato allo Studio Legale Mondani perché sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalisti possano intendere, di fronte alla diffamazione. Il mio ora e’ un’obbligo Istituzionale: quello di difendere il Dicastero».

C’è una fallacia logica evidente: non c’è nessuna offesa “al Dicastero” (altrimenti ci sarebbe l’avvocatura di Stato, senza bisogno di contattare nessun studio legale) ma si parla dell’opportunità di una nomina ministeriale a un presunto lobbista.

Crosetto dà spiegazioni? Niente. Spiega cosa c’è di sbagliato in quell’articolo di Domani? Niente. Allora perché scrive di avere dato mandato a degli avvocati senza preoccuparsi di ristabilire la sua verità? A pensarci bene al di là delle legittime querele a un politico dovrebbe interessare la limpidezza della propria immagine pubblica, ancor di più in un periodo delicato com’è l’insediamento di un nuovo governo. Semplice: minacciare una querela serve a scoraggiare. In questi giorni tutti i giornalisti (e i loro direttori) sanno bene che scrivere una parola sbagliata potrebbe accendere un’azione legale. In più si sposta l’asse dal punto politico che, come scrive il direttore di Domani, è un altro: «La situazione di conflitto di interessi non implica una accusa di comportamenti inappropriati o criminali. È una situazione oggettiva: un ex lobbista dell’industria della difesa, che nel settore guadagnava e potrebbe guadagnare milioni, potrebbe essere visto dalle controparti come non disinteressato nelle decisioni che prenderà».

Buon venerdì.

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Manganelli all’università. “Un episodio che svela l’orientamento del governo”

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Raffaella Casciello il mondo dell’attivismo lo conosce e lo frequenta da anni. È portavoce di UP! Su la testa!, un’organizzazione politica che dà voce a “lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti, persone che per la propria condizione sociale e generazionale continuano a pagare caro il prezzo della crisi, degli anni di austerità, della precarietà, dello smantellamento dei servizi pubblici, del razzismo sistemico, dell’omolesbobitransfobia dilagante, delle diseguaglianze insopportabili, dell’assenza di opportunità e prospettive”. Con lei abbiamo parlato degli scontri tra studenti e polizia all’università La Sapienza e del dissenso che verrà.

Partiamo dall’inizio, l’altro ieri. Che ne pensa degli scontri all’università e delle reazioni della politica
“Fa tornare in scena meccanismi che abbiamo già visto nei decenni passati, direi dalla nascita della Repubblica. Torna in maniera forte su giovani che hanno deciso di manifestare il proprio dissenso a un convegno. Si tratta di un episodio che racconta anche l’orientamento di questo governo. I fatti vengono immediatamente dopo il discorso alla Camera di Giorgia Meloni in cui parlava di “simpatia” per giovani che manifestano il proprio dissenso, lasciando trasparire un approccio paternalistico che serve a neutralizzare il pensiero divergente, a non prenderlo sul serio. A me lascia la sensazione di voler spostare, come sempre, i manifestanti al di fuori dal campo democratico additandoli come nemici della nazione. È un segnale terribilmente preoccupante: la democrazia è tutela delle minoranze dei pensieri differenti”.

Molti politici hanno detto che i veri fascisti sarebbero stati gli studenti. Ormai il termine “fascista” vale per tutto?
“È in atto un tentativo di neutralizzare il dato storico di un evento che avuto conseguenze devastanti sulle. Utilizzare l’aggettivo “fascista” come se fosse neutrale è un profondo errore. Soprattutto perché descrive il tentativo di offuscare alcuni eventi, di neutralizzare il portato di un pensiero differente. ‘Fascista’ ha senso preciso, anche in questo momento storico di riferisce a dinamiche chiare e precise. L’università dovrebbe essere cattedrale di libertà, di scelta e di pensiero. La fiamma nel simbolo, ad esempio, quella è ‘fascista’..”

Molte condanne contro gli studenti sono arrivate anche dal mondo liberale, in primis Calenda…
“La gente che applaude le manganellate mi disorienta. Questo è emblematico del cambiamento strutturale in atto. Da quando la tecnocrazia è diventata l’unico strumento e la politica ha perso la sua funzione nei processi democratici è successo che tecnocrazia è diventato l’unico strumento di sintesi che riduce a mera tecnica il bilanciamento degli interessi (che guarda caso è sempre a favore delle classi dominanti). Questo è già contrario alle fondamenta della democrazia per come la intendiamo noi (ovvero strumento di tutela delle minoranze, del tutti che possano sentirsi liberi di dire la propria opinione). Così finisce per essere un viatico interessi del potere e mai di quelli senza voce”.

Si potrebbe obiettare: Capezzone aveva diritto di tenere comunque la sua conferenza…
“Io credo che Capezzone abbia il diritto e che gli studenti hanno il diritto di dissentire. Quello che trovo illegittimo è l’utilizzo della forza per reprimere chi la pensa diversamente. È lo Stato a essere illegittimo se usa la forza come strumento di offesa”.

Negli ultimi anni la politica ha ancora di più criminalizzato il dissenso. Ha responsabilità anche il centrosinistra
“Assolutamente sì, anche per le larghe intese con governi di tutti i colori. Bisogna farli lavorare, ripetono spesso. Lo dicevano anche in pandemia, anche sulla guerra (i pacifisti vengono etichettati come nemici della nazione perché esprimono opinione divergente). C’è sempre un buon motivo per non dissentire. Per effetto di una normalizzazione della politica è avvenuto che non c’è più la possibilità di interpretare dinamiche lotta con strumenti che riescano a mettere in discussione il potere. Tocca a noi che scendiamo in piazza (per il clima, per la pace, per l’antifascismo) fare ricordare cosa significhi il diritto al dissenso. Il centrosinistra non mi sembra in grado di rappresentare queste istanze, distanza consistente”.

E come si organizza il dissenso, senza l’aiuto della politica
“Una traccia ce l’hanno dato i giovani, quelli che vengono criminalizzati. Per esempio per effetto delle manifestazioni sui temi ambientali oggi c’è una fiducia nei confronti di questi giovani che si mobilitano e che mettono al centro alcune questione. Un modello sono anche le battaglie femministe che negli ultimi anni hanno fatto emergere un modo differente di produrre battaglia politica e presenza in piazza in grado di raccogliere tutte le istanze. La speranza sta lì. In questo momento di grande crisi della politica e dei movimenti è necessario guardare a queste nuove forme di organizzazione”.

Si inasprirà il dissenso nei prossimi mesi?
“All’orizzonte di sono grossi problemi: lecondizioni materiali delle persone, le bollette, i salari fermi da 30 anni È chiaro che nei prossimi mesi si alzeranno i livelli di conflitto. Ma pensare che il conflitto non sia fondamentale per far emergere le questioni, quello sì è fascismo”.

Come innescare la partecipazione nei partiti?
“Dipende dai partiti e dipende e dalla creatività di costruire nuove forme di organizzazione. I giovani sono impegnati su femminismo, diritti civili, questioni ecologiste Hanno più chiari degli adulti da Questa nuova proiezione del mondo futuro produrrà nuove forme di organizzazione che credo vadano strutturate. E credo che ci sia bisogno di una riforma totale dei meccanismi di partecipazione”.

 

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Nostalgici in marcia su Roma. Ecco il Bestiario del sottogoverno

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Partono le celebrazioni fasciste per la marcia su Roma. Giorgia Meloni viene beccata mentre dice parolacce e da Forza Italia ci danno lezioni sul merito. Ecco il bestiario del sottogoverno.

IL MARCIO INTORNO ALLA MARCIA
Paternò, centro alle porte di Catania, ieri mattina si è svegliata con i muri tappezzati di manifesti per ricordare la marcia su Roma del 1922 che lanciò il fascismo. Affissione che è stata autorizzata dal sindaco, come denuncia il Partito democratico chiedendo l’intervento anche del presidente del Senato Ignazio La Russa, che è originario proprio di Paternò. Tu guarda a volte le coincidenza, eh?

ARABIA VIVA, CALENDA CHE DICE?
8 settembre, Carlo Calenda a Piazza Pulita: “Io sono pronto a votare domani mattina una legge che renda illecite le consulenze pagate ai politici”. Mentre alla Camera si votava la fiducia al governo Meloni, il senatore Matteo Renzi era in Arabia Saudita per partecipare alla sesta edizione della Future investment initiative. L’evento, in programma dal 25 al 27 ottobre, ha come titolo “Creare un nuovo ordine globale” e consiste in una serie di conferenze organizzate dall’organismo controllato dal fondo sovrano saudita, il Saudi public investment Fund (Pif), che fa capo alla famiglia reale di re Salman. Carlo, fatela ‘sta legge, no? Vedrai che se la proponi il governo la vota in un attimo.

L’ALTO PROFILO: “CHE MERDA”
È diventato virale sui social network un estratto dell’intervento di Giuseppe Conte alla Camera, durante le dichiarazioni di voto di fiducia al governo. “Al Parlamento europeo voi non avete votato il Next Generation Eu. Astenersi in parlamento significa non far passare il Next Generation e il Pnrr. Se fosse stato per voi non lo avremmo avuto” dice il leader del Movimento 5 stelle a Giorgia Meloni. Lo schermo, diviso in due, mostra anche la reazione di Meloni che, osservando il labiale, sembra pronunciare un insulto. In particolare, l’ipotesi che va per la maggiore sui social è che lei abbia usato l’espressione “che merda…”.

Il deputato del Pd Alessandro Zan scrive: “La Presidente @GiorgiaMeloni smentisca immediatamente il presunto insulto rivolto a @GiuseppeConteIT. In caso contrario, lo esterni in casa propria o in via della Scrofa, non di certo nell’Aula di Montecitorio, tempio della democrazia”. Chissà ora che dicono tutti i giornalisti barzotti per l’eleganza e l’autorevolezza della presidente del Consiglio.

SALVINI E I DESSERT
Salvini: “Il mio ministero si occupa di terra e mare”. Probabilmente gli hanno assegnato il ministero per il menù del fine settimana.

CHE SCHIF… ANI LA GIUSTIZIA LENTA
Come racconta Attilio Bolzoni “in nome di una giustizia più veloce ed efficiente si possono fare acrobazie da capogiro. E il bello è che le carte sono tutte a posto, così a posto che una prescrizione di massa è garantita al mille per mille. Tutti lo sanno e nessuno fa niente, nessuno muove un dito per rianimare un processo, per salvarlo, per trascinarlo fuori da una palude che lo sta inesorabilmente inghiottendo”. Si tratta del processo Montante. Per mancanza di giudici il presidente del tribunale di Caltanissetta Francesco D’Arrigo ha riunificato due tronconi del dibattimento del processo Montante. Ne è nato un processo mostro dove dovranno essere riascoltati i testi sentiti nel primo processo. Si ricomincia daccapo. Tra gli imputati il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani. E il governo che dice?

A PROPOSITO DEL MERITO
Ieri l’onorevole Cattaneo (Forza Italia) in Parlamento ci ha spiegato cosa sia il merito in un intervento accalorato e duro. Al suo fianco alla Camera c’è Marta Fascina, che ha il merito di essere la compagna del padrone di quel partito. Questo è tutto.

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Non c’è niente da capire

Qualcuno che gira con diecimila euro in contanti nel borsello non è un povero. Partiamo da qui, almeno per evitare di apparire scollegati dalla realtà di un Paese in cui la retribuzione globale annua (Rga) media si aggira intorno ai 30.000 euro, mentre la retribuzione annua lorda (Ral) media è pari a circa 29.500 euro (circa 1.700 euro netti al mese). Diecimila euro non li vedranno mai tutti insieme i 5,6 milioni di poveri nel nostra Paese (di cui 1,4 milioni sono bambini) che aspirano ad avere il problema di scegliere con quale modalità pagare visto che pagare rimane il loro insormontabile problema.

Qualcuno dice che la prima mossa del governo Meloni abbia a che fare con la “libertà”. Anche questa teoria è fragile. Basterebbe misurare le due urgenze: è più urgente dare “la libertà” di scegliere se pagare in contanti, in elettronico, con sesterzi o con il baratto o è più urgente trovare una soluzione perché tutti paghino ciò che si deve? Il governo ha scelto. L’ha scelto, si badi bene, come primo atto di un governo che arriva mentre le bollette stanno scarnificando le imprese e le famiglie, lo ha scelto mentre i salari da fame stanno sbriciolando i progetti e le speranze, lo ha scelto mentre la crisi climatica aumenta i pericoli e i costi per i cittadini, lo ha scelto mentre una guerra continua a bruciare alle porte dell’Europa. Questione di priorità, semplicemente.

Il governo Meloni, per mano del suo ministro all’Interno Piantedosi e del suo ministro alla Salvinità Matteo Salvini, ha messo nel mirino come primi nemici le navi delle Ong nel Mediterraneo. L’ha fatto nel momento in cui i morti si moltiplicano (tra bambini bruciati e bambini annegati) e lo fa insistendo con una violazione delle convenzioni internazionali, soprattutto quelle che riguardano la sicurezza in mare, la Convenzione di Amburgo e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e i richiedenti asilo. «Non si capisce quale sia la fonte giuridica che utilizza per ventilare un illegale e illegittimo blocco di navi che hanno soccorso naufraghi e che chiedono un Place of safety, come prevede la Convezione di Amburgo, che è molto chiara e non parla di bandiere, ma semplicemente di obbligo del soccorso», ha spiegato ieri all’Adnkronos Luca Casarini, capomissione di Mediterranea saving humans. Era una priorità? Evidentemente sì.

La prima proposta di legge depositata dalla maggioranza è quella di Maurizio Gasparri per scassare la 194. La ministra nominata alla Famiglia (e Natalità) è un’antiabortista fuori dal tempo e fuori dalla realtà che nelle sue prime interviste ha ribadito la propria idea provando a rassicurare (male) che i diritti delle donne non verranno toccati specificando però che l’aborto non lo ritiene un diritto. Era una priorità del Paese? Evidentemente sì.

In compenso ieri è stato bollato come “ideologico” l’intervento in Senato di Roberto Scarpinato, storico magistrato antimafia e ora capogruppo del Movimento 5 stelle, che ha semplicemente ricordato che questo governo si regge sui voti di un leader di partito (Silvio Berlusconi) che ha pagato per anni Cosa Nostra e che ha avuto come braccio destro un ex senatore (Marcello Dell’Utri) condannato in via definitiva per essere stato “l’anello di congiunzione tra Berlusconi e la mafia”. Ideologico, hanno detto.

Non c’è molto da capire. Qui non siamo più nel campo dei propositi. Stiamo ai fatti. Questo è.

Buon giovedì.

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Revanscismo di governo

Il coro è sempre lo stesso, una simulata meraviglia per l’inclinazione alla democrazia della potente di turno. Sfogliando questa mattina la rassegna stampa si possono riconoscere le stesse voci di intellettuali e giornalisti che sculettano da progressisti ma non riescono a trattenere la loro passione per il potere, qualsiasi potere. Rosso, nero, uomo, donna, borgataro o esimio professore il potere va bene in tutte le salse. L’adorazione per lo scranno più alto del Consiglio dei ministri è un’inclinazione che ha le fattezze del servilismo. Capita così che la realtà venga piegata ai propri desiderata senza un briciolo di vergogna: «Sembra un PdC di centro sinistra riformista», twittava ieri una giornalista. Basta prendere questa frase come fotografia dell’imbarazzo che ci assale.

La destra che torna al governo dopo il 1946 invece fa la destra, ne indossa tutte le caratteristiche (anche le peggiori) e basta una giornata consumata alla Camera per scalfire il fondotinta che ha indossato durante la passerella dell’investitura. Giorgia Meloni fa un comiziaccio di partito con poca patina istituzionale e celebra la retorica più destrorsa che si sia mai ascoltata da una presidenza del Consiglio sfoderando promesse di non tradire e non indietreggiare, come in una brutta puntata di Sturmtruppen. Racconta la storia d’Italia scivolando dal Risorgimento dimenticando la Liberazione italiana (sarà per non “tradire” i suoi Fratelli d’Italia) riducendo il fascismo alle leggi razziali (da cui prende le distanze per confermare la sua aderenza a tutto il resto?) e l’antifascismo a ragazzetti con il gusto di pestare con la chiave inglese.

Chiama per nome le donne che le sono di esempio ma non riesce a non ridicolizzare il femminismo tirando fuori dal cilindro la battuta della “capatrena” che non farebbe ridere nemmeno detta al bar della Garbatella. Snocciola un filotto di riferimenti culturali che sembra confezionato dalla home page di un sito di aforismi (Roger Scruton e Montesquieu, Cormac McCarthy e Steve Jobs) e consegna come scena madre la sua abiura ai regimi antidemocratici («tutti i regimi antidemocratici», puntualizza Meloni, tanto per annacquarne qualcuno) applauditissima dai commentatori del potere. “Avete visto? Ha preso le distanze dal fascismo!”, scrivono in coro quelli che dimenticano di parlare dell’erede del partito di Almirante. «Avete visto? Che credibilità!”, scrivono della presidente del Consiglio che votò Ruby come nipote di Mubarak.

Quando le capita di rivolgersi al deputato Aboubakar Soumahoro ne sbaglia il cognome (ci può stare) e poi non riesce a non dargli del tu. Sarà un caso che Soumahoro sia nero. Sarà un caso che Meloni si scusi dopo le proteste dai banchi dell’opposizione. Funziona, comunque: i villi intestinali dei suoi elettori sono ugualmente soddisfatti per quello scivolone che a loro dice più di tutto il resto del discorso.

La destra fa la destra e coccola gli evasori, sventola “l’ordine” in nome della sicurezza (una retorica che ormai fa presa solo qui, vecchia come il mondo), promette contemporaneamente deregolamentazione e protezionismo, propone un europeismo che è solo postura (partendo da San Benedetto!), usa Montesquieu per fingersi liberale (ma è semplicemente liberista), accarezza gli imprenditori con la narrazione dello «Stato tiranno», si rimangia la promessa delle riforme costituzionali solo se condivise («sia chiaro che non rinunceremo a riformare l’Italia di fronte ad opposizioni pregiudiziali»), lascia intendere una tolleranza dell’evasione come nuovo patto fiscale, srotola solo bolsa retorica sulla battaglia alle mafie (proponendo il riuso dei beni confiscati che già c’è ma non se n’è mai accorta), sfodera «l’ambientalismo ideologico» rivendicando (applaudita!) la priorità dei benefici dell’uomo sui danni dell’ambiente (un passo indietro di quarant’anni almeno), incasella l’immigrazione in un contesto solo economico e militare. La destra fa la destra.

Per Giorgia Meloni è tutto revanscismo. La voglia di urlare la rivincita ci presenta una presidente del Consiglio che chiede la fiducia attaccando l’opposizione. Il vittimismo, vedrete, sarà il segno distintivo di un governo che grazie al vittimismo è riuscito a ingrassare il proprio bacino elettorale stando all’opposizione. Intanto fuori i manganelli spaccano le teste agli studenti «per impedire l’assalto alla cerimonia», ci spiega il ministro all’Interno Piantedosi. Piantedosi che ha già trovato il tempo di mettere sotto i riflettori le Ong nel Mediterraneo mentre il Mediterraneo ci restituiva altri corpi di bambini di pochi mesi.

La luna di miele di Giorgia Meloni è appena iniziata ma durerà poco come per tutti gli altri. Quelli che prima la disprezzavano e ora la adorano – più o meno velatamente – sono pronti a lasciarla appena finiranno le briciole di pane di cui si cibano.

Buon mercoledì.

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All’Università tornano i manganelli. Ecco il Bestiario di sottogoverno

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Si parte e s’ode subito rumore di manganelli. C’è Piantedosi che gioca a fare il Salvini, il vittimismo come talento di governo e Confindustria che gode. Eccoci al bestiario di sottogoverno.

SI RIVEDONO I MANGANELLI
“Difficilmente riuscirò a non provare […] simpatia anche per i giovani che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo”, dice Giorgia Meloni durante il suo discorso alla Camera per ottenere la fiducia. Intanto i giovani scendevano in piazza all’esterno della facoltà di Scienze Politiche all’università di Roma La Sapienza dove erano attesi Capezzone e Fabio Roscani, deputato di Fratelli d’Italia e presidente di Gioventù Nazionale per una conferenza sul “capitalismo buono”. La risposta Manganellate addosso. Non male come inizio.

UN MATTEO PEGGIO DELL’ALTRO
I nuovo ministro all’Interno Matteo Piantedosi ha emanato una direttiva ai vertici delle Forze di polizia e della Capitaneria di porto perché informino le articolazioni operative che il ministero degli Affari esteri, con note verbali alle due ambasciate degli Stati di bandiera (Norvegia e Germania), ha rilevato che le condotte delle due navi Ocean Viking e della Humanity 1 attualmente in navigazione nel Mediterraneo non sono “in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”. È il solito giochetto della destra: si dicono contro l’immigrazione clandestina ma mai una volta che riescano a prendersela con i trafficanti. No, solo contro le Ong.

GNEGNEISMO DI GOVERNO
“Dobbiamo avere la consapevolezza che troveremo ostacoli; ostacoli ovviamente per la situazione economica, ma ostacoli perché c’è una sinistra rancorosa, intrisa nel pregiudizio, tanto da mancare nell’applauso prima delle dichiarazioni. Questa sinistra cercherà di infiammare la piazza, portare fuori dalle aule il conflitto. Questo non deve essere permesso, i problemi si risolvono nelle Aula”. Lo ha detto Stefano Candiani (Lega) intervenendo alla Camera durante il dibattito sulla fiducia. Vittimismo anche se sono al governo. Il vittimismo come talento innaturale della destra, fin dal 1946.

CONFINDUSTRIA GODE
Dice la Meloni: “Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto. Perché la ricchezza la creano le imprese con i loro lavoratori, non lo Stato tramite editto o decreto. E allora il nostro motto sarà “non disturbare chi vuole fare”. Abbiamo bisogno di meno regole, ma chiare per tutti. E di un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, perché il cittadino non si senta parte debole di fronte ad uno stato tiranno che non ne ascolta le esigenze e ne frustra le aspettative”. “Non disturbare chi vuole fare” e “Stato tiranno” sono esattamente il programma politico di Confindustria: deregolamentare per lasciare le mani libere agli imprenditori ma soprattutto ai prenditori. Cosa potrà andare storto?

CORSO DI STORIA PER LA MELONI
Nel suo discorso per la fiducia Giorgia Meloni ripercorre la storia d’Italia saltando dal Risorgimento ai giorni nostri. Manca qualcosa Sì, la Liberazione dal fascismo. Sarà stato un lapsus. In compenso condanna le leggi razziali (glielo chiede l’Europa) e derubrica la Resistenza a “una guerra civile tra due parti fino agli anni settanta”. Sì, peccato che una delle due parti sia incivile e soprattuto incostituzionale.

RENZI S’OFFRE
Fonti da Italia Viva: “Grande soddisfazione per l’intenzione di Fratelli d’Italia di istituire una commissione d’inchiesta che indaghi sulla gestione della pandemia e in particolare modo faccia luce su chi ha eventualmente lucrato sugli acquisiti Covid. Matteo Renzi è da sempre in prima linea su questo e non farà mancare il suo contributo”. Non avevamo dubbi Matteo che sarai in prima linea, mica solo sul Covid.

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