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Verso un congresso farsa. Così il Pd cambierà senza cambiare nulla

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Stefano Bonaccini chiede di accelerare la data del congresso del Pd. Per chi osserva i segnali politici il messaggio è chiaro: gli equilibri si stanno definendo e la gara può cominciare. Il presidente della Regione Emilia Romagna non scioglie la riserva (“se mi candiderò lo dirò a tempo debito”, dice) ma propone una base programmatica.

La vittoria di Stefano Bonaccini al prossimo congresso del Pd è già scritta. Ma dovrà scendere a patti con le correnti

“Lavoro, clima, scuola, sanità e diritti civili, i pilastri di una nuova stagione: pochi punti spiegati bene e con un partito che non sia populista, ma diventi un po’ popolare”, dice Bonaccini che aspetta la direzione del partito convocata per venerdì quando Enrico Letta detterà i tempi delle quattro fasi. La prima, fondamentale per capire il ruolo di Elly Schlein, sarà la cosiddetta “chiamata” per allargare la partecipazione al di fuori del partito. Solo lì si saprà se l’ex vice proprio di Bonaccini (ora in Parlamento) deciderà di correre per la segreteria.

Franceschini gioca su più tavoli e lascia intendere di poter sostenere la candidatura di Nardella

Le altre fasi, discussione dei punti politici e candidature, si concluderanno con i gazebo che sceglieranno i due candidati che andranno al ballottaggio. Il rischio vero, però, è che nel Pd si “cambi tutto per non cambiare niente”, come ci dice una deputata. Bonaccini sta tessendo i suoi fili con la corrente Base Riformisti (guidata dall’ex ministro Lorenzo Guerini) e sta dialogando con Area Dem a cui fa capo Dario Franceschini. Che però gioca su più tavoli (al solito) e nel frattempo lascia intendere di poter sostenere la candidatura del sindaco di Firenze Dario Nardella anche lui ufficialmente non candidato ma già immerso nel gioco di relazioni all’interno del partito.

De Micheli sta organizzando i suoi comitati regionali

Poi c’è l’unica candidata ufficiale al momento, Paola De Micheli, che sta organizzando i suoi comitati regionali mentre al Nazareno ipotizzano anche la partecipazione del sindaco di Pesaro Matteo Ricci (in tour in Italia con il suo progetto “Pane e politica”), il capodelegazione al Parlamento Europeo Brando Benifei (che vorrebbe puntare sul “ricambio generazionale”).

“Ma il punto vero – ci dice un dirigente del partito – è che a oggi sembra chiaro il piano di Letta: blindare il partito rassicurando tutte le correnti interne per fare in modo che il prossimo segretario non sia una “rivoluzione” ma semplicemente un amministratore di equilibri consolidati e garantiti”.

Qualcuno teme che la “rinascita” declamata sia solo una spolverata di facciata che lasci il partito nelle stesse condizioni di ora, puntando su un rinnovamento estetico. “Benifei, De Micheli, Ricci e Nardella usano il congresso per potersi sedere e trattare: alcuni vogliono un buon posto per le prossime elezioni europee, altri si accontentano di avere qualche peso nella segreteria che verrà.

Non è un congresso, ad oggi sembra che il Partito democratico stia facendo le parlamentarie per Bruxelles. Bonaccini è un romagnolo, alla fine si metterà d’accordo con tutti, sempre nello spirito della Ditta…”, ci dicono.

Provenzano ha già annunciato un passo indietro. Orlando indeciso sul da farsi

Ai nomi in campo manca anche la parte più a sinistra del Pd con Peppe Provenzano che ha già annunciato un passo indietro e l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando che sembra indeciso sul da farsi. Anche sulla capacità della Schlein di “ribaltare” il partito ci sono dei dubbi: “Per avere persone che conoscono ‘la macchina di partito’ Schlein dovrebbe puntare sui ‘neutrini impazziti’ che non fanno riferimento a nessuna corrente. Ma per riuscirci dovrebbe fare aperture su temi che non sono i suoi”, riflettono dal Nazareno.

“Rischiamo di finire con un ‘tutto cambia perché nulla cambi’…”, dice sconsolata una dirigente. Si attendono le mosse dei “giovani turchi” di Matteo Orfini, mentre gli esclusi dalle ultime elezioni valutano se organizzare una candidatura “di vendetta”. Questa, per adesso, è l’aria che tira.

Leggi anche: Altro che opposizione senza sconti. Del Pd di Letta si sono perse le tracce. Aspettando il Congresso, tra i Dem è stallo totale

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Merito

Oggi l’onorevole Cattaneo (Forza Italia) in Parlamento ci ha spiegato cosa sia il merito in un intervento accalorato e duro. Al suo fianco alla Camera c’è Marta Fascina, che ha il merito di essere la compagna del padrone di quel partito. Questo è tutto.

La destra e la scuola classista. Ora il Bestiario è del sottogoverno

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Forte ‘sto governo. Mentre Silvio studia come rosicchiarlo, il suo Mulè apre la sagra dei fraintendimenti. Intanto scoprono che per fare nuovi ministeri non basta inventarsi un nome. E poi c’è il solito Salvini bugiardo.

IN MERITO AL MERITO
La risposta migliore sul ministero del Merito voluto da Meloni e i suoi alleati la dà in un’intervista Mario Lancisi, biografo di Don Milani: “Uguaglianza e merito – dice Lancisi – si integrano in un processo collettivo in cui ciascun ragazzo si mette al servizio degli altri. Vince il noi, non l’io. Il lavoro di squadra e non l’invenzione del genio. Non il merito ma la solidarietà di gruppo. Io vedo nel ritorno classista al merito la spia culturale di un governo che punta alla società dei più forti e dei più ricchi. Aver voluto aggiungere la dicitura del merito al ministero dell’Istruzione non è quindi un’operazione folkloristica, ma funzionale all’ideologia di destra dei nuovi padroni d’Italia”. Ecco tutto.

LA SAGRA DEL FRAINTESO
Come da copione in Forza Italia si parte con il “sono stato frainteso”. Il berlusconiano Giorgio Mulè in un’intervista a Repubblica pone il problema “dell’incompatibilità” di Tajani e Bernini che ricoprono ruoli di governo e di partito. Non serve essere troppo furbi per capire che chiede le dimissioni dai loro ruoli all’interno di Forza Italia. Nel pomeriggio dice di essere stato “frainteso”: “Non ho detto che Tajani ‘deve dimettersi’. In quest’ultimo caso sarei incorso nell’uso dell’imperativo che è modo da non coniugare in politica”, dice. In sostanza: Tajani deve dimettersi, ma gentilmente.

FACILE CAMBIARE SOLO I NOMI
Ora c’è il ministero del Mare, della Sovranità alimentare, della natalità e così via. Solo che per cambiare nome serve un decreto, non basta dirlo tutti contenti ai giornalisti. E soprattutto bisogna decidere chi fa cosa. Salvini, ad esempio, sfruttando il buco legislativo sta incontrando membri della Guardia Costiera per cominciare subito a giocare alla caccia al migrante. Solo che il ministro del Mare, Nello Musumeci, dice che i porti sono di sua competenza, visto che stanno nel mare. A questo punto potrebbero risolverla facendo un bel ministero dei porti.

SBUGIARDATO SALVINI
Decreti “Sicurezza”, 30 miliardi per i rincari, autonomia ed estensione della flat tax: in campagna elettorale Salvini voleva che queste misure fossero adottate nel primo Consiglio dei ministri di un governo di centrodestra. Le cose non sono andate così. Strano, eh?

È LA STAMPA, BELLEZZA…
Su Twitter Fabio Chiusi ha deciso di buttare un occhio sulla stampa italiana di fronte al cambio di potere. Sulla home page di Libero ieri fioccavano articoli già in odore di complotto: “Magistrati e alta finanza, è già pronto il complotto contro la Meloni”, titolavano. E poi: “La bomba non è ancora esplosa. Ma…”. Meloni rischia, voci dalle Sacre stanze”. Altri quotidiani si sono sprecati su articoli editoriali sulle scarpe di Meloni. Insuperabile il titolo de Il Messaggero: “Meloni, il look: cambio scarpe a Palazzo Chigi, arriva senza tacchi, poi indossa le decolletés. Cinque paia in tre giorni”.

Tiscali incensa e tira un sospiro di sollievo: “E Giorgia finalmente ha sorriso”, “con quella carica empatica che fa della leader della destra italiana una figura che riesce a strappare simpatia anche da chi sta da tutt’altra parte della geografia politica”. Furio Colombo a L’aria che tira dice: “La performance di Giorgia Meloni è stata perfetta, con grazia, eleganza e senza eccessi di solennità”. Non c’è che dire, con questo giornalismo cane da guardia del potere il Governo starà già tremando.

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Montanari: “Altro che lasciarli lavorare, meno fanno e meglio è”

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“Lasciateli lavorare”, si sente dire in giro a proposito del governo Meloni. Non è d’accordo invece Tomaso Montanari, storico dell’arte, accademico e saggista italiano, rettore dell’Università per stranieri di Siena.

Montanari, dicono sia troppo presto per esprimere giudizi o per fare opposizione, che ne pensa
“Io credo che un’opposizione democratica di un governo confessatamente fascista non possa che partire immediatamente e debba provare ad impedire a quelli di svolgere un lavoro prevedibilmente dannoso per la nazione. Un governo di questo tipo si giudica dalle idee e dall’orientamento. La pregiudiziale antifascista, lo ripeto da sempre, dovrebbe essere il prerequisito fondamentale. Qui siamo di fronte a un corpo estraneo della vita democratica. Siamo di fronte a un governo legittimo formalmente che ha comunque il 27 per cento dei consensi sul piano sostanziale, tenendo conto degli astenuti. Nella crisi della democrazia questo è successo grazie a una legge elettorale chiaramente incostituzionale. Personalmente penso che meno facciano meglio sia”.

Come giudica la squadra di governo?
“Se nel centrosinistra il livello è bassissimo qui siamo di fronte a un livello infimo. Si tratta di un governo figlio di spartizione, di cognati, di consiglieri dei capi, di uomini della propaganda. Dopo avere ripetuto per mesi “siamo pronti” hanno dimostrato di essere tutt’altro che pronti. Dopo 70 anni arrivano inevitabilmente al governo con quello che hanno ovvero con una classe dirigente infima”.

Molti però invitano ad apprezzare che Giorgia Meloni sia la prima donna a Palazzo Chigi, colei che ha sfondato il tetto di cristallo…
“Ma proprio per niente. Il problema delle donne è di riuscire a arrivare a ruoli apicali senza introiettare valori maschili. Se arrivi ai vertici aderendo al modello patriarcale il fatto che tu sia una donna è irrilevante. Giorgia Meloni è accettata perché depotenziata, omologata. Ce l’ha fatta lei ma non significa avere risolto la questione femminile. In questo caso poi Meloni appoggia un modello che non solo è patriarcale ma che addirittura criminalizza le differenze”.

Come giudica il comportamento della stampa
“Ovviamente indecente. Non parlo di tutti quelli che fanno seriamente il loro mestiere. Il Corriere della Sera è già transitato da quella parte ma anche su Repubblica vedo crepe importanti. È il solito problema: il consenso al potere, vorrei dire servilismo, si sta già manifestando. Di vede da come viene romanticizzata la figura della presidente e da come ci si allinei a chiamarla “il” presidente senza rendersi conto che è un errore. Il supplente a scuola riferito a una donna è un errore: si dice la supplente, la docente. È italiano. La stampa è riuscita a omologarsi anche sugli errori di grammatica”.

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Ora la propaganda ricomincerà a gocciolare sangue

Pochi giorni fa due bambini sono morti carbonizzati su una barca partita dalla Tunisia verso Lampedusa. L’esplosione di una tanica di benzina ha bruciato un bambino e una bambina di uno e due anni. Gravemente ferita una donna. In tutto erano in 37. L’esplosione è avvenuta all’alba, mentre i migranti dormivano. Lo scoppio li ha presi alla sprovvista. «Quando sono saliti a bordo i militari italiani hanno trovato davanti ai loro occhi un girone dantesco: morti, ustionati con le carni sanguinanti, gente in lacrime», riportano le cronache.

Sabato una barca partita da Sfax, in Tunisia, si è ribaltata vicino all’isolotto disabitato di Lampione, parte dell’arcipelago che comprende Lampedusa. Una bambina di due settimane è scomparsa in acqua.

Secondo  La Sicilia, anche un’altra barca si è capovolta al largo della costa di Lampedusa nel fine settimana. A bordo di questa barca, ha riferito il giornale, c’erano una trentina di migranti. 22 uomini, tre donne e un minore sono stati salvati dalla Guardia di Finanza, ma quattro persone sono state segnalate disperse, tre uomini e una donna.

«Dobbiamo continuare a riaffermare la necessità di affidare i flussi migratori agli Stati e alla loro capacità di gestire questo fenomeno, e non all’azione dei trafficanti e nemmeno a quella dell’azione spontanea anche se umanitaria», ha detto il nuovo ministro dell’Interno Piantedosi a Il Messaggero.

Ieri Matteo Salvini ha sputato la foto mentre riceveva nell’ufficio del suo nuovo ministero membri della Guardia Costiera. Le sue competenze da ministro non sono ancora state definite ma il messaggio è chiaro: siamo tornati alla guerra ai migranti. Siamo ancora qui, nello spettro della propaganda che gocciola sangue. Nel balletto entrerà il Partito democratico che balbetterà per non disconoscere il suo ex ministro Minniti che con i suoi accordi con la Libia ha iniziato questo vortice dell’orrore. Balbetteranno quelli del Movimento 5 Stelle che hanno firmato con baldanza i Decreti sicurezza di Salvini (se ne sono pentiti, dicono). Intanto quelli moriranno e gli attacchi alle Ong ricominceranno.

Tutto intorno si alzerà quest’aria mefitica di razzismo spacciato per sicurezza. Questa volta ci saranno anche i cosiddetti moderati a rimestare il veleno. Eccoci qui.

Buon martedì.

Nella foto: l’arrivo a Lampedusa dei feriti dopo l’esplosione nella barca dei migranti in cui sono morti due bambini, 21 ottobre 2022 e la riunione di Salvini con i vertici della Guardia costiera (da fb Salvini), 24 ottobre 2022

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Del Pd di Letta si sono perse le tracce

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Ma dov’è finito il Pd? Dopo i giorni successivi alla batosta elettorale, con voci che discutevano addirittura di scioglimento, il partito di Enrico Letta sembra essersi assopito in un silenzio esterno e interno. Si sono levate ovviamente le voci di opposizione per il governo che Giorgia Meloni ha confezionato ma il futuro del partito, tema urgente per gettare le basi di una ricostruzione, è scomparso dalle pagine dei giornali.

Aspettando il Congresso, nel Pd è stallo totale. E il dibattito sul futuro del partito è sparito dall’agenda.

Dal punto di vista istituzionale sono state confermate le due capogruppo in Parlamento ma la fase congressuale, che Letta aveva annunciato come imminente, sembra ancora essere in pieno stallo. In questo momento ci sono in campo solo due nomi: Paola De Micheli e Stefano Bonaccini. La prima promette opposizione “dura e radicale” al governo Meloni ma continua a ripetere che “non basterà”:

“Dobbiamo decidere chi siamo, chi rappresentiamo e dove vogliamo portare il Paese”, spiega. L’ex ministra alle Infrastrutture lamenta un “silenziosamente” della sua candidatura “dalla componente maschilista del partito”. Di certo sono in molti all’intento del Pd a ritenere la sua candidatura poco più di una semplice testimonianza: “Ha scelto di candidarsi per prima per ritagliarsi un po’ di visibilità”, taglia corto un deputato.

Il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini invece sa bene di avere le carte in regola per aspirare alla segreteria e per questo chiede un’accelerazione: “Spero non andiamo oltre perché secondo me – dice Bonaccini intervistato ad Agorà, su Rai Tre – a proposito di chi ha detto che si potrebbe andare persino a mesi successivi, forse c’è chi ha più interesse e a tenere lo status quo di adesso. E forse non si comprende quali sono le aspettative anche di una parte del Paese”.

I sondaggi lo danno come favorito e la sua unica sfidante che a oggi avrebbe qualche possibilità di insidiarlo, Elly Schlein, è sempre rimasta in silenzio sull’ipotesi di una sua candidatura. Anche perché Bonaccini sa bene che ogni giorno perso rischia di essere un regalo al Movimento 5 Stelle: “Dobbiamo essere noi del Pd a organizzare una proposta di opposizione. Poi ragioniamo sui temi. Il congresso non deve essere una disputa tra chi pensa ci si debba alleare con gli uni o con gli altri che sono con noi in Parlamento”, spiega, chiarendo comunque di non vedere nessuna possibilità che i renziani del cosiddetto terzo polo “rientrino nel Partito democratico”: “hanno fatto un altro partito e mi pare che la loro strada sia legittimamente quella di dar vita a un’altra forza politica, che io mi auguro non abbia tentazioni di guardare a destra”, ha detto alla festa romana de Il Foglio.

Ci sarebbe, a dire il vero, anche il sindaco di Firenze Dario Nardella che ripete di “candidarsi a portare delle idee forti e dirompenti» lasciando socchiusa la porta. Nardella ha parlato anche di «una grande generazione che dovrebbe unirsi, dal sud al nord, dalla destra alla sinistra del mio partito, senza farsi condizionare dai gruppi di potere, dal tatticismo o dalle convenienze”.

Solo che intanto il Pd (secondo l’ultimo sondaggio Emg) ha perso ancora un 1,1%, scivolando al 18%, a solo 1,5% dal Movimento 5 Stelle. Intanto in vista ci sono le elezioni regionali di Lombardia e Lazio e ancora una volta il Pd dovrà decidere se guardare ai 5S o al cosiddetto terzo polo. Oppure, ancora una volta, lasciare decidere gli altri. “Questo immobilismo non lo capisce nessuno”, dice un ex senatore non rieletto. La destra nel frattempo vince e governa.

 

Leggi anche: Berlusconi rialza la posta. Già finita la tregua con la Meloni. La faida tra falchi e governisti FI è un avviso alla premier. Se sarà scissione a destra si rischia la paralisi al Senato 

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Altro che “lasciateli lavorare, vediamo come va”

«La legge 194 sull’aborto va applicata tutta. Lo diamo a tutti quelli che non fanno nulla, diamo il reddito di cittadinanza a chi decide di portare a termine la gravidanza», ha detto ieri Gasparri, senatore di Forza Italia ospite nella trasmissione Zona Bianca, con il ghigno del vincitore. Poche ore dopo l’insediamento del Parlamento ha depositato una proposta di legge contro l’aborto. “Lo fa all’inizio di ogni legislatura”, dicono per sminuire la sua intenzione. Sì, è vero, ma la sua parte politica non ha mai avuto una maggioranza così schiacciante. Questo si dimenticano di aggiungerlo.

Le parole sono importanti, si dice in un film di Nanni Moretti, e il nuovo ministero per Famiglia e natalità ha il programma politico nel nome. A guidarlo c’è Eugenia Maria Roccella che a fine aprile di quest’anno spiegava ai sostenitori di Fratelli d’Italia (consapevoli di essere prossimi al governo) di voler ripartire «dal senso materno» per «rivoluzionare la politica italiana». Roccella non ha mai fatto mistero delle sue posizioni, anzi le ha rivendicate pubblicamente e senza esitazione. Il ritornello è sempre lo stesso: la legge 194 non la vuole (apparentemente) toccare nessuno, ma lo sforzo da fare è perché le donne non abortiscano più. E per farlo, metteranno in campo tutti i mezzi possibili. Nella sua strenua difesa dei “medici obiettori di coscienza” ha avuto il coraggio di sostenere che non siano un ostacolo all’attuazione della legge 194 negli ospedali. È stata tra le prime a opporsi all’aborto farmacologico, definendolo un mezzo «per smantellare attraverso una prassi medica la legge 194» e arrivare «all’aborto a domicilio».

È la stessa Roccella contro il ddl Zan, che nel 2016 annunciò un referendum contro le unioni civili. Fu in prima linea contro il divorzio breve, e contro eutanasia e fine vita. “Non vogliamo diventare la nuova Ungheria” è stato lo slogan della manifestazione a Milano di Arcigay Milano, Famiglie Arcobaleno – associazione genitori omosessuali e il coordinamento dei collettivi studenteschi di Milano e provincia. Il programma politico di Eugenia Roccella è scritto da anni nelle sue dichiarazioni e nella sua azione politica. Di più: è scritto nell’insegna del suo ministero.

Stessa cosa per Guido Crosetto. Cresciuto nella Dc, passato con Forza Italia con quattro legislature alla Camera e tre anni da sottosegretario, il neo ministro della Difesa (che in origine sembrava destinato allo Sviluppo economico) è uno dei pochi fondatori di Fdi che non è cresciuto nell’estrema da destra. Consigliere ascoltato dalla premier, è il volto moderato di Fdi nei salotti buoni. Da quando si è dimesso da deputato, nel 2019, si è dedicato agli affari: ha guidato aziende attive nel mondo delle navi da guerra, ma anche una Srl familiare che si occupa di lobbying. Nelle sue prime interviste dice di essersi dimesso da tutto (più di quello che gli chiede la legge) e promette querela a chiunque ventili un possibile conflitto di interessi che è sotto gli occhi di tutti. Sarà difficile fare peggio del ministro della guerra Lorenzo Guerini ma il nuovo ministro ha tutte le carte in regola per riuscirci.

Al Turismo c’è Daniela Santanchè, simbolo imponente della politica diventata personaggismo. L’imprenditrice con più rassegna stampa che bilanci a posto paga allo Stato un canone di 17mila euro all’anno per il suo stabilimento balneare Twiga. E ora si ritrova a decidere dei balneari (anche se potrebbe lasciare le deleghe proprio per le polemiche di questi giorni). Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, ha dichiarato che è «inaccettabile» la nomina di chi «ha interessi nel demanio marittimo». Un settore che fattura «tra i 7 e i 10 miliardi di euro» e per cui «lo Stato incassa solo 100 milioni di euro, con un’evasione erariale di quasi il 50%». Oggi le concessioni demaniali «costano tra 1 euro e 1,70 euro al metro quadro all’anno». Il Twiga «ai consumatori fa pagare ben 300 euro al giorno per una tenda» e «con gli incassi di meno di mezza giornata riesce a pagare il canone» dovuto allo Stato per tutto l’anno. Il parlamentare di AV-SI ha sottolineato che quelli di Daniela Santanchè «sono privilegi inaccettabili» contro cui «siamo pronti a opporci duramente».

È ministro Roberto Calderoli, il leghista che riuscì a farsi condannare per aver dato dell’orango all’ex ministra del governo Enrico Letta, Cecile Kyenge, nel luglio 2013 alla festa della Lega Nord di Treviglio. È ministra Anna Maria Bernini, che si dovrebbe occupare di università e ricerca nonostante i suoi social dimostrino una consapevolezza politica da scolara in gita. Poi c’è Giorgetti, quello considerato il “serio” del gruppo perché non ha mai bevuto moijto in spiaggia sulle note dell’inno nazionale. E poi c’è ovviamente Salvini, pronto a giocare al ponte di Messina (ma senza Lego, con i soldi nostri) e a divertirsi con la retorica dei porti da chiudere.

Dicono “lasciateli lavorare, vediamo come va”. No, assolutamente no. Le parole sono intenzioni e il governo Meloni è già tutto scritto. Lo combatteremo per il più semplice dei motivi: ne abbiamo combattuto le idee già quando avevano l’aspetto di squinternate dichiarazioni senza autorevolezza politica. Figurarsi ora che sono un programma di governo.

Buon lunedì.

 

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L’ennesima tragedia del mare non scuoterà né l’Europa né le nostre coscienze

Il falò di bambini si è acceso su un barcone diretto a Lampedusa. Sul barchino c’erano 37 persone quando un bidone di benzina trasportato a bordo – serve carburante se le onde si fanno alte nella disperazione del Mediterraneo – ha preso fuoco provocando un’esplosione. Un anno e due anni avevano quei pericolosi “clandestini”. Salvatore Vella, che coordina l’inchiesta aperta dalla Guardia costiera per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza di altro reato spiega: «Ci sono due bambini piccolissimi morti bruciati e diversi feriti. I migranti sono stati trasbordati sulle unità di soccorso e il barchino è stato lasciato alla deriva ancora galleggiante». Nessuno ha certezza di quello che sia avvenuto sul quella carretta del mare, ma il fatto che il barchino sia stato lasciato alla deriva ancora galleggiante è indicativo del fatto che non può esserci stata una esplosione sul natante. Spetterà comunque all’inchiesta, che è stata appena aperta, fare chiarezza su cosa abbia determinato l’incendio a bordo. Altri due bambini sono ustionati ma vivi, cinque donne sono ferite. Una di loro, incinta, è stata intubata e trasportata all’ospedale di Palermo.

L'ennesima tragedia del mare non scuote l'Europa né le nostre coscienze
La guardia costiera libica scorta un gommone (Getty Images).

L’Europa continua a considerare la Libia come sacco dell’umido

Per avere un’idea della disperazione si potrebbero leggere ad alta voce, in tutte le sedi istituzionali, le parole del sindaco Filippo Mannino: «Il presidente della Commissione europea venga a Lampedusa a vedere quello che succede. È un inferno. Sono sindaco da appena 100 giorni e ho già contato cinque morti. L’Europa deve fare immediatamente qualcosa, non è più possibile far morire la gente». Gli allarmi sono sempre gli stessi che si ripetono da anni. Perfino le parole sono più o meno identiche. Il silenzio assordante delle istituzioni è sempre quello. Anzi, se fosse solo silenzio, si potrebbe perfino esserne contenti l’Europa invece insiste nel subappaltare le proprie frontiere alla Libia trattata come un sacco dell’umido di ciò che dalle nostre parti non si deve vedere, non si deve ascoltare. L’Unione europea che ha dato una risposta veloce per accogliere gli ucraini devastati dalla guerra sembra non avere nessun interessi per i profughi che arrivano dal mare.

Con il governo Meloni e la crisi si infiammerà la solita propaganda 

Tra poco arriverà il freddo e le traiettorie della morte si accenderanno anche, come accade ogni anno, sulla rotta balcanica dove altri satrapi vengono finanziati dall’Europa per respingere i disperati. Poi c’è il governo Meloni e con lui ovviamente la propaganda che ripartirà a tamburo battente. Ricominceremo con i clandestini che commettono reati, con qualche nero un po’ tocco ripreso da un telefonino a qualche semaforo, ricominceremo con il lavoro che ci rubano e con i 30 euro, e con i cellulari, e con il “ben vestiti” e con tutto quello che speravamo fosse dimenticato. Il trucco sarà ancora più semplice perché in un contesto economico difficile per la guerra e per la crisi energetica accendere la guerra tra gli ultimi e i penultimi diventerà un gioco da ragazzi.

L'ennesima tragedia del mare non scuote l'Europa né le nostre coscienze
Matteo Salvini a Lampedusa (Getty Images).

L’opposizione chiederà l’abolizione di leggi che non ha toccato quando ne aveva la possibilità

Dall’altra parte sentiremo l’opposizione sventolare spirito umanitario e chiedere a gran voce l’abolizione di leggi che loro non hanno abolito quando ne avevano la possibilità. Sui social e nei bar serpeggerà di gran voga il razzismo rivenduto come diritto alla sicurezza. Il Pd parlerà da “polo umanitario” senza la voglia e la forza di sconfessare quel che fece il suo ministro Minniti (salviniano ancor prima di Salvini), il M5s farà lo stesso dimenticandosi di avere firmato i decreti Sicurezza mentre parlava di «taxi del mare» (quelli che bruciano i bambini, appunto) e assisteremo alla solita tiritera. E intanto quelli continueranno a morire.

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Il silenzio di Berlusconi paga, via la Severino e il Cav si cuce la bocca. Dopo lo scontro con la Meloni, la pace desta sospetti. Niente da stupirsi se Silvio otterrà ciò che ha sempre voluto

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La fotografia dello stato emotivo di Silvio Berlusconi potrebbe essere la sua espressione quando, appoggiato come un soprammobile al fianco di Giorgia Meloni che parla ai giornalisti dopo l’incontro con Mattarella, deve ascoltare la nuova leader del governo che spiega di “essere stata indicata da tutti”.

Lui e Salvini si guardano, dura poco più di un soffio, poi il leader della Lega abbassa lo sguardo per non far esplodere Silvio in qualche gaffe che avrebbe rovinato questo ennesimo appuntamento, ma da fuori si nota che per Berlusconi dover ammettere di essere secondo, per di più a una donna, è una sofferenza interiore.

Ipse (non) dixit

Gli è stato perdonato tutto. Non c’è più una parola sulla sua dolce amicizia con Putin e sulle bottiglie di vodka ricevute veleggiano solo un paio di interrogazioni parlamentari che non avranno nessuna importanza. Berlusconi, come sempre accade, si presenta al Quirinale con la fedele Licia Ronzulli, con il capogruppo Alessandro Cattaneo che ha l’espressione di un bambino al luna park e con Antonio Tajani di ritorno da Bruxelles, osservato speciale per l’alone di un tradimento possibile che si porta addosso.

A difenderlo dall’esterno ci pensa Maurizio Lupi, sempre più federatore di un’alleanza a destra che parte al governo già pena di lividi: “Le fibrillazioni, prima che nasca un governo, sono fisiologiche – dichiara in un’intervista al Qn il leader di Noi Moderati -. E stavolta incidono forse di più a causa del cambio di leadership.

Ma francamente non vedo pericoli”. “Il leader di Forza Italia è uomo generoso – dice Lupi È il primo sapere che per fare due passi avanti come coalizione a volte ne serve uno indietro sul piano personale o di partito”.

In riferimento all’audio “rubato” consiglia prudenza. “Bisogna stare più attenti alle parole che si usano – dice -. Mentre i droni kamikaze seminano morte in Ucraina, non si può parlare di vodka e regali”. Alle consultazioni in molti temevano che il vecchio Silvio volesse in qualche modo prendersi la scena. Lui invece è stato buono.

E quando Berlusconi sta quieto significa che ha solo da guadagnarci. Così rimane quella foto con Ronzulli, Tajani e Cattaneo su una poltrona presidenziale rilanciata sui social tanto per ricordare che il posto della Meloni è stato anche il suo e le cronache raccontano di qualche minuto speso con il presidente Mattarella mentre la delegazione era già uscita.

Affari di famiglia

Un componimento così veloce della frattura però lascia qualche interrogativo. Si sa per certo che siano intervenuti i figli del leader di FI, Marina e Piersilvio, che in questo governo intravedono garanzia per le loro aziende e sarebbe stato bello sapere qui. Sappiamo che Berlusconi ottenuto rassicurazioni sulla Giustizia e sulle televisioni, mettendosi al riparo da una legge Severino che deve essere cancellata prima che arrivi una possibile condanna dal processo Ruby ter.

Tutti sono consapevoli che le parole dell’ex cavaliere su Putin siano il pensiero cristallino che lui ha sulla guerra in Ucraina. “Parlano i voti”, dicono da Forza Italia ma che un leader abbia votato finora contro le proprie idee è tutt’altro che rassicurante. Sicuramente Berlusconi ha alzato la posta durante le trattative sul governo e in qualche modo è stato accontentato. Se tace, la sua storia politica ce lo insegna, significa che ha la pancia piena.

Con cosa l’abbiamo saziato esattamente non lo sa nessuno ma basterà osservare le sue prossime intemperanze per capirlo. Poi rimane l’ultima domanda: visto come tutto si è messo a posto in fretta siamo sicuri che l’unico ricattabile in quell’alleanza sia lui?

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Non toccheranno l’aborto, almeno per ora. Bestiario di Governo senza freni

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“Sono pronti”, dicono. Lo dicono da settimane e ora gli tocca esser pronti sul serio. Eccoci al nostro bestiario di governo.

Tranquillo è morto

“Abbiamo detto chiaramente che la 194 non è in discussione. Al massimo c’è una volontà di applicarla nella sua interezza e di dare un sostegno anche slegato al tema dell’aborto, a prescindere, alle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza e sono in difficoltà”: lo ha detto Giovanni Donzelli, parlamentare di Fratelli d’Italia, ad Agorà Rai Tre, sulla legge 194.

Ed alla successiva domanda se il ddl Gasparri vedrà luce risponde: “Non credo venga approvato con una maggioranza in questo Parlamento. Ma rispetto il diritto di Gasparri di presentarlo. Sinceramente non serve in questo momento in Italia una legge di questo genere”. Notate bene, dice “in questo momento”. C’è da stare tranquilli, insomma Per niente.

S’offrono i migliori

Attenzione a raccontare che questo sarà il governo del populismo che sfascerà ciò che ha fatto il governo dei migliori perché i ministri “migliori” sembrano amare molto il governo che verrà. Il ministro Cingolani ha già dichiarato che sarà consigliere ombra del suo successore. Ieri il ministro Franco (il preferito di Draghi) su Giorgetti ha risposto al Corriere: “Lo conosco da parecchi anni e credo sarebbe adattissimo per questo ruolo.

È stato presidente della commissione Bilancio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico. Con lui abbiamo lavorato fianco a fianco in questi venti mesi di governo. Abbiamo in comune l’idea che lo sviluppo economico italiano dipenda da quanto accade nel sistema produttivo, in primo luogo nella manifattura e nei servizi, che questi settori siano il cuore della nostra capacità di creare reddito e che quindi debbano essere al centro dell’attenzione della politica economica. Farà certamente bene”. Delle due l’una: o quelli non erano i migliori (e erano di destra) oppure gli innamorati di Draghi si devono ricredere. Che spasso.

Opposizione molle

Matteo Renzi: “Un grande in bocca al lupo a Giorgia Meloni e ai ministri che sta scegliendo. Da italiano spero che siano all’altezza delle sfide di questo tempo complicato. Noi siamo e saremo all’opposizione ma facciamo e faremo sempre il tifo per l’Italia”. Chissà che paura avrà la Meloni di un’opposizione così decisa…

Consultazione precox

La consultazione tra Mattarella e il Centrodestra è stata la più breve della storia della Repubblica: è durata 7 minuti. Temevano che finisse l’effetto delle goccine date a Berlusconi.

Sì, come no

Matteo Salvini: “Idee chiare e squadra pronta, tra poco si parte”. In effetti se c’è un talento che ha dimostrato la destra in questi giorni è proprio quello della chiarezza. Sì, ciao.

Insuperabile Del Mastro

Come deve essere bello avere la tranquillità e lo sprezzo del ridicolo di Del Mastro, Fratelli d’Italia. Prima ci spiega che “le parole di Fontana e Berlusconi sulla Russia non saranno la linea del governo”, del resto si tratta solo di un leader di partito e del presidente della Camera. Poi aggiunge: “Conflitto di interessi di Crosetto se andasse agli Esteri? Si risolvono”. Avrebbe potuto aggiungere anche che “non ci sono più le mezze stagioni” e sarebbe stato un fuoriclasse.

Chi s’aggira nei… Borghi?

Claudio Borghi era in diretta fuori da Palazzo Madama, collegato sui propri canali social, per spiegare il funzionamento delle elezioni dei vicepresidenti di Camera e Senato quando è stato interrotto da un carabiniere, probabilmente insospettito dal fatto che una persona restasse, per diversi minuti, ferma fuori dal palazzo romano. “Scusi? Sono un senatore“. In effetti sembra incredibile.

20-Segue

L’articolo Non toccheranno l’aborto, almeno per ora. Bestiario di Governo senza freni sembra essere il primo su LA NOTIZIA.