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La Russa all’olio di ricino. Riparte il Bestiario di Governo

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Oltre al caos di un centrodestra che litiga anche solo per decidere chi deve pagare il caffè ci sono bestialità di ogni tipo. Dal processo a Silvio a Gasparri redento e La Russa all’olio di ricino. Ecco il bestiario di governo.

AMORI DISINTERESSATI
Michaela Biancofiore, ex berlusconiana ora eletta con Noi Moderati, si lascia andare in una struggente dichiarazione: “Il mio Presidente di partito è Brugnaro, – dice – quello del mio cuore è Berlusconi. Ci sono solo 6 berlusconiani in parlamento, gli altri di Forza Italia sono di Ronzulli e Tajani”. C’è anche la stoccata romantica: “È stata una sofferenza per me stare a 10cm da Berlusconi e non poterlo abbracciare per dirgli come stanno le cose… Stia attento a chi è vicino a lui”, dice. Ah, l’amore disinteressato…

SORPRESE NON SORPRENDENTI
Augusto Minzolini de Il Giornale: “Renzi aveva avvisato Berlusconi che i renziani avrebbero votato La Russa”. Dopo l’elezione di La Russa Matteo Renzi disse ai giornalisti che “l’avrebbe rivendicato”. L’ha rivendicato con chi gli interessava, evidentemente. Del resto anche ieri il capogruppo uscente di FdI Francesco Lollobrigida è stato chiaro: “I moderati – dice – possono essere un punto di riferimento per altre risorse, dentro e fuori la coalizione, che si sono già manifestate nel voto su La Russa”.

GASPARRI BUONISTA
Maurizio Gasparri: “Basta rancori, il buonsenso prevarrà”. Senza il rancore come lievito Gasparri non sarebbe Gasparri, non sarebbe mai esistito. Non trovano a destra qualcuno più credibile a cui far dire certe cose?

MICCICHÈ VA RECUPERATO
Alle parole di Gianfranco Miccichè che suggerisce l’ipotesi di una frattura della coalizione con un “appoggio esterno” di Forza Italia al governo, La Russa risponde al Corriere.it: “Miccichè va recuperato a un comportamento corretto”. Lo sentite anche voi questo profumo di olio di ricino?

CHI HA ELETTO I FIGLI DI SILVIO?
Per dare un’idea dell’autorevolezza del governo che verrà basta sapere che sono stati Piersilvio e Marina Berlusconi a fare cambiare idea al padre sui suoi rapporti con gli alleati del prossimo governo. Immaginate gli eletti e gli elettori di Forza Italia, intenti a fare banchetti, organizzare comizi, partecipare alle attività di partito e poi si decide tutto in un pranzo di famiglia. Non male questa idea monarchica della democrazia…

CASINI S’OFFRE
Casini: “Berlusconi ha fatto cose ottime, come Pratica di Mare, lì Berlusconi rappresentava l’occidente. Inoltre grazie a Berlusconi il secessionismo della Lega è diventato autonomismo”. Attenzione, mentre diceva questa cose si è iscritto al gruppo parlamentare del Pd (che se l’è portato in Parlamento). Un capolavoro politico, eh?

L’HANNO RIMASTO SOLO
Dopo avere conquistato lo 0,06% alla Camera nelle scorse elezioni (in cartello elettorale, tra l’altro, con l’ex Casapound Di Stefano) il partito di Mario Adinolfi, il Popolo della Famiglia, ieri è andato a congresso. Chi ha vinto? Adinolfi, ovviamente. Ma uno dei suoi si è astenuto. I delegati erano 118: sarà un messaggio subliminale?

SGARBI QUOTIDIANI
Racconta Vittorio Sgarbi a Un giorno da pecora: “Ho chiesto a Berlusconi il suo placet per diventare ministro, non me lo ha dato. Pensa solo a Ronzulli”. Invece Sgarbi come al solito pensa al bene del Paese, evidentemente.

INTANTO NEL PROCESSO RUBY TER
Berlusconi è sotto processo con l’accusa di avere pagato le ragazze delle sue “cene eleganti” per testimoniare il falso. Anche per questo vuole abolire la legge Severino che in caso di condanna lo farebbe decadere. Ieri c’è stata l’arringa difensiva dell’avvocato dell’ex cavaliere che ci ha spiegato che Silvio sarebbe la parte offesa perché le ragazze “hanno pensato di poter individuare una forma di speculazione ai danni di Berlusconi al fine di incamerare somme di denaro”. E invece Silvio pensava fosse amore.

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Valutateli per quello che non raccontano

Ieri uno degli argomenti più dibattuti, protagonista assoluto della maratona televisiva, erano dei mazzi di fiori che non sapevamo se Silvio Berlusconi avesse con sé per omaggiare Giorgia Meloni in occasione del loro incontro a Roma, in via della Scrofa. Quell’incontro è stato la traccia dei media di ieri e inevitabilmente dei giornali di oggi. Pochissimo spazio, quasi niente, ha avuto invece il singolare ruolo dei figli di Berlusconi, Marina e Piersilvio, che hanno avuto contatti con la futura presidente del Consiglio in una trattativa che non può non avere interessato anche le aziende di cui i Berlusconi sono intestatari. Il livello politico e il livello imprenditoriale personale si sono mischiati, ancora una volta, in piena fase di costruzione di un governo.

Il giorno precedente si è dibattuto a lungo degli errori ortografici del nuovo ministro Lorenzo Fontana. Che Fontana sia uno degli esponenti più in vista della destra veronese arrivato a uno degli scranni più alti del Parlamento, che Fontana sia in coppia con Ignazio La Russa l’espressione di una destra che non ha nulla a che vedere con il nuovo moderatismo che vorrebbe fingere Giorgia Meloni e che Fontana sia l’interprete di un’enorme inversione politica sul piano internazionale sono state ritenute notizie “vecchie” perché “già date”.

C’è poco accento anche sul fatto che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, dopo avere solennemente giurato di essere “il presidente di tutti” ieri si sia intrattenuto a Roma in via della Scrofa nella sede del partito di Fratelli d’Italia fino a un secondo prima dell’incontro tra Meloni e Berlusconi e sia ritornato un secondo dopo. Tutto normale per gran parte dei commentatori che un uomo delle istituzioni abbia un ruolo apicale nelle trattative tra partiti.

Tra le notizie che avrebbero dovuto irrompere nel dibattito politico c’è il rapporto della Caritas di ieri che descrive a chiare lettere come nel 2021 in Italia sia ripartito il Pil ma sia contemporaneamente aumentata la povertà. In Italia la ricchezza non si distribuisce. L’odiato Reddito di cittadinanza (che raggiunge 4,7 milioni di persone) raggiunge meno della metà delle persone in povertà. Proprio ieri il leader di Italia viva Matteo Renzi ha sfidato Giorgia Meloni a abolire il Reddito di cittadinanza, spiegandoci che il futuro è il lavoro e “le start-up”.

Scegliere cosa raccontare (e cosa non raccontare) è un atto politico. È una scelta precisa che investe politici, giornalisti e commentatori. La spaccatura talmente ampia e evidente che ormai, ancor prima di verificare se siamo d’accordo con qualcuno, conviene sviluppare la capacità di notare ciò che scegli di non dire. Forse su questo crinale si gioca anche la calante credibilità del centrosinistra italiano che in questi anni ha scelto consapevolmente di non parlare di alcuni temi (per non disturbare chi?) ottenendo l’inevitabile effetto di sembrare, sì, una brava persona ma spesso incapace di cogliere il cuore del presente.

Solo che intanto il presente incombe. Buon martedì.

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Tutti sdegnati per il pomodoro sul vetro e una scritta contro La Russa

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I pericoli per l’opposizione sono del pomodoro su un vetro e una scritta su una saracinesca. Intanto apprezziamo la cultura del nuovo presidente della Camera e ci gustiamo le offese che sarebbero segno di amicizia. Ecco il bestiario di governo.

CHE PRESIDENTE!
“Inpiegato“, con la “n”. Un refuso? Sembra di no, perché la parola è scritta per due volte, a penna, nello stesso modo. Spopola sui social lo strafalcione ortografico contenuto nella “Dichiarazione di cariche e professioni” del neo-presidente della Camera Lorenzo Fontana, un’autocertificazione obbligatoria delle cariche ricoperte e delle funzioni svolte al momento dell’elezione, che tutti i parlamentari eletti devono rendere entro trenta giorni dall’insediamento. Ma ha ragione Luca Bizzarri quando dice che non stupisce il fatto che uno così sia diventato presidente della Camera, visto il livello di persone nelle istituzioni, colpisce il fatto che Fontana abbia tre lauree. Anche se le lauree dei leghisti sono sempre curiose.

VAFFANCULO MA CON AMICIZIA
Il senatore di Forza Italia Francesco Paolo Sisto (che Berlusconi vorrebbe niente d8 meno come ministro alla giustizia) per cercare di stemperare la tensione tra Forza Italia e Fratelli d’Italia spiega intervistato su Radio24: “Fra amici mandarsi a quel paese è un must, episodi così devono accadere per rafforzare la coalizione, la mancanza di sottotitoli legittima altro, una virgola viene scambiata per punto esclamativo”. ve lo vedete Sisto che torna a casa, sua moglie gli dice “ti amo” e lui la manda a fare in culo per cementare il loro amore?

MA QUALCUNO CI CREDE?
Scrive Giorgia Meloni:”La vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista: donne, uomini e bambini furono strappati dalla vita, casa per casa”. Così la leader di FdI ricorda il rastrellamento del Ghetto di Roma, avvenuto 79 anni fa”. Nessuno le fa notare che non si tratta di “furia” ma di un disegno politico organizzato è appoggiato con quel Mussolini che sta nella bara sotto la fiamma che ha nel simbolo. Poveri noi.

LA LINEA POLITICA? I TWEET DI CALENDA
Alessandro Zan vicepresidente alla Camera dei deputati, al momento, è solo un’ipotesi, un’idea che alla quale si deve ancora costruire una base concreta. Tuttavia, sta già facendo discutere chi con il Pd dovrebbe costruire un’opposizione credibile a un centrodestra che sta passo dopo passo formando il suo governo. Ecco allora che un tweet pubblicato da Emma Fattorini sul suo profilo sta agitando le acque all’interno di Azione.

La vicepresidente del partito fondato da Carlo Calenda sostiene che scegliere Zan come vice del leghista neo eletto Lorenzo Fontana non sia una mossa vincente, anzi che sia stata presa «nella logica binaria del chiodo scaccia chiodo. Come se i due estremismi si elisessero. Così per magia». Fattorini, quindi, considera estrema la posizione di Zan, il deputato cui nome appare nel ddl contro l’omotransfobia bloccato dal Parlamento. Non passa molto tempo che le prime critiche iniziano ad arrivare.

Tra tutti, spicca proprio Calenda: «Fontana e Zan non possono essere messi in alcun modo sullo stesso piano. Si possono o meno condividere le idee di Zan, ma quelle di Fontana sono discriminatorie e inaccettabili». Tra l’altro, il programma elettorale presentato da Azione e Italia Viva di Matteo Renzi sosteneva la necessità di un’approvazione di una legge contro l’omotransfobia, principio identico che sta alla base del ddl Zan. Ecco perché Calenda puntualizza che «questo tweet non rappresenta il pensiero di Azione». Beh, ci tranquillizza che là vicepresidente non conosca la linea politica del suo partito.

I PERICOLI SBAGLIATI
Mentre si avvicina il governo più a destra nella storia della Repubblica dopo la seconda guerra mondiale la presunta opposizione si è stracciata le vesti per dei ragazzi che hanno sporcato un vetro (e non un quadro di Van Gogh) per chiedere azioni urgenti contro il cambiamento climatico è Letta ha espresso solidarietà a La Russa per una scritta su una saracinesca che dieci anni fa era una sezione di partito. Ovvio che poi Meloni vince facile, no?

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Gli utili idioti nella criminalizzazione del dissenso

Si fa fatica crederci che negli ultimi giorni il dibattito della politica italiana si sia concentrato su episodi che in un quotidiano intellettualmente onesto sarebbero due righe di notizia breve per occupare un piede e un balcone.

Prima c’è stata la valanga di odio per dei giovani che hanno imbrattato un vetro di un quadro di Van Gogh. Per la stampa è stato facile: basta togliere la parola dal vetro – anche solo nel titolo dell’articolo – per lasciare intendere che dei pericolosi jihadisti dell’ambiente abbiano profanato qualche capolavoro artistico. Si trattava di un’azione dimostrativa con salsa di pomodoro su un vetro. Eppure contro i giovani attivisti si è scatenata tutta la schiera di presunti progressisti. La scena, vista da fuori, è piuttosto comica poiché credere di costruire consenso sui combustibili fossili e sulle centrali nucleari criminalizzando del sugo sul vetro può venire in mente solo all’indecente classe politica e giornalistica che si dice progressista dalle nostre parti.

Passa qualche ora e siamo al nuovo allarme. “La Russa Garbatella ti schifa”, appare su una saracinesca di una vecchia sede del Movimento sociale e poi di Fratelli d’Italia. Immaginate una persona qualsiasi bussare alla porta dei carabinieri della sua zona affermando di essere a rischio di vita per una scritta del genere. Dovrebbe fare quell’effetto lì, una risata con un po’ di compassione e chiusa la faccenda. Invece la “minaccia” viene cavalcata a destra (è normale, è l’indecente gioco della politica) ma soprattutto dalla solita schiera di presunti progressisti. Un illuminato giornalista di un quotidiano piemontese intravede addirittura il pericolo del ritorno delle Brigate rosse per una stella («a cinque punte!», gridano tutti) che è lo stesso simbolo che il suo editore stampa su un modello di auto per renderlo più appetibile.

Sarebbe già tutto abbastanza desolante se non fosse che il segretario del Partito democratico si prodighi per esprimere solidarietà a La Russa, legittimando di fatto la cretinata. Del resto proviamo a scriverlo da anni: la criminalizzazione del dissenso, di qualsiasi dissenso che non sia sorridente e su carta bollata è un’operazione che avviene da sempre ma gli utili idioti progressisti che alimentano questa tecnica sono un fenomeno esploso con virulenza in questi ultimi tempi. Per avere contezza dello squilibrio vi basta andare a cercare lo sdegno per le scritte fasciste (quelle sì) contro Nedo Fiano: ne troverete pochissime.

Buon lunedì.

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Chi è Lorenzo Fontana. Alla Camera arriva l’oscurantista padano

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Tenete spazio all’indignazione. Se con Ignazio La Russa presidente del Senato abbiamo avuto le vertigini vedendo un nostalgico fascista diventare la seconda carica dello Stato con la presidenza della Camera al leghista Lorenzo Fontana entriamo nel buio mondo del cattolicesimo usato come randello e del putinismo più sfrenato.

Dopo il post fascista La Russa al Senato. A Montecitorio arriva l’antiabortista putiniano Lorenzo Fontana

Lorenzo Fontana, braccio destro di Matteo Salvini, sarà il nuovo presidente della Camera dei deputati. Europarlamentare dal 2009 al 2018, poi ministro per la Famiglia e le Disabilità fino al 2019, in seguito titolare degli Affari europei per due mesi nel governo Conte.

Il 42enne veronese Fontana è un ultraconservatore cattolico (dicono che reciti 50 Ave Maria al giorno, eppure evidentemente non ne ha ancora capito il senso), da sempre in prima fila contro aborto, unioni civili, matrimonio tra omosessuali e, dal 2014, alle sanzioni nei confronti della Russia.

Sette anni fa il neo presidente della Camera indossava fiero magliette pro Putin sbraitando contro le sanzioni occidentali

Sette anni fa Lorenzo Fontana indossava fiero magliette pro Putin (al fianco di Salvini, ovviamente) sbraitando contro le sanzioni occidentali. Erano gli anni in cui anche la presidente del Consiglio in pectore Giorgia Meloni scriveva più o meno le stesse cose (definendo le sanzioni “l’ultima idiozia di Obama”).

Ammiratore di Putin, Orban e Le Pen, Fontana è stato anche un fervente sostenitore di Alba Dorata, l’organizzazione politica neonazista greca sciolta perché ritenuta criminale.

Andò in Crimea in veste proclamandosi “osservatore internazionale” e criticò la scelta della Nato di inviare un contingente alle porte della Russia parlando di “scelta schizofrenica e gravissima: le forze mondialiste – disse Lorenzo Fontana – combattono la Russia identitaria invece di occuparsi del terrorismo islamico. L’esercito lo si schieri per fermare l’immigrazione incontrollata, invece di giocare alla Guerra Fredda”.

A inizio febbraio rassicurò che la Russia non avrebbe mai invaso l’Ucraina (sbagliando) e parlò di Putin come “il riferimento per chi crede in un modello identitario di società”. Poi ci sono le prese di posizione contro i gay, contro l’aborto e tutto il solito armamentario della destra più becera.

Inutile stupirsi, Fontana incarna perfettamente questa destra: questi sono i suoi uomini, questi sono i suoi valori. Una nota: entrambi sono già stati ministri di governi ritenuti credibili. Per dire.

Leggi anche: A Roma stella a cinque punte per La Russa. Alla Garbatella compare una scritta contro il neo presidente del Senato. Meloni: “Il nostro impegno sarà per unire la Nazione”

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Per Fontana scomodano Tatarella. Bestiario di Governo senza freni

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Avete visto? Può sempre andare peggio di così. Abbiamo anche il nuovo presidente della Camera. Eccoci al nostro quotidiano bestiario di governo.

IL TEMA DI SILVIO
Giorgia Meloni. Un comportamento 1. supponente 2. prepotente 3. arrogante 4. offensivo. Nessuna disponibilità al cambiamento. È una con cui non si può andare d’accordo”. A scriverlo, su un foglio di carta intestata “Villa San Martino”, è stato Silvio Berlusconi, il leader di Forza Italia, in quella che è stata la sua giornata forse più nera – quella di ieri – con l’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato, avvenuta senza i voti forzisti, e il no di Meloni a un ruolo di governo per Licia Ronzulli, che del Cavaliere è fedelissima collaboratrice. Il neo presidente del Senato La Russa invita Berlusconi a dire che “è un fake” ma non gli risponde nessuno. Chi difende Berlusconi? Il renziano Rosato di Italia Viva, ovviamente, che parla di “furbizia” del leader di FI. Del resto da quelle parti Silvio piace sempre, anche nei suoi momenti peggiori.

RENZI S’OFFRE
Ieri tutti (giustamente) a sottolineare come questa destra sia la peggiore destra di sempre arrivata al governo, con pochissima credibilità a livello internazionale. Chi li salva “Il Governo di destra non vorrà segare il ramo su cui è seduto e sin dal primo Consiglio europeo assisteremo a una spettacolare conversione di Giorgia Meloni. Scopriranno che il Next Generation Eu non è un favore alla Germania ma un grande passo verso l’integrazione europea. Lo hanno capito tutti, lo capiranno anche Meloni e Salvini”. Lo ha detto Matteo Renzi intervenendo al Congresso del Partito democratico europeo (Pde) a Roma. Poi Renzi si fa prendere la mano e promette entro un anno di diventare il primo partito in Italia. Mancano solo le risate finte delle sit com americane.

NON SANNO NEMMENO SCRIVERE
Tra le 11 schede nulle, secondo quanto apprende LaPresse da fonti parlamentari, ce n’erano alcune che riportavano il nome del governatore della Lombardia, Attilio Fontana. Altre, invece, sono state annullate perché riportavano solo il cognome “Fontana” senza indicazione del nome o dell’iniziale: poiché esiste un’altra deputata con lo stesso nome (Ilaria, del M5s) era necessaria la specificazione. Autorevoli, niente da dire.

PICCOLI SEGNALI
Pd e M5S disertano il brindisi del presidente Fontana, storica tradizione della Camera. Presenti gli esponenti del Terzo Polo.

SALUTAVA SEMPRE
Ieri il presidente della Fondazione Tatarella (think thank di destrorsi travestiti da competenti) Francesco Giubilei ha provato a difendere l’indifendibile Fontana con un tweet che è un capolavoro: “Attacchi a Lorenzo Fontana sono ridicoli. È una persona di spessore, ha 3 lauree, è attento al mondo culturale di area e un vorace lettore (ci siamo visti pochi giorni fa e stava comprando 6/7 libri) ed è un politico cattolico che porta avanti battaglie identitarie con coerenza”. Peccato che con lo stesso metro di giudizio Giorgia Meloni, che non è laureata, risulterebbe senza spessore.

COS’ALTRO MANCA?
Peggio di così non si può andare, cosa manca Chissà magari un ministro monarchico, ad esempio. Come Antonio Tajani, in predicato d’esser ministro, appunto.

LAZIO, STIAMO SERENI
La7 ci fa sapere che Salvini ha chiesto alla Meloni consigli su dove andare a raccogliere le castagne nel Lazio. Ora siamo tutti più tranquilli.

FONTANA S’È DIMENTICATO LA GUERRA
In tutto il suo discorso il neopresidente della Camera Fontana non ha mai fatto nessun riferimento alla guerra e all’Ucraina. Ma c’è da stimarlo: è riuscito a trattenere il suo amore per la Russia.

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Le convinzioni di La Russa e Fontana sono note da anni e ci si indigna solo adesso?

Dunque il Parlamento ha scelto come suoi più illustri rappresentanti Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Del primo s’è detto tutto quello che c’era da dire ma il gioco della politica confida sempre nella memoria breve degli italiani quindi non è stato difficile riaccendere lo scandalo. Dicono che La Russa sia un fascista mai pentito – verissimo – anzi rilanciano sulla sua abitazione zeppa di busti di Mussolini e ripetono le sue frequentazioni giovanili. Tutto grave e desolante, sicuro. Ma non può non saltare all’occhio come La Russa fosse lo stesso anche 10, 20 anni fa. Per onestà intellettuale si potrebbe dire che è parlamentare dal 1992, non un infiltrato esagitato arrivato per caso alle ultime elezioni. Ignazio La Russa è stato ministro alla Difesa nel quarto governo Berlusconi, vicepresidente alla Camera dal 1994 al 1996, presidente di Fratelli d’Italia nel 2013, prima presidente di Alleanza Nazionale nel 2008, vicepresidente del Senato eletto in occasione del primo governo Conte, fino all’altro ieri.

La normalizzazione di La Russa, dagli anni in Parlamento ai salotti tv

Chi ha normalizzato La Russa Mica noi, qui fuori, che in questi anni abbiamo sempre fatto notare – meritandoci gli insulti – che la matrice del centrodestra italiano (che solo in Italia si ostinano a chiamare centrodestra mentre sui giornali di tutto il mondo viene presentato come di estrema destra) aveva in pancia nostalgici naturalizzati democratici dai loro stessi oppositori. Un parlamentare di lungo corso proprio ieri al telefono mi spiegava che secondo lui dietro l’elezione di La Russa con i voti dell’opposizione non ci sarebbe alcun disegno politico organizzato, «semplice frequentazione per tanti anni in Parlamento», mi ha detto. È la stessa partecipazione dei salotti televisivi, degli occhiolini di certi giornali progressisti e degli inchini di certi liberali. L’allarme fascismo per l’elezione di La Russa è una fiction data in pasto ai giornali a cui non crede nessuno. Non ci hanno creduto gli elettori il 25 settembre e non per colpa loro: tutto diventa edibile se viene descritto come accettabile.

Lorenzo Fontana, un filorusso alla presidenza della Camera
Lorenzo Fontana e Matteo Salvini con le magliette pro Russia.

Davvero fingiamo di stupirci del Fontana pensiero?

Alla Camera dei Deputati lo stesso sconcerto sventolato in prima pagina accade anche per Lorenzo Fontana. Su Fontana ce n’è da dire, eccome. Un ultracattolico (si vanta di recitare 50 Ave Maria al giorno anche se incredibilmente non deve mai averne colto il significato profondo) che è riuscito a pronunciare frasi come «la famiglia naturale è sotto attacco. Vogliono dominarci e cancellare il nostro popolo» (i dominatori sarebbe la comunità LGBTIQ+); «da un lato l’indebolimento della famiglia e la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo e la contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero. Sono tutte questioni legate e interdipendenti, perché questi fattori mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni. Il rischio è la cancellazione del nostro popolo»; «a sinistra vorrebbero compensare il calo demografico importando immigrati, ma la società multiculturale ha fallito». Rilanciava le maratone di preghiere di riparazione contro il Gay Pride, definisce l’aborto «uno strano caso di diritto che prevede l’uccisione di un innocente» e politicamente si è schierato con i nazisti (sciolti perché illegali) di Alba Dorata, con Orbàn e soprattuto con Putin.  E qui siamo al secondo caso di insostenibile dimenticanza nel giro di due giorni: un uomo con queste idee e con questi punti di riferimento internazionali è stato ministro per gli Affari europei. Uno legittimamente si domanda: avrà fatto più paura Fontana in quel ruolo, più rappresentativo e più operativo, no? E il suo amore per Putin era già sotto gli occhi di tutti da anni, no? Invece i giornalisti che da mesi si strappano gli occhi per cercare putinisti tra i pacifisti, nelle associazioni storicamente dedite alla pace e tra gli ininfluenti giornalisti (solo perché considerati vicini ai loro avversari politici), si erano persi che questa brutta destra (che loro chiamano centrodestra) è amica dell’assassino del Cremlino. Chissà che brutto risveglio avranno avuto stamattina, loro così impegnati a truccare Giorgia Meloni da campionessa di europeismo e di atlantismo (che solo da noi sono due concetti inscindibili) quando si sono accorti che mentre passavano alla lente di ingrandimento i manifesti dell’ANPI i potenti che si ritroveranno a leccare di Putin hanno sempre amato tutto, sia in guerra che in pace.

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Opposizione fai da te. La destra piange ma la sinistra non ride

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“Da oggi siamo ancora più convintamente all’opposizione”. Si potrebbe partire dalla dichiarazione del segretario del Partito democratico Enrico Letta, pronunciata qualche minuto dopo l’elezione alla presidenza della Camera di Lorenzo Fontana, per avere contezza della situazione.

Dal Pd a Calenda non c’è dialogo. E così la maggioranza può stare serena

A Letta evidentemente non è bastata la piattaforma politica di Giorgia Meloni in campagna elettorale, non erano bastate le promesse di Matteo Salvini e non bastava la storia politica e giudiziaria di Silvio Berlusconi per rendersi conto della gravità della situazione. L’opposizione dura e pura e compatta era da fare prima del 25 settembre per non regalare il Paese a questa destra (la peggiore e la più estremista di sempre).

Dolersi ora è fuori tempo massimo, quasi fastidioso. Il difetto di sempre: istituzionalizzare anche le forze politiche più indigeribili quando si tratta di raggiungere il potere e poi demonizzarle (con pochissima credibilità) quando quelle il potere te l’hanno strappato. Il centrodestra non sta benissimo con Ignazio La Russa eletto con la stampella di un pezzo dell’opposizione e con una trattativa di governo che si arena decine di volte al giorno, ma il campo del centrosinistra (chiamarla opposizione, per ora, sembrerebbe un regalo sulla fiducia che non si meritano) non è messo meglio.

Troppo comodo e semplicistico usare Matteo Renzi come capro espiatorio per l’elezione del presidente del Senato (mancano almeno una decina di nomi che si annidano nel Pd e nel M5S, molto probabilmente) e troppo facile dire ora di avere fatto tutto il possibile.

Al Senato, ad esempio, sarebbe bastata un po’ di furbizia politica per scegliere di convergere su un nome condiviso per imbrigliare i franchi tiratori. Non è una finezza politeista, è l’abc della grammatica parlamentare. “Peggio di così nemmeno con L’immaginazione più sfrenata.

L’Italia, non merita questo sfregio”, scrive Enrico Letta Facebook, “da responsabile esteri della Lega, ha promosso la Lega come ‘cerniera’ tra Donald Trump e Vladimir Putin e ha guidato l’avvicinamento a Marine Le Pen e al gruppo di destra omofoba e oltranzista al Parlamento europeo”, scrive la deputata Lia Quartapelle. Tutto vero, certo, ma Fontana è il responsabile esteri del partito con cui questo centrosinistra ha governato sotto la guida di Mario Draghi.

Fontana era addirittura ministro del primo governo Conte (che infatti tiene per ruttala giornata un profilo basso). Mentre a destra litigano ma vincono le elezioni e fanno eleggere i loro uomini alla Camera e al Senato ieri la convergenza tra Pd e M5S (cercata fino all’ultimo) non è stata resa possibile. Il centrosinistra va in ordine sparso da un bel pezzo, da quando Enrico Letta ha deciso che i putinisti erano i suoi ex alleati del Movimento 5 Stelle fingendo di non vedere e di non sapere quale fosse la trama dall’altra parte.

Mentre Pd, Sinistra Italiana, Verdi e +Europa convergono su Cecilia Guerra come anti-Fontana il M5S va per conto suo con Cafiero De Raho e i calendiani e renziani scelgono Luigi Marattin. Questo è il punto di partenza. L’opposizione non è unita, non esiste. E non servirà fingere di non sentire Roberto Calderoli mentre spiega che “non c’è solo centrodestra, c’è una maggioranza più ampia” riferendosi a Renzi e Calenda.

Non servirà assistere alle recriminazioni tra Letta e Conte mentre si accordano nei territori per le regionali. Tra qualche giorno Giorgia Meloni presenterà la sua squadra di governo e gli elettori non avranno ancora idea di quale squadra sia possibile dall’altra parte. Così ancora una volta la forza della destra sarà soprattutto la debolezza di quegli altri.

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Silvio barcolla ma non molla. Continua il Bestiario di Governo

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Era ovvio che appena avessero messo le scarpe nel Parlamento avrebbero dato il peggio di sé. Eccoci al nostro quotidiano bestiario di governo.

CHE BEL PRESIDENTE
Simone Alliva lo dice in poche parole: “Quando #Meloni non era ancora nata Ignazio Benito Maria #LaRussa era già fascista. Avvocato, senatore, già ministro. In parlamento dal 1992 (prima consigliere regionale in Lombardia). Nel 2017 fa il saluto romano mentre si discute il disegno di legge Fiano. Responsabile del Fronte della Gioventù nel 1971, il 12 aprile 1973 è in piazza – insieme al fratello Romano e a Stabilini – in quello che sarà definito il “giovedì nero” di Milano. Ha 25 anni, organizza un corteo non autorizzato che finisce con l’uccisione dell’agente Marino. La scena in cui arringava gli anti-antifascisti: “Italiani che non hanno rinunciato all’appellativo di uomini” apre Sbatti il mostro in prima pagina, film girato in quei giorni da Marco Bellocchio. Vicepresidente – alla Camera – lo è da sempre. La sua nomina sigillò l’ingresso degli ex fascisti nei posti chiave delle istituzioni, al tempo del primo governo Berlusconi (1994). Oggi è il fascista che fu. Dettagli: è il capogruppo di An che nel giugno 2001 organizza la ronda dei parlamentari a protezione delle forze di polizia al G8 di Genova. Si fa festeggiare per il compleanno a palazzo Venezia con vista sul famoso balcone”.

FONTANA FA SEMBRARE LA RUSSA
Chi è Fontana ce lo spiega invece perfettamente l’ex parlamentare di Forza Italia Elio Vito: “Lorenzo Fontana, Lega, oggi Presidente della Camera, voleva abolire la legge Mancino (“usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano”, diceva) e sostenne il Congresso delle famiglie a Verona, con tesi antiaborto e antiLgbt. Di bene in meglio”.

IL CODICE BEFFA
La scena la racconta il giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli: “Diversi ex parlamentari dimaiani stazionano in Transatlantico. Sono cambiate le password del wi-fi della Camera – dove la linea non prende bene – e non le hanno più. Allora le chiedono a Riccardo Ricciardi, rieletto con il M5S, vice di Conte. “La password? Provate con impegnocivico0.7”.

DAI SELFIE AI VAFFA
Racconta Adnkronos: “L’aula del Senato era stata tutta un fermento da primo giorno di scuola: saluti, abbracci e selfie-ricordo. Massimiliano Romeo chiede alle colleghe della Lega di mettersi in posa e a Claudio Borghi di spostarsi per non impallarle. Ma i più attivi sono quelli di FdI, che poi si fotograferanno a vicenda all’uscita dal catafalco. Alessio Butti immortala un ‘cheese’ di Daniela Sanantanchè. La foto copertina è di Isabella Rauti, autrice dello storico scatto del futuro presidente Ignazio La Russa mentre imbuca la scheda nell’urna. Alla prima pausa dei lavori un capannello si forma davanti al leader di FI. Il leghista Giorgio Maria Bergesio gli chiede un selfie, mentre Matteo Renzi e Mario Monti si imbucano e stringono la mano al Cavaliere. Ma il leader di FI ha altri pensieri, entra e esce dall’aula, le trattative per la formazione del governo vanno male per FI. Forse per questo, ripreso dagli smartphone, si lascia scappare un ‘vaff…’ verso La Russa che gli passa davanti. E forse per questo, al momento del voto salutato dall’applauso dei suoi senatori, si alza, caracolla un po’ e riceve il provvidenziale aiuto di Daniela Santanchè. Poi vota ma esce dal lato sbagliato del catafalco, si gira, perde per un attimo l’equilibrio e ha bisogno dell’intervento dei commessi”. Era iniziata bene. È finita malissimo.

PRECOX
Scrive Stefano Mazzurana su Twitter: “Votare già con l’estrema destra a governo non ancora formato per i renzisti di IV e Pd tecnicamente è ejaculatio praecox”.

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L’articolo Silvio barcolla ma non molla. Continua il Bestiario di Governo sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Una politica che fa già schifo

Pronti non erano pronti. L’hanno scritto sui manifesti e l’hanno ripetuto per giorni arrabbiandosi con i giornalisti ma è bastato mettere leghisti, berlusconiani e meloniani nella stessa stanza per assistere all’indecenza che prima stava solo sui giornali. Non sono serviti gli incontri dei giorni precedenti tra Berlusconi, Meloni e Salvini, con fotografie sorridenti al seguito per nascondere una destra che oltre a essere impreparata è anche spaccata.

Silvio Berlusconi appena ha sentito profumo di potere ha limato le unghie per arraffare Giustizia e televisioni, secondo la sua antica ossessione di esercitare il potere per proteggere la sua flebile credibilità. Se a questo si aggiunge la sua proverbiale egomania che gli fa traslare in politica le sue piccole questioni private si capisce come sia riuscito a fare di Licia Ronzulli uno scoglio per un governo nel pieno della tempesta economica, della crisi energetica e della guerra alle porte dell’Europa.

Matteo Salvini è troppo occupato nel cercarsi un posto al sole. Per il leader della Lega il governo che viene continua a essere una questione personale. Perfino la scelta del ministero da occupare in questo momento è più funzionale alla sopravvivenza della sua leadership all’interno del suo partito, più che a un progetto a lungo raggio. Poi c’è lei, Giorgia Meloni, immersa nel suo percorso di travestimento politico, impegnata in un corso di buone e rassicuranti maniere che si è già sbriciolato con alla presidenza del Senato uno che è stato responsabile del Fronte della Gioventù e un putiniano di ferro (uno vero, mica uno di quelli che certi pessimi giornalisti vedono dappertutto) che forse oggi sarà presidente della Camera. L’atlantismo di Giorgia Meloni è una bugia appassita sugli scranni più alti del Parlamento.

A questo si aggiungono almeno 17 voti arrivati dalla presunta opposizione (ricca di politici che s’offrono fin dal minuto dopo i risultati delle elezioni). Troppo facile raccontarsi che la colpa sia tutto del sedicente terzo polo (che invece è il quarto). Anche se l’ipotesi fosse realistica (e non se la prendano Calenda e Renzi se dalle loro parti la credibilità è una qualità che gli riconoscono in pochi) tra i favoreggiatori di La Russa ci sono voti che arrivano anche da altro (Pd, M5s o entrambi). Gente che è disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di poter servire. Senatori che nella loro prima votazione sono riusciti già a tradire il mandato elettorale, rendendo possibile il capolavoro politico di una destra che elegge il suo presidente senza averne i numeri. Qualcuno con il candelabro in mano – come nei libri gialli dal finale scontato – dice che la mossa “ha evidenziato la spaccatura nella destra”. Un vero capolavoro politico concorrere al fine degli avversari mettendo a disposizione i propri mezzi, in effetti.

Una cosa è certa, della prima seduta al Senato rimane il senso di vertigini tra le parole di Liliana Segre (applaudita anche da coloro che non hanno provato vergogna a scrivere La Russa qualche minuto dopo) e lo spessore della classe dirigente. Siamo sempre qui, siamo ancora qui. Siamo al potere per il potere perseguito con ogni mezzo, con qualsiasi comportamento. E viene fin troppo facile immaginare che la giornata di ieri contribuisca a qualche mezzo punto in più alle prossime elezioni. E come al solito grideranno “al fuoco al fuoco” coloro che hanno appiccato l’incendio.

Buon venerdì.

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