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Doppia fumata nera alla Camera. Impallinato il leghista Molinari

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La tentazione è scoccata l’altra sera, dopo l’incontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Appare ormai evidente che il disegno della leader di Fratelli d’Italia sia limitare il più possibile il suo malsopportato alleato Matteo Salvini e da qui la tentazione è di spostare l’asse, rompere il rapporto privilegiato tra Lega e Forza Italia e mostrare i muscoli già per l’elezione della Camera.

Veti e colpi bassi nel Centrodestra fanno saltare l’intesa alla Camera. Questa mattina la quarta votazione per l’elezione del presidente

Lo schema è molto semplice: Meloni offre a Berlusconi garanzie sui ministeri che gli interessano davvero (Giustizia e Sviluppo, per le televisioni), magari rinunciando a Sisto e Casellati che sono ritenuti troppo compromessi ma con un nome che comunque garantirebbe i desiderata dell’ex Cavaliere.

In cambio Meloni propone un cappotto già all’elezione del presidente della Camera, offrendo a Forza Italia la possibilità di scipparlo alla Lega salviniana, suggellando così un’asse per il futuro. In Fratelli d’Italia e in Forza Italia molti sono convinti che lo strappo non sarebbe vissuto come tradimento dalla componente leghista che ormai aspetta solo di poter impallinare il suo segretario.

Anzi, a pensarci bene, si dicono, potrebbe addirittura essere un’accelerazione alla detronizzazione di Salvini. Sia Berlusconi che Meloni sono infastiditi – non lo nascondono – dalle bizze dell’alleato sul Viminale per sé stesso e sul voler disconoscere Giorgetti come ministro in quota Lega. Ne parlano, ci pensano, si consultano. La candidatura del leghista Riccardo Molinari come presidente della Camera traballa. Restava da decidere cosa osare ma la realtà è molto diversa da quella che si immaginano i leader, tutte e tre i leader (Berlusconi, Salvini e Meloni) e accade tutt’altro.

Salvini lo dice chiaramente: “C’è’ l’accordo per votare La Russa e poi un nome indicato dalla Lega alla Camera”. Anche li il vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, arrivando al Palazzo dei Gruppi di Montecitorio, a chi gli domandava se si andava verso l’elezione del leghista Molinari alla presidenza della Camera risponde sulla stessa linea: “Mi sembra importante capire l’esito del voto del Senato, poi qui” alla Camera “va di conseguenza”, dice ai giornalisti. L’accordo di cui parla Salvini però non esiste.

Al Senato accade che Ignazio La Russa venga eletto presidente ma non nei modi convenuti: servono i voti dell’opposizione. Così lo strascico della prima crisi nella maggioranza (nel primo giorno in Parlamento) si trasferisce alla Camera dei deputati. La prima votazione è una fumata nera. Anche la seconda si conclude con un nulla di fatto.

Come era prevedibile, del resto. Se in mattinata l’Aula di Montecitorio aveva fatto “melina” in attesa del voto di Palazzo Madama – per poi dare seguito all’accordo che sembrava raggiunto nel centrodestra che prevedeva La Russa al Senato e un leghista alla Camera -, nel primo pomeriggio il passaggio dei deputati sotto il catafalco è stato condizionato proprio da quel voto. Ma in maniera diversa rispetto alle aspettative.

Nel Pd qualcuno propone di votare un nome, uno qualsiasi, per la presidenza della Camera per non incorrere in sospetti come avvenuto al Senato. Ma tutta l’attenzione è su Forza Italia che sbatte (letteralmente, come accade per Berlusconi a Palazzo Madama quando manda aff… Ignazio La Russa. Non serve indagare per capire quale sia il motivo. Berlusconi è scontento, eccome, per il no a Licia Ronzulli come ministra. “Non ci piacciono i veti”, continua a ripetere ai giornalisti, e così l’asse della maggioranza è già naufragato dai propositi di prima mattina.

Nel tardo pomeriggio si prova a trattare su un altro nome. Non più il capogruppo uscente della Lega Molinari ma il vicesegretario del partito (e ex ministro) Lorenzo Fontana. Qualcuno sussurra anche il nome di Giorgetti, che però Meloni continua a vedere bene al ministero dell’Economia. Meloni e Salvini si incontrano alla Camera in vista dello scrutinio di oggi. La terza votazione ormai è una formalità dall’esito negativo scontato. Non servirà più la maggioranza di due terzi ma basterà una maggioranza semplice.

I numeri comunque non tornano: la maggioranza alla Camera è a quota 237, di cui 45 sono i deputati forzisti. Sottraendo i voti del gruppo azzurro, ci si fermerebbe a 192. Sotto il quorum. Ci sono, ragiona qualcuno, comunque i voti dei franchi tiratori nascosti nell’opposizione, ma non sarebbe un grande messaggio quello di una maggioranza di governo che ha bisogno di stampelle in entrambe le Camere per riuscire a eleggerne i presidenti.

Giorgia Meloni sfila ostentando sicumera: “L’importante è il risultato”, dice ai giornalisti. Ma in politica, e lei lo sa bene, il modo conta eccome. Intanto si sprecano le accuse su chi nell’opposizione ha votato con la destra. Sarà facile scoprirlo osservando le elezioni delle presidenze nelle Commissioni. L’altro ieri il berlusconiano Mulè diceva: “Se domani non ci saranno i presidenti delle camere alle 10.30, siete tutti legittimati a darci dei pagliacci”. Pagliacci, appunto.

Leggi anche: Fumata nera alla Camera. Domani il quarto voto per l’elezione del presidente

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La tentazione di Giorgia e di Silvio di far saltare l’accordo sulla presidenza della Camera a Salvini

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La tentazione è scoccata ieri sera, dopo l’incontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Appare ormai evidente che il disegno della leader di Fratelli d’Italia sia limitare il più possibile il suo mal sopportato alleato Matteo Salvini e da qui la tentazione è di spostare l’asse, rompere il rapporto privilegiato tra Lega e Forza Italia e mostrare i muscoli già per l’elezione della Camera.

È ormai evidente che il disegno della Meloni sia limitare il più possibile il suo alleato Salvini mostrando i muscoli già per l’elezione della Camera

Lo schema è molto semplice: Meloni offre a Berlusconi garanzie sui ministeri che gli interessano davvero (Giustizia e Sviluppo, per le televisioni), magari rinunciando a Sisto e Casellati che sono ritenuti troppo compromessi ma con un nome che comunque garantirebbe i desiderata dell’ex Cavaliere.

In cambio Meloni propone un cappotto già all’elezione del presidente della Camera, offrendo a Forza Italia la possibilità di scipparlo alla Lega salviniana, suggellando così un’asse per il futuro.

In Fratelli d’Italia e in Forza Italia molti sono convinti che lo strappo non sarebbe vissuto come tradimento dalla componente leghista che ormai aspetta solo di poter impallinare il suo segretario.

Sia Berlusconi che Meloni sono infastiditi dalle bizze del leader della Lega sul Viminale

Anzi, a pensarci bene, si dicono, potrebbe addirittura essere un’accelerazione alla detronizzazione di Salvini. Sia Berlusconi che Meloni sono infastiditi – non lo nascondono – dalle bizze dell’alleato sul Viminale per sé stesso e sul voler disconoscere Giancarlo Giorgetti come ministro in quota Lega.

Ne parlano, ci pensano, si consultano. La candidatura del leghista Riccardo Molinari come presidente della Camera traballa. Ora resta da decidere se osare così tanto.

 

Leggi anche: Votazioni Camera e Senato: come si eleggono i presidenti dei due rami del Parlamento e quali sono i quorum previsti

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Romanzo Viminale su Salvini. Continua il Bestiario di Governo

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Salvini che frigna, bugie su bugie e il parlamento pronto a partire. Eccoci al nostro bestiario di governo.

ORMAI SALVINI FA TENEREZZA
In piena notte Matteo Salvini non riesce a dormire e quindi si mette a fare una diretta su TikTok. A un certo punto qualcuno tocca il nervo scoperto del Viminale, la risposta di Salvini è un manuale di gnegneismo: “In quale ministero andrò io? – dice Salvini -. Non lo so, non ho ambizioni personali. Ho fatto il ministro dell’Interno per parecchi mesi, con buoni risultati a detta di tanti, e quindi sarei pronto a tornare domani a fare il ministro dell’Interno, non avrei problemi a tornare a farlo, però se la maggioranza di governo, se con Giorgia e Silvio decideremo di impegnarsi anche su altri fronti, per carità. Per me il destino personale viene dopo il gioco di squadra e l’interesse nazionale”. Come un bambino che vuole le caramelle.

AMBIENTALISTI, TRANQUILLI!
All’Italia “serve anche il nucleare, e conto di riuscire ad essere al governo in una posizione che mi permetta di riportare l’Italia nel futuro, perché il nucleare significa energia pulita, sicura e bollette della luce meno care”. Così il segretario della Lega, Salvini, nella stessa diretta notturna su TikTok. Se ci pensa lui, stiamo tranquilli. Deve arrivare prima la secessione, no?

CON CHI CE L’HANNO?
Giorgia Meloni e i suoi alleati stanno provando a mettere insieme un governo. Non va benissimo, c’è da dire, se ormai litigano anche sui portaombrelli. Ieri il capogruppo alla Camera di fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida da vero patriota prende il telefono in mano e twitta: “Nessuno si illuda: non cambieremo idee e obiettivi. Il nostro sarà il governo più politico di sempre”. Ma con chi ce l’ha, di preciso? Lollobrigida, vedi altre persone in questa stanza

MULÈ LO AMMETTE
Da giorni la Meloni dice che nella sua coalizione non ci sono screzi e che vanno tutti d’amore e d’accordo. Ieri a Roma sbuca Giorgio Mulè di Forza Italia che dice ai giornalisti: “Stanotte un bagno di sangue nel centrodestra È il bello della politica. Domani avremo i presidenti”. Mulè aggiunge: “Se domani non ci saranno i presidenti delle camere alle 10.30, siete tutti legittimati a darci dei pagliacci”. Beh, perché non oggi?

ETTORE MANO TESA
Il presidente di Italia Viva Ettore Rosato spiega in un’intervista a La Prealpina: “Siamo all’opposizione, ma opposizione non vuole dire sperare che chi governa faccia male. Semmai, vuol dire aiutare chi governa a non commettere errori e denunciare le cose che non vanno. In una fase difficile come questa, gli italiani si aspettano soluzioni e non comizi”. Insomma, è un’opposizione omeopatica.

SBUGIARDATI PURE DA SGARBI
Tra le molte cose che pervicacemente continuano a negare nel centrodestra c’è lo scoglio Ronzulli che avrebbe agitato il rapporto tra Meloni e Berlusconi. I giornali lo scrivono e Giorgia Meloni si offende, i suoi compagni di partito se la prendono con i giornali. Poi sbuca Vittorio Sgarbi che dice: “Legittima la pretesa di #Berlusconi d’indicare la #Ronzulli per un ministero”. Ah, guarda un po’.

CHE CERCA?
“Uno dei ministeri di cui spero potremo occuparci come Lega è quello dell’Università e della ricerca per aprire le porte degli atenei al merito”. Sempre Salvini in diretta notturna su TikTok. In realtà vorrebbe un ministero per la ricerca di ministeri. Una roba così.

CHE RIDERE
Siparietto tra la capogruppo Pd alla Camera Debora Serracchiani e il vicepresidente del Senato di Fdi Ignazio La Russa. Incrociandolo sulle scale di Montecitorio, l’esponente dem chiede a La Russa: “Devo chiamarla presidente?”. “Sì, sono presidente dell’Inter Club. Chiamatemi presidente”, risponde quello. Che ridere, in effetti.

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Pietà l’è in carcere

Mentre Silvio Berlusconi, dopo essere stato giudicato da molti come papabile presidente della Repubblica, ieri si è registrato in Senato e prova a mettere le mani sul ministero alla Giustizia (per non rischiare di essere condannato al processo Ruby ter?), l’associazione Antigone racconta una storia che arriva dal carcere milanese di San Vittore.

Da circa due settimane una donna di 85 anni è detenuta presso il carcere milanese. La sua condanna definitiva è di soli 8 mesi, scaturita dall’occupazione abusiva di un alloggio.
Nonostante il reato non sia di grande pericolosità sociale e la pena comminata di brevissima durata, la donna è stata tuttavia condotta nel carcere del capoluogo lombardo. Ad aggravare la situazione il fatto che la signora non è autosufficiente, richiedendo perciò un’assistenza personale e una gestione sanitaria costante da parte di altre detenute e degli operatori. Fino ad oggi, nonostante i ripetuti solleciti dell’istituto e un’istanza di scarcerazione, la signora si trova ancora ristretta nell’istituto.

«La vicenda – sottolinea Valeria Verdolini, responsabile della sede lombarda di Antigone – investe due questioni: la sempre maggior frequenza con cui persone anche ultrasettantenni o ultraottantenni entrano in carcere, e la questione centrale della residenza, che impedisce una vera e propria presa in carico da parte dei servizi, lasciando al penitenziario l’onere di gestione residuale. La richiesta che facciamo è che per questa anziana donna si trovi il prima possibile una soluzione che le consenta di scontare la pena in un luogo più confacente e sicuro, per la sua età e le sue condizioni di salute».

«Al 30 giugno 2022 si contavano 1.065 detenuti che hanno più di 70 anni, rappresentando
questi quasi il 2% della popolazione detenuta. Un numero che negli anni recenti è in costante crescita. Serve grande attenzione per la loro condizione e, dinanzi pene brevi da scontare o residue, è fondamentale trovare alternative alla detenzione» sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. «Questo passa anche dal creare strutture di sostegno sociale e abitativo che consentano a queste persone anziane (e non solo a quelle anziane) di poter accedere a misure alternative, senza che proprio la condizione sociale di partenza diventi un ulteriore elemento discriminante» conclude Gonnella.

La legge esclude che la detenzione domiciliare si possa applicare alla persona che abbia superato i settant’anni quando la condanna riguardi uno dei seguenti reati: delitti contro la libertà individuale, come la riduzione o il mantenimento in stato di schiavitù o servitù, la prostituzione minorile e tutti i delitti contro i minori (pedopornografia, ecc.); violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e atti sessuali con minorenne; associazione per delinquere di stampo mafioso e narcotraffico; gravi delitti contro la pubblica amministrazione, come peculato, concussione e corruzione.

Oppure si va in carcere, semplicemente, se si è poveri.

Buon giovedì.

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Berlusconi torna a dettare legge su Giustizia e televisioni

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Sono i quotidiani del 13 ottobre del 2022 ma sembra un incubo di 28 anni fa. Nel governo che viene non c’è solo l’estrema destra che si accinge a governare per la prima volta nella sua storia ma c’è sempre lui, Silvio Berlusconi, che punta dritto al ministero della Giustizia per cercare impunità e al ministero dello Sviluppo economico per sistemare le sue televisioni.

Berlusconi torna a dettare legge su Giustizia e televisioni. Smontare la Severino e tutelare le aziende. Da 28 anni il Cav punta ai soliti obiettivi

Non ci vuole troppa fantasia per capire che il ministero della Giustizia per Silvio Berlusconi significa avere un fidato alleato in via Arenula per i processi che ha ancora in corso (nonostante, l’avete notato?, non se ne parli più) per cancellare l’odiosa legge Severino che fece decadere il leader di Forza Italia nel 2013 per il processo Mediaset. Quella legge incombe ancora. Dovrebbe arrivare a inizio del 2023 la sentenza sul processo Ruby ter in cui Berlusconi è imputato con l’accusa di avere pagato le ragazze delle sue cene “eleganti” affinché testimoniassero il falso.

Il leader di Forza Italia rischia una pena fino a sei anni ed è molto probabile che entro la fine della legislatura si arrivi in Cassazione poiché entro il 2026 il processo dovrebbe terminare. In caso di condanna Berlusconi decadrebbe per la seconda volta, esponendo sé stesso – e l’Italia, ma questo per lui non è mai stato un problema – all’ennesima figuraccia internazionale.

Ecco perché Forza Italia vorrebbe che Francesco Paolo Sisto o Maria Elisabetta Alberti Casellati occupassero quella poltrona: il primo, sottosegretario uscente proprio alla Giustizia, è avvocato fedele all’ex Cavaliere (a Villa Romanazzi Carducci durante la convention del centrodestra lo scorso settembre si è messo al pianoforte per dedicare una canzone al suo capo partito) mentre la ormai ex presidente del Senato Casellati fu colei che l’11 aprile 2011 difese la versione di Silvio Berlusconi su Ruby “Rubacuori” spiegandoci, ospite a Otto e mezzo, che Berlusconi ritenesse la ragazza nipote di Hosni Mubarak, data la telefonata ricevuta dal presidente egiziano, e che le avrebbe dato del denaro solo “per permetterle di lavorare e quindi di non prostituirsi”. Questo è il livello.

Per le televisioni il discorso è lo stesso. Sui giornali Berlusconi ripete, come fa dal 1994, che Mediaset è stata soltanto penalizzata dal suo ingresso in politica ma i numeri raccontano un’altra realtà: nel quinquennio del secondo e terzo governo Berlusconi i ricavi pubblicitari lordi di Mediaset passarono da 2.467 a 2.955 milioni, con un aumento del 19,8%; quelli della Rai scesero invece da 1.273 a 1.217, meno 4%. Considerando l’intero periodo 2001-2011, durante il quale Berlusconi ha governato per circa nove anni, La Rai ha avuto una flessione del 30,5%, contro una limatura del 3,8% subita dal concorrente privato nonostante la crisi devastante.

Non si tratta solo di soldi, oggi la crisi dell’editoria ha portato la pubblicità (sempre più concentrata) a dettare l’agenda editoriale più delle notizie. Oltre all’arricchimento personale Berlusconi ottiene, oggi ancor di più con la crisi, un’agibilità d’informazione che inevitabilmente condiziona e inquina il dibattito politico.

Ma tutto questo non è soltanto merito suo. Se siamo ancora in un incubo lungo 28 anni i demeriti dei suoi avversari (tutti, dalla sinistra ai 5 Stelle) sono evidenti. Una seria legge sul conflitto di interessi in questo Paese torna a galla nelle promesse a intervalli regolari, ma poi non si trova mai il tempo (e la voglia) di farla davvero. A marzo 2008 D’Alema disse: “Una legge andrà fatta, ma le priorità sono altre come il lavoro e la sicurezza”. A fine 2022 il lavoro e la sicurezza sono ancora un problema, non c’è la legge e Silvio è tornato.

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Come s’offrono Boschi e Casini. Riecco il Bestiario di Governo

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C’è la Meloni che da giorni ripete le solite cose, sempre e solo quelle, che contano come promesse. C’è Berlusconi che si immola (un’altra volta) per il bene del Paese facendosi ministro e ci sono quelli che s’offrono, con l’apostrofo, come sempre. Eccoci al quotidiano bestiario di governo.

QUALCUNO AVVISI GIORGIA
Giorgia Meloni, la presidente del Consiglio in pectore del prossimo governo, da giorni continua a ripetere che il suo sarà un “governo forte”, “un governo competente”, “un governo all’altezza”. Ieri su Twitter ha pubblicato una foto di lei tutta abbarbicata a una bandiera italiana con il sorriso da televenditrice scrivendo: “Siamo consapevoli del risultato che abbiamo ottenuto e sentiamo la responsabilità di dover affrontare un’importante sfida nella condizione più difficile nella quale l’Italia potesse trovarsi. Pronti a riscrivere le sorti della Nazione con un Governo forte, unito e autorevole”. Qualcuno le dica che la campagna elettorale è finita, non deve promettere niente. La vera sorpresa sarebbe una prossima presidente del Consiglio che dice “scusatemi, mi è venuto fuori un governo che fa schifo”.

LA BUSTA UNO, LA DUE O LA TRE?
“Stiamo lavorando per Roberto Calderoli al Senato”. Così Riccardo Molinari, presidente del gruppo della Lega alla Camera dei deputati. Pochi metri più in là Fratelli d’Italia spiega: “Per la partita di Palazzo Madama il nome resta quello di Ignazio La Russa. Si tratta di una candidatura che oggi si è rafforzata”. Lorenzo Cesa, Forza Italia: “Si arriverà ad un nome condiviso per la presidenza di Camera e Senato”. Compatti, mi raccomando.

BASILICATA CAPUT MUNDI
Voci poi smentite sullo scandalo in Basilicata. Il sottosegretario Moles (FI), Pittella (Azione) e il deputato Casino (FI) non sono indagati, come ipotizzato in giornata. La Regione resta però un laboratorio politico.

GIORGETTI, PENSA NOI…
Giancarlo Giorgetti risponde a chi gli chiede se farà il ministro dell’Economia: “Mi sentivo più giovane quando sono entrato la prima volta. Ho tutti i dolori articolari”. Pensa come stiamo noi qui fuori, Giorgetti…

IL NODO RONZULLI
Lo so, sembra incredibile ma siamo messi così. Centrodestra, sale la tensione. Berlusconi alla Meloni: “Se non ci vieni incontro su Ronzulli chiediamo anche Mef e Mise.” Il Cavaliere pronto a sacrificare Antonio Tajani, diventando lui ministro degli esteri, pur di nominare Ronzulli alla salute. Che poi Berlusconi ministro immaginiamo che per lui sia un sacrificio enorme. Sì, come no.

AMOROSI SENSI
Maria Elena Boschi: “Noi del Terzo Polo siamo alternativi alla destra. Faremo opposizione seria, senza evocare guerre civili come il M5S. Ma non faremo sconti al Governo. Li incalzeremo sulle priorità del Paese a cominciare dal caro bollette”. Pierferdinando Casini: “L’atteggiamento di quello che sarà il presidente del Consiglio incaricato mi sembra improntato alla responsabilità e alla consapevolezza che le difficoltà sono tante. L’atteggiamento mi sembra sia responsabile e giusto”. A proposito, complimenti a Letta per avere riportato Casini in Parlamento.

LO SA SOLO DIO
“Io ministro? Per fare il ministro ti devi affidare alla Provvidenza, io mi sono sempre affidato alla provvidenza che conosce bene i disegni. Certo la devi anche aiutare con l’impegno, la dedizione, la fiducia nelle istituzioni”. Così prima di accreditarsi in Senato il sottosegretario alla Giustizia uscente, Francesco Paolo Sisto che con FI passa dalla Camera al Senato, tra i nomi per il ministero della Giustizia. Siamo messi bene, affidati alla Provvidenza.

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L’eredità dei “migliori” su Autostrade

Giorgio Meletti sul quotidiano Domani stamattina racconta come la Cassa depositi e prestiti abbia firmato, il 3 maggio scorso, un patto vergognoso che consente al fondo americano Blackstone e al fondo australiano Macquarie (che possiedono il 24,5 per cento ciascuno della holding Hra, che a sua volta ha acquistato l’88,06 per cento di Aspi) di spolpare Autostrade.

Come spiega Meletti «Il punto 6.5.1. dei patti parasociali, intitolato “Policy dividendi”, recita: “Quale regola generale, le Parti si sono impegnate a fare in modo che Hra e le entità rientranti nel Gruppo (quindi Aspi e le sue controllate, ndr) distribuiscano ai rispettivi soci, su base semestrale, la cassa disponibile risultante dal bilancio di esercizio”. In pratica ogni euro di utile diventerà automaticamente un euro di dividendo. Non un solo euro verrà accantonato, e semmai ci fosse una nuova emergenza tipo pandemia saranno di nuovo i contribuenti a versare “ristori” per centinaia di milioni, com’è avvenuto nel 2020 e 2021».

In sostanza la Cassa depositi e prestiti ha speso 4 miliardi per acquisire dai Benetton la quota di controllo di Autostrade (ossia il 51% di Hra) ma non controlla nulla. E, soprattutto, mentre a Genova si celebra il processo per il crollo del ponte Morandi evidenziando come l’avidità dell’azionista di allora abbia pesantemente condizionato la manutenzione, oggi Autostrade si ritrova nella stessa situazione, con due fondi di investimento che il 20 luglio scorso hanno deciso di intascarsi l’intero utile netto del 2021, 682 milioni, che la gestione precedente aveva deciso di destinare alle riserve.

In questa storia scovata da Meletti c’è tutta la discrepanza tra la narrazione dei “migliori” e la realtà. C’è anche un elemento importante per comprendere l’esaltata linea editoriale di alcuni quotidiani, gli stessi che a tutta pagina hanno salutato Draghi esibendo il proprio lutto. In questa storia c’è anche il distacco dalla politica, dall’astensionismo al più generale disinteresse, dei cittadini che assistono all’irrefrenabile arricchimento dei già ricchi, per di più sulla pelle di 43 morti.

Buon mercoledì.

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“Subito il cessate il fuoco. Ma per fare la pace non basta fermare la guerra”

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Francesco Vignarca è coordinatore della campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo, che di guerre (e soprattutto) di pace si occupa da sempre. Per il 21, 22 e 23 ottobre la Rete ha lanciato una mobilitazione (l’ennesima nelle piazze italiane).

Vignarca, ora è un proliferare – finalmente – di marce della pace. Che ne pensa
“Se ne parla. Noi ne abbiamo sempre fatte, da sempre. Ora vedo che c’è molta fibrillazione per una manifestazione nazionale ma qualora venga fatta sarà per noi una tappa di un cammino, che per noi sull’Ucraina è iniziato il 26 febbraio a Roma. Anzi, direi anche prima, visto che dal 2014 sottolineavamo la situazione in quei territori mentre molti politici che ora pontificano facevano accordi politici e economici con la Russia Putin. Abbiamo dal 21 al 23 ottobre manifestazioni diffuse in tutto il territorio nazionale. Oltre a questo abbiamo organizzato già 4 carovane di pace in Ucraina portando tonnellate di aiuti, organizzando il viaggio di quasi 1000 profughi, occupandoci di 3 dissalatori a Mikolaiv, una città quasi sul fronte, ancora più a est Odessa, con presenza continuativa. Le manifestazioni si fanno perché sono importanti, perché esercitano pressione sulla politica ma devono essere parte di un percorso completo sennò sono solo una scampagnata”.

Ci sono però molti distinguo: qualcuno dice “ci sono solo davanti all’ambasciata russa”, altri dicono “se c’è quello non vengo io”…
“È una continua strumentalizzazione politica e culturale. Noi ne abbiamo subite di tutte, siamo stati oggetto di attacchi insensati. Noi che ci siamo sempre occupati di protezione umanitaria siamo stati accusati di non occuparci degli ucraini. C’è gente che si è inventata difensore di diritti e di crimini di guerra che prima ci trattava da anime belle quando sottolineavano i crimini con le nostre armi come accade in Yemen: “Conta l’economia!” Ci dicevano in quel caso. Di colpo adesso sono diventati idealisti. La guerra è complessa e drammatica, i percorsi di pace sono duri, lunghi ed è difficile. Sono anche laceranti, noi stessi siamo lacerati quando andiamo n Ucraina, non dormiamo tranquilli. Poi ci sono quelli che invece trasportano tutto in polemica banale sul luogo di una marcia o su chi c’è e non c’è. si riduce tutto al tifo, al bianco e nero. Una situazione di pace è una condizione complicata. Molti dicono la pace deve essere giusta, certo. Va fatta in decenni. Tutti i torti devono essere ripagati? No, non accade in generale, non è accaduto nemmeno con la commissione per la riconciliazione in Sudafrica sull’apartheid. Deve essere un percorso doloroso che non è la legge del taglione. Pace non è solo tregua ma è molto di più. Poi finisce come in Afghanistan: con un clic si è girata pagina, nessuno si è chiesto perché, cosa abbiamo fatto. E nessuno si straccia le vesti”.

Lo slogan che va per la maggiore è “se la si ferma non ci sarà più la guerra, se l’Ucraina si ferma non ci sarà più l’Ucraina”. Che ne pensa
“Non basterebbe uno stop della Russia, come ho già detto. Quello fermerebbe la guerra, sarebbe una condizione importante ma non porterebbe la pace. È banalizzante credere che è pace quando non si spara. Noi non pensiamo alla resa dell’ucraina ma pensiamo che quando uno vuole arrivare alla pace deve valutare la strada. Siamo tutti contenti che dopo la seconda guerra mondiale si sia costruito in Europa un sistema di pace ma provocare 80 milioni di morti non è stato il modo giusto. Guardando gli altri conflitti abbiamo visto che il flusso di armi comporta inasprimento e allargamento. Per esempio c’è una ricerca di Harvard che dimostra come tutte le rivoluzioni non violente siano state più efficaci. Penso ai danesi sotto i nazisti. Se prepari la guerra alla fine avrai un confronto muscolare. Questo, attenzione, non elimina la responsabilità di Putin, ma è l’unica strada”.

Così non si rischia di sembrare “amici di Putin”?
“Anche questa è una banalizzazione da bar già vista nella storia. Bisogna ragionare, accettare posizioni diverse capire le differenza: quella è pace positiva, non solo negativa nel senso di negazione di guerra. La pace accade solo di fronte a un confronto aperto e serio sui contenuti. Molti che oggi accusano i pacifisti hanno fatto accordi con Putin, l’hanno visto come punto di riferimento politico mentre noi già lamentavano la mancanza di diritti in Russia, noi abbiamo criticato programma di riarmo russo nel 2011. Quando dicevamo questa cose noi siamo stati inascoltati. Di colpo, solo perché siamo coerenti, diveniamo putinisti. Ma se siamo così pochi, sbagliati, inutili, perché siamo un problema”.

Carlo Calenda, intanto, fa riferimento a pacifisti che “vogliono la resa ucraina”. Chi sono?
“Mi sono stufato di questo personaggio, Calenda ha anche parlato di pacifismo immorale. Io non la accetto. Sulla non violenza e sulla moralità e sulla protezione della vita è il fulcro della nostra azione: mentre noi dicevamo le nostre cose Calenda almeno in due occasioni se ne andava al forum di Pietroburgo a sottoscrivere contratti mentre era in vigore un embargo contro Putin. E Putin aveva già occupato la Crimea”.

Cosa potrebbe risolvere i conflitto?
“Il cessate il fuoco è la prima cosa. Finché ci sono attacchi da parte russa sarà impossibile ragionare. Qualcuno deve imporlo alla Russia e dovrebbe essere fatto da chi è protagonista. Poi un tavolo con tutti, Cina, Biden, Papa Francesco, l’Ue oltre a Putin e Zelensky. Un luogo dove le rivendicazioni vengono fatte da terzi come si è sempre fatto, dove tutti un po’ salvano la faccia”.

 

 

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Una Destra da manuale… Cencelli. Riparte il Bestiario di Governo

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C’è Berlusconi che conta ormai come il due di picche, c’è Meloni con i regali per i maschi e quelli per le femmine e l’ex ministro Romani che avrebbe rubato addirittura al suo partito. Eccoci al Bestiario di governo.

SILVIO NEGA IL CENCELLI
“Non esistono liste della spesa di Forza Italia. Forza Italia mette a disposizione i suoi migliori parlamentari, da impiegare al meglio nel quadro di un assetto complessivo della squadra di governo. Posso dire solo due cose, in astratto, sul piano metodologico. La prima è che, a differenza di quanto si legge, non esistono, non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno. Se questo accadesse ma non è il caso nostro – non lo potremmo mai accettare. La seconda è che non procederemo con il manuale Cencelli in uso nella Prima Repubblica per spartire i posti di governo secondo i pesi delle singole forze politiche, ma utilizzeremo come primo criterio di scelta l’efficienza, la concretezza, la capacità di lavoro dimostrata nel tempo da ciascun candidato”. Lo afferma il leader di Fi Silvio Berlusconi, in un’intervista a Il Giornale. Si è dimenticato però di confessare che per 3 giorni la lista del nuovo governo si è incagliata per Licia Ronzulli. Ma quello non è il manuale Cencelli, quella è l’agenda Berlusconi.

INTANTO PROSEGUE IL CENCELLI
L’idea di Fratelli d’Italia è quella di arrivare quanto prima alla scelta dei presidenti di Senato e Camera (La Russa e Molinari dati quasi per fatti), poi a cascata tutto il resto. Meloni valuta lo schema 5+5: ovvero cinque ministeri alla Lega e altrettanti a Fi (ma con il Carroccio, più forte elettoralmente degli azzurri, a prendersi un ramo del Parlamento). A proposito di merito e competenze.

GIORGIA NO GENDER
Giorgia Meloni ha regalato una cravatta ai parlamentari neo-eletti di FdI. Ha regalato invece un foulard alle parlamentari neo-elette. Così riescono a riconoscere facilmente i maschi dalle femmine e non incacano nel gender.

LA DEMOCRAZIA SECONDO BONOMI
Bonomi, presidente di Confindustria: “Dobbiamo dire che le promesse fatte in campagna elettorale non possono essere in questo momento soddisfatte. È legittimo che i partiti cerchino di rispondere alle promesse elettori, ma non è il tempo per fare flat tax o misure di prepensionamento come quota 100”. Insomma, dice Bonomi che bisogna applicare il programma di Confindustria e al diavolo i programmi elettorali. Avete notato? Il condono fiscale invece non l’ha citato, quello si può fare.

TRATTATE BENE BERLUSCONI
Quando si è chiusa la porta della villa di Arcore e la Meloni è andata via, sabato pomeriggio, Berlusconi a stento ha trattenuto la rabbia. Poi ha sibilato un aggettivo che spiega più di tante altre parole com’è andato veramente l’incontro: “Arrogante, è stata arrogante”. In effetti con le donne a lungo è stato abituato a offrire soldi, mica a prendere ordini.

A PROPOSITO DI MERITO
Presidenza del Senato, derby interno al centrodestra tra Calderoli e La Russa. Sembra tramontare l’ipotesi Casini. Solo non si vedono i due liocorni.

SALUTI ROMANI
Un somma pari a circa 344mila euro è stata sequestrata dal nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano a Paolo Romani, ex senatore di Forza Italia. L’ex ministro dello Sviluppo Economico nell’ultimo governo di Berlusconi è indagato dalla procura di Monza per peculato. Secondo l’accusa degli inquirenti Romani, quando era a capo del Gruppo Parlamentare di Forza Italia, ha sottratto illecitamente dai conti del partito guidato da Silvio Berlusconi la cifra equivalente a quella sequestrata con la presunta complicità dell’amico imprenditore Domenico Pedico, pure lui indagato. Dalle nostre parti si dice “amici amici e poi ti rubano la bici”.

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Ricucire con il M5S. Così Letta ha detto di aver sbagliato tutto

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Nessuno scioglimento del Pd. Le proposte che arrivano da “chi non c’entra niente con il partito non sono nemmeno un tema di discussione”, dicono dal Nazareno. Il segretario Enrico Letta, ieri ospite a Che tempo che fa da Fabio Fazio l’ha detto chiaro e tondo: “Abbiamo cinque milioni di persone che ci hanno votato. Escludo lo scioglimento del Pd. Tutti coloro che vogliono costruire un’alternativa partecipino al processo costituente del nuovo Pd”.

Letta è tornato a parlare del M5S. Il segretario del Pd lancia l’idea di un’opposizione unita. Ma i dem puntano solo a ingabbiare Conte

Ma la frase di cui ieri per tutto il giorno si è discusso è stata un’altra. Ieri tra le altre cose Letta è tornato a parlare del Movimento 5 Stelle: “Per che faremo un’opposizione il più unitaria possibile, altrimenti faremo il regalo più grande a Giorgia Meloni e al suo governo che ne avrebbero un vantaggio”, ha detto Letta, aggiungendo che “il M5s ha svolto un ruolo importante, noi governiamo con loro”.

Per molti parlamentari del Partito democratico questa sarebbe l’ennesima ammissione di una strategia completamente sbagliata nella sfida elettorale, “una consapevolezza più che tardiva e che, se possibile, ci danneggia ancora di più”, dice uno dei senatori che all’alleanza con Conte ha dedicato molte energie.

Letta sa benissimo che l’alleanza tra il Pd e il M5S nei territori è più viva che mai. In Lombardia nessuno nasconde che sia l’unica alleanza possibile per provare a stare in partita nelle prossime elezioni regionali (ancora di più se il sedicente Terzo Polo appoggerà la candidatura di Letizia Moratti in un centrodestra spaccato) e il prossimo governo Meloni inevitabilmente salderà ancora di più questo rapporto.

Ne avranno a male, questo è sicuro, gli esponenti della corrente interna Base riformista (guidati da Luca Lotti e Lorenzo Guerini) che prediligerebbero un allontanamento definito da Conte per abbracciare Renzi e Calenda ma secondo le ultime voci di giornata nemmeno Stefano Bonaccini sarebbe di questa idea, rifiutandosi di fatto di garantirli su questo punto.

Nell’ottica del prossimo congresso ieri la direzione nazionale di Articolo Uno ha dato indicazione di aprire una fase costituente della sinistra democratica con il Partito democratico: “Siamo convinti – si legge nel documento licenziato dalla direzione – che occorra aprire una fase costituente vera della sinistra democratica e di governo. Interloquiremo nei prossimi giorni con la proposta avanzata da Letta e lavoreremo affinché la chiamata sia larga e inclusiva”.

“Serve un vero processo costituente – prosegue il documento -, il cui esito non può essere scritto dall’inizio, nella costruzione delle regole della partecipazione democratica e del manifesto dei valori fondativi dell’identità di una forza politica rinnovata. Bisogna garantire agli iscritti e ai non iscritti, alle associazioni, ai movimenti, ai singoli cittadini di poter contribuire”.

Letta ha anche chiarito che non tornerà in Francia e che non ha nessuna intenzione di abbandonare il suo ruolo all’opposizione: “Vedo che in tanti da Lega e Fratelli d’Italia mi invitano a prendere la strada del ritorno ma io sarò impegnato a fare opposizione in Aula con tutta la determinazione che ho perché penso che questa destra non sia ciò di cui l’Italia ha bisogno”.

Sulla scacchiera del congresso intanto la candidata Paola De Micheli (al momento l’unica candidatura ufficializzata) rivendica di avere “ragioni potenti” per candidarsi in un partito che ritene “scalabile”. De Micheli lamenta anche di essere “silenziata” perché “unica donna candidata a guidare il Pd” (dimenticando Rosy Bindi) e chiarisce fin da subito di non essere disposta a nessun ticket, con nessun uomo.

“Lei sarà la prima donna premier e io la prima segretaria del Pd – ha detto ieri in un’intervista al Corriere della Sera – , guiderò l’opposizione e torneremo a vincere. Sarò l’anti Meloni perché mi preoccupa molto il modello dei governi ungherese e polacco, che comprime le diversità in favore di una semplificazione deteriore”.

I candidati che pesano invece sono stati evocati proprio da Letta: “Bonaccini e Schlein sono due grandi risorse per il futuro del centrosinistra, loro cosi come altri che ci sono e potranno dire cose molto importanti e magari si candideranno”, dice il segretario dimissionario del Pd.

C’è un piccolo particolare di cui conviene tenere conto: mentre Bonaccini si è già detto disponibile alla guida del partito Elly Schlein per ora non ha proferito parola sull’argomento, limitandosi a leggere, senza rispondere, ciò che gli altri dicono e scrivono su di lei. Solo quando scioglierà la riserva si potrà definire gli schieramenti in campo. E solo in quel momento ognuno scoprirà le carte.

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