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Caso Sangiuliano-Boccia distrazione di massa

Mentre i telegiornali e i giornali nazionali hanno aperto con la notizia della scappatella di un ministro che aveva promesso un incarico di prestigio per fare il provolone con una donna al largo di Lampedusa – mica in Libia – ventuno persone sono morte su una barca capovolta. Sette si sono salvati rimanendo per tre giorni aggrappati alla zattera, in mezzo a un pezzo di mare lasciato sguarnito. Quando li hanno recuperati i sopravvissuti avevano negli occhi l’orrore di chi non aveva più speranza. Colpa loro, dei morti e degli scampati, che non hanno ancora capito che prima di naufragare bisogna diventare milionari per ottenere soccorsi.
Mentre ci si occupa dei calori estivi di un ministro il cambiamento climatico sta sfondando le strade delle città, preannunciando un autunno che smutanderà i negazionisti di casa nostra, quelli che misurano la crisi annusando la temperatura sul loro balconcino che si affaccia sulla piazza.
Mentre ci si occupa di un ministro che frigna i balneari hanno ottenuto l’ennesimo rinvio che costerà nuove multe al nostro Paese, quindi a noi. Nel frattempo a suon di spari abbiamo saputo che un rampollo di ‘Ndrangheta al nord (dove la mafia non esiste) puntava agli affari della curva della squadra di calcio campione d’Italia.
Nel frattempo i benzinai dicono che il governo ha licenziato la peggiore riforma sulla distribuzione di carburanti. Un regalo ai petrolieri, dicono. Accade anche che le disuguaglianze geografiche nella scuola pubblica siano già gravi prima dell’autonomia differenziata, mentre gli affitti per studenti schizzano alle stelle.
La distrazione è riuscita. Bravi tutti.

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Sì, c’entra il cambiamento climatico con la siccità in Sicilia e Sardegna

Il cambiamento climatico sta giocando un ruolo chiave nell’intensificare la siccità che ha colpito duramente la Sicilia e la Sardegna negli ultimi mesi. Questa è la conclusione di un recente studio pubblicato il 4 settembre 2024 da World Weather Attribution, un’organizzazione internazionale specializzata nell’analisi dell’influenza del cambiamento climatico sugli eventi meteorologici estremi.

Lo studio, intitolato “Climate change key driver of extreme drought in water scarce Sicily and Sardinia”, è il risultato di una collaborazione internazionale che ha visto coinvolti scienziati provenienti da Italia, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, Commissione Europea e Stati Uniti. Tra le istituzioni partecipanti figurano l’Imperial College di Londra, l’Istituto Meteorologico Reale dei Paesi Bassi (KNMI) e il Centro Climatico della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.

Secondo la ricerca, che si estende per 37 pagine di analisi approfondita, sia la Sicilia che la Sardegna hanno sperimentato negli ultimi 12 mesi condizioni di siccità estrema, caratterizzate da precipitazioni eccezionalmente scarse e temperature molto elevate. La situazione ha raggiunto il suo apice a partire da maggio 2024, con conseguenze devastanti per l’agricoltura, il turismo e l’approvvigionamento idrico delle due isole.

Il 2024 si è rivelato un anno particolarmente critico per il Sud Italia con un autunno caratterizzato da piogge molto inferiori alla media seguito da mesi caldi e secchi. Le prime allerte per la siccità sono state emesse già a dicembre in Sicilia, seguite a maggio da quelle in Sardegna. La gravità della situazione ha portato la Sicilia a dichiarare lo stato di emergenza a maggio 2024. Nonostante il razionamento dell’acqua sia in atto da febbraio, i bacini idrici di entrambe le isole sono ormai quasi prosciugati all’avvicinarsi della fine dell’estate.

L’impatto devastante: un’analisi scientifica della siccità

Per valutare la gravità della siccità, i ricercatori hanno utilizzato l’Indice Standardizzato di Precipitazione ed Evapotraspirazione (SPEI), uno strumento che tiene conto non solo delle precipitazioni ma anche dell’evapotraspirazione potenziale, offrendo così una misura più completa della disponibilità idrica. I risultati sono allarmanti: in Sardegna, l’attuale siccità ha una probabilità di verificarsi ogni 10 anni circa nel clima attuale, già riscaldato di 1,3°C principalmente a causa delle emissioni di gas serra. In Sicilia, la situazione è ancora più grave, con una siccità di questa portata che si verifica in media ogni 100 anni.

Il dato più preoccupante emerge dal confronto con scenari climatici privi dell’influenza umana: il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha aumentato del 50% la probabilità di siccità così severe per entrambe le isole. In Sardegna, quella che oggi è classificata come siccità “estrema” sarebbe stata considerata solo “grave” in assenza del cambiamento climatico. In Sicilia, la situazione è ancora più drammatica: con un ulteriore riscaldamento di 0,7°C, l’attuale siccità “estrema” diventerebbe “eccezionale”, la categoria più grave nella scala di classificazione.

Gli scienziati sottolineano che, mentre i cambiamenti nelle precipitazioni sono stati relativamente contenuti, i valori osservati per l’evapotraspirazione potenziale e la temperatura sarebbero stati praticamente impossibili senza l’influenza del cambiamento climatico. Questo indica chiaramente che l’aumento della gravità della siccità è principalmente dovuto all’innalzamento delle temperature estreme causato dal riscaldamento globale.

Prospettive future: un’emergenza che richiede azione immediata

Le proiezioni future sono tutt’altro che rassicuranti. Senza una drastica riduzione delle emissioni di gas serra, eventi di siccità di questa portata diventeranno sempre più frequenti. In uno scenario in cui la temperatura globale aumentasse di 2°C rispetto all’era preindustriale – una possibilità concreta già nel 2050 senza significative azioni di mitigazione – siccità come quelle osservate in Sicilia e Sardegna potrebbero diventare la norma piuttosto che l’eccezione.

Gli autori dello studio sottolineano l’urgente necessità di implementare strategie efficaci di gestione del rischio di siccità, con un focus particolare sulla preparazione a lungo termine e sull’adattamento. Ciò include investimenti in infrastrutture resilienti, strategie di conservazione dell’acqua e una gestione più sostenibile delle risorse idriche.

Le conseguenze economiche di questa siccità sono già catastrofiche, soprattutto in Sicilia, dove l’agricoltura e il turismo, pilastri dell’economia locale, dipendono fortemente dalla disponibilità di acqua. In Sardegna, sebbene l’agricoltura abbia un peso economico minore, la sua rilevanza culturale pone sfide significative nella gestione e prioritizzazione delle risorse idriche limitate.

L’adattamento e la mitigazione non sono più opzioni, ma imperativi non solo per la sostenibilità ambientale ma anche per la stabilità economica e sociale di queste regioni. È tempo che dalle parti del governo ci si preoccupi meno di nascondere il cambiamento climatico. Forse sarebbe il momento di affrontarlo. 

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Il Pnrr non colma il gap scolastico: i soldi a pioggia non sanano le diseguaglianze

Nonostante gli sforzi e gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il sistema scolastico italiano continua a essere caratterizzato da profonde disuguaglianze che compromettono il futuro di migliaia di studenti, soprattutto nelle regioni del Sud e delle Isole. Questo è quanto emerge dal recente rapporto di Save the Children, “Scuole disuguali. Gli interventi del Pnrr su mense, tempo pieno e palestre”, che offre un’analisi dettagliata della situazione attuale e dell’impatto degli interventi finanziati dal Pnrr.

Il divario Nord-Sud: una realtà persistente nelle mense scolastiche

Il quadro che emerge è preoccupante: solo due bambini su cinque hanno accesso al tempo pieno, con disparità territoriali marcate. Se nelle regioni del Centro e del Nord si registrano percentuali di accesso al servizio mensa superiori al 50% nelle scuole primarie e secondarie di I grado, con punte del 70% e oltre a Biella e Monza e della Brianza, e addirittura del 91,3% nella Provincia Autonoma di Trento, la situazione nel Mezzogiorno è drammaticamente diversa. Gran parte delle province del Sud si trovano sotto la media nazionale del 36,9%.

Il PNRR ha stanziato oltre 17 miliardi di euro per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, rappresentando un’opportunità senza precedenti per colmare questi divari. Tuttavia, l’analisi di Save the Children sui 975 interventi già avviati per ampliare l’offerta di mense scolastiche rivela una distribuzione disomogenea delle risorse. Alle regioni del Sud e delle Isole è stato destinato il 38,1% delle risorse, finanziando circa il 50% del totale dei progetti. Ma questo non sembra sufficiente a colmare il gap esistente.

Pnrr: un’opportunità mancata per colmare le disuguaglianze?

Le sei province dove meno del 10% degli studenti usufruiscono della mensa – Agrigento, Foggia, Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa – hanno ricevuto finanziamenti per 49 interventi, per un valore di circa 21,5 milioni di euro. Questo si traduce in 2,1 progetti ogni 10.000 studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado. Di contro, le sei province con le più alte percentuali di alunni che usufruiscono del servizio mensa (oltre il 65%) hanno ricevuto 30 milioni di euro per 34 progetti, pari a 1,8 progetti ogni 10mila studenti.

La situazione è particolarmente critica se si considera che nelle province più svantaggiate si concentra anche la percentuale più alta di studenti provenienti da famiglie con un livello socioeconomico basso: il 26,4% contro il 17,2% delle province con maggior accesso al servizio mensa.

Il tempo pieno, strumento fondamentale per contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa, resta un miraggio per molti. Solo due alunni della scuola primaria su cinque ne beneficiano, con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%), e le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%).

Anche l’accesso alle infrastrutture sportive presenta forti disparità. Meno della metà (46,4%) delle scuole statali primarie e secondarie hanno una palestra. Gli interventi del PNRR in questo ambito sembrano favorire maggiormente le province più svantaggiate, con il 62,8% dei progetti avviati nelle regioni del Sud e Isole. Tuttavia, la distribuzione delle risorse resta disomogenea: ad esempio, Crotone riceve 7,8 progetti ogni 100 scuole, mentre Palermo solo 1,1.

Nonostante gli sforzi e gli investimenti del Pnrr, le disuguaglianze nel sistema scolastico italiano persistono, minacciando di perpetuare un ciclo di svantaggio per intere generazioni di studenti. L’autonomia differenziata voluta dal governo farà il resto. Così anche la scuola diventerà un diritto direttamente proporzionale alla zona geografica in cui qualcuno avrà la fortuna di nascere e vivere. 

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Il feeling tra Meloni e Musk che mette a rischio la Sovranità tecnologica

ll 23 settembre a New York si consumerà l’ennesimo atto della commedia dell’assurdo. Elon Musk, il miliardario noto per la sua imprevedibilità e le sue posizioni estreme, consegnerà il Global Citizen Award dell’Atlantic Council alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Un’accoppiata che solleva più di un sopracciglio nel panorama politico internazionale.

Come riporta Bloomberg il premio, in passato assegnato a figure come quelle di Volodymyr Zelensky e Janet Yellen, viene ora consegnato da un uomo che ha trasformato Twitter in un far west digitale a una premier nota per le sue posizioni controverse. La scelta di Musk come premiante è un chiaro segnale della direzione che sta prendendo la politica internazionale.

Il premio controverso: quando l’imprevedibilità premia l’ambizione

Ma il vero nodo della questione, come rivela StartMag, si nasconde dietro le quinte. A margine dell’evento, Musk e Meloni hanno in programma un incontro a porte chiuse per discutere di investimenti nei settori spaziale e dell’intelligenza artificiale in Italia. Un’intesa che fa suonare più di un campanello d’allarme.

Il governo Meloni, nel suo disperato tentativo di accreditarsi sulla scena internazionale, sembra aver scelto ancora una volta gli alleati sbagliati. L’accordo tra Telespazio e SpaceX per la commercializzazione dei servizi Starlink in Italia, siglato lo scorso giugno, è solo l’ultimo esempio di questa strategia miope. Come sottolinea StartMag, l’intesa ha ricevuto l’immediato plauso della presidente del Consiglio, apparentemente dimentica dei rischi che comporta legarsi a doppio filo con un imprenditore noto per la sua poca affidabilità.

Dietro queste manovre si muovono figure come Paolo Messa, ex presidente di Leonardo US e attuale fellow dell’Atlantic Council, e Andrea Stroppa, l’autoproclamato “ambasciatore di Musk in Italia”. Una rete di interessi che appare sempre più opaca e potenzialmente dannosa per gli interessi nazionali.

Alleanze pericolose: il prezzo nascosto degli investimenti spaziali

La verità è che Meloni, nel suo desiderio di brillare sulla scena internazionale, sta giocando con il fuoco. Musk non è solo un imprenditore di successo ma un personaggio controverso con un’agenda politica sempre più esplicita. Affidare il futuro delle nostre telecomunicazioni e della nostra presenza nello spazio a un uomo noto per la sua instabilità è un rischio che l’Italia non può permettersi di correre.

Mentre Musk e Meloni si scambiano sorrisi e premi, il paese rischia di diventare terreno di conquista per interessi privati: un’alleanza pericolosa potrebbe costarci cara in termini di sovranità tecnologica e indipendenza decisionale.

Il governo Meloni, attratta dal luccichio degli investimenti promessi e dal glamour mediatico di Musk, sembra ignorare le possibili conseguenze a lungo termine delle sue scelte. In questa partita ad alto rischio la posta in gioco non è solo un premio o un investiment, ma il futuro stesso del paese.

Meloni-Musk: le affinità ideologiche

Durante un evento di Fratelli d’Italia lo scorso dicembre, Musk ha discusso della crisi demografica italiana, esortando la platea con un “Fate figli” che riecheggia le posizioni care al partito della Meloni. Un’affinità ideologica che va ben oltre gli interessi economici.

Ma le criticità non finiscono qui. StartMag riporta che ad aprile Starlink ha denunciato ostacoli da parte di Telecom Italia nell’introduzione di internet veloce nel nostro paese. Una contesa che è finita sul tavolo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, sollevando interrogativi sulla capacità del governo di mediare tra interessi nazionali e pressioni di multinazionali straniere.

Bloomberg sottolinea come l’Italia abbia approvato a giugno un nuovo quadro normativo che concede alle aziende spaziali straniere il permesso di operare nel paese. Una mossa che si prevede genererà 7,3 miliardi di euro di investimenti nel settore spaziale entro il 2026. Ma a quale costo per la nostra autonomia strategica

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Stanno facendo la storia. Sì, come no

«Stiamo facendo la storia», dice ai suoi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e per questo «non si possono fare errori». Le parole pronunciate ieri durante il vertice di partito sono state pronunciate poche ore prima che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano divorasse un bel pezzo del principale telegiornale della televisione pubblica italiana per raccontare dei suoi folli ardori estivi sventolando pezze d’appoggio come un commesso viaggiatore preso in castagna. 

Alle famiglie tradizionali dell’epoca Meloni si aggiunge quindi un ministro che ha lasciato gironzolare negli uffici del ministero, nel Parlamento e perfino al Quirinale un’amica che ha video registrato le sue passeggiate, ha registrato le telefonate e ha avuto accesso alle riunioni operative facendo indispettire i servizi di sicurezza di un paio di nazioni preoccupati dalla nostra classe dirigente pecoreccia.

Stanno facendo la storia anche con la ministra al Turismo che porta il cognome del marito con cui si è lasciata 35 anni fa e ora è invischiata in una brutta storia di soldi pubblici usati come non dovevano essere usati. Hanno fatto la storia anche con Pozzolo e il sottosegretario Delmastro che a Capodanno hanno festeggiato a suon di pistolettate raccontando una versione dei fatti che fa acqua da tutte le parti. 

Stanno facendo la storia con il non marito della premier infilzato da fuori onda in cui si vanta d’esser stallone, prima di essere scaricato quanto basta. Stanno facendo la storia con un cognato (mai sposato) ministro all’Agricoltura che non sapeva quanto facesse schifo parlare di sostituzione etnica. 

Stanno facendo la storia. Sì, come no. 

Buon giovedì. 

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Renzi nel centrosinistra. Il veto arriva dagli elettori

Dicono che non bisogna porre veti, che bisogna sconfiggere la destra e soprattutto che ciò che conta sono i numeri e non le antipatie. I numeri, appunto. Un sondaggio commissionato dal Fatto a Cluster17, quotata società francese di rilevazioni, dice che il 59% dell’elettorato complessivo si dice “contrario” al fatto che Avs, Pd e M5S “concludano un’alleanza elettorale con Matteo Renzi e il suo partito Italia Viva”. La percentuale sale al 65% tra l’elettorato del centrosinistra all’interno del quale è suddivisa tra il 78% dei 5 Stelle, il 65% di Avs e il 53% del Pd dove il 43% si dice invece favorevole. L’unico partito che si esprime maggioritariamente a favore dell’alleanza è Azione di Carlo Calenda con il 56% di sì. Nessuno, tranne stavolta gli elettori di Stati Uniti d’Europa, crede che l’ingresso di Renzi “potrebbe rafforzare le probabilità di vittoria del centrosinistra”.

Non lo credono quelli del M5S, 85% di No, quelli di Avs, 71%, del Pd, 61% e nemmeno gli elettori ed elettrici di Azione, 60% di No. Quelli potrebbero dire: contano i voti, non le avversioni. I voti, appunto. Non sarebbero disposti a votare una coalizione con Renzi l’82% dell’elettorato 5 Stelle, il 63% di Avs, il 42% di Stati Uniti d’Europa e il 37% del Pd. Il 50% degli elettori della coalizione di centrosinistra sono convinti che Renzi una volta eletto tradirà. Sono il 57% nel Pd e 56% in Avs, 68% nel M5S e 44% perfino tra i “suoi” di Stati Uniti d’Europa. Secondo il sondaggio il Partito democratico perderebbe un elettore su quattro. Non è questione di veti o di antipatie: Renzi porta in dote una contrarietà molto più pesante del suo risicato nugolo di voti. Lo dicono i numeri.

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Boccia smentisce ancora Sangiuliano: sui Social della non consigliera le mail del ministero sulla nomina e i biglietti aerei. Spunta pure un audio

Maria Rosaria Boccia vien di notte. Mentre il ministro e la presidente del Consiglio si affidano ai macchinosi ingranaggi della comunicazione tradizionale la quasi consigliera del ministero della Cultura impugna il suo telefono e attraverso il suo profilo Instagram sgretola la versione del governo. Il colpo d’occhio è impietoso: Meloni e Sangiuliano impegnati a tessere la tela per ore e Boccia che disfa tutto nel tempo di un clic. 

Le prove social che incastrano il ministero

Ieri sera Boccia ha pubblicato la nomina che secondo il ministro non sarebbe mai avvenuta. La mail è del 10 luglio e arriva da uno dei funzionari del gabinetto del ministero: “Gentilissima dottoressa Boccia – si legge – dando seguito a quanto anticipato per le vie brevi poco fa, le allego i contatti miei e del mio collega per qualsiasi esigenza legata alla sua nomina quale consigliere del ministro per ‘I grandi eventi’”. In allegato c’è anche la registrazione della telefonata tra Boccia e un funzionario ministeriale. 

Arrivano direttamente dalla segreteria del ministro invece la due mail che Boccia mostra sui social. In una ci sono i biglietti aerei, con check in già fatto, che sembrerebbero smentire l’asserzione di Meloni su “nessun soldo pubblico speso” per Boccia mentre nell’altra c’è il ‘timing’ per il 23 luglio per la ‘cerimonia di consegna chiavi della città di Pompei’. 

Ieri durante il faccia a faccia durato un’ora e mezza la presidente Meloni aveva chiesto al suo ministro rassicurazioni sul fatto che non ci fosse un solo euro pubblico speso per la non consulente molto vicina al ministro. A Palazzo Chigi si temeva soprattutto un’eventuale accusa di peculato. Fonti ben informate vicino al ministro dicono che la linea di Sangiuliano sia sempre la stessa. “Ho pagato tutto io”, avrebbe detto alla premier. La linea del governo fino a ieri sera era di un commissariamento dolce nei confronti di Sangiuliano fino al prossimo G7 della Cultura che si terrà tra una quindicina di giorni. Poi si vedrà, dicono da Palazzo Chigi. 

Alcuni paesi che parteciperanno al prossimo G7 hanno chiesto delucidazioni su eventuali falle di sicurezza. La quasi consulente Boccia ha dimostrato, con prove, di conoscere i dettagli della data a Pompei del 20 settembre in cui le delegazioni avrebbero visitato gli scavi archeologici prima del concerto e della cena. Oggi in Prefettura si discuterà della possibilità di modificare gli eventi. 

Oltre al gossip il “caso Boccia” propone anche interrogativi per le falle sulla sicurezza. L’imprenditrice campana ha filmato le sue visite all’interno del ministero, ha evidentemente registrato le sue conversazioni telefoniche ed è riuscita ad accreditarsi con i funzionari del ministero pur non avendo nessun incarico ufficiale. La possibilità che Sangiuliano sia in qualche modo ricattabile rimanda di colpo a Ruby, la finta “nipote di Mubarak”, che aveva imbarazzato Silvio Berlusconi agli occhi del mondo. 

Sangiuliano si difende: ‘Ho pagato tutto io’

“Non capisco come si possano chiedere le mie dimissioni. Non ho fatto nulla di male, né a livello giuridico, né a livello istituzionale”, dice Sangiuliano a La Stampa. “Ho pagato tutto io con la mia carta di credito personale”, spiega il ministro, aggiungendo che le prenotazioni “non le ha fatte la segreteria del ministero, ma io direttamente dal pc o dall’Ipad”. Parole che si scontrano con i documenti pubblicati da Boccia. Sullo sfondo rimane anche l’ombra sull’utilizzo dell’auto della scorta: “Cosa credete che facesse Salvini con la Isoardi? E poi con la Verdini, anche prima di stabilizzare la loro relazione? E Franceschini con la De Biase, prima che diventasse sua moglie?”, si sfoga Sangiuliano. Meloni dice che è “solo gossip”. Ma il suo ministro ci si è già rifugiato come scudo. 

Ma Boccia prende l’ultima parola e in mattinata pubblica una storia indirizzata direttamente al ministro: “Te l’ho detto ieri pomeriggio al telefono e te lo ripeto stamattina: Sono pronta ad applaudirti se la smetti di storpiare la realtà per coprire gente che non merita i tuoi sani valori: lealtà, rispetto, responsabilità. P.s. Gradirei non leggere più dichiarazioni inesatte da una persona che stimo e voglio bene”. Al di là dell’italiano claudicante sembra che la telenovela sia destinata a durare ancora.

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Carceri in Albania: la xenofobia costa un miliardo agli italiani

A proposito del pecoreccio caso in cui è rimasto invischiato il suo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che l’unica cosa che veramente la preoccupa è che non siano stati spesi «soldi pubblici, dei cittadini».

Sullo sperpero di soldi pubblici la premier però non risponde quando si parla di Albania, là dove il suo governo ha deciso di impiantare come cattedrali nel deserto due carceri illegali per migranti che servono per sfamare la xenofobia di una parte del suo elettorato. Per quello di Gjader serviranno, solo per il personale, 30 mila euro al giorno, 900 mila in un mese. I posti disponibili per gli agenti sono 45 e sono già arrivate 3 mila domande. Anche perché le regole d’ingaggio sono vantaggiose: 130 euro lordi in più al giorno per 4-6 mesi di servizio. Con la possibilità di rientrare in Italia a spese dell’amministrazione.

Il sindacato di polizia fa notare come «una volta si tendeva a chiudere le carceri sotto i cento posti perché antieconomiche. Ora se ne costruisce una molto piccola, con un rapporto agenti – detenuti decisamente sproporzionato. Se in Italia c’è un poliziotto ogni tre reclusi, circa 25mila per oltre 61mila persone, lì ce ne saranno tre per ogni detenuto». 

Si parla di un miliardo di euro – ma i costi potrebbero lievitare ancora – per una campagna pubblicitaria senza nessuna reale ricaduta sul flusso di sbarchi e di accoglienza per l’Italia. Un miliardo di euro per un progetto al sapore di porti chiusi da offrire ai propri elettori. Altro che caso Sangiuliano. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: La presidente del Consiglio Meloni e il presidente albanese Edi Rama in visita alle strutture del porto di Shengjin, 5 giugno 2024

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Collaboratori di giustizia, pentiti di essersi pentiti

Qualche giorno fa l’avvocato Luigi Li Gotti in un’intervista a Antimafiaduemila ha raccontato che l’Agenzia delle Entrate confisca ai collaboratori di giustizia – volgarmente detti pentiti – i soldi che dovrebbero servire a ricostruirsi una vita attraverso l’acquisto di una casa o l’inizio di un nuovo lavoro. Li Gotti ha difeso collaboratori di primo piano (Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo) che sono stati fondamentali nella lotta alla mafia, così com’era stata pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 

Diventa difficile immaginare che un mafioso possa quindi accettare un percorso di collaborazione con la magistratura sapendo che alla fine si ritroverebbe isolato non solo socialmente ma anche economicamente. “Questo sistema che si è messo in moto – dice Li Gotti – è un freno totale a nuove collaborazioni. Chi dovesse decidere di collaborare, pensando a quello che succede dopo che la sua collaborazione non serve più, e che viene messo in mezzo ad una strada, ci pensa mille volte prima di collaborare. Quindi da una parte si incide sulla possibilità di raccogliere e sollecitare le collaborazioni con la giustizia e dall’altra parte i collaboratori vengono esposti al rischio di ritorsioni”.

Giovanni Falcone diceva che i “pentiti” ci sono solamente quando lo Stato dimostra di volere fare sul serio nella lotta contro la mafia. Al linciaggio dei pentiti ci siamo abituati in questi anni, da parte di partiti e testate più o meno interessate e coinvolte in amicizie particolarmente pericolose. Mettere le mani in tasca ai pentiti invece dei mafiosi invece è una novità che fa spavento. 

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La Sanità è da terapia intensiva: l’Italia fanalino di coda tra i Paesi del G7

Mentre il governo si appresta a discutere la Legge di Bilancio 2025, i numeri sulla spesa sanitaria italiana del 2023 dipingono un quadro allarmante. La Fondazione Gimbe, nel suo recente rapporto, mette nero su bianco dati che non lasciano spazio all’interpretazione: il nostro Servizio Sanitario Nazionale è un paziente in terapia intensiva, che necessita di cure urgenti e sostanziose iniezioni di fondi.

Nel 2023, l’Italia ha investito nella sanità pubblica il 6,2% del suo PIL. Un dato che, di per sé, potrebbe non dire molto, ma che assume contorni preoccupanti quando confrontato con la media OCSE del 6,9% e quella europea del 6,8%. In pratica, stiamo investendo meno della media dei paesi sviluppati in un settore cruciale come la salute pubblica.

Ma i numeri diventano ancora più eloquenti quando si guarda alla spesa pro-capite. Con 3.574 dollari per abitante, l’Italia si posiziona al 16° posto tra i 27 paesi europei dell’area OCSE. Per capire la portata di questo dato, basta guardare al divario con la media europea: 896 dollari in meno per ogni cittadino italiano. Tradotto in euro e moltiplicato per la popolazione italiana, significa un gap di oltre 47,6 miliardi di euro.

Il divario crescente sulla sanità: l’Italia fanalino di coda nel G7

Il confronto con i “big” dell’economia mondiale è ancora più impietoso. Nel G7, l’Italia occupa stabilmente l’ultima posizione per spesa sanitaria pro-capite dal 2008. E se nel 2008 le differenze erano contenute, oggi sono diventate abissali. Mentre l’Italia spende 3.574 dollari pro-capite, la Germania ne investe 7.253, più del doppio.

Anche durante la pandemia, quando tutti i paesi hanno aumentato gli investimenti in sanità, l’Italia è rimasta indietro. Tra il 2019 e il 2023, la spesa sanitaria pro-capite italiana è cresciuta di soli 772 dollari, contro i 1.511 della Germania, i 1.329 del Regno Unito e i 1.280 della Francia.

Questi numeri non sono solo cifre su un foglio di calcolo. Rappresentano liste d’attesa interminabili, pronto soccorso sovraffollati, difficoltà nel trovare un medico di famiglia, disparità regionali inaccettabili, migrazione sanitaria e un aumento della spesa privata che porta le famiglie a rinunciare alle cure o a impoverirsi per ottenerle.

Dall’allarme all’azione: le richieste per salvare il SSN

Non è un caso che la sanità sia diventata una priorità assoluta per i cittadini italiani. Sondaggi e indagini confermano che la popolazione è sempre più gravata da problemi legati all’accesso e alla qualità delle cure. E le istituzioni sembrano finalmente prenderne atto: la Corte dei Conti, la Corte Costituzionale e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio hanno più volte sottolineato il sottofinanziamento del SSN.

Cinque regioni e le opposizioni hanno presentato disegni di legge per aumentare il finanziamento pubblico almeno al 7% del Pil. Lo stesso ministro della Salute, Schillaci, ha dichiarato che il 7% del Pil è il livello minimo su cui attestarsi per il finanziamento della sanità pubblica.

Ma le dichiarazioni d’intenti non bastano più. La Fondazione Gimbe chiede al governo un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, accompagnato da coraggiose riforme di sistema. L’obiettivo è chiaro: garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile.

Il rischio, in caso contrario, è quello di perdere un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e fondato su principi di universalità, eguaglianza ed equità. Un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che porterebbe l’Italia a scivolare da un sistema nazionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato.

In questo scenario, le prestazioni sanitarie diventerebbero accessibili solo a chi può pagarle di tasca propria o a chi ha sottoscritto costose polizze assicurative. La prossima Legge di Bilancio rappresenta quindi un banco di prova cruciale per il governo. I numeri sono sul tavolo, le criticità sono evidenti.

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