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Il caso Vladimir Kara-Murza: per Putin la verità è un tradimento

Vladimir Vladimirovich Kara-Murza dovrà restare in cella. Dopo essere scampato per due volte a tentativi di avvelenamento l’oppositore politico di Vladimir Putin è comparso davanti alla Corte Basmanny di Mosca che ha accolto le richieste di prolungare il periodo di detenzione preventiva. Per la Russia Kara-Murza sarebbe un agente infiltrato, accusato di alto tradimento.

«Si tratta di un palese tentativo di annullare qualsiasi critica al Cremlino e scoraggiare il contatto con la comunità internazionale» dice Human Rights Watch. Secondo l’organizzazione non governativa che si occupa degli abusi nei diritti umani in tutto il mondo «Vladimir Kara-Murza è un sostenitore di lunga data dei valori democratici ed è stato un accanito avversario  di Vladimir Putin e della guerra della Russia contro l’Ucraina», ha detto Hugh Williamson, direttore dell’Europa e dell’Asia centrale di Human Rights Watch. «È dolorosamente ovvio che il Cremlino vede Kara-Murza come una minaccia diretta e imminente. Queste accuse contro di lui e la sua prolungata detenzione sono una parodia della giustizia. Le autorità russe dovrebbero liberare immediatamente e incondizionatamente Kara-Murza e abbandonare tutte le accuse contro di lui».

La colpa di Kara-Murza sarebbe quella di avere criticato l’invasione dell’Ucraina, chiedendo sanzioni contro il Cremlino davanti agli organi politici nazionali in tutta Europa e negli Stati Uniti, e in molti forum internazionali e intergovernativi, anche alle Nazioni Unite. Kara-Murza era anche un caro amico del politico dell’opposizione russa Boris Nemtsov, assassinato il 27 febbraio 2015 sul Ponte Bol’šoj Moskvoreckij vicino al Cremlino. Kara-Murza è sopravvissuto a due avvelenamenti quasi fatali, nel 2015 e nel 2017, che i giornalisti investigativi di Bellingcat considerano molto probabilmente orchestrati dal Servizio di sicurezza federale russo (e sui quali la Russia non ha mai aperto nemmeno un’indagine).

Da quando l’invasione su larga scala dell’Ucraina è iniziata a febbraio, le autorità russe hanno ampliato la loro cassetta degli attrezzi repressivi. A marzo, le autorità russe hanno criminalizzato le richieste di sanzioni contro la Russia e a luglio hanno anche criminalizzato la “cooperazione riservata” con Stati stranieri, organizzazioni internazionali o straniere, nonché le richieste pubbliche di azioni “contro gli interessi nazionali”.

Le regole della Russia sull’azione penale e il processo dei casi di tradimento violano le garanzie dei diritti umani, in particolare le garanzie del processo equo. Ad esempio, i materiali del caso penale in tali procedimenti sono classificati in modo che la difesa non possa avere accesso alle prove e il processo si svolge a porte chiuse, impedendo il controllo pubblico. Ivan Safronov, giornalista, è stato recentemente condannato per alto tradimento e condannato a 22 anni di prigione di massima sicurezza per le sue indagini giornalistiche sui contratti della Difesa. È stato processato a porte chiuse, le prove chiave in sua difesa ottenute dai colleghi giornalisti non sono state accettate dal tribunale e i suoi avvocati sono stati sottoposti a un’enorme pressione. Due di loro sono stati costretti a  fuggire dalla Russia e un terzo è stato arrestato con l’accusa di aver diffuso informazioni false.

Ieri l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha assegnato a Vladimir Kara-Murza il premio Vaclav Havel per i diritti umani. A ritirare il premio c’era sua moglie. In mezzo a tanto baccano sulla guerra la sua è una storia da raccontare. Anche perché, prima o poi, accade sempre così, la verità vince.

Buon martedì.

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Meloni torna da Vox ma stavolta non urla. C’è il solito Bertolaso e la Ronzulli che pretende un ministero. Ecco il bestiario di governo

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Giorgia Meloni torna ospite di quelli di Vox, questa volta non urla, ma i contenuti fanno schifo lo stesso. C’è il solito Bertolaso e c’è Licia Ronzulli che pretende un ministero. Eccoci al nostro quotidiano bestiario di governo.

MELONI TORNA DA VOX CON LA VOCE BASSA
La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è intervenuta con un videomessaggio all’evento del partito spagnolo Vox e ha ironizzato sul suo discorso dell’ottobre 2021: «Questa volta parlo a voce bassa. La stampa e la sinistra in Italia saranno obbligate a confrontarsi su questi argomenti» dice subito dopo aver parlato della politica di immigrazione cinese, dalla natalità e della libertà educativa della famiglia. Meloni si avvicina alla telecamera e abbassa la voce come parlando direttamente ai cittadini.

«La straordinaria vittoria di Fratelli d’Italia e del centrodestra ha prodotto un grande entusiasmo» ha detto in apertura del videomessaggio registrato. «Avremo la grande responsabilità di dare risposte immediate ai problemi degli italiani, non abbiamo un minuto da perdere».

Non ha ancora capito che il problema sono i contenuti, mica il tono di voce. E infatti durante la manifestazione i suoi colleghi ospiti hanno detto cose del come «stiamo facendo una lotta di civilizzazione. I socialisti difendono i pederasti e i violentatori» e «il socialismo distrugge la nostra patria, la nostra economia, le nostre famiglie, è il nemico più grande che abbiamo». Robe che fanno schifo con qualsiasi tono di voce.

UN BERTOLASO È PER SEMPRE
Non si può dire di avere vissuto se nella vita non vi è mai capitato di leggere Guido Bertolaso candidato a qualcosa per risolvere problemi, come il signor Wolf nel film di Quentin Tarantino. Questa volta si parla di lui al ministero della Salute. Chissà, magari ci sarà il massaggio di cittadinanza.

CONTINUA L’AGIOGRAFIA DI GIORGA MELONI
Pezzo del Corriere della Sera: “Mitologia vuole che Giorgia non abbia paura di niente e di nessuno, se non degli scarafaggi, intesi non in senso metaforico, ma proprio quegli insettoni”. Poi: “Ma Giorgia fa molto da sola, seguendo la massima che recita «comanda e fai da te e sarai servito come un re». E allora racconta di non aver dato mai neanche un tiro a una canna, di non essersi mai ubriacata, di non avere mai alzato il braccio nel gesto del saluto romano”.

Incredibile il finale: “Lenin – scrive il giornalista del Corriere della Sera – per il suo libro copiò il titolo, Che fare, da un romanzo del 1863, scritto da Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij mentre era detenuto nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo, per la sua attività sovversiva. La protagonista, Vera Pavlovna, è decisa a vivere la sua vita senza accettare compromessi e senza rinunciare alla sua indipendenza. Certo, quello è un romanzo”. Una volta si diceva “santa subito”. Ora siamo addirittura al “santa prima”.

IL NODO RONZULLI
Per avere un’idea del momento politico attuale basta un indizio: da giorni si discute su quale ministero dare a Licia Ronzulli (nella foto), di Forza Italia. Stanno vedendo se c’è una poltrona che avanza. Lei si è offesa è ha dichiarato: “se Di Maio è stato ministro degli esteri non vedo perché io non dovrei essere all’altezza”. La plastica dimostrazione che la via del “meno peggio” porta sempre verso l’ancora peggio.

GIORGIA È USCITA DAL GRUPPO
Meloni esce dalla chat dei parlamentari di FdI: “Le vostre fughe di notizie mi danneggiano.” Tra poco diventerà come Calenda e comincerà a non essere d’accorso con sé stessa.

CHE FAREBBE SALVINI AL MINISTERO DELLA NATALITÀ?
Sui social girano meme divertenti ma significativi: c’è Salvini che suona al citofono e chiede all coppie se stanno regolarmente copulando. Quando si dice diventare parodia di sé stessi.

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Leggi anche: Meloni star alla kermesse dell’estrema destra spagnola. Il messaggio a Vox: “Non siamo mostri, viva l’Ue dei patrioti”

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Crollano, per fortuna, i tifosi dell’escalation

Negli Usa una discussione schietta e sincera, senza sentire esagitati bellicisti da divano che additano amici di Putin ogni secondo, è già iniziata da giorni. Da noi ieri il direttore de La Stampa Massimo Giannini ha scritto un editoriale impossibile fino a pochi giorni fa in cui dice che è arrivato «forse il momento che le cancellerie euro atlantiche aprano un confronto serio con Zelensky, non per accusarlo o isolarlo, ma almeno per capire qual è la sua strategia, e qual è per lui il confine tra protezione e aggressione. E ovvio che il presidente ucraino combatte questa guerra con i mezzi che ha a disposizione e che ritiene più efficaci. Ma un conto sono le operazioni belliche che il suo esercito effettua (col nostro aiuto) per riconquistare i territori ucraini usurpati dagli invasori. Altro conto sono le missioni che i suoi 007 effettuano oltre i confini, andando a colpire l’Orso russo nella sua tana. Le implicazioni possono essere molto diverse».

Scrive Giannini: «E poiché (come abbiamo detto) la sua guerra è pure la nostra, quelle implicazioni riguardano anche noi. L’Occidente ha un dovere nei confronti di Zelensky: lo deve sostenere, senza distinzioni pelose. Ma Zelensky ha un impegno nei confronti dell’Occidente: lo deve ascoltare, senza decisioni precipitose. Nella spirale che ci sta risucchiando, a ogni azione ucraina può corrispondere una reazione russa che potrebbe non colpire più soltanto Kiev, ma l’intera Alleanza Atlantica e l’intera comunità internazionale. Di questo il commander in chief ucraino deve tenere conto. A meno che (e non vogliamo crederlo) non pensi di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale. Che per altro, forse, è già cominciata».

Qualcuno tardivamente ci sta arrivando. Tralasciando i veri amici di Putin e coloro che chiedono una resa ucraina c’è molto di più dei testosteronici guerriglieri da divano nostrani (molti curiosamente appartenti al sedicente universo liberale) di cui occuparsi. Salutiamo l’abbandono del pensiero binario e la benvenuta complessità della situazione in Ucraina. Discuterne seriamente significa innanzitutto smettere di eccitarsi per le bombe giuste, insistere nel raccontare il genocidio russo e l’orrore di questa guerra (e di tutte le guerre) in cui Putin sta dando sfogo alla sua natura criminale e chiedere che gli attori in campo siano all’altezza della situazione, tutti.

Potremo così finalmente lasciar perdere quei miseri personaggi che usano il dolore ucraino per sistemare le proprie antipatie personali e da cortile (un esempio su tutti lo striscione su Gazprom alla manifestazione della Cgil che è stato subito rimosso dal servizio d’ordine) e preoccuparci, come scrive Giannini, della «spirale che ci sta risucchiando», «a meno che Zelensky (e non vogliamo crederlo) non pensi di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale. Che per altro, forse, è già cominciata». Confidando che l’Ucraina possa presto tornare a essere libera.

[Durante la notte, dopo la prima stesura di questo articolo, Putin è tornato a colpire con missili sulla capitale ucraina, colpendo obbiettivi che non hanno nulla di militare come l’università e un parco. Qualcuno lo chiama terrorismo. È guerra, quella guerra che Gino Strada additava come sbagliata sempre, tutta. Alcuni chiederanno ancora più armi, ancora più sangue. Altri tiferanno ancora di più l’escalation, come dice Nico Piro che sul suo account twitter scrive: «Ricordate gli opinionisti con l’elmetto che gioivano per esplosione su ponte Kerch? Ora si indignano per attacco su Kyev (anticipato mesi fa dai russi tra possibili rappresaglie) producendosi in distinguo da azzeccagarbugli. La loro è una narrazione tossica, tifano escalation». Come scrive Stefano Barazzetta: “Un ponte è un obiettivo militare (chi ride per un bombardamento che ha ammazzato anche dei civili è da internare). Bombardare il centro città durante l’ora di punta è un atto terroristico. Le differenze ci sono. Detto questo, l’escalation fa solo il gioco di Putin].

Buon lunedì.

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Marijuana, la lezione di Biden e l’arretratezza dell’Italia

Poiché la notizia disturberebbe il manovratore (questa destra che si prepara a governare vede drogati dappertutto, tra tutti quelli che non indossano la cravatta) abbiamo saputo a malapena, quasi di striscio che negli Usa Joe Biden ha annunciato che firmerà la grazia per tutti i cittadini americani che sono stati condannati per possesso di marijuana. «Come ho detto spesso durante la mia campagna presidenziale, nessuno dovrebbe essere in prigione solo per aver usato o posseduto marijuana. Mandare persone in prigione per possesso di marijuana ha sconvolto troppe vite e incarcerato persone per comportamenti che molti Stati non proibiscono più», ha spiegato Biden.

Marijuana, la lezione di Biden e l'arretratezza dell'Italia
Il presidente Usa Joe Biden (Getty Images).

Biden grazierà circa 6500 condannati tra il 1992 e il 2021

Negli Usa sono 20 gli Stati che hanno legalizzato la marijuana a scopo ricreativo: Alaska, Arizona, District of Columbia, California, Colorado, Connecticut, Illinois, Maine, Massachusetts, Michigan, Montana, New Jersey, New Mexico, New York, Nevada, Oregon, Rhode Island, Vermont, Virginia e Washington. Secondo una consolidata abitudine non solo americana, come ha detto Biden, «i bianchi e le persone di colore fanno uso di marijuana allo stesso modo, tuttavia le persone di colore sono state arrestate, processate e condannate in modo sproporzionato». Secondo il presidente Usa le leggi sulla marijuana non funzionano e per questo ha deciso di agire. Secondo il New York Times la decisione del presidente statunitense cancellerà le pene di circa 6.500 persone condannate fra il 1992 e il 2021. La grazia non si applicherà invece alle persone condannate per la vendita di marijuana. Una “mossa elettorale”, dicono alcuni, facendo riferimento al rischio delle prossime elezioni di metà mandato che preoccupano i democratici. Si tratta però, inequivocabilmente, di un passo in avanti per smantellare un proibizionismo che nei fatti risulta essere solo un altro cuneo di disuguaglianza. È altamente improbabile che il Marijuana Opportunity Reinvestment and Expungement Act approvato alla Camera lo scorso aprile trovi i 60 voti necessari per passare anche al Senato dove c’è parità tra democratici e repubblicani. Ma quel disegno di legge (che pure alcuni repubblicani guardano di buon occhio) è un sentiero segnato per la liberalizzazione della marijuana e quindi per una tassazione (immaginata all’8 per cento) sui prodotti a base di cannabis.

Marijuana, la lezione di Biden e l'arretratezza dell'Italia
Una manifestazione pro-legalizzazione a Roma (Getty Images).

In Italia la criminalizzazione delle droghe leggere resta caposaldo della destra

La notizia da noi non passerà nei telegiornali. La criminalizzazione delle droghe leggere è un caposaldo di questa destra che prova enorme godimento nel punire i disperati mentre coccola i criminali più potenti. La politica che si definisce “progressista” balbetta sul tema, sempre spaventata dal dover fronteggiare l’orda di benpensanti. Un sondaggio dell’anno scorso a cura dell’Osservatorio sul Nord Est aveva evidenziato come nel corso degli anni siano aumentati i favorevoli alla liberalizzazione delle droghe (passando dal 32 per cento del 2014 al 46 per cento dell’anno scorso) soprattutto tra gli elettori del Partito democratico (erano il 53 per cento) e il Movimento 5 stelle (il 60 per cento). Ma anche nella Lega di Salvini, che da anni criminalizza l’uso delle droghe leggere mentre sponsorizza alcol e armi, per il 43 per cento degli elettori liberalizzare sarebbe una buona idea per le casse dello Stato e per togliere un fiorente mercato alla criminalità organizzata. Ora immaginate il telegiornali nazionali che dicono agli italiani che gli americani proibizionisti per eccellenza sono già più avanti di noi. Non possiamo permetterci novità del genere. Siamo nell’epoca in cui il progresso degli altri è un’attacco alla Patria. Stiamo a posto così.

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Salvini ministro della Nutella. Bestiario di Governo senza freni. Ad inventare poltrone Matteo non teme rivali. Pure l’autore del Porcellum disprezza il Rosatellum

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Salvini ormai non lo vogliono nemmeno i suoi elettori e per questo si inventa un nuovo ministero. Bentronati al nostro bestiario di governo.

Matteo ministro per la natalità

Matteo Salvini ha avuto un’altra delle sue brillanti idee: un bel ministero per la Famiglia e la Natalità. “Per quanto mi riguarda chiederò per la Lega alcuni ministeri come quello per la Famiglia e la Natalità, perché bisogna tornare a mettere al mondo figli senza tanti problemi”, dice ai suoi durante un incontro a porte chiuse ma con finestre abbastanza aperte per farsi beccare dai giornalisti.

La conferma della richiesta leghista arriva dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo: “Con questo governo si spera di concretizzare i progetti che in Parlamento abbiamo più volte sostenuto, cercando di seguire l’esempio delle politiche del Trentino Alto Adige, la Regione che ha l’indice di natalità più alto”. Oa manca il ministero per la Nutella, quello per Baciare salami e poi quello per Salutare le mucche.

Alla Lega sta scoppiando il nord

Persi i voti del sud ora la Lega ha problemi anche al nord. Prima c’è stata la corrente di Bossi (il comitato del Nord) che ha sconquassato i piani di Salvini, ieri il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana (che sarà candidato probabilmente contro la sua vicepresidente, a proposito della compattezza della coalizione) ha chiesto “più attenzione al nord”.

Cosa fa la Lega Bussa alla porta di Giorgia Meloni, come il bambino che chiede aiuto alla mamma: “Il tema dell’autonomia sarà un tema fondamentale, tant’è vero che uno dei ministeri che noi vorremmo e gradiremmo è quello degli Affari regionali e dell’Autonomia”, ha detto il senatore Romeo. Gradirebbero.

Chi s’offre oggi?

Carlo Calenda: “Giorgia Meloni fa bene ad arrabbiarsi per le ingerenze francesi in Italia”. Non gli è scappato nemmeno un tweet invece sull’operazione antimafia in Regione Basilicata. Piccoli particolari.

A proposito di Carlo

Lo mettiamo nel bestiario di governo perché ha una voglia matta di entrarci di sguincio. Carlo Calenda dopo le elezioni aveva solennemente giurato: “Andrò a Strasburgo perché c’è l’ultimo voto sulla questione energetica che voglio fare”. Ci è andato? Manco per idea. Uno magari pensa che abbia avuto di meglio da fare. Dov’era Lo racconta la giornalista Antonella Rampino: era a pranzo con Urbano Cairo (ristorante Tullio, via San Nicola da Tolentino, Roma, ovviamente decine di testimoni).

Si Salvini chi può

Il sondaggio realizzato da Proger Index Research per PiazzaPulita, La7, mette in evidenza un dato inequivocabile: il 63,4% degli elettori di centrodestra ha detto no a un ritorno di Matteo Salvini al Viminale. E mentre il 6% del campione ha deciso di non rispondere, meno di un terzo dei partecipanti a questa rilevazione si è detto favorevole. Cambiano i tempi e la credibilità di Salvini crolla. Lui intanto ha promesso che non lascerà il partito “prima di riportarlo al 30%”. Tradotto: non lascerà il partito.

Questa schifezza del Rosatellum

Il renziano Ettore Rosato ha scritto una legge elettorale talmente fatta male che riesce a correggerla perfino Calderoli che spiega: “Dopo gli errori da parte del ministero degli Interni nel calcolo dell’attribuzione dei seggi alle ultime elezioni Politiche, errori poi corretti dietro mia indicazione sulle modalità dell’errore commesso, ora la stessa cosa rischia di accadere a livello delle Corti d’Appello. Me ne viene in mente una per esempio, quella di Catanzaro, perché dalla somma di questa Corte verrebbero attribuiti nove seggi anche se la legge ne prevede otto». Un capolavoro politico, l’ennesimo.
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Guerini e Colao s’offrono a Meloni. Continua il Bestiario di Governo

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Silvio le prende in Europa, c’è il solito fascista che si dice frainteso e la transizione della transizione ecologica. Eccoci al nostro quotidiano bestiario di governo.

TIRA UNA BRUTTA ARIA PER SILVIO
In una lettera indirizzata al presidente dei popolari Manfred Weber un gruppo di europarlamentari tedeschi di diversi gruppi chiede di espellere Berlusconi dal Ppe dopo l’alleanza con Fratelli d’Italia. Weber aveva difeso il fondatore di Forza Italia nelle ultime settimane. “I valori fondanti dell’Europa non possono essere barattati per una partecipazione in un governo. Le voci di una famiglia di partiti europeista non possono portare al potere un governo di estrema destra. Il cordone di sicurezza nei confronti della destra non deve venir meno. Chi si allea con l’estrema destra non la addomestica. Chi si allea con gli estremisti li aiuta a prendere il potere”, si legge nel documento. Lo dicono anche in Europa: la definizione “centrodestra” è una truffa. Chissà quando lo capiranno anche i nostri colleghi giornalisti.

NON È FASCISMO, È MITOLOGIA
Dicevamo nel bestiario dell’altroieri del nuovo segretario della Lega a Bologna, Cristiano Di Martino, che ha tatuato sul braccio un dente di lupo, sovrastato da un pugno che regge un martello, il simbolo di Terza Posizione, movimento fondato a Roma negli anni Settanta. Di Martino, come accade sempre in questi casi, risponde allo sdegno spiegandoci che gli è sempre piaciuta la mitologia nordica: “Sono sempre stato appassionato di fumetti, mi piace Thor”, dice. E tanto per aggiungere imbarazzo alla sua imbarazzante difesa invita a guardare altri che fanno peggio di lui: “Ci sono in giro segretari con la croce celtica”, spiega. A posto così. Aspettiamo il prossimo.

VIMINALE, SALVINI BATTE I PIEDI
Matteo Salvini “non si espone” e dopo il Consiglio federale leghista di martedì, che ha chiesto che al suo leader venga riaffidato il Viminale, “aspetta determinazioni da Giorgia Meloni”. È quanto filtra da fonti del Carroccio, secondo le quali ieri non c’è stato alcun contatto tra Salvini e la leader di Fratelli d’Italia. Ora potrebbe scrivere anche una letterina a Babbo Natale, mentre aspetta.

CINGOLANI SPERA
Il ministro Cingolani (che lei considera «intelligente, capace, generosissimo») ha detto di no al governo Meloni. Lo stesso per il ministro Franco, anche se da Fratelli d’Italia fingono di non avergli mai chiesto nulla per non sembrare più draghiani di quanto già sembrino. A Giorgia Meloni pero si è offerto il ministro Colao (la bellezza di questi “tecnici”, buoni per tutte le stagioni) e s’offre di dare aiuto anche – indovinate un po’? – il democratico Lorenzo Guerini. Che tenerezza.

LA TRANSIZIONE TRANSIT
Al congresso della Uil quando Franco Bernabé, presidente di Acciaierie d’Italia (ex Ilva), dice dal palco del Congresso della Uil: “Non possiamo seguire gli slogan di Greta Thunberg, e fare tutto e subito”, l’applauso della platea di delegati sindacali radunati all’hotel Ergife si alza fragoroso, più fragoroso dei numerosi precedenti. Un ottimo assist a Giorgia Meloni per transare la transizione energetica. Mica per niente avrebbe voluto Cingolani come ministro, il maestro della transizione detta ma non fatta.

CANDIDATI DA SOGNO
Fratelli d’Italia è il primo partito in Veneto e per il dopo Zaia c’è già chi si propone. L’assessora Elena Donazzan dice “ora il mio sogno si può realizzare”. La Donazzan è quella dell’attacco alla professoressa trans suicida Cloe Bianco, dei boia chi molla su Facebook, delle commemorazioni di Salò, della battaglia conto i libri “gender”, e dei cori di Faccetta Nera. Non male, eh?

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Chi evade sull’evasione fiscale?

La relazione scomparsa del ministero dell’Economia che contiene i dati sull’evasione fiscale in Italia e che analizza l’impatto della flat tax al 15% per le partita iva che fatturano fino a 65mila euro continua a far parlare. La relazione del 2021 conteneva solo stime preliminari e per questo si attendeva con curiosità la Relazione 2022 sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva in allegato alla Nota di aggiornamento al Def (Nadef). Non c’è traccia. Ed è un gran peccato perché sull’evasione fiscale e sulla flat tax il prossimo governo di Giorgia Meloni ha puntato moltissimo in campagna elettorale (nonostante le cifre diverse tra loro sparate da Salvini e e Berlusconi).

Ieri Antonio Misiani, ex vice-ministro PD dell’Economia nel governo Conte 2, ha ricordato che «i contenuti sono un patrimonio informativo importante per i cittadini» e per questo ha lanciato un appello al ministro Daniele Franco: «Mi auguro che lo faccia il prima possibile». Luigi Marattin, presidente della Commissione Finanze e responsabile economico di Italia Viva, chiede “perché il governo non pubblica, come dovrebbe fare, in allegato al Def, la Relazione annuale che mostra l’andamento del recupero da evasione negli ultimi tre anni?». «L’esigenza di non urtare la sensibilità di nessuno, – spiega Marattin – qualora presente, credo valga meno dell’esigenza pubblica di sapere come sta andando la lotta all’evasione nel nostro Paese».

Nei giorni scorsi l’aveva chiesta anche Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, era intervenuta: «Se il Mef non la pubblica, chi ha la responsabilità politica di quel dicastero deve quanto meno spiegare il perché», aveva osservato. Cecilia Guerra (Articolo uno, fresca di rielezione alla Camera nella lista Pd-Italia democratica e progressista) fa sapere: «Non vedo ragioni per le quali la Relazione sull’evasione fiscale non debba essere pubblicata. Ha un importante valore informativo e conoscitivo ed è per questo curata da una commissione indipendente. È sempre stata allegata alla Nadef per ovvie ragioni di trasparenza».

Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi e Uguali (rieletto con l’alleanza Verdi/Sinistra Italiana) si chiede se si tratti di «una reticenza nei confronti di rilevazioni emerse o misure suggerite che potrebbero non coincidere con gli indirizzi dell’attuale maggioranza». Una nota congiunta dei sindacati Cgil-Cisl-Uil nei giorni scorsi avevano rilasciato una nota chiarissima: «Non comprendiamo per quali ragioni la Relazione sull’economia sommersa e l’evasione fiscale e contributiva e il relativo Rapporto sui risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione non compaiono tra gli allegati della Nota di aggiornamento al Def. La Relazione – scrivono i sindacati – è un lavoro di grande interesse: strumento di trasparenza e di responsabilità, indicatore di efficacia delle norme che, nel tempo, hanno provato a porre un rimedio alla grave anomalia del sistema tributario del nostro Paese, costituita da un livello di evasione fiscale non paragonabile a quello di nessun altro Paese sviluppato». Si legge: «Le norme a cui ci riferiamo – sottolineano Cgil-Cisl-Uil – dallo split payment alla fatturazione elettronica, all’incrocio delle banche dati e allo sviluppo dei pagamenti tracciati, sono il frutto di anni di richieste da parte di Cgil, Cisl, Uil. Non è un caso che i dati pubblicati lo scorso anno abbiano attestato, per la prima volta, che il mancato gettito sia stato inferiore ai 100 miliardi di euro. Auspichiamo che si tratti solo di una svista, considerato che nel testo della Nadef sono contenuti riferimenti alla Relazione stessa». Intanto passano i giorni.

Buon venerdì.

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Tra Conte e Calenda il Pd ancora non ha capito chi è il vero progressista

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Siamo ancora lì, all’“abbiamo non vinto” per non dire di avere perso e al futuro usato come condono per il passato. La direzione del Pd si apre con la relazione del segretario Enrico Letta che frantuma tutte le certezze che per mesi abbiamo letto sui giornali, polverizza le analisi di aspiranti soloni e ha un solo sottotesto: abbiamo sbagliato moltissimo.

Il segretario del Pd, Enrico Letta, finalmente confessa: è stato fatale rompere il campo largo

Il segretario dem riconosce che il Pd si è presentato “alle elezioni con un profilo non compiuto, di corsa, con un lavoro interrotto rispetto al percorso delle agorà e ci ha portato a non essere all’altezza su alcuni obiettivi fondamentali, che erano chiave per vincere. Il primo obiettivo era non essere in Italia il partito solo di coloro che ce la fanno”, ha spiegato Letta.

Forse anche la distruzione del “campo largo” non è stata una grande idea se Letta confessa che “costruire una larga unità era l’unica possibilità per andare a vincere ma non è stato possibile. Era un po’ il modello del 2006 ma questa volta non ci siamo riusciti. Questo è il film di quanto accaduto”, spiega.

La vera domanda – che non viene posta – è perché per tutta la campagna elettorale si è voluta negare una realtà che era sotto gli occhi di tutti, parlando di “vittoria possibile” e di “campo largo impossibile”. Sarà la stessa domanda – questo lo possiamo anticipare noi – che porranno a breve anche gli elettori che tra Lombardia, Lazio e altre regioni si ritroveranno di fronte all’alleanza che è stata scartata sul piano nazionale.

Un passaggio del segretario è anche sulla poca rappresentanza delle donne in Parlamento, un altro dei punti fortemente enunciati dal Pd che non ha avuto riscontro sul campo: “è il fallimento della nostra rappresentanza. È chiaro e evidente, non ho molto da aggiungere, e rappresenta il senso di un partito che non ha compiuto il salto in avanti necessario”, dice Letta, annunciando come ineludibili le nomine di due donne a capo dei gruppi parlamentari anche perché, dice il segretario, “dall’altra parte ci sarà la prima donna premier del Paese e su questo punto dovremo essere credibili”.

Letta vuole evitare un referendum sulle alleanze. Così resta irrisolto il dualismo tra liberali e socialdemocratici

A proposito di errori, dopo mesi in cui chiunque criticasse il Pd per la sua smania di governo che l’aveva infilato in un governo tecnico tutt’altro che “vicino alla gente” ora la linea cambia: “Dobbiamo essere da subito pronti a costruire una opposizione forte ed efficace – spiega Letta – sapendo anche che quando questo governo cadrà io non ci sarò ma dovremo chiedere le elezioni anticipate, nessun governo di salute pubblica, lo dico, lo dirò anche rispetto a qualsiasi dibattito congressuale”.

Qualcuno in platea mormora. Anche questa è una promessa già sentita negli anni. Inevitabile il passaggio su Conte e Calenda con Letta che invita a “fare un congresso che non sia sul nostro ombelico” evitando un referendum sui due. Il segretario non ha torto ma la scelta tra la socialdemocrazia e i liberali è il vero nodo all’interno del partito. Quindi dopo qualche magra consolazione a cui non crede nessuno (“risultato non catastrofico”) Enrico Letta invita a mettere “in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni, una donna giovane”.

In sala tutti pensano a Elly Schlein, che in sala non c’è perché al Pd non è nemmeno iscritta. Si alternano gli interventi, tra Monica Cirinnà che ricorda a Letta di non avere mai pronunciato “la parola matrimonio egualitario” e il capodelegazione al Parlamento europeo Brando Bonifei che parla di “classe dirigente screditata agli occhi degli elettori». Tutti sono già con la testa al congresso.

Leggi anche: Letta annuncia elezioni anticipate quando il Governo Meloni cadrà. E chiede di non trasformare il Congresso in un referendum su Conte

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Con la Gig economy siamo tornati al cottimo

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Sebastian Galassi è morto a Firenze la sera di sabato 1° ottobre mentre con la sua bici portava a termine, per Glovo, una delle consegne che aveva preso in carico. Stava percorrendo via De Nicola sul lungarno fiorentino quando si è scontrato con un Suv, un impatto violentissimo che non gli ha lasciato scampo.

Nell’era della “gig economy” i lavoratori sono utenti di passaggio di una piattaforma che premia gli Stakanov del nuovo millennio

Da morto gli è arrivata una mail automatica il giorno successivo, l’hanno trovata i suoi famigliari tra le sue cose, dove i dirigenti di Glovo si dicevano “spiacenti di doverti informare che il tuo account è stato disattivato per il mancato rispetto dei termini e delle condizioni”.

L’azienda spagnola – leader del mercato delle consegne a domicilio insieme a Deliveroo e Uber – ha telefonato alla famiglia scusandosi per l’inconveniente, promettendo anche qualche soldo per il funerale. Nell’era della “gig economy” – questo il nome scintillante per il lavoro a cottimo governato da un algoritmo – i lavoratori sono utenti di passaggio di una piattaforma che premia gli Stakanov del nuovo millennio.

Una “morte abominevole”, dicono i sindaci che ieri hanno proclamato una giornata di sciopero e di manifestazione dei rider fiorentini, “colleghi” di Sebastian che sfrecciano veloci, sempre più veloci, per incassare una corsa da pochi erro e farsi trovare pronti per la chiamata successiva. Il sindaco di Firenze Dario Nardella parla di Sebastian “ che doveva correre per rispettare i tempi di consegna. Zero tutele e ritmi insostenibili”.

Che il lavoro da ciclofattorini sia un lavoro come tutti gli altri e abbia bisogno delle stesse tutele lo hanno stabilito tribunali in tutta Europa. Solo da noi i tribunali di Milano, Torino, Firenze, Bologna e Palermo hanno riaffermato con sentenze i diritti di un settore che è un buco nero, di cui si torna a parlare solo in occasione di qualche morto (sono già 4 quest’anno).

Il governo spagnolo ha emanato nel 2021 la cosiddetta “legge Rider” che obbliga le piattaforme a rendere i loro ciclo-fattorini dei dipendenti a pieno titolo

Per porre rimedio al vuoto legislativo, il governo spagnolo ha emanato nel 2021 la cosiddetta “legge Rider”, che obbliga le piattaforme di consegna di cibo basate su app che operano nella nazione europea a rendere i loro ciclo-fattorini dei dipendenti a pieno titolo.

L’Ue da tempo si dice pronta a intervenire. Un lavoratore sfruttato morto per stare al ritmo del proprio sfruttamento dovrebbe essere un manifesto politico per chi si professa “di sinistra”. Invece c’è questo farraginoso silenzio.

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“Fuga dai dem per i 5 Stelle. Letta & C. hanno perso il contatto con la realtà”

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Loredana De Petris, senatrice nel Gruppo Misto che non si è ricandidata alle ultime elezioni, aveva predetto che molti elettori di sinistra sarebbero confluiti nel M5S. Ha avuto ragione.

De Petris, passate le elezioni nei sondaggi il M5S continua a salire e il Pd continua a scendere. Che ne pensa
“Io penso che i risultati abbiano confermato il giudizio che ho dato sulle scelte del Pd. Le mie idee evidentemente sono condivise da moltissime persone a sinistra. Le elezioni hanno registrato uno spostamento di voti dalla sinistra al M5S. Ma la tendenza era in corso da tempo. Il Pd registra ancor di più un distacco dalla realtà, si vede anche guardando la mappa del voto. I dati confermano per loro che vi è una distanza con gli elettori, con i cittadini che sono sempre più in difficoltà. Qualcuno la chiama “disconnessione sentimentale dal popolo”. In più c’è la scelta razionale e deliberata di rompere l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, direi quasi una scelta perseguita. Il risultato delle elezioni dimostra che è stata una scelta suicida e che ha dato a tavolino la vittoria a Meloni e alla destra. Se noi avessimo avuto un’alleanza come avevamo costruito la partita non sarebbe stata chiusa: questo l’elettorato di sinistra l’ha molto sentito e anche per questo si è orientato verso i 5 Stelle. In onestà bisogna anche ammettere che Conte ha mostrato un partito molto cresciuto, ha lavorato su un agenda sociale e sulla transizione ecologica, è tra i pochi che parlano di mafie. La sua intervista di ieri a Avvenire lo dimostra ancora una volta”.

Giuseppe Conte intanto ha lanciato l’idea di una marcia per la pace, un’altra idea che si direbbe di sinistra…
“Il Pd ha fatto il contrario: dopo l’invasione di Putin invece di perseguire la via diplomatica si è messo l’elmetto in testa e anche in questi giorni continua. Anche di fronte a un’ulteriore salto di qualità del conflitto non sentiamo da quella parte l’idea di perseguire una volta per tutte, come ha fatto il Papa in modo molto chiaro, la pace, di trovare un tavolo di trattative. La situazione è grave. Siamo di fronte a una crisi sul fronte geopolitico che non si presentava da anni, una crisi energetica spaventosa con risposte che non arrivano dall’Ue. Basti pensare cosa è successo con gli extra profitti, con una legge che sembra scritta male apposta. In più siamo sull’orlo del baratro di una crisi sociale per famiglie e piccole imprese”.

Non c’è il rischio, come dice qualcuno, che il Pd si appiattisca sul M5S?
“Sono cose diverse. Il Pd deve fare chiarezza. Nasce da un grande equivoco fin dal 2008 e la sinistra al suo ha fatto molto male, scambiando il progetto politico per il potere fino a sé stesso, per governare nonostante perdesse. La sua nascita del resto è un’operazione fredda a tavolino con l’illusione di fondere due culture politiche molto diverse. È rimasto semplicemente un contenitore di correnti. Ma dal punto di vista del rapporto con la sua comunità il Pd oggi chi rappresenta Qual è il profilo dell’elettore del Pd? Non serve niente se un congresso cambia segretario e sigla un nuovo accordo tra correnti. E temo finirà così. Il Pd ha bisogno di una grande ripensamento, di prendere atto di un progetto sbagliato fin dall’inizio. Non è riuscito a diventare un partito democratico su modello americano, è diventato il partito delle élite con pochissimo radicamento nelle classi sociali tra i lavoratori. Questo ha minato alle basi il progetto. Per questo un polo progressista democratico ecologista si può ricostruire soltanto intorno ai 5 Stelle, che hanno tante contraddizioni, certo, ma lì c’è una possibilità, anche con i più deboli, io l’ho visto in campagna elettorale. È Conte che in questi giorni cerca di mobilitare, è lui a chiedere un tavolo delle trattative”.

Il Pd potrebbe cambiare con Elly Schlein come segretaria
“Elly ha perso l’occasione di costruire un soggetto su cui si è lavorato che avrebbe messo insieme le istanze della sinistra. Lei si è sottratta. Nel Pd il problema son si risolve cambiando il segretario. Nessun segretario del Pd è arrivato a fine mandato, tutti si sono messi da parte prima. Secondo me alla fine sarebbe un’operazione di facciata”.

Sinistra Italiana che ruolo potrebbe avere?
“Hanno scelto di stare in coalizione con il Pd, anche con istanze diverse e con contraddizioni. Non so cosa vorranno fare. Noi aspettiamo una forza ecologista vera, popolare, e questo si può fare solo intorno al M5S. Con Sinistra Italiana vedo complicato ricostruire un’alleanza a tavolino. Oggi si deve lavorare sui temi e sui contenuti”.

Per il M5S ha governato con Salvini, ha promulgato i Decreti sicurezza…
“I 5 Stelle, lo dico per la mia esperienza, hanno fatto un percorso travagliato, con una scissione pilotata in cui gli elementi meno sinceri e meno progressisti se ne sono andati. Certamente il cammino è abbastanza lungo ma il lavoro si fa in cammin facendo. Io non mi iscrivo ai 5 Stelle ma sinistra è quella che fa la sinistra, non quella che si proclama di sinistra. Il popolo lo sa capire”.

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