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Nostra signora dell’Ipocrisia

La politica fertilizza la memoria breve, brevissima. Funziona così perché gli italiani hanno molto meno tempo per la politica di quanto pensino politici e commentatori: lavorano, si ingegnano sul come galleggiare, stiracchiano redditi troppo corti per coprire tutto il mese e trascinano famiglie. La memoria breve fortifica la speranza: convincersi che tutto sia veramente nuovo aiuta a credere a un cambiamento reale.

Sarà per questa maledetta memoria breve che non ci si accorge dell’ipocrisia di Giorgia Meloni che i giornali compiacenti chiamano “maturità”. La leader che urlava in Spagna con i camerati di Vox promettendo sfaceli e additando poteri forti e criminali se ne sta in un angolo cinguettando con Draghi che fino a qualche giorno fa era un vampiro da trafiggere. Dopo avere incassato il 26% dei voti ripetendo che non andava bene niente, che tutti erano sbagliati e che il suo merito più grande fosse quello di essersi opposta (l’unica a destra) a questo obbrobrio oggi Giorgia Meloni muore dalla voglia di non interrompere il flusso del governo dei migliori.

Non è una questione meramente tecnica (il presidente della Repubblica deve iniziare ancora le consultazione, deve ancora affidare l’incarico per la formazione del governo): in un periodo di crisi spaventosa che si abbatte sui cittadini e sulle imprese Giorgia Meloni non trova la lingua per dire agli italiani quale sarebbe la soluzione che vorrebbe intraprendere, la destra non trova una posizione unica per tranquillizzare gli italiani sulle prossime bollette. Rimangono le cronache di “contatti tra Draghi e Meloni” sulle pagine dei giornali, utili a una riverniciata di credibilità internazionale e poco altro.

Giorgia Meloni che sì presa i voti dei “tutti a casa!” è tentata dal tenersi il ministro Franco all’Economia. Franco, tanto per capirsi, è il ministro del migliori che Mario Draghi ha sempre ritenuto il suo più fidato collaboratore. Franco, tanto per capirsi, era il papabile presidente del Consiglio se Mario Draghi fosse andato al Quirinale. «Se mi chiede cosa penso di Daniele Franco le dico che ho gli occhi a cuoricino» ha detto ieri Federico Freni, Sottosegretario al ministero dell’Economia (Lega), ospite a Restart su Rai2.

Intorno a nostra signora dell’Ipocrisia soffia forte il vento del paternalismo. La “prima donna” che avrebbe dovuto essere l’inizio di una rivoluzione ha scatenato lo spirito protettivo patriarcale di un’orda di maschi che con artefatto paternalismo consigliano Meloni, le sussurrano quanto è brava, la invitano a godere dell’ombra di Draghi e la applaudono come una bambina che muove i suoi primi passi.

Accade il contrario di ciò che urlacciando lei aveva promesso. “Diamole tempo”, diceva ieri un interessato Calenda. Già.

Buon martedì.

 

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Alla faccia di Regeni

Che questo non sarà un governo attento ai diritti civili appare chiaro anche ai più stolti. L’idea di diritti civili che circola dalle parti di questa destra (che solo noi chiamiamo centrodestra nonostante non abbia nulla di centro, nulla di moderato, nulla di progressista) consiste in un conservatorismo che sfiora la restaurazione. Lo si vede nell’idea di famiglia, lo si sente in ogni discorso che riguardi il mondo LGBTQIA+, lo si nota nell’approccio che metta ad ogni problema.

Ieri però la presidente del Consiglio in pectore Giorgia Meloni, così attenta in questi giorni successivi alle elezioni a non dire una sola parola di troppo, ha vergato una risposta al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi in cui è scivolata nella sua vera natura. Andiamo con ordine. Al Sisi, ebbro per il profumo di soldi che viaggia sull’asse italoegiziano ha pubblicato un messaggio sul suo profilo Facebook: «Estendo le mie più sincere congratulazioni alla signora Georgia Meloni per la vittoria del suo partito alle elezioni generali nell’amica Repubblica Italiana, augurandole il successo nel guidare l’Italia verso la prosperità e un futuro luminoso». «Non vedo l’ora di lavorare con lei, anche nel quadro della solida partnership che unisce Egitto e Italia, al fine di sviluppare le relazioni bilaterali e trasferirle verso orizzonti più ampi di proficua collaborazione in tutti i campi, coerentemente con l’antica storia di i due Paesi e la loro grande civiltà, e per il bene dei due popoli amici e dell’intera umanità», ha aggiunto Sisi concludendo il messaggio.

Nel mezzo di queste dichiarazioni di affetto politico del resto ci sono aziende come l’Eni che da anni gestisce importanti giacimenti petroliferi in Egitto e che poco tempo fa ha ottenuto una nuova assegnazione dal governo del Cairo. Ballano anche le armi, molte armi, che l’Italia spedisce in Egitto con il cuor leggero, non ultime le due fregate che italiane che il governo egiziano ha celebrato fastosamente.

Tra Italia e Egitto però si tende anche un filo nero sporco del sangue coagulato di Giulio Regeni, lo studente triestino fracassato di colpi dopo una lunga tortura dagli uomini della Guardia nazionale egiziana, direttamente comandata da al Sisi. Una tragedia che oltre al sangue ha ingoiato bugie di stato, depistaggi e una continua mistificazione. I presunti colpevoli dell’efferato omicidio sono da anni protetti dal presidente egiziano in persona ingolfando, si teme per sempre, un’indagine che si può classificare tra le più dolorose farse internazionali di questi ultimi anni nei confronti dell’Italia. Un’indagine circondata da promesse e rassicurazioni (anche dall’inetto e desaparecido ultimo ministro Luigi Di Maio) che non sono mai state mantenute. Tra Italia e Egitto c’è anche la dolorosa agonia giudiziaria di Patrick Zaki, studente egiziano a Bologna che dopo un ergastolo cautelare si ritrova ad affrontare un processo senza nessun rispetto dei diritti umani.

I diritti umani, appunto. Giorgia Meloni ha risposto alle felicitazioni di al Sisi così: «L’Italia è pronta a rafforzare la nostra cooperazione bilaterale su molti campi: sicurezza energetica, stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente, diritti umani e libertà religiosa. Grazie signor Presidente al-Sisi». Diritti umani. Come si possa “rafforzare la nostra cooperazione bilaterale sui diritti umani” con un Paese che con noi non ne ha minimamente tenuto conto è un mistero. In compenso la frase, così garbata e diplomatica come lo è Meloni in questi giorni, gronda sangue dappertutto.

Buon lunedì.

 

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Prosegue la santificazione di Giorgia Meloni

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C’è la solita santificazione di Giorgia Meloni, c’è lei che si complimenta con l’Egitto per i diritti umani e c’è la Lega che si è inventata – indovina un po’ – la secessione. Eccoci al nostro bestiario di governo.

SEMPRE A PROPOSITO DI MELONI SANTA
Corriere della Sera: “La visione di Giorgia. La vincitrice delle elezioni viene accolta come una regina da Coldiretti e, va detto, lei non sbaglia un colpo: i contenuti sono giusti, il tono pure. E così, alla sua prima uscita dopo il voto che l’ha proiettata verso Palazzo Chigi, è apoteosi. Al punto che spesso è difficile capire cosa dica a causa dei «Giorgia, Giorgia»”. E poi: “In ogni caso, Meloni non promette quello che non intende mantenere”. Viene in mente un celebre giornalista del Corriere negli anni ’30 che scriveva: ““Sorge il sole, Canta il gallo, Mussolini monta a cavallo”. Certa stampa non riesce proprio a non trasformare in divinità il leader di turno.

PROMESSE ELETTORALI
Secondo alcune fonti del centrodestra sarebbero stati Salvini e Berlusconi a promettere a Letizia Moratti che sarebbe stata candidata presidente in Regione Lombardia. Non male come scelta: ne ha presi due su tre della destra e ha mancato l’unica che ora decide davvero.

SECESSIONE!
Nota della Lega:”Dopo trent’anni di battaglie, questa sarà la legislatura che finalmente attuerà quell’Autonomia delle Regioni che la Costituzione prevede.” Umberto Bossi ci crede così tanto che ha fondato il ‘Comitato Nord’ – spiega Bossi – «con rinnovato entusiasmo alla conquista degli obiettivi che sono stati alla base della fondazione della Lega nel marzo 1984». Tradotto: sono 38 anni che vi prendono in giro. Fenomenale il leghista Marco Reguzzoni che dice: “ho visto Bossi di nuovo con gli occhi di tigre”. Quando si dice il tempismo delle metafore.

QUESTIONE DI PALATO
Tajani: “Per Forza Italia Salvini può fare il ministro di qualsiasi dicastero”. Del resto dalle loro parti hanno stomaci forti, sono pronti a ingoiare di tutto.

IL CRETINISMO CORSARO
Riecco Massimo Corsaro e soprattutto riecco il suo uso disinvolto dei social network. L’ultimo tweet dell’ex parlamentare di destra finito sotto accusa recita così: “Non so cosa facesse il padre di Meloni quando lei era bambina e lui aveva lasciato casa. So per certo che la sinistra ha portato in Parlamento una persona perché suo fratello spacciava”. Se da una parte si capisce il riferimento alle polemiche sugli articoli di stampa – prima quella spagnola, poi quella italiana – sulle vecchissime vicende che riguardavano il padre della leader di Fratelli d’Italia, dall’altra l’ex deputato (ex Msi, ex An, ex Pdl, l’ultimo partito d’appartenenza fu proprio Fdi nel 2015, lasciato in polemica) attacca l’elezione di Ilaria Cucchi (neosenatrice di Sinistra-Verdi) nel modo che si vede, omettendo e mistificando la vicenda – ricostruita da diversi processi – che ha portato alla morte del fratello Stefano, con tanto di successivi depistaggi.

MELONI MANDA UNA CAREZZA A AL SISI
Meloni in risposta ai complimenti per la vittoria del Presidente egiziano Al-Sisi:”l’Italia è pronta a rafforzare la nostra cooperazione bilaterale su molti campi: sicurezza energetica, stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente, diritti umani e libertà religiosa. Grazie Presidente al-Sisi”. Giulio Regeni e Patrick Zaki ringraziano. Roba da brividi.

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Perché la scomparsa di Di Maio da Facebook è la pietra tombale sulla sua credibilità

Luigi Di Maio è scomparso. Non parliamo dell’esclusione del prossimo Parlamento, dopo il deludente risultato del suo minuscolo partito personale, Impegno Civico, che lo scorso 25 settembre non è riuscito a raggiungere nemmeno l’1 per cento. Luigi Di Maio è scomparso da Facebook che era il suo metaverso. Ed è scomparso da TikTok dove baldanzosamente era sbarcato poco prima delle elezioni politiche.

Di Maio per anni ha accarezzato l’idea che Facebook fosse l’unico luogo del confronto reale

Se Luigi Di Maio non fosse figlio di quella politica nata dall’indignazione sui social non sarebbe una notizia. Potrebbe trattarsi semplicemente di un rinnovamento dei suoi canali social oppure dello spegnimento di un mero strumento elettorale. Solo che Di Maio per anni ci ha raccontato che “i grandi giornali” nascondevano la verità e che Facebook (o chi per lui) era l’unico luogo del confronto reale. Di più: per un periodo consistente Di Maio e i suoi compagni di ventura hanno tentato di convincerci che l’onestà degli eletti si misurasse sulla base dei loro post sui loro profili social, come se i politici dovessero essere giudicati solo dalla loro abilità di raccontarsi. Di Maio per anni ha combattuto la propaganda provando a convincerci che solo la sua (e del suo partito) fosse l’unica a cui credere.

Perché la scomparsa di Di Maio da Facebook è la pietra tombale sulla sua credibilità
Luigi Di Maio (Getty Images).

La scomparsa dai social è la pietra tombale sulla sua credibilità

Che Di Maio sparisca da Facebook è indicativo perché rappresenta la pietra tombale sulla sua credibilità e su un modo di fare politica. Di Maio “l’onesto”, Di Maio “il portavoce”, Di Maio “il puro tra i puri” ha abbandonato il Movimento 5 stelle negando l’impianto del suo fare politica. Ha provato a rivendersi (non l’ha comprato nessuno) spiegandoci che ciò che aveva difeso per anni, l’unica verità vera a cui avremmo dovuto credere, era una bugia. Quando si è scisso dal Movimento 5 stelle deve essersi sentito coccolato da quegli stessi poteri («forti», li chiamava lui) che aveva fintamente (a questo punto si può dire) osteggiato e ha detto che quegli stessi poteri erano la garanzia della sua serietà. Che fosse un atto politicamente suicida era fin troppo facile da prevedere.

Impegno civico era solo una scialuppa per salvare sé stesso

Poi c’è l’altra bugia, un’altra ancora: per tutta la campagna elettorale Luigi Di Maio (uno dei massimi interpreti della politica personalistica di questi tempi) ha voluto farci credere che Impegno civico (nome singolare per il partito personale di un ministro) fosse “una squadra”. Avrebbe dovuto essere una coincidenza che in quel contenitore politico ci fossero molti dei parlamentari grillini che non avrebbero più potuto ricandidarsi nel loro vecchio partito per la regola dei due mandati. Di Maio che scompare da Facebook dice ai suoi che non era vero niente, che quel finto partito era solo una scialuppa per salvare sé stesso.

Perché la scomparsa di Di Maio da Facebook è la pietra tombale sulla sua credibilità
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (Getty Images).

Di Maio ha ghostato l’Italia: siamo messi così

Di Maio che scompare da Facebook è il bambino che si mette sotto le coperte e strizza forte gli occhi per non affrontare la realtà, illudendosi che riaprendoli il mondo intorno a lui si modifichi secondo le sue volontà. Un gesto, l’ennesimo, che è sinonimo di codardia, mica solo politica. Sarebbe una storia da niente, una codardia minima del post elezioni, se non fosse che Di Maio a lungo ha deciso le sorti politiche del Paese a capo del partito che fu il più votato d’Italia e se non fosse il ministro agli Esteri tutt’ora in carica. Si chiama ghosting il fenomeno dello scomparire da una persona con cui si aveva una relazione per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Di Maio ha ghostato l’Italia. Stiamo messi così.

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Che… Casini a Palazzo Madama. Senza freni il Bestiario di Governo

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C’è Berlusconi innamorato, il solito Salvini bastonato, i leghisti che dicono basta a “Dio, Patria e famiglia” e ci sono partiti minuscoli a caccia di poltrone. Eccoci al nostro bestiario di governo.

IL PARTITO DELL’AMORE
“Ieri sera mi sono commosso al caldo abbraccio delle persone che amo. Grazie a loro e a tutti per gli auguri”. Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che posta sui social un video della festa di ieri sera nella residenza di Arcore per i suoi 86 anni. Il Cavaliere siede al centro della lunga tavolata imbandita, con fiori bianchi e azzurri e candele accese lungo l’asse centrale, con alla destra la figlia Marina e alla sinistra la compagna Marta Fascina.

Presenti, tra gli altri, Gianni Letta, Adriano Galliani, Licia Ronzulli, Alberto Barachini, gli altri figli e i nipoti. Berlusconi spegne a un certo punto le candeline della torta a quattro piani, il più basso con i colori del Milan e del Monza, il secondo con la bandiere di Forza Italia e il terzo azzurro con i loghi di Mediaset e Mondadori, sormontato poi da un mappamondo accanto ad una statuetta con le sembianze del leader azzurro in giacca e cravatta. Alcuni palloncini rossi a forma di cuore sono stati fatti cadere sul tavolo dall’alto al momento del taglio della torta. Il regalo? Berlusconi è uscito dalla torta in faccia a tutti gli italiani. Il regalo, vedrete, lo pagheremo noi.

STATO CONFUSIONALE
Matteo Salvini ieri mattina si è alzato è ha detto: “Non stiamo discutendo ancora nomi e ruoli nel governo”. Qualche ora dopo al villaggio della Coldiretti si è subito smentito e ha chiesto per la Lega il ministero della pesce e dell’agricoltura (in cui Giorgia Meloni lo chiuderebbe volentieri a chiave). Poi ha avuto una grande idea: cambiare il nome del ministero all’Agricoltura in “ministero della Sovranità alimentare”, come propone Coldiretti (sempre a proposito di serietà): “Il nome non mi dispiace perché sovranità agroalimentare è indipendenza”. Poche ore dopo si è saputo che durante la riunione blindatissima con i suoi Salvini ha chiesto per sé il Viminale. “Non stiamo discutendo ancora nomi e ruoli nel governo”, diceva: come si può credere a un uomo così?

MATTEO STAI SERENO
Lo potete intuire dalle parole del coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani: “Salvini? Per quanto ci riguarda può fare quello che preferisce, poi deciderà il futuro presidente del Consiglio”. L’ha toccata piano.

ANCHE NO
L’assessore di Regione Veneto Roberto Marcato, fedelissimo di Zaia, lo dice chiaramente: “se essere un partito nazionale vuole dire fare la brutta copia di FdI siamo morti – spiega Marcato – se invece nell’unità del paese si fa emergere la peculiarità territoriale dando rappresentanza ai territori attraverso autonomia e federalismo che rinnovi questo paese allora così va bene. Se nazionalità significa Dio Patria e Famiglia, io non sono nato in un partito così ma credo che il 99 per cento dei militanti non si siano iscritti in Lega per questo motivo”. È un avviso di sfratto per Salvini, facile facile.

CACCIA ALLE POLTRONE
Il Movimento Autonomi e Partite IVA, entrato alla Camera grazie ad un accordo con Caroppo, eletto con Forza Italia, reclama un ministero o un sottosegretario. Sarà un ministero flat, probabilmente.

PAROLE E FATTI
Bruno Tabacci: “Io eletto e Di Maio no? Mi dispiace, ho sempre parlato bene di lui”. Parole, parole, parole…

CASINI??!!
Agenzia Dire: ipotesi Casini presidente del Senato, contatti in corso tra Fratelli d’Italia e il senatore eletto col Centrosinistra. A proposito di capolavori politici…

5-segue

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Fassina: “Il Pd ha abbracciato i neoliberisti”

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Enrico Letta scrive agli iscritti del Partito democratico: “Abbiamo perso, ma ne usciamo vivi. Ora contenuti e volti nuovi. Confronto sarà su tutto: dal nome a simbolo. Nel frattempo Rosy Bindi propone di sciogliere il partito. Le acque sono agitate. Ne abbiamo parlato con Stefano Fassina, deputato tra i fondatori del Pd e ex viceministro dell’Economia sotto il ministro Fabrizio Saccomanni nel governo Letta.

È fallita la fusione a freddo tra Ds e Margherita che ha dato vita al Pd?
“Si trattava già di una fusione che ha riguardato due esperienze, due storie, che erano consumate. Quindi il problema non è la fusione ma i protagonisti che già erano arrivati al capolinea. Del resto il Pd ha abbracciato l’impianto neoliberista che era già in crisi. Nel 2007, l’anno del Lingotto, qualche mese prima ci fu la crisi dei mutui subprime, che è frutto dell’insostenibilità di quell’impianto. Erano due storie che a un certo punto avrebbero dovuto rigenerarsi e invece hanno assunto le peggiori mode a sinistra”.

C’è chi dice che occorrerebbe dividere i socialdemocratici e i liberali nel partito, una volta per tutte. Che ne pensa
“Io l’anima socialdemocratica sinceramente non l’ho vista molto. Quando è stato approvato Jobs Act e Buona suola solo un gruppetto sparuto di noi si è differenziato e poi è uscito. Gli altri hanno approvato in Parlamento quello che passava Renzi,. Qualcuno che oggi mi dice che effettivamente il Jobs Act fosse sbagliato a quel tempo mi dava del rosicone. Che ci siano singole personalità socialdemocratiche all’interno del partito non lo metto in discussione ma la socialdemocrazia come posizione politica non l’ho mai vista in questi anni”.

Quindi quale futuro vede per il Pd?
“La proposta che ha fatto oggi Letta con la lettera gli iscritti (di rifondare il partito con contenuti, volti e nome nuovo, nda) credo possa andare avanti. L’alleanza progressista necessita di un Pd solido che si costruisce un profilo di cultura politico e sinergico con quello del Movimento 5 Stelle”.

Molti danno per certo Bonaccini come prossimo segretario, che ne dice?
“Il punto non è Bonaccini o chiunque altro. A me pare che posizioni in continuità non siano adeguate. È necessaria una profonda discontinuità. Chi è in grado di interpretare questa discontinuità non lo so. Oggi ricorrere a delle figure senza poter valutare prima l’effettiva discontinuità delle proposte la trovo l’ennesima illusoria scorciatoia. I tempi che vengono proposti per il congresso sono troppo stretti per fare lavoro approfondito e per rendere credibile un’apertura che rischia di essere confinata alle figure limitrofe. I tempi sono difficilmente coerenti con l’ambizione di ricostruire un soggetto politico”.

Quindi meglio una separazione?
“Non vedo sul piano politico queste due anime. Segnalo che quelli che arrivano dalla mia stessa storia (Ds) sono stati protagonisti dell’interpretazione neoliberista. Il Lingotto l’ha fatto Veltroni, il Jobs Act Ichino e quella componente. L’europeismo fideistico accomuna quelle visioni. Una divisione sulla base delle provenienze la trovo insensata, Fassino è stato più sdraiato di Letta sulla vicenda della guerra e sull’atlantismo subalterno. È altresì vero che Orlando ha fatto un lavoro molto positivo da ministro, quindi non voglio dare una lettura indifferenziata del Pd. Però non vedo posizioni politiche così riconducibili a Ds o Margherita. Alcune declinazioni liberiste diritti civili, come la maternità surrogata, sono assolutamente condivise da tutti”.

Quindi si cambia nome?
“Anche questa la sento a intervalli regolari. Ma il proverbio latino “rem tene, verba sequentur” in questa occasione calza perfettamente. Mi pare molto consolatoria l’invocazione del cambio del nome. Tra l’altro mi pare che si proponga un nome ancora più indefinito, invece c’è bisogno di risposte identitarie ancora più nette”.

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Moratti conferma la corsa al Pirellone

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Non si placano gli scontri in Regione Lombardia tra Letizia Moratti e Attilio Fontana, impegnati in un duello che non potrà non avere ripercussioni sul piano nazionale. Ieri la Moratti intervistata da Marco Damilano durante la trasmissione Il cavallo e la torre è stata netta: “Sono stata chiamata dal presidente Fontana e ho accettato per responsabilità e amore per la mia regione, con l’impegno parallelo di un passaggio di testimone a fine legislatura. Ho lavorato e lavoro coerentemente a quell’impegno ma coerentemente a quelle indicazioni ho costruito anche una rete civica”, ha detto.

Non si placano gli scontri in Regione Lombardia tra la Moratti e Fontana, impegnati in un duello che non potrà non avere ripercussioni sul piano nazionale

Secondo la versione di Moratti accettare di entrare in giunta come vicepresidente e assessore al welfare in un momento in cui la Lombardia era travolta dalle critiche per la gestione della pandemia rientrava in un percorso che l’avrebbe vista candidata presidente alle prossime elezioni regionali.

Senza mezze parole racconta che c’è stato chi le ha chiesto esplicitamente di muoversi verso la candidatura alle Regionali. Chi sia non si può sapere: “Per riservatezza istituzionale, finché il centrodestra non chiarirà la sua posizione non dirò chi”, si limita a dire. Per questo non c’è nessuna ipotesi di un suo coinvolgimento come ministra nel prossimo governo nazionale: “Sarei onorata ma non accetterei. – ha risposto la Moratti -. Penso di poter dare un maggior valore aggiunto qui nella mia regione”, ha detto, aggiungendo di essere in “campo con una rete civica ma coerentemente aspetto una decisione da parte della intera coalizione del centrodestra”.

Ieri per tutta la giornata sono partite le accuse (e le richieste di dimissioni) dei componenti della Lega. Lo stesso presidente di Regione Lombardia Fontana chiede che la sua vice si prenda la responsabilità di dimettersi: “Non possiamo continuare ad andare avanti con questa strana situazione. Bisogna che si dia una svolta e che si capisca se vuole essere parte della nostra squadra o se invece vuol far parte di un’altra squadra”, ha detto il presidente leghista ai giornalisti.

La Meloni sta a guardare: FdI può lucrare sui guai della Lega

Da Roma Giorgia Meloni e i suoi di Fratelli d’Italia osservano la situazione lombarda mantenendo le distanze. Secondo la presidente del Consiglio in pectore non è questo il momento di immischiarsi in una diatriba che logora solo il suo alleato Salvini. Qualcuno dei suoi fa notare come l’intempestività dell’intervento a gamba tesa della Moratti sia un errore politico grave.

Non è un mistero però che Fratelli d’Italia vedrebbe di buon occhio un ulteriore indebolimento di Salvini nel caso in cui gli si sfilasse la regione più rappresentativa per il suo partito. Dall’altra parte gli avversari interni del leader leghista (da Maroni a Castelli) vedono l’occasione di disarcionare il segretario sfruttando la candidatura dell’ex sindaca di Milano.

A Letizia Moratti guarda con interesse anche il cosiddetto Terzo polo (che invece è il quarto) che potrebbe trasformare la Lombardia nel laboratorio politico di un’alleanza apertamente schierata a destra. Per questo Dario Violi (capogruppo del Movimento 5 Stelle nel Consiglio regionale lombardo) vede “l’opportunità di un campo largo progressista che sia capace di mobilitare gli elettori con uno schieramento netto”.

Sull’alleanza tra Pd e M5S stanno lavorando i maggiorenti regionali e nazionali decisi a non farsi trovare impreparati. Anche per il centrosinistra la Lombardia potrebbe diventare il seme di un nuovo schieramento nazionale. Tra le condizioni che porranno i 5S al Pd però c’è un no netto a Carlo Cottarelli candidato presidente: ai dubbi iniziali si aggiunge anche il pessimo risultato elettorale di Cottarelli nella “sua” Cremona.

Leggi anche: In Lombardia la verità sulle destre. L’editoriale del direttore Gaetano Pedullà 

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La Lombardia alla Moratti e Fontana ministro. L’exit strategy delle destre

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Tutto quello che si legge in giro sulle prossime elezioni regionali in Lombardia è falso. Non c’è nessuna discussione su un posto da ministra per Letizia Moratti a Roma e non c’è nessun passo indietro sulla candidatura di Moratti alle prossime lezioni regionali in Lombardia.

“Anzi, lei è già partita da un pezzo, è determinata, ha la sua squadra con cui sta lavorando da mesi e ovviamente è piena di soldi”, dice a La Notizia Franco Mirabelli, senatore (rieletto) del Partito democratico.

Lo scambio

“Tenendo conto di un’eventuale divisione della destra noi avremmo qualche possibilità in più”, spiega Mirabelli. Lo schema sarebbe quello di “un campo largo” senza il cosiddetto Terzo polo di Renzi e Calenda: “Gli altri ci stanno già”. Per il nome del candidato non si è raffreddata del tutto l’ipotesi di Carlo Cottarelli nonostante il pessimo risultato che ha rimediato nel collegio della sua città perdendo contro Daniela Santanchè (è stato ripescato in Senato grazie al paracadute della lista plurinominale).

Nel Pd lombardo però una frangia insiste per le primarie – previste per Statuto – e allora il quadro cambierebbe: “O facciamo il campo largo o facciamo le primarie”, spiega il senatore Dem. Ipotesi, quella del campo largo, a cui sta lavorando anche il M5S. Anche se il consigliere pentastellato Marco Fumagalli, solleva dei dubbi: “Il campo largo in Lombardia assolutamente inutile se non c’è Calenda poiché non ci sarebbe comunque nessuna possibilità di vittoria”.

“Bene che vada – ragiona Fumagalli – la coalizione potrebbe prendere oggi circa un 34%, tenendo conto che Calenda ovviamente non entrerebbe mai in una coalizione dove c’è il Movimento 5 Stelle”. In occasione della campagna elettorale nazionale solo pochi giorni fa Giuseppe Conte ha ribadito che il Movimento 5 Stelle non farà accordi con questa dirigenza del Partito democratico: “Per ora di nomi non ce ne sono – dice Fumagalli – ma noi dobbiamo riuscire a parlare alle aree in sofferenza, non abbiamo bisogno di un candidato che sia invitato a Cernobbio ma ai disoccupati, ai poveri, a quelli che non vanno a votare”.

Anche il consigliere pentastellato è convinto che la candidatura di Letizia Moratti sia in campo, al di là delle dichiarazioni della destra ai giornali: “Già nell’aprile del 2020 si sapeva che Letizia Moratti sarebbe passata all’incasso”. Sarà molto probabilmente l’attuale presidente Attilio Fontana a dover fare le valigie e partire per Roma. Un suo posto al ministero sbroglierebbe la matassa lombarda e permetterebbe alla destra di non schiantarsi.

Anche perché alla solita coalizione Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia sembra quasi scontato che si aggiungerebbero Renzi e Calenda. Fu proprio Calenda, non pochi mesi fa, a dichiarare pubblicamente che “Letizia Moratti sarebbe un’ottima presidente per la Lombardia” e i voti del Terzo polo in Lombardia sono un bottino ghiotto di questi tempi. “Fontana vada a fare il ministro degli Affari regionali e provi a portare a casa l’autonomia regionale, se ci riesce”, provoca il pentastellato Fumagalli.

In viaggio per Roma

Della prossima partenza verso un ministero dell’attuale presidente di Regione Lombardia è convinto anche Pietro Bussolati, ex segretario provinciale del Pd di Milano e ora consigliere regionale che al centrosinistra chiede di passare dalle primarie: “Le primarie sono uno strumento che va definito e proposto senza esclusioni. Poi vediamo cosa emerge. Partire dalle alchimie è sbagliato, serve trovare entusiasmo. Si vince solo con la mobilitazione”.

“Del resto – chiede Bussolati – chi decide i nomi da mettere in campo? Deve essere il territorio, non le imposizioni dall’alto”. La campagna elettorale in Lombardia è già iniziata, anche se in pochi sembrano essersene accorti.

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Il rifascismo sarà dolce

La prima fase, com’era facilmente prevedibile, è la normalizzazione. In un Paese che da anni si concede la leggerezza di chiamare “centrodestra” una delle peggiori destre di sempre non stupisce che un governo con la fiamma fascista nel simbolo del partito principale venga accarezzato. Nei confronti di Giorgia Meloni, tra le altre cose, è scattata la corsa all’agiografia con quel vizio molto italiano del giornalismo che lecca il potere, qualsiasi forma abbia, per ingraziarsi la prossima vagonata di classe dirigente.

Che non esista un “pericolo fascismo” lo ripetono tutti, manipolando come sempre il dibattito secondo i soliti canoni: se non ti allinei al pensiero dominante (per di più certificato dalle elezioni) sei un nemico della patria, sei un antidemocratico e così via C’è concretamente il pericolo di una restaurazione di un regime? No, ovviamente. Perché non è questo il punto. Gli storici, gli intellettuali e i commentatori ce l’hanno spiegato per anni: il rifascismo sarà dolce, garbato, perfino simpatico. La compressione dei diritti verrà presentata come un’urgenza per difendere “la nostra storia” e “la nostra identità”. La repressione delle voci contrarie non avverrà con violenza tangibile ma con un calcolato discredito organizzato che si proverà a far diventare egemonia.

Chi chiederà diritti verrà trattato come un perditempo che distoglie “dalle cose importanti da fare”. Chi chiederà cura per le minoranze sarà bollato come un buonista che vorrebbe sabotare la maggioranza. Chi chiederà uguaglianza sarà definito un pelandrone che vorrebbe ottenere tutto senza impegno o un fallito rancoroso. Il “merito”, che per anni è stato usato come clava (con il cretino favoreggiamento di certa sinistra) sarà il parametro soggettivo con cui si potrà dire no.

In un Paese truffato ogni volta dalla passione per il nuovismo si chiederà anche questa volta una sospensione del giudizio per “metterli alla prova”, come se le facce e le storie di questi “nuovi” non siano le stesse che da trent’anni hanno mostrato i loro denti. “Faremo un’opposizione dura valutando ogni singolo provvedimento ma senza pregiudizi” diceva ieri un dirigente del Partito Democratico, come se non esistesse un giudizio sulle parole, sui fatti, sui modi di questa destra.

Osservateli con attenzione: i ben disposti di questi giorni sono gli stessi che poi accuseranno noi di essere stati troppo morbidi. Appena i loro padroni gli daranno l’ordine di far cascare tutto vergheranno infiammati editoriali in cui fingeranno di averlo sempre saputo che questo governo aumenterà le disuguaglianze ancora di più. C’è un caso scuola che abbiamo dimenticato in fretta: qualche mese fa Silvio Berlusconi era stato condonato da tutto per il profumo del Quirinale. Ci chiedevamo: com’è possibile che questo Paese sia così predisposto alla dimenticanza Semplice: bisogna essere capaci di ignorare, per esser servi.

Buon venerdì.

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FdI in… fiamma la Costituzione Bestiario di Governo senza freni

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0Sbagliano la data della Costituzione, bastonano Salvini da tutte le parti e dicono tutto e il contrario di tutto. Bentornati al nostro quotidiano bestiario di governo.

No, il voto non era un disastro

“Il voto in un Paese membro è un accadimento di routine con cui si ha a che a fare nella gestione della politica fiscale. L’Italia formerà un governo e l’Ue è pronta ad aspettare il tempo necessario”. Lo spiegano fonti Ue rispondendo ad una domanda sul possibile ritardo con cui l’Italia potrebbe inviare la manovra finanziaria a Bruxelles. In un secondo bruciano tutti i contriti editoriali e quintali di dichiarazioni politiche che hanno raccontato balle per tutta la campagna elettorale.

Maroni bastona Salvini

L’ex segretario della Lega Roberto Maroni scrive la sua a Il Foglio e non ci va per niente leggero con Salvini che ormai prende sberle da tutti: “Che progetto potrebbe avere un nuovo segretario della Lega – scrive Maroni -. Io un’idea ce l’ho: far nascere una federazione tra Forza Italia e la Lega.

Mi sembra una cosa buona e giusta, visti i tempi che corrono nella politica di oggi. E nella sua piuttosto modesta (e uso un eufemismo) classe politica”. Maroni fa anche un nome: Luca Zaia. Questa volta a Salvini per salvarsi serve molto di più di un moijto.

Governo politico ma pure tecnico

Mirabile dichiarazione del presidente di Forza Italia Antonio Tajani che riesce a dire tutto e il suo contrario: il governo sarà “politico e di qualità” e gestirà le emergenze governando “nei prossimi anni”. “Se ci fosse qualche tecnico di alto livello? Perchè no?”. Lo dice a Tg1 Mattina il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani. Ci avete capito qualcosa

Qualcuno vede la lega già morta

È passata molto sotto traccia la dichiarazione di Gianni Fava, già candidato contro Salvini all’ultimo congresso della Lega: ”Questa Lega non è scalabile: morirà con Salvini. Bisogna ripartire dal Nord”, dice Fava. La sua dichiarazione viene rilanciata anche da altri membri del partito. Tanto per capire che aria tira da quelle parti.

Costituzione o Bibbia

L’onorevole Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni, dice che la Costituzione è bella ma ha 70 anni. In realtà ne ha 75. A proposito, anche il simbolo della fiamma ne ha più di 70. Però Lollobrigida ci fa sapere che la millenaria Bibbia (anzi la loro interpretazione della Bibbia) deve guidare l’Europa del futuro.

Istituto luce

Pezzo mirabile di Repubblica, a proposito dell’agiografia di Giorgia Meloni. Leggetelo bene, inizia così: “La donna che si è presa l’Italia ingrana la prima. Con la sua Mini, risale la stradina cieca sotto casa. Romba, mette la seconda. Sguardo duro, guida decisa.

Gli uomini della questura si aprono come il Mar Rosso. Della Meloni si vedono solo la felpa grigia, i giganteschi occhialoni neri, il cappuccio calato sulla fronte che fa tanto Justin Bieber o Rihanna in fuga dai paparazzi. Sul cruscotto, un orsetto strappato di peluche”. Va letto con sotto la musichetta dell’Istituto Luce, ovviamente.

La matrice

Il circolo di Fratelli d’Italia di Terralba è intitolato al gerarca fascista Italo Balbo. Fondatore del fascismo ferrarese, quadrumviro della marcia su Roma a capo di violente spedizioni squadriste. Nel 1938 venne ricevuto da Hitler al Berghof. Non preoccupatevi, è solo antiantifascismo.

‘Ndo cojo cojo

Ettore Rosato: “Sosterremo le scelte del governo quando saranno scelte da sostenere perché sono nell’interesse degli italiani. Altrimenti faremo opposizione sui temi quando sarà necessario. Ma non quella che piace ad una certa sinistra”. S’offrono, con l’apostrofo.

4-Segue

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