Vai al contenuto

Le “sinistre” non sfondano. Dov’è la sinistra

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

«Avevamo avvisato il Paese del rischio di una destra sovranista, estrema», contro la quale sarebbe stato necessario «riuscire a raggiungere la massima coesione possibile, e se questo obiettivo fosse stato perseguito ora probabilmente staremmo commentando un risultato diverso». Ha detto così Angelo Bonelli, leader dei Verdi dal comitato elettorale dell’alleanza VerDi-SI durante la maratona Mentana.

Sinistra Italiana e Verdi hanno ottenuto il minimo sindacale

«Ora avremo un ruolo molto importante – ha aggiunto – per difendere le conquiste sociali. Saremo pronti, forti a difendere la Costituzione e i diritti». L’alleanza tra Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli incassa un risultato che rientra tra i parametri sperati. Non c’è entusiasmo dalle parti della costola di sinistra del Partito Democratico ma rimane comunque la soddisfazione di avere portato persone in Parlamento.

La campagna elettorale, del resto, ha pagato in primis l’alleanza con il Partito Democratico (Bonelli si è ritrovato in coalizione con nuclearisti, solo per fare un esempio), ha pagato poi gli attacchi a palle incatenate del cosiddetto terzo polo (che invece è il sesto) di Renzi e Calenda e ha scontato il pessimo risultato del progetto politico di Enrico Letta.

Forse è proprio per questo che Fratoianni a poche ore dalla chiusure delle urne chiede di rimettere in piedi la coalizione con il M5S: «Intendiamo farci carico della ricostruzione a partire dall’opposizione di un quadro di relazioni e convergenze di tutte le forze alternative a questa destra estrema.  – ha detto il leader di SI parlando al tg3 – Non è una buona notizia ci siamo battuti contro questo scenario e avremmo voluto farlo con una coalizione più larga. I numeri dicono che un’alleanza più larga avrebbe reso la vita molto più difficile” alla destra.

Ma com’è andata la “sinistra” in Italia Questa è la domanda al di là dei calcoli di questa pessima legge elettorale. Se la “sinistra” è l’alleanza tra Verdi Europei, Sinistra Italiana e Possibile non è andata per niente bene, bisognerebbe avere il coraggio di dirselo. Non è immaginabile che in un’alleanza di centrosinistra lo spazio sia solo di qualche punto percentuale sopra la soglia di sbarramento e non può bastare l’elezione di qualche nome importante e simbolico come Ilaria Cucchi.

La sensazione convinta è che con un Partito Democratico così in affando sia veramente difficile risultare credibili come forza di “sinistra” e “alternativa” a tutto quello che abbiamo visto in questi ultimi anni. Non è un caso che Letta si apparso più di una volta in evidente difficoltà per i voti contrari al governo Draghi che Nicola Fratoianni e i suoi hanno espresso in più di un’occasione.

Unione Popolare ha un senso se è l’inizio di un progetto

Fuori dalla coalizione c’è invece Unione Popolare. Il cartello elettorale messo in piedi in poche settimane da De Magistris, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo si arena su percentuali ben lontani della soglia di sbarramento che era l’obiettivo di tutti. A differenza di Verdi e Sinistra Italiana in questo caso pesa sicuramente il poco tempo a disposizione e una stampa tutt’altro che benevola che ha fatto di tutto per oscurare la loro offerta politica. Il terrore da quelle parti ora è che il cartello elettorale non si evolva in un progetto con lo sguardo lungo ma si dissolva come accaduto dai tempi della Sinistra Arcobaleno in poi. Loro ripetono che questo sia solo l’inizio ma anche questa è una frase che abbiamo ascoltato spesso. 

O forse bisognerebbe fare i conti con un fatto evidente: molti dei voti di questa sinistra sempre sparpagliata in questo momento se li tiene in panca il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. Averne coscienza sarebbe un buon inizio.

L’articolo Le “sinistre” non sfondano. Dov’è la sinistra sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Conte ha dimostrato che il M5S è vivo e vegeto

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il M5S non è morto. È morta, in compenso, la credibilità di chi anche in questa campagna elettorale ha giocato a fare il forte con i presunti deboli (che deboli invece non lo erano). Il Movimento 5 Stelle che molti davano come praticamente scomparso incassa un risultato elettorale. Arrivare sopra il 15% per il partito di Giuseppe Conte fino a poco tempo fa sembrava un miraggio.

Il M5S non è morto. Arrivare al 15% per il partito di Giuseppe Conte fino a poco tempo fa sembrava un miraggio

Solo che tutti gli accadimenti che sembravano punti di debolezza in realtà si sono rivelati punti di forza. La caduta del governo Draghi (con il premier che ha deciso di rassegnare piccato le dimissioni senza voler discutere le richieste di Conte) è stato capito molto di più dagli elettori rispetto ai cosiddetti prestigiosi editorialisti di casa nostra.

“Il Pd è responsabile vittoria centrodestra, era il partito che doveva contribuire alla realizzazione del campo progressista e che invece l’ha sfasciata”. Lo dice il vicepresidente del M5s, Riccardo Ricciardi. “Raccontare al Paese dell’agenda Draghi significa che poi il Paese non ti segue. Queste scelte del Pd purtroppo le pagheranno gli italiani”, ha aggiunto. In effetti i risultati parlano chiaro: “L’agenda Draghi” è un feticcio che interessa a certi giornali e a certi gruppi di potere ma non ha riscontro nella realtà.

Il M5S lo davano per morto e invece è vivo, vivissimo, e anche se ha parecchi voti in meno rispetto al boom delle scorse elezioni politiche rischia di essere molto più capace di incidere nella politica del Paese. Nel Movimento in molti hanno imparato la lezione dell’imbarcare parvenu e inetti. Giuseppe Conte questa volta ha voluto controllare le liste, verificare le competenze e soprattutto ha scelto di prendersi la responsabilità di rappresentare una precisa parte politica.

Non è un caso che molta gente rappresentativa a sinistra (da Tomaso Montanari a Loredana De Petris passando per Fassina) abbia deciso di preferire il partito di Conte alla coalizione di centrosinistra. In un tempo in cui l’aporofobia (il disprezzo per i poveri) sembra avere infettato anche pezzi ritenuti progressisti (oltre ad avere infervorato diversi giornali) tenere la barra dritta alla fine ha premiato: quello che qualcuno definiva “voto di scambio” per gli elettori è stata semplicemente una scelta di campo. Il Movimento 5 Stelle non ha “abolito la povertà” (come ingenuamente detto dal balcone dal transfugo Di Maio) ma ha scelto comunque di farsene carico.

Ha funzionato il No all’invio di altre armi all’Ucraina

Poi c’è la guerra. Anche in questo caso bastava leggere meno alcuni giornali e di più i numeri: la guerra in Ucraina che Usa, Nato e industria bellica saluta come una benedizione economica è osteggiata dalla maggioranza degli italiani. Il trucco di far apparire come “amici di Putin” chi persegue itinerari di pace funziona solo in certi editoriali. La perseveranza con cui Giuseppe Conte si è assunto la responsabilità di dire che non saranno le armi a trovare la soluzione in Ucraina evidentemente funziona molto di più di quel che si creda.

Conte ora deve dimostrare abilità politiche oltre che elettorali, nella sconosciuta posizione dell’opposizione

Ora, raggiunto disperato risultato, resta da capitalizzare la propria posizione. Giuseppe Conte (che ha letteralmente salvato il Movimento Cinque Stelle) deve dimostrare abilità politiche oltre che elettorali, nella sconosciuta posizione dell’opposizione. Nel frattempo i grillini osservano compiaciuti il disfacimento di Di Maio che pensava di poter mettere Conte alla presidenza del Consiglio manovrandolo, poi a capo del partito manovrandolo, poi ha pensato di poter svuotare il partito scindendosi e invece è finito a piedi. Il Movimento 5 Stelle è molto più solido di quel che pensava. Ora bisognerà vedere se riuscirà a essere più maturo.

Leggi anche: Dalle urne escono due vincitori. La Meloni si avvia verso il governo mentre Conte diventa il vero leader dell’opposizione

L’articolo Conte ha dimostrato che il M5S è vivo e vegeto sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’epoca della Desistenza italiana

Lì dove molti vedono una donna a capo del governo per la prima volta c’è il governo più destrorso dalla seconda guerra mondiale. La destra in Italia non esiste, è solo una stampella dell’estrema destra dove Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni ha svuotato il suo vaso comunicante, la Lega di Matteo Salvini. La destra, al massimo, è quel sedicente terzo polo che invece è sesto (un’altra truffa lessicale in piena regola durata per l’intera campagna elettorale) che nonostante i proclami (e gli scherani tra i media) è riuscito a sommare i risultati dei due partiti personalistici, senza niente di più.

Nel Partito democratico si dicono stupiti che gli italiani abbiano visto in Luigi Di Maio un “pacco” in piena regola senza cascarci, si domandano attoniti perché Carlo Cottarelli non scaldi i cuori nemmeno nella sua città (è riuscito a perdere contro Daniela Santanchè, qualche genio democratico pensava di vincerci le elezioni regionali). Il capolavoro politico di chi ha passato settimane invocando “un fronte comune contro la destra” mentre non è riuscito nemmeno a tenere il fronte minimo facendo franare il “fronte largo” sia a destra che a sinistra. Come spesso accade da quelle parti la tentazione al Nazareno sarà di addossare tutte le colpe a Letta affilando i coltelli per il prossimo congresso e ricominciare di nuovo verso la prossima analisi della sconfitta.

E la sinistra Bella domanda. La sinistra se n’è stata come al solito sparpagliata nelle tasche di qualche esponente del Partito democratico (Peppe Provenzano e Elly Schlein, per fare qualche nome) che difficilmente riuscirà a dare le carte; sta con il risultato in linea con le aspettative di Bonelli e Fratoianni coalizzati nella coalizione (nulla di esaltante) e nel risultato (deludente, bisogna avere il coraggio di dirselo) di Unione popolare che ora deve decidere se essere l’ennesimo cartello elettorale fallito oppure essere la pietra di inciampo di una strada lunga da costruire.

Poi, svestendosi dallo snobismo, toccherebbe dirsi che la sinistra è andata nel bacino di voti del Movimento 5 Stelle (sarà perché hanno fatto una misura di sinistra – il Reddito di cittadinanza – mentre gli altri si crogiolano nella loro aporofobia). Come si potesse credere che un elettore di sinistra potesse scaldarsi di fronte agli inginocchiati dell’agenda Draghi è uno dei misteri di quest’ultima strategia elettorale.

Si registra che quelli che hanno sventolato la Resistenza in campagna elettorale (rispettandola pochissimo nelle occasioni di governo) sono i fautori della peggiore Desistenza italiana dalla seconda guerra mondiale in poi. Questa sconfitta ha molti padri, solo che essendo i cardini della nomenclatura del centrosinistra italiano finiremo per averli ancora tutti lì.

Buon lunedì.

L’articolo proviene da Left.it qui

Disastro annunciato per il Pd. Spinto alla disfatta dal kamikaze Letta

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Una disfatta. Non ci sono alibi, non c’è appello: Enrico Letta ha confezionato una batosta storica per il Pd e ne deve rendere conto sia al Paese che ai suoi iscritti. Non è solo una questione di congresso di partito o di resa dei conti, qui siamo di fronte a una sconfitta che ha radici profonde, una sconfitta che certifica una campagna elettorale sbagliata su tutti i fronti.

Letta ha confezionato una batosta storica per il Pd e ne deve rendere conto sia al Paese che ai suoi iscritti

Si potrebbe ad esempio osservare come abbia fallito Carlo Cottarelli, sconfitto nella sua Cremona dalla pittoresca e pitonessa Daniela Santanchè: Cottarelli era, parole di Letta, “la punta di diamante” della coalizione. Non rendersi conto che un economista tiepido (e molto poco di sinistra) non avrebbe avuto nessuna connessione elettorale con gli elettori significa essere completamente estranei alle logiche sociali che si muovono nel Paese.

Un altro elemento significativo è la debacle di Luigi Di Maio e del suo (minuscolo) partito personale: in tutta la campagna elettorale anche l’elettore democratico più convinto non ha saputo spiegarsi che senso avesse imbarcarsi l’ex ministro degli Esteri con tutta la sua truppa. Dalle parti del Nazareno ripetevano di essere tranquilli, ci spiegavano che la candidatura di Di Maio fosse un “premio” per il suo senso di responsabilità nei confronti del governo Draghi e che il Paese avrebbe capito. Si sbagliavano.

Non sentire il Paese, questo continua a essere il grande problema di un partito che si porta il fardello della sua nomenclatura che nessuno vuole più vedere. Mentre Cottarelli perde contro Santanchè a Bologna Pierferdinando Casini vince per un soffio contro Vittorio Sgarbi: cosa altro serve? I punti politici da affrontare non sono pochi.

Il Pd ha parlato moltissimo in campagna elettorale di Resistenza (dipingendo Giorgia Meloni come concreto pericolo fascista) ma ha, nei fatti, scelto la desistenza nel momento in cui ha scelto di rinunciare all’alleanza con il Movimento 5 Stelle che avrebbe reso queste elezioni veramente competitive. Chiamare gli italiani al stingiamoci a coorte mentre non riesce a tenersi stretta un’alleanza costruita in mesi di lavoro è un bluff con pochi precedenti. Qualcuno potrebbe aver pensato che tra Conte e Renzi-Calenda il Partito democratico avesse deciso di accarezzare il suo lato liberale: fallito anche questo tentativo.

Il Pd alla fine si è ritrovato solo in coalizione con +Europa e Sinistra Italiana/Verdi con cui avrebbe veramente poco da spartire in caso di governo (l’ha scioccamente ribadito Letta in campagna elettorale) e così il blocco di liberazione nazionale alla fine era solo un semolino tiepido servito per cena.

Poi c’è l’agenda Draghi, ripetuta ossessivamente in campagna elettorale, che è stata pesata da queste elezioni: il premier più coccolato dalla stampa e dalla presunta intellighenzia riformista è una bolla che esiste solo negli editoriali e nei commenti di chi non ha a che fare con lavoro, bollette e via areale. Draghi nel Paese non esiste al di là delle prime pagine di certi giornali.

E chissà se Letta non rifletterà sul fatto che quello che voleva essere un partito con vocazione maggioritaria ha dovuto attaccarsi alle braghe di un capo di governo tecnico per guadagnare un po’ di credibilità. Il risultato alla fine è ai livelli di quello dell’odiato Renzi. Siamo alle solite, dalle parti del Pd la superiorità è solo sfoggiata e presunta. Gli elettori sono tutta un’altra storia.

Leggi anche: Lega e Pd i grandi sconfitti. Vita facile per la Meloni

L’articolo Disastro annunciato per il Pd. Spinto alla disfatta dal kamikaze Letta sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Altro che Meloni e pericolo fascista Il vero nemico di Repubblica sono i 5S

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

“Che sotto la camicia bianca e l’abbronzatura spiccata si celassero le sembianze di un camaleonte sarebbe dovuto apparire chiaro a quelli che in una bella giornata di maggio del 2018 lo convocarono in un albergo romano per offrirgli con una mano la presidenza del Consiglio dei ministri nascondendo però nell’altra i fili con cui avevano deciso di guidarlo considerandolo poco più che un burattino”. Nell’ultimo giorno di campagna elettorale Repubblica si riserva di mirare quello che evidentemente è il nemico numero uno: Giuseppe Conte.

Public enemy

Un “longform” che descrive, analizza (?) e racconta il leader del Movimento 5 Stelle con stralci degni di un brutto romanzo rosa: “Che sotto la camicia bianca – scrive Repubblica – e l’abbronzatura spiccata si celassero le sembianze di un camaleonte sarebbe dovuto apparire chiaro a quelli che in una bella giornata di maggio del 2018 lo convocarono in un albergo romano per offrirgli con una mano la presidenza del Consiglio dei ministri nascondendo però nell’altra i fili con cui avevano deciso di guidarlo considerandolo poco più che un burattino”.

Gli aggettivi si sprecano. Si passa da Conte decritto come “pupo” (“Messo in piedi il “pupo”, si trattava di costruirgli la squadra”) a “il quasi Lula italiano, ma con la giacca di sartoria sulla spalla, la cera nera sui capelli e la clamorosa assenza della pochette, un vuoto che stropiccia verso sinistra l’aria conversativa e indulgente del trasformista che non ha più bisogno di voltare la gabbana”. Conte sarebbe “un’opera firmata Rocco Casalino.

L’alter ego, lo stratega, il maestro di social e di telegenia. L’ex inquilino del Grande Fratello votato alla causa cinque stelle. “Il portavoce”, preferisce lui, come da titolo dell’autobiografia”. Conte, ci spiega Repubblica, sarebbe solo un povero fesso. Casalino, scrivono, “gl’insegna a parlare dritto in camera, frasi semplici, toni suadenti. Si sceglie un ufficio spazioso al primo piano di Palazzo Chigi e da lì programma dirette e post acchiappa-clic, pianifica con messaggi vocali ai giornalisti una comunicazione insieme cinica e naïve, pettinata e sentimentale”.

Otto persone hanno lavorato al ritratto di Conte – nove se teniamo conto del coordinamento editoriale – per descrivere il “voltagabbana” con tutti i suoi tic fisici. Non siamo ingenui. Sappiamo bene che il giornalismo, soprattutto in questi giorni, decide da che parte stare – è sempre stato così – ma è proprio l’attacco del gruppo Gedi a segnalare un fatto politico che conta: per Elkann e soci il Movimento 5 Stelle è il nemico, ancora di più di Meloni e Salvini e Berlusconi.

Come dire: va bene il pericolo fascismo e vanno bene gli amici di Putin ma mi raccomando non votate M5S. Repubblica involontariamente diventa così il miglior sponsor per la volta finale della campagna elettorale di Conte. Non c’è soddisfazione più grande, tra gli elettori del Movimento 5 Stelle, dell’essere odiati da quella stessa stampa che propaganda l’aporofobia (il disprezzo per i poveri ormai per i giornali del Gruppo Gedi è una missione editoriale) e per chi ha santificato Draghi in tutte le sue mosse, perfino in quelle non compiute.

Ospite da Myrta Merlino, Conte disse due giorni fa alla conduttrice “lei legge i grandi giornali e rimane fuorviata”, gli è bastato aspettare 24 ore per trovare conferma. A 48 ore dalle elezioni in cui per la prima volta il partito più votato sarà l’erede della fascia tricolore un giornale che si definisce progressista manganella Conte. è evidente che qualcuno sia in contraddizione con la propria storia. E no, non sono quelli della fiamma.

L’articolo Altro che Meloni e pericolo fascista Il vero nemico di Repubblica sono i 5S sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Letta stecca pure sui cantanti. Bestiario elettorale capitolo finale

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Ultimo giorno di una pessima campagna elettorale e, come da tradizione, non mancano tutti gli ingredienti per confezionare l’ultimo bestiario elettorale.

Calenda reo confesso

Scrive Carlo Calenda: “Si conclude oggi una delle peggiori campagne elettorali di sempre. Nessun confronto, promesse folli, allarmi democratici. coalizioni allo sbando, Peppa pig, Conte modello Lauro. Da Piombino alla richiesta di un time out su energia, noi l’abbiamo fatta in modo diverso, con serietà”. Lo immaginiamo mentre lo pronuncia e esce con le mani alzate.

Peppa pig atto secondo

51enne deputato nonché tra i fondatori di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, responsabile Cultura del partito guidato da Giorgia Meloni, ha rilasciato un’intervista su Rtv San Marino a “Hotel Nazionale – Le stanze della politica“, talk show di approfondimento politico condotto da Antonello De Fortuna e Francesca Biliotti.

Per difendere la sua uscita contro il cartone animato Peppa Pig Mollicone si è lanciato in un’affermazione ancora più cretina: “Bisogna ricordare che in Italia le coppie omosessuali non sono legali, non sono ammesse”, ha detto. E pensate che questo è solo il trailer.

Salvini alla frutta

Matteo Salvini: “Via il Canone Rai, se Fazio vuole fare i comizi se li paghi di tasca sua”. Ha ragione Luca Bottura: “Dire che i programmi di Fabio Fazio sono comizi, durante un comizio. Succede, quando non hai un programma”. Com’è arrivato stanco a questa fine di campagna elettorale, il poro Salvini.

Silvio frainteso

Il re dell’infraintendesimo Silvio Berlusconi dopo avere difeso Putin spiegandoci che lui avrebbe semplicemente voluto sostituire Zelensky per metterci a governare delle brave persone ora si tira indietro: “Bastava vedere tutta l’intervista, non solo una frase estrapolata, eccessivamente semplificata, per capire quale sia il mio pensiero, che è noto da tempo”, dice l’ex cavaliere ormai senza cavallo.

Solo che ascoltando tutta l’intervista ne esce perfino peggio, visto che dà perfino consigli di strategia militare alla Russia. Ma non è colpa sua, è colpa delle badanti e dei parassiti che lo tengono politicamente in vita con accanimento.

Balle nucleari

Matteo Salvini: “Vorrei 15 centrali nucleari operative nei prossimi 10 anni”. Tutti gli esperti dicono che sia impossibile e costoso. Ma Salvini, che non studia dai tempi del liceo, a questo punto potrebbe chiederle per Natale, sotto l’albero.

Nemmeno suo figlio

l figlio di Salvini durante la maratona Salvini su TikTok: “Papà, domenica è un giorno importante, voterò la prima volta. Magari avrai anche il mio voto”. Ha detto “magari”, eh.

Italexit balla da sola

Gianluigi Paragone: ”Vogliamo uscire dall’euro, dall’Ue, dalla Nato, dall’Oms, dalla Banca Mondiale, dal Fmi”. Anche io non mi iscriverei mai a un’associazione che ha me come socio, in effetti.

Il Pd non se la suona

Hanno detto di no al Pd alcuni big della canzone italiana, a cui il partito di Enrico Letta aveva chiesto di esibirsi sul palco di Piazza del Popolo, dove ieri sera i dem hanno chiuso la campagna elettorale.

Stando all’AdnKronos, Ghali, Mahmood, Diodato, Carl Brave e altri, contattati per una performance sul palco ai piedi del Pincio, avrebbero risposto tutti picche: “No, grazie”. A pesare – oltre agli impegni già presi – il rischio di una esposizione politica, non ritenuta opportuna dagli artisti. Altro che occhi di tigre, qui non si trova nemmeno un ukulele.

Giorgia smemorata

Scrive Giorgia Meloni: “Non vogliamo dimenticare il sacrificio di Salvo D’Acquisto, Eroe italiano”. Si è dimenticata di dire chi l’ha ucciso, però.

L’articolo Letta stecca pure sui cantanti. Bestiario elettorale capitolo finale sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Il silenzio vergognoso dei politici sullo sconto fiscale a Gucci

La vera notizia della settimana della moda l’ha data il giornalista investigativo Stefano Vergine solo che – c’era da scommettersi – per il suo scoop non si è indignato nessuno. Sarà che nel pezzo uscito su Il Fatto Quotidiano non c’è nessun povero da prendere a sberle, non ci sono furbetti da indicare come male endemico del Paese e non c’entra il maledetto Reddito di cittadinanza. Si legge semplicemente che in Italia se si decide di evadere le tasse conviene farlo da ricchi perché i ricchi da noi godono di un’impunità luccicante e modaiola.

Gucci ha ottenuto uno sconto fiscale di 748 milioni pari quasi 125 mila redditi di cittadinanza 

Gucci ha ottenuto uno sconto fiscale di 748 milioni di euro. Dice così l’accordo, nero su bianco, tra il fisco italiano e Kering, multinazionale controllata da François-Henri Pinault e proprietaria di marchi della moda come Gucci, Yves Saint Laurent e Bottega Veneta. «Sette pagine top secret», scrive Stefano Vergine, «che hanno messo la parola fine al contenzioso fiscale iniziato nel 2017, con il colosso del fashion accusato dalle autorità italiane di aver evaso le imposte attraverso un trucco: la Lgi Sa, una società di diritto svizzero ma in realtà operante in Italia, utilizzata per incassare i profitti realizzati nel mondo grazie alle vendite di borse e cinture marchiate Gucci». Fino a ieri sapevamo solo che l’esborso totale del gruppo sarebbe stato di 1,25 miliardi di euro, di cui 987 milioni erano le imposte da versare insieme a interessi e sanzioni. Incrociando i documenti della Guardia di Finanza di Milano (che parlava di evasione di imposte in Italia per 1,39 miliardi di euro) e le 7 pagine dell’accordo il calcolo è presto fatto: sullo sconto di 494 milioni di euro basta calcolare le sanzioni e gli interessi non pagati per arrivare alla cifra di 748 milioni di euro. Si tratta del più dispendioso accordo dellAgenzia delle Entrate e si tratta di soldi pubblici. Se ci aggiungete che la notizia arriva sulla coda della campagna elettorale era lecito aspettarsi una reazione enorme da parte dei partiti e dei media. Nulla. Badate bene, la cifra è tre volte la somma delle truffe dei “furbetti” del Reddito di cittadinanza, quei singoli casi di truffa allo Stato (l’1 per cento del totale) che negli ultimi mesi sono state quotidianamente sventolate nell’agone politico. Restando sempre nel gioco delle proporzioni si potrebbe dire che lo sconto quasi miliardario al marchio del lusso costa come 124.666 redditi di cittadinanza per un anno.

Il silenzio vergognoso dei politici sullo sconto fiscale di Gucci
La richesta peril Rdc (Getty Images).

L’aporofobia dei politici italiani: giustizieri con i poveri e agnellini con le multinazionali

Il caso è una perfetta metafora dell’aporofobia italiana: politici che si ergono a giustizieri tormentando i poveri per qualche centinaio di euro perdono improvvisamente la lingua in bocca quando si tratta di esprimere un’opinione sulle feroci evasioni dei grandi gruppi. È lo stesso silenzio del resto che si è registrato sulla multa di 4 miliardi di euro a Google per posizione dominante una settimana fa inflitta dal Tribunale dell’Unione europea. È lo stesso silenzio per i 19 milioni di italiani che evadono le tasse (dato non corretto eppure reso noto da Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate al Festival dell’Economia di Torino) che in campagna elettorale sono stati citati solo per promettere di sponda una qualsiasi forma di condono. Nel 2017 (ultimi dati completi disponibili) il tax gap ammontava a oltre 108 miliardi di euro. Per poter fare confronti storici e internazionali, e soprattutto per avere un’idea dell’incidenza del mancato gettito sul bilancio dello Stato, è utile rapportare tale cifra al gettito teorico. Il rapporto così definito (tax gap/gettito teorico) misura, per l’appunto, la percentuale evasa del gettito teorico: nel 2018, il rapporto sfiorava il 29 per cento, escludendo i redditi da lavoro dipendente (dove evadere è praticamente impossibile) e i contributi sociali (per cui i dati non sono disponibili). Funziona di più l’articolo sdegnato contro un poveraccio che incassa 500 euro al mese che un marchio del made in Italy che risparmia 748 milioni di euro. Anche evadere le tasse da noi è diventato un lusso.

L’articolo Il silenzio vergognoso dei politici sullo sconto fiscale a Gucci proviene da Tag43.it.

La destra è imbattibile. Sì, a moltiplicare i poveri. Dal 2008 al 2011 con la Meloni ministra sono saliti da 1,8 a 2,1 milioni

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

“L’ultima volta che Meloni è stata al governo, prima con Berlusconi e Salvini, e poi come stampella di quello tecnico, le persone in povertà assoluta sono passate da 2,1 a 3,5 milioni”. Lo scrive sul suo profilo Facebook il leader 5S Giuseppe Conte. A destra mugugnano.

La cura di Giorgia & C.

Il sito Pagella Politica (che verifica la correttezza delle dichiarazioni dei politici in campagna elettorale) srotola le cifre. Da maggio 2008 a novembre 2011, Meloni è stata ministra della Gioventù del quarto governo Berlusconi, sostenuto dal Popolo delle libertà, di cui Meloni era deputata, e dalla Lega Nord, all’epoca guidata da Umberto Bossi (Matteo Salvini, tra il 2008 e il 2009, è stato deputato, e poi fino al 2014 europarlamentare, diventando segretario della Lega nel 2013).

Meloni ha poi votato la fiducia al governo tecnico di Monti, rimasto in carica fino ad aprile 2013, a cui non ha poi risparmiato critiche, che portarono alla sua uscita dal Popolo delle libertà e alla nascita, a fine 2012, di Fratelli d’Italia. Secondo i dati Istat, nel 2008 vivevano nel nostro Paese 2,1 milioni di persone in povertà assoluta, in crescita rispetto agli 1,8 milioni del 2007.

Nel 2012 erano saliti fino a oltre 3,5 milioni. Le due cifre citate da Conte sono dunque corrette, anche se va sottolineato che nel 2007 è scoppiata la crisi finanziaria a livello internazionale e che tra il 2010 e il 2011 c’è stata la crisi del debito sovrano nell’Unione europea.

Carta canta

Dopo i governi Letta, Renzi e Gentiloni, nel 2017 il numero di persone in povertà assoluta in Italia ha superato la quota di 5 milioni, rimanendo stabile nel 2018 e calando a 4,6 milioni nel 2019, anno di introduzione del reddito di cittadinanza.

Nel 2020, a causa della pandemia di Covid-19, i cittadini in povertà assoluta sono poi aumentati a 5,6 milioni, numero rimasto stabile anche nel 2021. Secondo un’analisi dell’Istat, nel 2020 il reddito di cittadinanza e altri sussidi introdotti dal secondo governo Conte hanno permesso a un milione di persone di non trovarsi in condizione di povertà assoluta.

Quindi è tutto vero: “Nel 2008, anno di insediamento del governo in cui Meloni era ministra, i cittadini in povertà assoluta in Italia erano circa 2,1 milioni, saliti a oltre 3,5 milioni nel 2012”.

L’articolo La destra è imbattibile. Sì, a moltiplicare i poveri. Dal 2008 al 2011 con la Meloni ministra sono saliti da 1,8 a 2,1 milioni sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Confindustria s’offre alla Meloni. Prosegue il bestiario elettorale

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Feltri litiga da solo, Salvini e Meloni tanto per cambiare litigano tra loro e Calenda sostiene una filoputiniana. Ecco il nostro bestiario elettorale.

FELTRI CONTRO FELTRI
Mirabolante scambio di tweet sull’account di Vittorio Feltri che, nella migliore delle ipotesi, deve essersi dimenticato di usare l’account falso che usa per offendersi. Feltri scrive: “Ma come si fa a spacciare per fascista il saluto romano che ha un paio di millenni alle spalle?”. Feltri si risponde: “A te invece conviene dormire così eviti di scrivere cazzate”. E Feltri si risponde ancora: “Ricordati le gocce”. Se si dovesse scegliere una foto di questa (brutta) campagna elettorale sarebbe Feltri che litiga con Feltri per poter avere materiale con cui scrivere un dolente editoriale sul dibattito che si è “acceso su Twitter”.

LITE A DESTRA SUI NOMI
“Non voglio parlare di ministri. Sono riuscita fino ad oggi a non farlo e domani si chiude la campagna elettorale. Ho in mente alcuni nomi. Se gli italiani decideranno di darci la loro fiducia, lavoreremo per una squadra di governo di altissimo livello”. Dice la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a Mattino Cinque. Risponde Matteo Salvini: “La squadra dei ministri di un eventuale governo di centrodestra “la faremo insieme, siamo una squadra. Non ci sono donne o uomini soli al comando, la squadra si costruisce insieme”. E poi: “Un governo Meloni? Io penso a un governo Salvini”. Questi vanno a sbattere prima ancora di partire.

LA RUSSA MOLLA LA RUSSA
Ignazio La Russa di Fdi ha affidato a Telelombardia le sue reazioni per quanto successo con suo fratello e la vicenda del saluto romano: “Sono incazzato, sia per la storia sia per l’esagerazione e il modo assolutamente abnorme con cui viene trattato un saluto a un defunto che ha chiesto quel saluto e capisco una persona buona come mio fratello che, pur sbagliando, era di fronte a una scelta: faccio come ha detto mio cognato e fratello oppure faccio un mezzo saluto”. Del resto a Romano La russa per fare il saluto fascista bastava aspettare ancora qualche giorno.

BONOMI SI DA’ UNA MANO
Confindustria è pronta a collaborare con il nuovo governo nell’interesse del Paese e intende presentare un piano con interventi contro il caro-energia. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo alla cerimonia di inaugurazione del Salone Nautico di Genova. Sono coerenti del resto, loro sono sempre dalla stessa parte: quella dei potenti, chiunque sia.

LIBERALI DI CASA NOSTRA
Lucio Di Gaetano, uno di Libero Oltre, un collettivo liberal di quelli che da noi spuntano come funghi, è preoccupato per i giovani: “Come possiamo chiedergli di stare 12 ore in fabbrica, se il nostro stesso idealtipo di “uomo di successo” è giovane, ricco, famoso, eleggibile a ministro degli esteri o delle infrastrutture anche se non ha studiato e non sa fare nulla di nulla di nulla di nulla Perché i nostri figli dovrebbero accettare mini-lavori e mini-stipendi se li abbiamo riempiti di immagini di “persone come noi” diventate ricche e famose partecipando ad un reality?”. Osano non accettare di fare gli schiavi per colpa della tv. Che vergogna, signora mia.

CALENDA DALLA FILOPUTINIANA
Quelli del cosiddetto terzo polo vedono amici di Putin dappertutto ma Carlo Calenda è volato a Napoli per sostenere la sua candidata Modestino, quella che definí Zelensky un traditore e Von der Leyen une femme de chambre. A proposito di serietà.

43-segue

L’articolo Confindustria s’offre alla Meloni. Prosegue il bestiario elettorale sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

I putiniani che hanno fatto finta di non vedere

Ieri Silvio Berlusconi ha gettato la maschera. O forse la maschera gliel’hanno retta per mesi gli altri, quelli a cui faceva comodo la narrazione che “gli amici di Putin” fossero a sinistra (sono sempre loro, i bellicisti che usano la guerra per fare politica, in tutti i sensi) cogliendo l’occasione per attaccare Anpi, Emergency e tutti gli altri.

Invece è bastato mettere un microfono sotto la bocca di Berlusconi per sentirlo dire, ieri sera a Porta a Porta, che Vladimir Putin è stato trascinato alla guerra dalle pressioni interne e il suo obiettivo era «sostituire il governo di Zelensky con un governo di persone perbene». Del resto è lo stesso Berlusconi che qualche tempo fa ci spiegò che la Russia era entrata in guerra “per colpa di comunisti”.

«Sono andati – dice Berlusconi – da lui in delegazione dicendo “Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze contro di noi ed i nostri confini, siamo arrivati a 16mila morti, difendici perché se non lo fai tu non sappiamo dove potremo arrivare”». Quindi, prosegue Berlusconi, «Putin è stato spinto dalla popolazione russa, dal suo partito e dai suoi ministri ad inventarsi questa operazione speciale».

«Per cui – prosegue il racconto di Berlusconi a Porta a Porta – le truppe russe dovevano entrare, in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky ed in una settimana tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista che poi è stata foraggiata con armi di tutti i tipi dall’Occidente». Qui il leader di Forza Italia sfocia anche nell’analisi militare e aggiunge: «Non ho capito perché le truppe russe si sono espanse in giro per l’Ucraina, mentre secondo me dovevano soltanto fermarsi intorno a Kiev». Ad oggi «la guerra dura da più di 200 giorni, la situazione è diventata molto difficile, io mi sento male quando sento parlare dei morti perché ho sempre ritenuto la guerra la follia delle follie», conclude Berlusconi.

Non serve che Giorgia Meloni e Matteo Salvini continuino a inscenare questo triste spettacolino degli atlantisti dell’ultima ora se sul più “moderato” della coalizione poi non trattiene la verità. Rimane una domanda: non provano vergogna quelli del Partito unico bellicista per avere perseverato in un furioso strabismo?

Buon venerdì.

Nella foto: Berlusconi e Putin al vertice Nato Russia a Pratica di Mare, Roma, 28 maggio 2002

L’articolo proviene da Left.it qui