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Parla delle mani dei clan negli appalti pubblici. Ma il Comune la querela

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In una campagna elettorale in cui i partiti parlano pochissimo di mafia se a pronunciarla è una giornalista accade che i politici corrano a preparare le carte per le querele. Sara Manisera è una giornalista freelance che da anni si occupa di criminalità organizzata, medio oriente, condizione femminile. È conosciuta a livello nazionale e internazionale.

Alla giornalista Sara Manisera il premio Tajani per il suo impegno contro le mafie. Mentre il Comune di Abbiategrasso le fa causa

Lo scorso 8 giugno le è stato assegnato il “Premio nazionale Diego Tajani” per il giornalismo d’inchiesta nella sezione giovani. Sul palco con lei c’era il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, lo scrittore Antonio Nicaso e l’esperto di mafie il dottor Isaia Sales.

Durante il suo intervento Manisera ha affrontato il tema delle mafie al nord – la giornalista è di Abbiategrasso -, pronunciando questa frase: “Ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, ho visto le mafie entrare nel Comune, negli appalti pubblici, e soprattutto dentro il cemento, perché alle mafie una cosa che piace tanto è il cemento, i centri commerciali”.

Niente di nuovo per chi da anni legge le inchieste e le condanne di una Lombardia colonizzata dalle mafie. Il sindaco di Abbiategrasso ascolta le parole della sua celebre concittadina. Ci si aspetterebbe che un politico di fronte alle parole di una giornalista decida di cogliere la palla al balzo per organizzare un dibattito pubblico o che approfitti dell’occasione per illustrare le misure messe in campo dalla sua amministrazione.

Niente di tutto questo, il sindaco Francesco Cesare Nai riunisce la Giunta comunale e decide di denunciare per diffamazione: “è un atto dovuto per tutelare l’onorabilità del Comune e dei dipendenti pubblici”, spiega. Come se l’onorabilità di una città rischiasse per le parole di una giornalista. Nessuna dialettica, come ci si aspetterebbe tra stampa e istituzioni.

“Non ho ancora ricevuto la notifica ma gli avvocati sono fiduciosi”, spiega la Manisera. “Ribadisco – continua – che le mie parole si riferivano al territorio comunale di Abbiategrasso – e su questo ci sono tanti elementi (provati anche da sentenze penali, ricerche universitarie, report dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata) che dimostrano la presenza di clan e di esponenti di organizzazioni di stampo mafioso sul territorio abbiatense da decenni”.

Il Pd locale e il M5S sono usciti con un comunicato congiunto per esprimere solidarietà. Pezzi dell’antimafia lombarda si sono messi subito a disposizione insieme all’Osservatorio sui giornalisti vittime di intimidazione e sulle notizie oscurate con la violenza.

Eppure il sindaco Nai dovrebbe ricordarsi che proprio sul suo territorio hanno fatto rumore due anni fa i concerti (poi saltati) dei “cantanti” neomelodici Vincenzo “Niko” Pandetta e Filippo Zuccaro (in arte “Andrea Zeta”): il primo nipote del boss della Stidda catanese Salvatore che si è detto “onorato” di suo zio “che si è fatto 28 anni al 41 bis da innocente” mentre il secondo era finito in manette per reati di stampo mafioso.

Quegli eventi vennero organizzati dal “Pub Las Vegas” locale della famiglia di Paolo Aurelio Errante Parrino, un pregiudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso, reati in materia di armi e traffico di droga, già sottoposto a misure di sorveglianza speciale e all’obbligo di soggiorno proprio ad Abbiategrasso.

In quell’occasione il sindaco prese le distanze ritirando l’autorizzazione per i concerti (facendo arrabbiare non poco gli organizzatori). Una “linea dura” riservata pure alla giornalista. Perché, si sa, per qualcuno parlare di mafia significa attaccare un territorio, mica difenderlo. Anche nella martoriata Lombardia, nel 2022.

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Premiati i furbetti del Covid. Bestiario elettorale senza freni

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Di Maio che balla, Gasparri smemorato, Puglia ostile per Calenda e Casellati che saluta. Eccoci al bestiario elettorale.

I FURBETTI DELLA POLTRONA
Vi ricordate i parlamentari “furbetti” che avevano avuto il coraggio di richiedere il bonus Covid durante la pandemia per poi accampare mirabili scuse? Il leader della Lega Matteo Salvini si era scagliato (giustamente) contro di loro promettendo che non li avrebbe più ricandidati. Promessa rimangiata. I “falsi” sospesi sono stati infatti ricandidati e pure in collegi blindati. Andrea Dara corre all’uninominale per la Camera in Lombardia.

Elena Murelli, “promossa” al Senato, è candidata all’uninominale in Emilia Romagna e seconda in lista al plurinominale. Addirittura tripla candidatura al Senato per Marzia Casolati: uninominale in Piemonte, capolista e in seconda posizione in altri due collegi piemontesi del plurinominale. Sono passati due anni per dimenticare quello che Salvini definiva, semplicemente, come “una vergogna”.

Il deputato Marco Rizzone invece è stato espulso dal M5S: “Rizzone, protagonista dell’alleanza giallo rossa in Liguria, è stato cacciato dal movimento per aver preso vergognosamente il bonus covid da 600 euro: molto bene. Gli elettori manderanno a casa il resto della ciurma!”, attaccava, senza giri di parole, il presidente della Regione Giovanni Toti. Rizzone, comunque, alle Politiche sarà candidato. Sapete da chi? Proprio la lista di Giovanni Toti. Hanno la faccia come il culo.

DIRTY DANCING PER DI MAIO
Tra le immagini che non dimenticheremo ci sono quelle di Luigi Di Maio che viene sollevato in aria dai camerieri della trattoria Da Nennella di Napoli sulle note di Dirty Dancing. “Il Patrick Swayze della politica italiana è passato a trovarci”, ha scritto il proprietario della trattoria sul suo profilo Instagram. Sicuri che sia un complimento? Perché da qui sembra un’eterna adolescenza, lautamente pagata dai cittadini.

UN LETTONE PER GASPARRI
“Nella storia i contributi da Mosca arrivavano al Pci. La sinistra quando teme la sconfitta solleva polveroni. Non bisogna inquinare il voto con teorie astruse che fanno male a chi le pronuncia e che danneggiano l’Italia. I cittadini devono votare liberamente senza condizionamenti. Noi di Forza Italia siamo garanti di una posizione occidentalista e di appartenenza alla Nato e tutti i partiti del centrodestra hanno votato per le sanzioni alla Russia e per inviare armi all’Ucraina”, dice il senatore Maurizio Gasparri a RaiNews. Qualcuno gli dica che nemmeno il Pci ha mai avuto il coraggio di farsi regalare un lettone.

PUGLIA TABU’ PER CALENDA
Una “giornalista” de Il Giornale lancia la notizia falsa di un direttore generale di un’ente pubblico pugliese che avrebbe precettato i suoi dipendenti per un evento elettorale del Pd. A testimonianza la presunta giornalista pubblica un messaggio che appare chiaramente come inviato e non come ricevuto. Ci cascano esimi professori, ci casca tutta la schiera dei competenti e ci casca ovviamente la mascotte dei competenti Carlo Calenda, leader del sedicente terzo polo che al massimo sarà il quarto, che tuona contro Letta annunciando “un esposto”.

Letta fa presente che la notizia è falsa e che sono già partite le denunce. Intanto in Puglia a essere condannata – “sul serio” come dicono loro – è la terzopolista Bellanova per pagamenti irregolari a un collaboratore. Non male, eh.

QUEEN ELIZABETH AI SALUTI
La presidente del Senato Elisabetta Casellati saluta i senatori in quella che potrebbe essere stata l’ultima seduta di questa legislatura. “Vorrei ringraziare tutti perché, pur in una legislatura difficile, ho sempre sentito il sostegno di voi tutti”. In effetti è stata dura, presidente Casellati, eccome.

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Come l’armata Brancaleone ma meno divertente e più pericolosa

Per uno strabismo tipico di certa politica gli articoli di questa campagna elettorale vertono sui disastrosi rapporti tra gli ex alleati di centrosinistra, di sinistra, né di destra né di sinistra e di sedicente terzo polo – che può essere al massimo il quarto – dimenticando di osservare e raccontare il disfacimento che si sviluppa a destra. Lì Giorgia Meloni si avvicina alla vittoria – che dà per certa – ogni giorno più sospettosa mentre Matteo Salvini – come lo scorpione sulla schiena della rana – piccona la sua alleanza pur di raccogliere qualche spicchio di visibilità.

Ieri sono accaduti almeno due fatti particolarmente significativi. Giorgia Meloni ha spinto talmente forte la sua propaganda che alla fine si è invertita: «Vogliamo dare il diritto alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa. Non stiamo togliendo un diritto ma aggiungendolo», ha detto la leader di Fratelli d’Italia durante un comizio a Genova. Ricorda la parabola triste del capo di governo che chiude una corsia di un’autostrada a tre corsie, la riapre il mese dopo e dice «con la chiusura di una corsia su tre abbiamo segnato un -33% ma poi aggiungendo una corsia alle due esistenti abbiamo guadagnato un buon 50% quindi il saldo è positivo di 17 punti percentuali». Avere il coraggio di intestarsi un diritto esistente dalla notte dei tempi (le donne partoriscono fin dalle loro più lontane antenate) è un azzardo che potrebbe sembrare solo linguistico mentre è molto politico. Giorgia Meloni fingerà di avere a cuore i diritti, non si azzarderà mai a negarli platealmente ma semplicemente incaglierà quelli che non le piacciono. C’è una definizione per questi politici: reazionari. Non è un caso che ieri Meloni abbia confessato di sognare “il Paese dei nostri nonni”.

Ieri è accaduto anche che Salvini e Meloni se le siano date (metaforicamente parlando) per tutto il giorno. Da una parte il leader leghista ha passato la giornata a criticare “l’amica Giorgia” (Salvini ha imparato benissimo come trollare da ottimo epigono del “papà della bestia” Luca Morisi) per la sua opposizione allo scostamento di bilancio: «Rischiamo di perdere un milione di posti di lavoro se non ci muoviamo rapidamente. La Lega lo chiede da due mesi con insistenza ma da sola perché la maggior parte dei partiti, a sinistra il Pd ma anche Fratelli d’Italia in casa centrodestra, dicono che bisogna essere prudenti e non fare nuovo debito», ha detto, solo per fare un esempio tra tanti, ieri mattina a Rtl 102.5. Alla fine Meloni ha sbottato: «È qualche giorno che mi sorprendono alcune dichiarazioni di Salvini, sempre più polemico con me che con gli avversari», ha detto la leader di Fdi intervistata al Tg di La7, parlando di «polemica pretestuosa». Che ha fatto Salvini? Ha rincarato la dose: «Mi spiace che Letta dica di no, mi spiace che anche Giorgia, con cui vado d’accordo su tutto, dica di no», ha detto il leader della Lega arrivando a Pescara, rispondendo a una domanda dei cronisti sulle parole di Meloni.

Pericolosi e litigiosi. Molto probabilmente questo centrodestra vincerà le elezioni (più per demeriti altrui che per meriti propri, ma questo accade spesso in politica) ma che poi sia in grado di governare è tutto da verificare. Il problema è che ancora una volta lo verificheranno a proprie spese gli italiani.

Buon giovedì.

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Sinistra maestra di suicidi politici. Continua il Bestiario elettorale

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C’è Salvini che ormai attacca anche gli alleati, Letta che rinnega gli alleati prima che canti il gallo e le promesse irrealizzabili di tutti i partiti. Ecco il bestiario elettorale.

SALVINI PERDE LA BROCCA
Fino a ieri, Matteo Salvini accusava soprattutto Enrico Letta e il centrosinistra di «tentennare» sugli aiuti per il caro energia. Ieri, invece, ha chiamato in causa Giorgia Meloni: “La preoccupazione degli italiani in questo momento sono le bollette. Si devono mettere sul tavolo 30 miliardi a debito, adesso”. Per poi aggiungere: “Non capisco perché l’amica Giorgia su questo tentenni”. Dopo settimane di finta amicizia Salvini cala la maschera: l’unica forma di governo che sogna è la salvinocrazia. E devono ancora cominciare a governare, eh.

DI LETTA E DI GOVERNO
“Con Fratoianni e Bonelli abbiamo fatto un patto a difesa della Costituzione, un accordo elettorale. Non faremo un governo. Lo abbiamo detto sin dall’inizio”, dice il segretario del Pd Enrico Letta cadendo ingenuamente davanti alla provocazioni di Giorgia Meloni durante il dibattito. Questa frase però non è andata già agli alleati che correranno insieme al Pd in questa competizione elettorale.

“Confesso che questa affermazione mi ha lasciato veramente perplesso“, ha detto Bonelli su Rai Radio1 all’interno del programma Forrest. Per il leader del Verdi infatti l’alleanza con la lista guidata da lui e Fratoianni non è “qualcosa di cui vergognarsi“. “Stiamo contribuendo e lavorando per far vincere l’alleanza di centrosinistra. Inviterei Letta a fare altrettanto”, ha ribattuto Bonelli. Il centrosinistra mostra la sua costante qualità: il suicidio elettorale.

CALENDA PRIVATIZZA PURE LA SPERANZA
“In questo momento le aziende stanno chiedendo 524 mila persone e non le trovano. Sono saldatori, giunturisti, tecnici elettrici. E noi eroghiamo il reddito di cittadinanza ai diciottenni a cui Letta vuole dare pure 10 mila euro. È una delle proposte più fesse della campagna elettorale, mettere 10 mila euro in mano ai diciottenni. Queste persone vanno formate da agenzie private”, dice Carlo Calenda all’incontro della Confederazione nazionale dell’artigianato. Calenda sogna una bella multinazionale incaricata dallo Stato per forgiare schiavi a basso costo. Solo che mica può dirlo così.

SE HA RAGIONE DI MAIO…
Luigi Di Maio risponde a Calenda, leader del sedicente terzo polo che al massimo può ambire a essere il quarto: “Caro Calenda – dice Di Maio -, anche un “venditore di bibite” merita rispetto. La cultura dell’odio e del disprezzo che tu alimenti è classista e discriminante. Chi nella vita è stato meno fortunato di te, e ha fatto lavori umili, non può essere denigrato e messo ai margini della società. Quelle persone vanno aiutate e valorizzate. Quelle persone per me sono eroi. Dovresti solo vergognarti”. È altresì vero che il seggio parlamentare di cittadinanza, caro Di Maio, sembra un po’ troppo.

PENSIONI DA SOGNO
Il sito Pagella Politica ha raccolto le principali proposte dei vari schieramenti sulle pensioni, indicando quali sono prive di coperture economiche. Su 40 proposte, in 38 casi (il 95 per cento) le varie liste non hanno spiegato da dove prenderanno le risorse per finanziarle, mentre negli altri due casi le coperture sono incerte. Non male, eh?

METTETE DEI FIORI SUI VOSTRI BALCONI
Dice Tajani, coordinatore di Forza Italia: “Si dovrebbe regalare un pannello solare ad ogni famiglia da mettere sopra al tetto di casa”. Quel verbo “regalare” è un errore blu anche per un bambino alle elementari, uno qualsiasi che a malapena sappia come funziona un bilancio dello Stato. Bocciato.

CHE CLASSE BERLUSCONI
Silvio Berlusconi in un video su TikTok: “Ai 18enni devo chiedere una cosa. Di presentarmi la vostra ragazza No, no. Di votare per me”. Che classe!

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Migranti, Camilli: “Nei programmi elettorali manca una strategia”

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Eleonora Camilli, giornalista della redazione romana di Redattore Sociale, la prima agenzia di stampa specializzata sui temi del welfare, della marginalità e dell’esclusione. Si occupa in particolare di diritti, migrazioni e diaspore contemporanee. Le sue analisi e i suoi reportage sono stati pubblicati su diverse testate nazionali.

Donne e bambini morti di stenti. Ai bordi del’Europa avviene l’ennesima tragedia e nemmeno la campagna elettorale spinge i partiti a discutere sulla disumanità europea. L’agenda Pozzallo non interessa a nessuno?
“Le rispondo con le parole di un operatore umanitario che ho incontrato a Lampedusa a fine agosto: il problema in Italia sembrano essere le persone che arrivano vive. Non ci interessa cosa succede prima del viaggio né durante. Le due tragedie che hanno coinvolto minori, la storia di Loujin e dei bambini morti di stenti su un’imbarcazione poi approdata a Pozzallo, avrebbero dovuto aprire un dibattito su come ovviare a tutto questo. O almeno avviare una riflessione come avvenne nel 2015 dopo la morte del piccolo Alan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum, invece non ci indignano. Per cui credo di poter dire che no, “l’agenda Pozzallo”, l’agenda del rispetto del diritto alla vita, non interessa”.

Come giudica il dibattito elettorale sull’immigrazione?
“Il tema migratorio, da sempre, è usato per polarizzare il dibattito e spostare l’attenzione dai problemi reali che non si è in grado di risolvere. Per cui anche questa volta si sta cercando di evocare il rischio invasione, la possibile sostituzione etnica, per cercare voti facili. Rispetto al passato però tutti i partiti, compresi quelli di destra stanno utilizzando meno la tematica. In generale mi sembra che manchi una visione complessiva del fenomeno anche in relazione alla situazione demografica italiana. I migranti sono sempre e solo oggetto della narrazione politica e quasi mai intesi come soggetti portatori di diritti. Non c’è traccia nei programmi elettorali di una reale e completa strategia per realizzare vie regolari e sicure”.

La Meloni continua a sventolare la bufala del blocco navale, sebbene sia stata smentita anche da suoi compagni di partito…
“Il blocco navale è solo uno slogan elettorale. La misura, codificata da diversi trattati, implicherebbe un atto ostile di guerra. è dunque impraticabile, lo sa anche Meloni che nel corso della campagna elettorale ha cambiato diverse volte versione per spiegare la sua idea. Oggi parla di una missione europea in accordo con le autorità libiche per fermare le partenze. Un accordo molto simile a quello realizzato tra Ue e Turchia e che ha generato, tra le altre, anche la tragedia che stiamo raccontando in questi giorni con le testimonianze delle persone giunte a Pozzallo”.
Lei ha capito quale siano le ricette del centrodestra sull’immigrazione? Se sì, sono fattibili?
“Un accordo con la Libia è già in atto, è il Memorandum voluto dall’allora ministro del Pd, Marco Minniti, e credo che FdI intenda rafforzare quello. Per quanto riguarda la Lega si continuano a evocare i decreti sicurezza dell’ex ministro Salvini, senza ricordare però che quei decreti sono stati già parzialmente smontati dai tribunali italiani, che ne hanno giudicato alcune parti incostituzionali o incompatibili con i trattati internazionali”.

Come reputa il programma del Pd sull’immigrazione?
“Il Pd rivendica lo ius scholae, cioè la riforma della cittadinanza basata sul percorso scolastico dei ragazzi nati o cresciuti in Italia. Su questo ha finalmente una posizione netta in campagna elettorale. Parla di voler implementare l’accoglienza di secondo livello, quella basata sul sistema Sai (ex Sprar) e di programmi di integrazione. Non dice invece di voler abolire gli accordi con la Libia firmati nel 2017 dal governo Gentiloni. Questo pone una questione in termini di diritti umani, non si può far finta di non sapere cosa accade ai migranti in Libia. E sicuramente questo penalizza il Pd di fronte al suo elettorale più di sinistra”.

Del M5S?
“Il M5S dedica pochissimo spazio al tema migratorio, dice di voler abolire il Regolamento di Dublino. Ma non c’è molto altro”.

Di Unione Popolare?
“Unione popolare fa una riflessione lunga. è tra i pochi, insieme a +Europa e Sinistra Alternativa Verde a dire che è necessario abolire il Memorandum Italia-Libia, parla di cpr, di libertà di movimento e affronta il tema in maniera più complessa”.

Del cosiddetto terzo polo?
“Nel programma di Renzi e Calenda c’è un punto interessante che riguarda l’istituzione di un ministero delle Migrazioni, anche il Pd parla di un’Agenzia di coordinamento delle politiche migratorie. Mi sembrano entrambe proposte interessanti perché l’immigrazione non è un tema solo di sicurezza e ordine pubblico, ma tiene insieme diverse questioni: lavoro, famiglia, welfare, quindi non può essere gestito solo dal ministero dell’Interno. Per il resto in diversi tweet Carlo Calenda ha esplicitato la sua posizione che è molto vicina al programma del centrodestra, con un accento sulla strategia dell’esternalizzazione delle frontiere”.

Sono iniziate le scuole e lei ha fatto notare “sono tornati a scuola oltre 800mila alunni stranieri. Il 65% è nato in Italia. Sono italiani di fatto ma non di diritto, italiani senza cittadinanza”. Quante responsabilità hanno Pd e M5S per lo ius scholae che manca
“La mancata riforma della cittadinanza è una macchia di sicuro per il centrosinistra. Nel 2015 la proposta di legge che introduceva sia lo ius soli temperato che lo ius culturae è passata alla Camera, per poi rimanere due anni nei cassetti del Senato e non essere mai più discussa. Renzi e Gentiloni si sono rimpallati la responsabilità per la mancata approvazione. Durante il governo Draghi la nuova versione, ancor più edulcorata, della riforma, a firma di un deputato del M5S, Giuseppe Brescia, non è riuscita a fare grandi passi in avanti anche per l’eccezionalità di quel governo. E credo che nei prossimi anni sarà difficile tornarci. Così questi bambini e ragazzi nati o cresciuti qui continueranno a essere considerati stranieri in patria”.

Che Italia si aspetta dopo queste elezioni sull’immigrazione?
“Se ci sarà, come si prospetta, una vittoria del centro destra probabilmente rivivremo un film già visto, con una retorica securitaria che calcherà molto sui porti chiusi e il blocco delle frontiere. Ma il recente passato ci ha anche dimostrato che esiste un quadro giuridico internazionale che tutela i diritti umani. Quindi qualsiasi politica deve fare i conti col diritto, qualsiasi sia la sua posizione”.

Leggi anche: Blocco navale e rimpatri. Dalle destre il solito imbroglio. È caccia aperta al voto facile sulla pelle dei migranti

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L’unico tetto di cristallo che sfondano è quello delle prebende

L’Italia è nel mezzo di una tempesta economica, immersa in una crisi energetica e con lo spettro di una recessione. Proprio qui dentro un decreto che si chiama “Aiuti bis” spunta il via libera per stipendi sopra ai 240mila annui per una serie di figure apicali della pubblica amministrazione. Non hanno avuto nemmeno la decenza di pensare a un ulteriore tetto. Nulla. Si fa solamente riferimento al «limite massimo delle disponibilità del fondo» per le esigenze indifferibili istituito presso il Mef, che ha una dotazione annua di 25 milioni.

Da Palazzo Chigi “filtra disappunto” – perché parlarne chiaramente mettendoci la faccia forse avrebbe sgualcito la capigliatura – scaricando la colpa sui partiti: «Dinamica squisitamente parlamentare», dicono. Il governo che scarica le responsabilità sul Parlamento è un’altra caratteristica dello sfaldamento di fine legislatura.

Dice il Pd che si tratta di un emendamento «di Forza Italia riformulato dal Mef, come tutti gli emendamenti votati oggi con parere favorevole». Matteo Renzi spiega giustamente: «Quello è un tetto che avevo messo io, oggi il governo ha fatto questa riformulazione e non avevamo alternativa che votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero 17 miliardi di aiuti alle famiglie». L’Ansa però scrive che l’emendamento è stato votato in commissione, prima dell’approdo in Aula, da Pd, Fi e Italia viva. Astenuti Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 stelle. Subito dopo fonti Pd fanno sapere nelle commissioni riunite al Senato (Bilancio e Finanze) l’emendamento «è stato votato da tutti». In Aula invece si sono registrate poi le astensioni di Fdi, Lega e M5s.

Le giurista ed editorialista Vitalba Azzollini giustamente fa notare che «Mattarella potrebbe non firmare la legge di conversione del decreto-legge contenente l’emendamento relativo al tetto agli stipendi dei manager pubblici, in quanto contenente norma disomogenea rispetto alla materia del decreto (sentenza Corte Costituzionale n. 3/2015)».

Così, a pochi giorni dal voto, possiamo gustarci tutti i sermoni sulla “disaffezione dalla politica” fingendo di non sapere perché accada.

Buon mercoledì.

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Sul Pnrr Bonomi è da… Recovery. Riparte il Bestiario elettorale

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Confindustria tenta di farsi santa davanti al Papa, Calenda fa i dibattiti in Dad e Renzi non vede la trave nel suo occhio e poi c’è il solito Salvini. Torna il bestiario elettorale.

VIALE DELL’ASTRONOMIA
Assemblea fuori dagli schemi per gli imprenditori di Confindustria. Tutti in udienza dal Papa, si parla di 5 mila iscritti insieme con le loro famiglie in sala Nervi. Carlo Bonomi dal Papa assicura “l’impegno di Confindustria per un lavoro degno”, non hanno ancora capito che il problema è il loro concetto di dignità. Poi Bonomi dice che bisogna mettere mano al Pnrr (per aiutare gli imprenditori, ovvio). Notevoli le reazioni: fino a ieri chi diceva che si doveva mettere mano al Pnrr in vista della crisi energetica veniva bruciato al rogo degli editoriali di certi giornalisti. Ora va bene. Che pena, davvero.

OCCHIO, TORNA IL “CAMPO LARGO”
Il ministro Orlando propone di ricostruire “il campo largo” con il Movimento 5 Stelle dopo il voto. Non male l’idea di fare una bella alleanza tra sconfitti dopo essere stati sconfitti per essersi divisi prima delle elezioni. Possiamo solo immaginare la felicità degli elettori. Conte risponde che “il ministro Orlando fa i conti senza l’oste”, perché “con dei vertici del Pd che hanno compiuto un errore politico così grave, è difficile” dialogare. La destra intanto gode.

CALENDA IN DAD
L’ha fatto davvero. In occasione del faccia a faccia tra Giorgia Meloni e Enrico Letta il leader del cosiddetto terzo polo (che al massimo può ambire a essere il quarto) si è imbucato preparando anche una bella locandina in cui spunta tra i due. “Appuntamento questa sera alle 19”, scrive il leader di Azione, tentando di dare dignità a un dibattito millantato in cui lui partecipa da casa. Con Calenda che dalla sua cameretta commenta un dibattito degli altri. Alla faccia del “polo della serietà”.

SILVIO SU PEPPA PIG
“Trovo triste e preoccupante che si usi un cartone animato dedicato ai più piccoli per veicolare messaggi”, ha detto Silvio Berlusconi in un’intervista radio a Rtl102.5. “Difenderemo sempre il modello della famiglia naturale, composta da un uomo e una donna che crescono dei figli. Il Pd, invece, ha addirittura tentato con il ddl Zan di vietare delle opinioni”, ha aggiunto.

Il leader di Forza Italia ha ripreso il caso politico della scorsa settimana sollevato da Mollicone, candidato con FdI alla Camera, che ha chiesto alla Rai di censurare un episodio del celebre cartone animato perché gli autori hanno introdotto un personaggio con due mamme. Del resto pensate a tutti i messaggi educativi che Berlusconi ha veicolato in questi anni. Dai, su.

AUTONOMIA RITRITA
Salvini promette: con l’autonomia “si rende l’Italia un paese più moderno ed efficiente, non è una battaglia della Lega ma deve essere una questione di civiltà che il primo consiglio dei ministri approva”, ha detto il segretario della Lega dopo un incontro con i vertici della Cisl. Scommettiamo che è una cazzata, come in tutti questi ultimi decenni?

HEY MATTEO!
Matteo Renzi dice: “La battaglia sul reddito di cittadinanza è la cosa più assurda che abbiamo mai visto e il bello è che Salvini viene a dire ‘io cambierò il reddito’. Hey Salvini, ma tu l’hai votato il reddito di cittadinanza”. Hey Renzi, l’hai votato anche tu: per esempio la legge di Bilancio per il 2021, approvata dal secondo governo Conte a fine dicembre 2020, ha aumentato i finanziamenti alla misura. Italia viva, guidata da Renzi, faceva parte di quel governo. Sveglia!

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Basta inciuci con la Destra. Ma con il Pd c’è poco da stare sereni

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“Non ci saranno le larghe intese, niente inciuci”. Il segretario del Pd Enrico Letta prova a scaldare il cuore dell’elettorato promettendo che non ci sarà nessun governo “con la destra” che definisce “neofossile”.

La strategia del leader del Pd Letta è di segnare una netta distanza tra il proprio partito e la destra italiana

La strategia del leader del Pd è di segnare una netta distanza tra il proprio partito e la destra italiana (Salvini, Berlusconi e Meloni) fingendo di non governarci insieme anche nell’odierno governo provvisorio. È la solita promessa, a cui faticano a credere persino gli elettori più affezionati del Pd. I democratici evidentemente confidano nella memoria labile degli italiani. Allora vale la pena dare una spolverata.

L’ultima volta che il Partito democratico (e i suoi prodromi) hanno rifiutato “gli inciuci” (come li definisce Letta oggi, quando fino a ieri li chiamava “governi di responsabilità”) era il lontano 28 giugno del 1992. Al governo si insediava Giuliano Amato per dare atto alla più larga manovra del dopoguerra (93mila di miliardi di lire) con il prelievo forzoso retroattivo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani.

Il Pds decise di stare all’opposizione con i suoi 107 deputati e 64 senatori, insieme alla Lega Nord di Bossi, Rifondazione Comunista, Msi, Pri, Verdi, La Rete, la Lista Pannella. Da lì in poi – sono passati 30 anni – non si è persa un’occasione di partecipare ai governi larghi, destra inclusa, entrando in ogni governo a ogni occasione. Nel 1993 il governo Ciampi vede il Pds partecipare al cinquantesimo governo della Repubblica italiana.

Fu quello della fine della Prima repubblica, conclusosi dopo 1 anno e 12 giorni con il sottofondo delle monetine lanciate a Bettino Craxi. Crolla tutto, arriva Silvio Berlusconi che stravince fino a che non arriva il primo “governo tecnico” della storia: Lamberto Dini tiene insieme i Pds, Lega Nord, il Partito Popolare Italiano e i Democratici. Ai tempi si inventò il famoso “appoggio esterno”, operazione di maquillage linguistico per non dire “ci siamo ma ce ne vergogniamo”.

Ci furono poi il governo Prodi e i due governi D’Alema finché non arriviamo al fatidico secondo governo Amato. Da lì due governi Berlusconi, c’è il secondo Governo guidato da Romano Prodi, il quarto governo Berlusconi e si arriva al secondo “governo tecnico” della storia repubblicana: il governo Monti.

Siamo nel periodo della “responsabilità” e così il Pd accetta di entrare in maggioranza con il Pdl di Berlusconi, con Futuro e Libertà di Fini, Udc, Popolo e Territorio (di centrodestra), Api di Rutelli, Pli e altri. Scopo del governo era “evitare il tracollo economico dell’Italia”, dissero i democratici provando a spiegare ai propri elettori come fosse accaduto che il “grande nemico” Berlusconi e il destrorso Fini ora fossero allegri compagni di viaggio.

Rimase in carica dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013. Arriviamo quindi ai giorni nostri. Il centrosinistra governa con Letta, poi con Matteo Renzi (che aveva pugnalato Letta) che fu costretto alle dimissioni per il suo tracollo al referendum costituzionale (promise anche di abbandonare la politica, ma vabbè) e poi il governo Gentiloni. Ultima legislatura.

Del primo governo Conte con Movimento 5 Stelle e Lega sappiamo tutto, come sappiamo tutto del ribaltone con il governo giallorosso che vide Conte guidare un governo con il Pd. Fino al governo dei “migliori”, in cui il Pd non ebbe nessuna esitazione nel governare con Salvini e con Berlusconi, tanto c’è sempre la vecchia storia dell’Italia da salvare.

Il Pd (e quello che era) ha sempre dimostrato un amore smisurato per il potere. Se Letta ci annuncia che ha cambiato natura ne prendiamo atto. Altrimenti è sempre il solito vecchio trucco.

Leggi anche: Elezioni, per Orlando un governo di larghe intese è ancora possibile. Il ministro sogna un esecutivo con dentro Pd, Calenda, Renzi e M5S. Secca la risposta di Conte

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Omissione di soccorso: l’agenda Pozzallo

Se qualcuno si poteva aspettare che il confronto di ieri tra Enrico Letta e Giorgia Meloni avrebbe scaldato i cuori o spostato voti probabilmente stamattina sarà deluso. Però ieri abbiamo assistito alla differenza tra la destra e il centrosinistra con il solito nodo in gola, in un confronto tutt’altro che vivace e sorprendente.

Da una parte c’è Meloni nell’incredibile parte di colei che assicura il posizionamento euro-atlantico dell’Italia con Fratelli d’Italia al governo. Giorgia Meloni sa bene che razza di Paese siamo: mentre noi discutiamo ogni ora del giorno di campagna elettorale gran parte degli elettori basano la proprio preferenza sulla sensazione sedimentata nella narrazione generale degli ultimi anni, senza nessuna preoccupazione e nessun sapere di quali siano gli sviluppi particolari. Giorgia Meloni può addirittura fingersi europeista dall’alto della sua posizione consolidata. Letta su questo non la pungola e agevola la legittimazione della recita. Peccato.

Ci sarebbe da capire come sia venuto in mente al segretario del Partito democratico di dire «con Fratoianni e Bonelli abbiamo fatto un accordo per la Costituzione, non faremo un governo». Se il “campo largo” è solo una somma elettorale senza nessun disegno politico non si capisce allora perché lasciare fuori gli altri (M5s, ad esempio). Non è una grade idea rivendere come Comitato di liberazione nazionale un’alleanza elettorale caratterizzata dalle esclusioni.

Giorgia Meloni è Giorgia Meloni, un’insignificante retorica zeppa di niente che mischia cristianesimo, patriottismo, laicità dello Stato lasciando il dubbio che non conosca nemmeno i concetti di cui straparla. È Giorgia Meloni che chiede “più carceri” senza sapere che il pienone nelle celle dipende dall’orrenda legge Bossi-Fini e da questo Stato che certifica come devianza la fragilità e la disperazione. Uno Stato che non vuole usare le misure alternative trovando molto più comodo utilizzare il carcere come sacchetto dell’umido. E sarà peggio.

Significativo (e prevedibile) il passaggio in cui Giorgia Meloni si incarta sull’amore che vorrebbe normare. Meloni: «I bambini hanno bisogno di un padre e una madre». Letta: «No, i bambini hanno bisogno di amore». Meloni: «Lo Stato non norma l’amore». Letta: «Appunto: tu lo stai normando. Stai decidendo quale è amore e quale non è». L’ipocrisia della destra è tutta qui.

Ma il dibattito di ieri certifica ancora una volta che questo tiepido centrosinistra non ha le spalle abbastanza larghe per distinguersi sull’umanità, la pietà e l’amore, appunto. Mentre Meloni dimostra di conoscere ben poco il decreto flussi e le rotte dell’immigrazione, l’Europa si macchia dell’ennesimo reato di omissione di soccorso uccidendo deliberatamente quattro bambini e tre donne lasciati morire di stenti e di sete. Persone che si sfibrano in mezzo al mare mentre Grecia, Malta e Italia (ma anche Cipro e Turchia) lasciano squillare gli allarmi e tappano la bocca alle richieste di aiuto. Ieri era l’occasione per mettere al centro l’Agenda Pozzallo: tendere la mano a chi chiede aiuto. L’immigrazione è il filo su cui cade la destra feroce, il sedicente terzo polo (che nella migliore delle ipotesi sarà il quarto) che ne sa poco e male e su cui ha molto da farsi perdonare il M5s. E invece niente, occasione mancata.

Continua a sentirsi l’insopportabile olezzo dell’agenda Minniti.

(Non vale nemmeno la pena spendere una parola su quell’altro candidato e la sua scenetta del dibattito da imbucato in Dad. La politica è una cosa troppo seria per commentare cose così. Quando le modalità saranno almeno da adulti ascolteremo e commenteremo con piacere)

Buon martedì.

Nella foto: frame del video del confronto tra Enrico Letta e Giorgia Meloni al Corriere Tv, 12 settembre 2022

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Adinolfi divorzia da se stesso. Di Maio che lodava Putin e Letta smemorato

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Buon lunedì. Inizia la settimana e non si ferma mai il nostro quotidiano bestiario elettorale.

VENGO ANCH’IO, NO TU NO!

Visto che nessuno lo invita il leader del cosiddetto terzo polo (che poi nella migliore delle ipotesi sarebbe il quarto) Carlo Calenda ha deciso di imbucarsi nel dibattito tra il segretario del PD Enrico Letta e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni a Porta a Porta annunciando: «risponderò anche io sui nostri social». Tra poco lo vedremo fare il disturbatore con il megafono in mano durante i collegamenti televisivi. Che finaccia.

A PROPOSITO DI AMICI DI PUTIN NEL M5S

«Il M5s non ha nulla a che fare con gli amici di Putin e se qualcuno si è permesso di scrivere che potevamo avere qualche suggestione di questo tipo, lo ha fatto calunniandoci», dice a Mezz’ora in più il leader del M5s Giuseppe Conte. Non è del tutto vero. Nel Movimento 5 Stelle, tra gli scioccati portati in Parlamento nella scorsa legislatura, c’è Vito Petrocelli, cacciato proprio da Conte dalla presidenza della Commissione Esteri del Senato per le sue posizioni vicine al Cremlino e la senatrice Bianca Laura Granato, che ha dichiarato dopo lo scoppio della guerra in Ucraina diceva che «Putin sta combattendo una battaglia per tutti noi». Ma sopratutto…

QUANDO DI MAIO (E I SUOI) LECCAVANO PUTIN

A proposito di ex grillini che accarezzavano Putin. Luigi Di Maio in una foto del 4 luglio del 2019 sorride da ministro stringendo la mano a Putin dicendo: «con il presidente Putin a Villa Madama. Perché l’Italia è un Paese sovrano, che dialoga con tutti salvaguardando, innanzitutto, i propri interessi commerciali».

E ancora, a giugno del 2015, alla Camera dei Deputati il suo braccio destro Manlio Di Stefano (che ha seguito Di Maio nel suo partito Impegno Civico) parlava così delle rivolte europeiste del 2014 a Kiev: «Un colpo di stato finanziato da Europa e Usa». Oggi risultano particolarmente sinistre le sue parole su un governo ucraino capeggiato da «convinti neonazisti». Che Di Maio dia patenti di putinismo agli altri fa ridere parecchio, eh.

ADINOLFI DIVORZIA DA SE STESSO

Scrive Mario Adinolfi: «Leggo e rileggo il Totti di Cazzullo e mi pare una storia di una povertà unica: t’ho tradito prima io, no prima tu, ti frego i Rolex, ti nascondo le borse, t’ho pagato il viaggio in Tanzania. Sullo sfondo il dolore dei figli. Sempre più convinto che il divorzio apra allo schifo».

Mi capita di fargli notare su Twitter che è divorziato, con tanto di nuovo matrimonio a Las Vegas. Adinolfi mi risponde spiegando che si è «sposato con superficialità» perché gli hanno fatto credere che «il matrimonio non è per la vita». Capito? Adinolfi ha divorziato per colpa di Pannella, insomma.

SEGNATEVI LE PAROLE DI LETTA

«Con la destra non governeremo, l’esperienza del governo di larghe intese è stata unica, eccezionale e irripetibile, l’idea che si possa ripetere ciò che è successo in questa legislatura è assurda», dice Letta. Ed è esattamente quello che il PD dice da 10 anni, promettendolo e poi tradendo la promessa. Mai una parola su questo, mai. Segnatevelo.

LA PENSIONE D’ORO DI MELONI

Giorgia Meloni: «Ho fatto una battaglia contro le pensioni d’oro. Con me al governo vi faccio divertire». Sembra più una minaccia, detta da chi vive di politica da sempre. Bisogna essere credibili ogni tanto, oltre che credenti.

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