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Salvini il filorusso. Ormai sulle sanzioni parla come Putin

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Ci vuole molto coraggio e molta malafede per non voler vedere che la sedicente coalizione di centrodestra non riesce a stare insieme nemmeno sul tema delle sanzioni e sulla crisi del gas. Matteo Salvini e Giorgia Meloni avevano già offerto un pessimo spettacolo al Forum Ambrosetti a Cernobbio dove il leader della Lega ha messo in discussione le sanzioni dell’Europa contro la Russia di Putin.

Salvini già al Forum di Cernobbio aveva messo in discussione le sanzioni dell’Europa contro la Russia di Putin

In quell’occasione, solo due giorni fa, la Meloni imbarazzata si è messa le mani nei capelli di fronte alla platea contribuendo all’immagine perfetta dello stato dell’arte dell’alleanza al di là degli utili selfie in riva al mare postati dalla propaganda leghista.

Il leader della Lega aveva chiarito in seguito che “Russia e Cina non sono i miei modelli” e che “un governo di centrodestra non cambierà la collocazione internazionale dell’Italia”. “Staremo con i Paesi liberi e io voglio la democrazia”, aveva detto Salvini. Ma che la frattura sia tutt’altro che sanata lo racconta la giornata di ieri in cui Salvini e Meloni ancora una volta sono entrati in collisione.

Matteo Salvini, resosi conto di avere sulle sanzioni la stessa identica posizione (e curiosamente perfino alcune identiche parole) della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, che prospetta per gli italiani un periodo di “sofferenza” per “il piano gas di Cingolani imposto da Bruxelles e da Wasghinton” prova a correggere il tiro: “Andiamo avanti con le sanzioni alla Russia ma l’Europa intervenga proteggendo operai, imprese e artigiani.

L’Italia non può stare ferma, il governo deve mettere subito sul tavolo almeno 30 miliardi per limitare gli aumenti delle bollette”, ha detto a Radio Capital il segretario della Lega, proponendo di approvare uno scostamento di bilancio. “Preferisco 30 miliardi a debito che non metterne 100 per pagare un milione di cassaintegrati tra un mese”. È già qualcosa.

Dopo giorni in cui il leader della Lega ha finto di essere vittima di un complotto ordito dai giornalisti ora finalmente riconosce di avere posizioni diverse da Giorgia Meloni. Questo è il primo dato politico: i due leader dei partiti che trainano la coalizione di destra non sono in sintonia su punti fondamentali.

Forza Italia sullo sfondo prova con la senatrice Licia Ronzulli a dire la sua: “Non dobbiamo ammorbidire le posizioni della Lega. Noi di Forza Italia pensiamo che le sanzioni siano state necessarie, perché c’era un paese aggredito ed uno aggressore”, scrive in un comunicato, dimenticando che il suo capo Berlusconi qualche giorno fa abbia dato una versione molto diversa dell’accaduto.

Salvini prova a correggere il tiro ribadendo che “Putin è in torto marcio: ha scatenato una guerra orrenda, ha invaso un Paese, ha riportato morte e distruzione nel continente europeo. Bisogna punirlo, fermarlo, metterlo in ginocchio. Le sanzioni sono operative da 7 mesi, in ginocchio ci siamo noi e non Putin e la guerra va avanti” ma aggiungendo che «la Russia nel frattempo non sta mandando gas. La Lega ha votato tutte le sanzioni”.

Siamo alle solite. Giorgia Meloni passa le sue giornate di campagna elettorale a smussare differenze non colmatili con il suo alleato, Salvini passa le sue giornate di campagna elettorale a dire tutto e il contrario di tutto nel giro di qualche ora. Così quando Salvini a Radio Capital propone: “Ai segretari degli altri partiti dico, domani ci vediamo a Roma e firmiamo un impegno comune – come hanno fatto in Germania – per bloccare immediatamente gli aumenti di luce e gas”, non c’è nessuno che gli faccia notare che a quel tavolo sarebbe in disaccordo proprio il partito suo principale alleato, Fratelli d’Italia, che di scostamento di bilancio non vuole nemmeno sentir parlare.

Si arriva a sera: tanti commenti e riposizionamenti ma dalla destra non arriva una proposta che sia una. Forse una soluzione ci sarebbe: pagare le bollette in 80 anni come accade per i 49 milioni della Lega.

Leggi anche: Meloni rimette in riga Salvini sulle sanzioni a Mosca. Il leader della Lega fa marcia indietro e chiede lo scudo di protezione per famiglie e imprese all’Ue

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La Fondazione Gimbe analizza le proposte sulla sanità dei partiti in campagna elettorale

La pandemia Covid-19 ha progressivamente aumentato la consapevolezza sociale che un sistema sanitario pubblico, equo e universalistico rappresenta un caposaldo della nostra democrazia. «Se tuttavia inizialmente tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di rilanciare adeguatamente il Servizio sanitario nazionale (Ssn) – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – con la fine dell’emergenza la sanità è “rientrata nei ranghi”, finendo di nuovo relegata ai margini dell’agenda politica». Di fatto, le criticità rilevate nel 2019 dal 4° Rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale sono ancora lontane dall’essere risolte e la pandemia, oltre a non aver mollato la presa, inizia a far vedere i suoi effetti a medio-lungo termine: ritardo nell’erogazione di prestazioni sanitarie, impatto del long-Covid, conseguenze sulla salute mentale, depauperamento e demotivazione del personale.

«Tra gestione della pandemia, attuazione del Pnrr, necessità di riforme strutturali, recupero delle prestazioni sanitarie e gestione ordinaria di oltre 130 miliardi di euro di spesa pubblica – spiega il presidente – la prossima legislatura sarà determinante per il destino del Ssn: per questo è indispensabile rimettere la sanità al centro dall’agenda di governo a prescindere dall’esito delle urne, perché il diritto costituzionale alla tutela della salute non può essere ostaggio di ideologie partitiche. Per tali ragioni, abbiamo ripetuto l’esperienza del 2018, realizzando un’analisi indipendente dei programmi elettorali sulle proposte relative a sanità, assistenza socio-sanitaria e ricerca biomedica».

L’analisi è stata condotta sui programmi elettorali depositati dai partiti entro il 14 agosto 2022 ai sensi della L. 165/2017 e pubblicati nella sezione «Elezioni trasparenti» del sito web del Ministero dell’Interno. Sono stati espressamente esclusi dall’analisi i programmi elettorali pubblicati sui siti web dei partiti, oltre che tutti i materiali divulgativi e le dichiarazioni degli esponenti politici.

Si riporta di seguito una sintesi delle proposte avanzate dalle principali coalizioni e schieramenti politici, rimandando al report integrale per la sintesi delle proposte dei partiti e per la valutazione delle singole proposte.

Pandemia Covid-19 e campagna vaccinale. Le proposte sulla gestione della pandemia riguardano interventi parziali: la coalizione di centrodestra punta su comportamenti virtuosi e adeguamenti strutturali. Azione-Italia viva su sanificazione ambientale, percorsi pandemic-free ed equipaggiamenti per le ambulanze; il Partito democratico sui sistemi di aerazione. Per prepararsi a future emergenze sanitarie +Europa e Azione-Italia viva propongono un’Agenzia nazionale di coordinamento e la coalizione di centrodestra di aggiornare i piani pandemici. «Di fatto – commenta Cartabellotta – la gestione della pandemia e della campagna vaccinale rimangono ai margini delle proposte elettorali, nonostante gli organismi internazionali di sanità pubblica suggeriscano a tutti i governi di predisporre piani di preparedness per il prossimo autunno-inverno».

Su pandemia e campagna vaccinale, invece, una pioggia di proposte da numerosi partiti minori e da Italexit per lo più in contrasto con il principio di tutela della salute pubblica: stop a obbligo vaccinale e green-pass, annullamento/risarcimento delle sanzioni amministrative, indennizzi per danni correlati alla vaccinazione, reintegro/risarcimento per i lavoratori sospesi, abolizione dello scudo penale per i medici vaccinatori, oltre all’istituzione di una commissione di inchiesta senza dettagli su metodi di indagine e composizione. 

Salute al centro di tutte le politiche. Solo Alleanza Verdi e Sinistra propone di inserire l’obiettivo “salute in tutte le politiche” e potenziare i servizi di prevenzione e tutela ambientale. 

Governance Stato-Regioni. Posizioni molto differenti che spaziano tra il ritorno alla gestione centrale della Sanità (Movimento 5 Stelle), all’estensione dei poteri esclusivi dello Stato (+Europa, Azione-Italia viva) sino all’attuazione del regionalismo differenziato (coalizione di centrodestra), proposto anche dal Partito democratico, previa definizione di alcune garanzie. Alleanza Verdi e Sinistra, invece, vuole “espellere” la sanità dall’autonomia regionale differenziata. «Seppur con differente enfasi – commenta Cartabellotta – il regionalismo differenziato appare dunque un obiettivo condiviso tra centrodestra e centrosinistra».

Finanziamento pubblico del Ssn. Da +Europa, Azione-Italia viva, Unione popolare la proposta di allinearlo alla media dei Paesi europei, da Italexit e Partito democratico quella di un generico rilancio e da Alleanza Verdi e Sinistra un piano straordinario di investimenti pubblici per l’ammodernamento strutturale e tecnologico della sanità pubblica. Azione-Italia viva propone di accedere al Mes. «Alle forze politiche che intendono rilanciare i fondi per la sanità – commenta Cartabellotta – utile ribadire che bisognerà invertire la tendenza sulla spesa sanitaria nel Def, visto che nell’attuale documento il rapporto spesa sanitaria/Pil decresce sino al 2025 toccando il 6,2%, ovvero al di sotto dei livelli pre-pandemia».

Livelli essenziali di assistenza (Lea). Solo Azione-Italia viva entra nel merito della metodologia di revisione dei Lea al fine di mantenere costantemente aggiornate le prestazioni offerte dal Ssn. Alleanza Sinistra e Verdi, Azione-Italia viva e Movimento 5 Stelle puntano su finanziamento, accessibilità e rimborsabilità delle terapie innovative e avanzate. Azione-Italia viva punta ad espandere i Lea per le malattie rare. Numerose proposte di inserimento nei Lea di nuove malattie o nuovi servizi non sempre in linea con le evidenze scientifiche, o addirittura in netto contrasto. «La classica strategia elettorale – commenta il presidente – che punta esclusivamente a raccogliere voti da specifiche categorie di malati».

Rapporto pubblico-privato. Pochissimi partiti affrontano il tema dell’integrazione pubblico-privato, con proposte generiche (Azione-Italia viva) o finalizzate ad espandere la sanità privata (Impegno civico).

Riduzione degli sprechi. Nessun partito ha formulato un piano organico in tal senso, anche se non mancano le proposte. Per ridurre l’eccesso di prestazioni inappropriate, Azione-Italia viva punta a contrastare l’antibiotico-resistenza e l’inappropriatezza prescrittiva dei farmaci. Per contrastare frodi e abusi Italexit e Movimento 5 Stelle mirano a ridurre le interferenze politiche nelle nomine dei direttori generali. Relativamente ai servizi e alle prestazioni sotto-utilizzate avanzate varie proposte generiche per rilanciare prevenzione e promozione della salute (+Europa, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione-Italia viva, Di Maio) e la medicina predittiva (coalizione di centro-destra). Proposte anche per potenziare i servizi di salute mentale (Partito democratico), gli psicologi (Movimento 5 Stelle, Partito democratico) e i servizi per la salute delle donne (Alleanza Verdi e Sinistra). Sul potenziamento dell’assistenza territoriale convergono tutti i principali partiti (Alleanza Verdi e Sinistra, Azione-Italia viva, coalizione di centro-destra, Partito democratico) che, tuttavia, «se da un lato ricalcano spesso gli obiettivi già previsti dalla Missione Salute del Pnrr e dal DM 77/2022, dall’altro non tengono conto sia che la riorganizzazione delle cure primarie rimane ostaggio della riforma sui medici di medicina generale, sia che l’aggiornamento del DM 70/2015 sugli standard ospedalieri è rimasto al palo», precisa Cartabellotta. 

Assistenza socio-sanitaria. Numerosi partiti propongono in maniera generica di potenziare e/o investire sull’assistenza socio-sanitaria per anziani, persone fragili con disabilità e/o non autosufficienti, facendo riferimento all’assistenza domiciliare (+Europa, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione-Italia viva), a quella residenziale (+Europa), all’integrazione in rete dei servizi sanitari e sociali (Alleanza Verdi e Sinistra, Azione-Italia viva). Molto numerose le azioni specifiche, ma estremamente frammentate e senza una visione di sistema. Tra le azioni normativo-istituzionali: riforma della non autosufficienza con incremento del finanziamento pubblico (Partito democratico); riforma per unificare, rafforzare e integrare la rete di servizi sociali e sanitari (+Europa); legge delega in tema di disabilità (Movimento 5 Stelle); istituzione del “Dipartimento per la terza età” e del “Garante dei diritti della terza età” (Azione-Italia viva). Propongono l’aumento delle pensioni di invalidità i partiti della coalizione di centrodestra e il Movimento 5 Stelle.

Personale sanitario. Solo +Europa propone di garantire programmazione, formazione, organizzazione e gestione del personale del Ssn con un quadro legislativo e finanziario coerente e incentrato su qualità e merito. Da numerosi partiti proposte generiche sulla necessità di potenziare il personale sanitario (+Europa, coalizione di centrodestra, Italexit). Alleanza Verdi e Sinistra propone l’assunzione di 40 mila operatori in tre anni; Azione-Italia viva-Calenda di semplificare le procedure per il riconoscimento di titoli di studio esteri per tutte le professioni sanitarie. Varie proposte per migliorare contratti e retribuzione (+Europa, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione-Italia viva, Italexit, Movimento 5 Stelle). «A fronte di queste lodevoli intenzioni – commenta Cartabellotta – nessun partito, stando ai programmi depositati al Viminale, tiene conto che la prima azione politica per potenziare il capitale umano del Ssn consiste nell’abolizione dei tetti di spesa per il personale». Sui medici di famiglia Alleanza Verdi e Sinistra propongono il contratto dipendente; Italexit un aumento dei contratti di formazione per la medicina generale e il Partito democratico un nuovo “piano di assunzione” di Mmg. Sulle scuole di specializzazione i partiti della coalizione di centrodestra propongono un generico “riordino”; Azione-Italia viva e Partito democratico un contratto specifico di formazione-lavoro che superi il meccanismo delle borse di studio; Italexit di potenziare numero e importo delle borse di studio. A favore dell’abolizione del numero chiuso a medicina Italexit e Alleanza Verdi e Sinistra che lo chiede anche per gli infermieri, oltre al Movimento 5 Stelle, più in generale, per l’accesso all’Università. «Il “numero chiuso” – commenta Cartabellotta – in realtà è un “numero programmato”: la sua abolizione, oltre ad essere difficilmente attuabile per capienza degli atenei e disponibilità di docenti, in assenza di un parallelo incremento delle borse di studio per la specializzazione e per la medicina generale non risolve affatto la carenza di personale ed espande l’imbuto formativo, rischiando peraltro di alimentare il lavoro a basso costo e la fuga dei laureati verso l’estero».

Sanità integrativa. Alleanza Verdi e Sinistra propone di abolire i vantaggi fiscali per polizze assicurative sanitarie e fondi sanitari integrativi.

Informazione istituzionale. +Europa propone di attuare programmi di cultura scientifica nelle scuole e tramite i canali di informazione di massa.

Ricerca biomedica. Azione-Italia viva-Calenda propone di destinare almeno il 3% del Fondo sanitario nazionale alla ricerca, sostenere la filiera delle Scienze della vita e dei dispositivi e rimuovere gli ostacoli burocratici che rendono l’Italia poco attrattiva per le ricerche cliniche. Alleanza Verdi e Sinistra punta a potenziare la ricerca indipendente sui farmaci. Varie le proposte sulla ricerca in generale, senza riferimento specifico alla ricerca biomedica, con focus principale sull’incremento degli investimenti (Alleanza Verdi e Sinistra, coalizione di centro-destra, Di Maio, Movimento 5 Stelle, Partito emocratico).

Ticket. I partiti della coalizione di centrodestra propongono di estendere le prestazioni medico sanitarie esenti da ticket.

Liste di attesa. Numerosi partiti affrontano lo spinoso problema delle liste di attesa, ulteriormente allungate dai ritardi accumulati a causa della pandemia, ma solo due definiscono criteri quantitativi: Azione-Italia viva propone di ridurre entro un anno i tempi di attesa fino ad un massimo di 60 giorni per le prestazioni programmate e di 30 per tutte le altre; il Partito democratico si impegna a dimezzarli entro il 2027. Più genericamente, i partiti della coalizione di centrodestra propongono di ripristinare prestazioni ordinarie e procedure di screening rallentate dalla pandemia e di abbattere i tempi delle liste di attesa. «Nessun partito – commenta Cartabellotta – rileva che le difficoltà a recuperare le prestazioni ritardate a causa della pandemia sono prevalentemente da imputare alla carenza di personale, nonostante lo stanziamento di quasi 1 miliardo di euro e il piano di recupero delle liste di attesa varato dal Ministero della Salute».

Azioni internazionali. +Europa propone di rafforzare le competenze dell’Ue in materia di sanità pubblica con diverse azioni. Numerosi partiti minori e Italexit chiedono l’uscita dell’Italia dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Libertà di scelta terapeutica. Vari partiti minori e Italexit avanzano varie proposte sul tema: ove non ridondanti con norme attualmente in vigore, si tratta per lo più di azioni che contrastano il principio costituzionale di tutela della salute pubblica o di proposte anti-scientifiche.

«A fronte delle complesse sfide sulla sanità pubblica che attendono il nuovo esecutivo – conclude Cartabellotta – il nostro monitoraggio indipendente restituisce un quadro decisamente deludente. Se da un lato alcune tematiche (riforma della sanità territoriale, potenziamento del personale sanitario, superamento delle liste di attesa) sono comuni alle principali coalizioni e schieramenti politici, dall’altro per la combinazione di ideologie partitiche, scarsa attenzione per la sanità e limitata visione di sistema, le proposte sono frammentate, spesso strumentali, non sempre coerenti e senza alcuna valutazione dell’impatto economico. E, cosa ancora più inquietante, nessuna forza politica ha elaborato un adeguato piano di rilancio per la sanità pubblica, coerente con gli investimenti e le riforme del Pnrr, in grado di contrastare la privatizzazione al fine di garantire a tutti i cittadini il diritto costituzionale alla tutela del nostro bene più prezioso: la salute».

Il report “Elezioni politiche 2022. Monitoraggio indipendente dei programmi elettorali: sanità e ricerca biomedica” è disponibile a: www.gimbe.org/elezioni2022 

Buon mercoledì.

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Carlo confessa: al Governo pure con la Meloni

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Quasi 8 miliardi rimasti congelati. E li chiamano migliori! l solito bestiario elettorale. Calenda che prova a spegnere la fiamma. E le balle militari Salvini. Continua il bestiario elettorale.

IL RITARDO DEI MIGLIORI
7,8 miliardi di euro del governo dei migliori sono congelati. No, non c’entra la caduta del governo: sono decreti dimenticati che non essendo stati adottati ora rischiano di saltare. E non si tratta di cose da poco: scaduti i decreti sulla “Strategia nazionale contro la povertà energetica”, quello sulla riduzione dell’illuminazione pubblica, misure contro il Covid, per la scuola e c’è anche quello delle “verifiche dei requisiti patrimoniali dei percettori” del Reddito di cittadinanza che tutti invocano e che sarebbe lì, già bello e pronto. Il recordman dei ritardatari è il ministro per la Transizione ecologica Cingolani che ha 72 decreti inattuati, metà dei quali ormai scaduti. Ben fatto.

CALENDA E LA FIAMMA
“La fiamma nel simbolo? Penso sia una ingenuità, non penso ci sia rischio fascismo, e la Meloni mi pare ha preso le distanze dal fascismo. Ma sarebbe meglio toglierla”, dice Carlo Calenda, leader di Azione, ospite di Radio Rtl 102.5, a proposito del simbolo fascista nel simbolo del partito di Giorgia Meloni Fratelli d’Italia. E a qualcuno potrebbe venire un dubbio: perché è sempre così gentile? Ecco qua…

I VERI PIANI DEL QUARTO POLO
Dopo il voto, “non farò un’alleanza con il Pd, altrimenti l’avrei fatta prima” ma “vorrei fare un governo di larga coalizione che pacifichi l’Italia. Non è mai con il Pd, penso vada fatto un governo di unità nazionale con Pd, Lega e anche Meloni, se con un’agenda di buonsenso”. Lo ha detto sempre Calenda a Rtl 102.5. Gli risponde il segretario di +Europa Benedetto della Vedova: “Fratelli d’Italia sul serio? Un governo con Meloni non lo capisco, non ha senso. Ha senso per loro, per lui. Per me no. Chi ha avuto ossessione per Fratoianni – ha continuato Della Vedova parlando di Calenda – dovrebbe averla decuplicata per Salvini e Meloni”. Anche per noi, Benedetto.

BERLUSCONI UBRIACO DI TIK TOK
“Addirittura uno dei miei interventi è stato seguito da 7,5 milioni: anche Tik Tok è importante perché ci sono i tanti giovani dai 14 ai 34 anni. Il futuro è loro: bisogna cercare di indirizzare questi giovani verso una attenzione su ciò che succederà il 25 settembre perché riguarda loro”, dice Silvio Berlusconi, tutto contento per avere fatto il pieno di follower. Qualcuno però dica all’ex Cavaliere che scambiare sui social le visualizzazioni con la credibilità è un azzardo: ci sono gattini che fanno milioni di volte le sue visualizzazioni e nessuno li vorrebbe come premier.

SIAMO SERI
Renzi e Calenda insistono: “Se prendiamo il 10% sarà possibile un governo con Draghi”. Niente di più falso. Per Pagella Politica Lorenzo Ruffino ha analizzato i numeri: “I risultati di Azione e Italia viva – spiega – rischiano di avere poca influenza sul risultato dello schieramento centrista. Il motivo sta nel sistema maggioritario dell’attuale legge elettorale (il Rosatellum), che assegna un terzo dei seggi ai vincitori”. “Se i sondaggi attuali – continua Ruffino – saranno confermati nelle urne, il centrodestra avrà comunque una maggioranza consistente, che in passato (sebbene con alleanze diverse) le ha permesso di governare a lungo”. Una bugia, l’ennesima.

LA BALLA LEGHISTA SULLA LEVA
Matteo Salvini insiste: “Per contrastare le baby gang diciamo che serve il servizio militare obbligatorio”, ha detto ieri a Rovereto. Della questione non si parla nel programma di centrodestra. A Salvini serve solo prendere i voti degli anziani che dicono che “non ci sono più i giovani di una volta”. Li frega così. Poveri loro e povero lui.

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Sulla scuola solo proposte acchiappa-voti

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Antonello Giannelli è il presidente dell’Associazione nazionale presidi, che riunisce i dirigenti pubblici e le alte professionalità nella scuola. Con lui abbiamo parlato dell’anno scolastico che sta per iniziare.

Giannelli, si legge dappertutto che “riaprono le scuole” anche se sarebbe meglio dire che ricomincia l’anno scolastico per gli studenti…
“Vero. ‘Aprire’ è concetto fuorviante. Iniziano le lezioni, come da calendario. La normale attività delle scuole non si ferma mai”.

Eppure la retorica dei dipendenti della scuola che fanno tre mesi di vacanze, che sono “privilegiati”, non si arresta mai…
“Perché come tutte le retoriche funziona. I docenti fanno un mese di ferie, come tutti”.

Come si ripresenta la scuola italiana
“Vorrei essere più lapidario possibile. Si presenta come sempre, purtroppo. Se vogliamo c’è un problema più: deve gestire i fondi del Pnrr entro un certo termine e avendo segreterie che non abbondano di personale qualificato e formato per questo tipo di attività prevedo che ci possa essere qualche difficoltà. Poi ci sono i nodi di sempre: una didattica non sempre efficace e una dispersione elevata che vedremo se con gli insegnanti in presenza riusciremo ad arginare. Poi ci sono i docenti con non saranno in cattedra fin dall’inizio e c’è una massa notevole di precariato. Teniamo conto che sono 200mila i posti di personale che non è di ruolo. E, attenzione, non perché mancano gli insegnanti ma perché sono precari”.

La precarietà quanto influisce poi sull’insegnamento?
“Non c’è continuità didattica. Ad esempio. non è detto che un supplente dell’anno scorso ci sia anche quest’anno. Un ulteriore problema è che su questo personale non c’è selezione ma viene chiamato solo per la sua posizione in graduatoria senza nessuna verifica delle sue competenze. Del resto anche se facciamo riferimento ai professori di ruolo gran parte sono entrati con concorsi pubblici che di fatto erano sanatorie. Si tratta di docenti non misurati nelle loro reali competenze”.

Ora con il Pnrr ci dicono che ci sarà un enorme passo in avanti per la scuola. È ottimista
“Diciamo che rifuggo dall’ottimismo e dal pessimismo, mi mantengo su un sano realismo. In questo momento è troppo presto per vedere risultati, ci vorranno anni per toccare con mano i reali cambiamenti. Quello che posso dire è che sicuramente ci saranno effetti sull’edilizia ma i fondi a disposizione dovrebbero servire per costruire circa 200 scuole nuove che rispetto agli 80mila luoghi di servizio sono solo una goccia. Se volessimo sanare il patrimonio edilizio scolastico dovremmo mettere in cantiere ben altri fondi e soprattuto dovremmo farlo con il bilancio dello Stato e non con soldi una tantum”.

Come vede il ruolo della scuola nel dibattito politico in campagna elettorale e nei programmi dei partiti?
“Di scuola si parla molto, da sempre, ma le proposte mi sembrano tutte – o quasi tutte – poco legate alla realtà. Non sento proposte frutto di una visione di scuola coerente, sono ideate da persone evidentemente non particolarmente esperte che conoscono poco il mondo della scuola. Mi sembra che siano proposte acchiappa voti, com’è plausibile che sia in questo momento, poco orientate a efficacia dell’organizzazione”.

Quali sarebbero le riforme da fare urgentemente?
“Innanzitutto incrementare l’organico delle segreterie e la preparazione delle segreterie. Bisogna passare all’assunzione diretta dalle parte delle scuole. Non dico che debba farlo il preside. Oltre a lui c’è il comitato di valutazione che già oggi è preposto per formulare pare sui docenti neo assunti. Se questo comitato può rilasciare un decisivo parere per confermare qualcuno in ruolo a maggior ragione potrebbe dare un parere su chi assumere, pur mantenendo un’ipotesi di natura concorsuale. La didattica è l’argomento centrale di cui nessuna forza politica parla: la modalità dello svolgimento della didattica oggi è anacronistica e non cattura l’interesse dei ragazzi”.

Siamo pronti per il Covid?
“Sicuramente non si è fatto nulla sulla ventilazione meccanizzata forzata. C’è solo qualche scuola nelle Marche. D’altronde avrebbe richiesto uno sforzo finanziario colossale e uno sforzo organizzativo colossale: questi lavori sono compito degli enti locali, bisognerebbe coordinarne 8mila. Il quadro epidemiologico però è più favorevole, e concordo che quest’anno inizi senza mascherine. Certamente nessuno di noi può sapere come andranno le cose. Se ci sarà una nuova ondata si dovranno ripristinare alcune precauzioni. Tutte le famiglie possono dare un piccolo contributo, vaccinando i proprio figlioli. Su 8 milioni i non vaccinati sono 4/5 milioni, un’ampia platea in cui il virus può circolare”.

Qualcuno sembra ritenere che il principale compito della scuola sia formare in fretta nuovi lavoratori…
“Non credo che la scuola abbia questo come principale obbiettivo. Ci può stare in un istituto tecnico professionale. L’obiettivo è crescere, capire chi si è e quali sono le proprie ispirazioni. Negli anni del boom gli istituti tecnici e professionali hanno svolto quel ruolo. Ora molto meno”.

Per la politica la scuola è anche terreno di scontro. Ripartiremo con la polemica sul “gender”?
“Sempre stata. Uno dei grossi limiti della nostra classe politica è che si scontra invece di trovare una denominazione comune. Per quanto riguarda il “gender” io sono per il no all’indottrinamento di qualunque tipo ma sì all’esame di temi di attualità. I nostri ragazzi vedono fluidità di genere tutti i giorni, che la scuola si chiuda e veda questo come tabù non ha senso. Se non si trattano a scuola questi temi dove si potrebbero trattare? Se la scuola è preparata con rigore scientifico e neutra politicamente per i ragazzi non può che esserci un arricchimento”.

C’è anche il problema energetico…
“Che la crisi influisca è sotto gli occhi di tutti. Indubbiamente io credo che la bolletta degli enti locali ne soffrirà. È una facile previsione. Secondo me con la settimana corta, senza sabato, allungando la lezione degli altri giorni si può risparmiare 1/6 circa. Detto questo registro che il governo ha ribadito che non ci saranno tagli. Speriamo che questo sia vero”.

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Di Novaya Gazeta, Safronov e della difesa della libertà

Dmitrij Muratov, direttore della Novaya Gazeta, è uno che lascia squillare il telefono non avendo voglia di rispondere all’ennesima telefonata di accuse e di minacce e poi scopre che dall’altra parte del filo c’era l’Accademia di Svezia che lo informava dell’assegnazione del premio Nobel per la pace.

Quando è andato a ritirare il Nobel il direttore russo l’ha voluto dedicare ai sei giornalisti ammazzati dalla fondazione del giornale – era il 1993 – fino a oggi. Tra quei nomi c’è anche Anna Politkovskaja, una stella polare del giornalismo mondiale che questa guerra ha dato in pasto agli smemorati con eroi alterni, in base alle situazioni geopolitiche.

Novaya gazeta è un fulgido esempio del giornalismo come dovrebbe esser fatto, incurante del conveniente ma innamorato del proprio ruolo di cane da guardia dei poteri (tutti i poteri) che vedono i giornalisti come semplici ingranaggi della grancassa.

Anche per questo l’ordinanza con cui il tribunale di Mosca vieta la stampa e la vendita in territorio russo dello stesso giornale che ha raccontato la guerra in Cecenia, l’orrore di Beslan e la guerra in Ucraina è uno scempio che deve stare a cuore a tutti.

Il giornale aveva già sospeso le pubblicazioni a fine marzo, quando le regole volute dal Roskomnadzor, l’agenzia statale delle comunicazioni russa, avevano reso difficilissimo raccontare la guerra senza incorrere in sanzioni. Parte della redazione si era trasferita per sicurezza personale in Lettonia.

«Oggi abbiamo ucciso i nostri colleghi già uccisi da questo Stato per l’adempimento del loro dovere professionale – Igor Domnikov, Yuri Shchekochikhin, Anna Politkovskaya, Stanislav Markelov, Anastasia Baburova, Natalia Estemirova, Orkhan Dzhemal», scrive nel suo editoriale il direttore Muratov.

Nello stesso giorno la Russia ha condannato a 22 anni in un carcere di massima sicurezza Ivan Safronov, consigliere del capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, giornalista ex corrispondente di Kommersant e Vedomosti. Safronov è colui che nel 2019 raccontò della vendita di jet russi al Cairo, sollevando un imbarazzo politico che si paga caro dalle parti di Putin.

Scrive Muratov: «Novaya gazeta non ha bisogno delle vostre carte. Era, è e sarà. Anche quando non c’è né questo potere, né questi giudici, né questi impiegati. Lo spirito libero soffia dove vuole e come vuole».

Per ora Novaya gazeta continua sul suo sito internet (finché riuscirà a farlo) e sarebbe curioso sapere cosa ne pensano i giornalisti e politici nostrani, di quello che accade.

Buon martedì.

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Tutti al forum di Cernobbio, tanto per dare l’idea di una campagna elettorale in mezzo alla gente

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Tutti al forum di Cernobbio, tanto per dare l’idea di una campagna elettorale in mezzo alla gente. Sì, come no. Siamo alle solite. Eccoci al nostro quotidiano bestiario elettorale.

TAJANI CADE SUL PONTE

In un discorso sulla dipendenza energetica al Forum Ambrosetti di Cernobbio, il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani ha citato anche il disastro del Ponte Morandi, lasciandosi andare a una frase degna dei peggiori complottisti. Tajani si è spinto ad attribuire la responsabilità del crollo in cui persero la vita 43 persone a chi si è opposto alla realizzazione della bretella autostradale della Gronda.

Niente invece sulla mancata manutenzione, che secondo quanto emerso dalle indagini fu la causa del crollo. «Basta con il partito del no – ha detto Tajani- che blocca sempre tutto. Pensiamo ad esempio alla Gronda di Genova, bloccata dal partito del no. E forse anche il Ponte Morandi non sarebbe crollato se non ci fossero stati quei no». Qualcuno dica a Tajani che ci sono 59 persone a processo: molti dirigenti di Autostrade e del ministero delle Infrastrutture e di Spea che si occupava della manutenzione. Va bene essere garantisti ma essere visionari…

DIBATTITI ELETTORALI

In una democrazia che funziona la televisione pubblica ha il dovere di promuovere i dibattiti politici e informare i cittadini su tutte le candidature. Detto fatto: la Rai ha organizzato un dibattito elettorale per la circoscrizione estero. Il dibattito andrà in onda martedì 6 settembre alle 2.30 di notte si Rai1. Buona notte.

L’AGENDA BLAIR

Italia Viva e Azione fanno campagna elettorale contro il Pd e il M5S dimenticandosi che i prossimi vincitori stanno a destra. Del resto non disdegneranno (segnatevelo) di essere un’utile stampella alla destra, quando servirà, per poter soddisfare la propria natura. Ieri Ettore Rosato (abile nella politica com’è abile nell’estensione delle leggi elettorali, come questo mostruoso Rosatellum con cui si vota) se l’è presa con il segretario del Pd Letta che ha invitato a smetterla di rimanere ancorati al blairismo: «Archiviano Blair, commemorano la rivoluzione bolscevica del 1917 e fanno i manifesti rosso contro nero. È il nuovo PD di Letta e Speranza, quello dei lavoratori contrapposti ai padroni, del pubblico contro il privato», scrive Rosato. Perfetta la risposta della giornalista Chiara Geloni: «in effetti archiviare Blair nel 2022 è un po’ precipitoso ma il rischio dei cosacchi a piazza San Pietro, mi assicurano, è bassissimo».

CALENDAGARCHIA

Calenda è parecchio confuso. Prima dice: «non penso ci sia un pericolo fascismo in Italia, c’è un pericolo anarchia, cioè non si riesce a fare niente. Dobbiamo allora riprendere quello che Draghi stava facendo: mettere assieme gli italiani, non dividere tra buoni e cattivi», dimostrando di non saperne nulla di anarchia e pochissimo di antifascismo. Poi gli scappa la mano e come al solito si incensa: «Non ho problemi a candidarmi alla guida del Paese, ma Draghi è più bravo. Non è una competizione, dobbiamo cercare di tenercelo», dice a Cernobbio. Del resto Calenda, come il suo compare Renzi, sogna da sempre un’egogarchia come unica forma di governo.

L’HA CAPITO PERFINO BERLUSCONI

«Non ho mai parlato di abolizione del reddito di cittadinanza». Lo dice in una intervista al Messaggero Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, capolista per il Senato a Napoli. «In Italia, un quarto della popolazione, soprattutto al Sud, vive in condizioni di povertà e non possiamo certo abbandonarla a se stessa – afferma – Il reddito va riformulato, per assistere seriamente chi ha davvero bisogno. Ai giovani, invece, bisogna dare delle opportunità di lavoro».

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Tra Fiano e Rauti

Emanuele Fiano è figlio di Nedo, rimasto orfano a diciotto anni con la matricola A5405 a Auschwitz. La famiglia Fiano venne sterminata perché ebrea, Nedo ha partecipato a centinaia di incontri nelle scuole. «Porto con me l’odore, il buio, l’orrore e la ferita di quel tempo lontano. Lotto ancora e recito la parte di un uomo comune, come tanti altri. Ma sento spesso un inferno dentro, anche se cerco di apparire sereno e felice», raccontava.

Emanuele Fiano non è solo figlio di Nedo. Emanuele Fiano è uno di quei parlamentari che non è caduto nell’irresistibile tentazione di normalizzare l’indicibile e di annacquare l’antifascismo. Crede nella reale applicazione della legge Mancino (che per troppi, anche nel presunto centrosinistra, è semplicemente una raccomandazione ornamentale in memoria del tempo passato), indica il razzismo chiamandolo per nome.

Isabella Rauti è figlia di Pino. Pino Rauti è stato un neofascista della primissima ora. Subito dopo l’avvento della repubblica si è impegnato a ricostruire l’estrema destra sia istituzionale (con l’Msi nel 1946) sia d’azione (con la rifondazione, agli inizi degli anni 50, dei Far – Fasci di azione rivoluzionaria). I Far erano la destra estrema dell’estrema destra italiana. Filonazisti dichiarati si distinsero durante la loro breve vita per due attentati, uno al ministero degli Esteri ed uno all’Ambasciata Americana di Roma, entrambi nel 1951. Nel relativo processo per i due attentati gli appartenenti ai Far furono tutti condannati. Tutti tranne tre: Evola, Erra e Pino Rauti. Ha fondato l’organizzazione Ordine Nuovo. Rauti fu indagato per le stragi di Piazza Fontana a Milano e Piazza della Loggia a Brescia. Da assolto Rauti stesso rivendicava “la responsabilità morale delle stragi”. Poi anche Rauti è stato “normalizzato” da Silvio Berlusconi (che ha responsabilità enormi sullo sdoganamento del fascismo, ma ce ne siamo già dimenticati).

Fiano e Rauti in politica provano a trasmettere i valori dei propri padri. Lo ripetono entrambi. Sono candidati, l’uno contro l’altro, nel collegio di Sesto-Villa Pizzone-Legnano che copre anche la zona nord di Milano città, Cinisello e Paderno Dugnano. Collegio uninominale: chi prende più voti viene eletto. Isabella Rauti ha però un comodo paracadute in collegi plurinominale offerti dal partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Per capire il senso della sfida si può raccontare un episodio recente. Rauti chiede il voto perché «Sesto San Giovanni non torni ad essere la Stalingrado d’Italia» e lo dice con l’ignorante formuletta di chi spande anticomunismo senza conoscere la storia. Fiano le risponde: «Quel titolo Sesto l’ha guadagnato per la similitudine con la città industriale del Volga per la resistenza, poi vittoriosa ai nazisti. Stessa cosa che fece Sesto, fin dal 1943, nelle sue fabbriche e nei suoi quartieri, pagando un prezzo atroce con deportazioni nei campi di sterminio, fucilazioni, torture e violenze e ricevendo per questo, la Medaglia d’oro per la Resistenza. Quando ci vedremo, davanti alla Parrocchia di Santo Stefano, che fu sede del Cnl cittadino, avrò modo di raccontare a Isabella Rauti questa grande ed emozionante storia. La aspetto».

Cosa accade? Che i seguaci di Meloni (e di rimbalzo di Isabella Rauti) ricoprono Fiano di insulti antisemiti e qualcuno scrive: «Un confronto con te si dovrebbe fare solo davanti a un buon forno acceso». Si tratta di “odio dei social”? No, no. È il profumo di impunità per topi che escono dalle fogne. Fratelli d’Italia simula qualche spicciolo di solidarietà (sono diventati bravissimi a fingersi educandi in attesa di mettere le mani sul potere) e invita a «non parlare di storia del ‘900». Come se noi non fossimo la nostra storia.

Io non ho condiviso alcune posizioni di Fiano nella sua carriera politica. Chi ci legge sa quanto siamo critici con il Partito democratico (e anche su questa candidatura, ne parleremo a tempo debito) ma ogni volta che penso alla sfida di Sesto San Giovanni mi prende la sensazione del limite del dirupo a cui siamo arrivati. Decenni di antifascismo spolpati da un centrosinistra sempre timido (se non addirittura connivente) e una destra che ancora oggi viene chiamata “centrodestra” (solo da noi) sempre alla ricerca delle “anche cose buone”. Non posso non pensare che la sfida tra Fiano e Rauti sia una spaventosa carta tornasole di questo tempo. E mi dico: noi siamo ancora quel Paese in cui vince Fiano in quel collegio, vero?

Buon lunedì.

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I suicidi in carcere mostrano l’inadeguatezza dello Stato

È l’anno del record, solo che in questo caso il record è un’onta. Non ci sono mai stati così tanti suicidi in carcere nei primi due terzi dell’anno. Lo denuncia nel suo rapporto Antigone (nel dossier Ristretti Orizzonti), nel bel mezzo di una campagna elettorale in cui il carcere – era facilmente prevedibile – si riduce al luogo di espiazione promesso per i criminali veri e presunti.

Nei primi otto mesi di quest’anno 59 persone si sono tolte la vita in carcere

Nei primi otto mesi del 2022, 59 persone si sono tolte la vita in carcere. Più di una ogni quattro giorni. Sin dall’inizio dell’anno il fenomeno ha mostrato segni di preoccupante accelerazione, fino a raggiungere l’impressionante cifra di 15 suicidi nel solo mese di agosto, uno ogni due giorni. A due terzi dell’anno in corso, è già stato superato il totale dei casi del 2021: 57 decessi. Non ci sono mai stati nei primi due terzi dell’anno così tanti suicidi: il numero più alto finora era quello del 2010, con 45 casi, 14 in meno rispetto a oggi.

Dietro le sbarre il tasso dei suicidi è 16 volte più alto 

Il tasso dei suicidi (ovvero la relazione tra il numero di decessi e le persone detenute mediamente presenti nel corso dell’anno) passa dal 11 ogni 10 mila persone registrato nel 2020 e dal 10,6 ogni 10 mila persone detenute nel 2021 a un numero destinato a crescere per il 2022. Vale la pena ricordare che fuori dal carcere con 0,67 casi di suicidi ogni 10 mila abitanti, l’Italia è in generale considerato un Paese con un tasso di suicidi basso, uno tra i più bassi a livello europeo. «Mettendo quindi in relazione l’ultimo dato disponibile della popolazione detenuta con quello della popolazione libera vediamo l’enorme differenza tra i due fenomeni: in carcere ci si leva la vita ben 16 volte in più rispetto alla società esterna», scrive Antigone.

I suicidi in carcere mostrano l'inadeguatezza dello Stato
Nei primi otto mesi del 2022 ben 59 persone si sono tolte la vita nelle carceri italiane (Getty Images).

Donne e stranieri le categorie più vulnerabili

Delle 59 persone che si sono tolte la vita in carcere quattro erano donne, un numero particolarmente alto se consideriamo che la percentuale della popolazione femminile detenuta rappresenta solo il 4,2 per cento del totale. Nel 2021 e nel 2020 soltanto una donna si era levata la vita in carcere. Nel 2019 non si era verificato invece nessun caso di suIcidio femminile. L’età media delle persone che si sono tolte la vita è di 37 anni. La fascia più rappresentata è infatti quella tra i 30 e i 39 anni, con 21 casi di suicidi. Segue quella dei più giovani, con 16 casi di suicidi commessi da ragazzi con età comprese tra i 20 e i 29 anni. Vi sono poi 14 decessi di persone tra i 40 e i 49 anni e otto decessi di persone dai 50 anni in su. I più giovani in assoluto erano due ragazzi di 21 anni, detenuti nelle Case Circondariali di Milano San Vittore e Ascoli Piceno. Il più anziano era un uomo di 70 anni detenuto nella Casa Circondariale Genova Marassi. Le persone di origine straniera erano 28, ossia il 47,5 per cento dei casi. Tenendo conto che la percentuale di stranieri in carcere è a oggi leggermente inferiore a un terzo della popolazione detenuta totale (17.675 su 55.637), ciò implica che il tasso di suicidi è significativamente maggiore tra i detenuti di origine straniera rispetto agli italiani: il primo è quasi il doppio del secondo.

Malati psichiatrici lasciati a loro stessi

Sembrerebbe, dai pochi dati a disposizione, che almeno 18 delle 59 persone decedute soffrissero di patologie psichiatriche. Alcune diagnosticate, altre presunte e in fase di accertamento. Gente che non dovrebbe stare in un carcere, secondo la Costituzione, ma dovrebbe essere in luogo in cui siano assicurate le cure. Scrive Antigone: «Nella maggior parte delle visite svolte da Antigone nelle carceri italiane, il personale denuncia con forza la significativa presenza di persone detenute affette da patologie psichiatriche e l’inadeguatezza delle risorse a disposizione per prenderle in carico. I dati raccolti dal nostro Osservatorio in questi primi otto mesi dell’anno, riportano 10,5 diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti; 20,5 detenuti su 100 assuntori di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi; mentre quasi 40 detenuti su 100 assuntori di sedativi o ipnotici». Come scriveva Antigone nel presentare il suo rapporto del 2016 «là dove l’autorità statale nell’esercitare il proprio monopolio nell’uso della forza non è in grado di impedire che tale utilizzo della violenza legittima si concili con l’esigenza di salvaguardare il corpo, la salute del reo, ecco che tale utilizzo della forza subisce una profonda delegittimazione. Uno Stato che nel punire non impedisce la morte del condannato perde infatti parte delle funzioni che ne giustificano la potestà punitiva». Ora chiudete gli occhi, pensate a questa terribile campagna elettorale e immaginate come si possa inserire nel dibattito un tema del genere.

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Renzi ossessionato da Draghi. Bestiario elettorale senza tregua

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C’è la Meloni che non riesce a trattenere la propria natura, Letta che si contraddice e Berlusconi a cui sfugge il suo amore per Putin. Eccoci nel nostro quotidiano appuntamento del bestiario elettorale.

Al comizio di Perugia Giorgia Meloni, premier in pectore almeno secondo i sondaggi, ha alzato i toni si è lasciata andare in un passaggio non proprio presidenziale. “In morra cinese sinistra, clandestino batte donna violentata”, ha gridato piuttosto infervorata la leader di Fratelli d’Italia. Il riferimento è alle polemiche sollevate dalla sua diffusione del video dello stupro di Piacenza, poi rimosso da tutte le piattaforme social.

Video peraltro di cui Meloni ha rivendicato la pubblicazione: “Niente di cui scusarmi, ho condiviso video per esprimere solidarietà”. Se la solidarietà a una donna stuprata la Meloni la manifesta mostrando la vittima a tutti stiamo a posto: auguriamoci che non solidarizzi mai con nessun altro.

BERLUSCONI NEL LETTONE DI PUTIN
Secondo Silvio Berlusconi, Putin sarebbe stato “costretto” a invadere l’Ucraina per colpa dei comunisti. Non è una delle sue orride barzellette. Durante la presentazione dei candidati di Forza Italia in Veneto (che ormai rischiano di essere più degli elettori) Berlusconi ha detto: “Parlando della Russia, volevamo dire il nostro dispiacere per quello che è avvenuto in Ucraina.

È stata una decisione sbagliata, io so che Putin è stato forzato dal suo Paese, dalla sua gente, dai suoi uomini del partito comunista a intervenire per difendere le Repubbliche del Donbass dall’Ucraina di Eltsin”. Ora, al di là del fatto che Eltsin in realtà non c’entra un bel niente (forse si riferiva a Zelensky) sarebbe curioso che ne pensano quelli illuminati giornalisti che da mesi cercano gli “amici di Putin”: qui c’è un reo confesso, ancora una volta.

LETTA IN INVERSIONE A U
“Non ci si inventa progressisti. Parlano le storie personali”. Lo dice il segretario del Pd, Enrico Letta, intervistato da Il Messaggero. “Il M5s è il partito di Grillo, quello che per anni ha detto che destra e sinistra sono uguali. Io dico – prosegue Letta – no, non sono uguali. Non esiste la sinistra a targhe alterne. La cultura politica, la linearità dei percorsi di vita, le grandi scelte valoriali contano e continueranno sempre a contare, per fortuna”. Ma Letta non ha un buon amico che gli faccia notare come un’affermazione del genere cancelli tutti gli ultimi anni di governo?

SE DRAGHI S’INCAZZA…
A Giorgia Meloni tremano i polsi in vista di Palazzo Chigi? “La tranquillizziamo perché cercheremo di non farcela arrivare. Lei sta lavorando per diventare premier tra meno di un mese e se la destra vincerà le elezioni la Meloni andrà a Palazzo Chigi. Altrimenti l’unica alternativa si chiama Mario Draghi e io sto lavorando per questo”. Lo dice il leader di Iv Matteo Renzi a Radio Capital. Ma Renzi non ha un buon amico che gli faccia notare che questo tirare per la giacchetta Draghi sembra un’ossessione? Non c’è un contenuto, uno solo, oltre alla foto di Draghi nell’agenda di Renzi e Calenda

IL RE DEL BOSCO
Antonio Tajani: “Un saluto da Rocca Priora per l’apertura della Sagra del Fungo Porcino, conosciuto come il re del bosco. Una manifestazione che ogni anno attira più di 50mila visitatori. Sarà mio compito valorizzare le potenzialità di questo territorio”. Con tutto il rispetto per il valore del porcino il coordinatore di Forza Italia sembra aver assaggiato altri tipi di funghi, nella scelta delle priorità in campagna elettorale.

CHI DI CUNIAL FERISCE…
Sara Cunial, leader dei complottisti, è considerata di essere un’infiltrata della massoneria dai suoi stessi complottisti. Contrappasso.

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Gli ex renziani l’hanno giurata a Letta. Inevitabile il Congresso

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Nelle stanze del Pd lo danno come certo: qualunque sia il risultato delle prossime elezioni del 25 settembre a Enrico Letta stanno preparando la resa dei conti. Scottano troppo le scelte sulle candidature e brucia il ridimensionamento di Base riformista, la corrente degli ex renziani messa in piedi da Luca Lotti e Lorenzo Guerini.

Nelle stanze del Pd lo danno come certo: qualunque sia il risultato delle prossime elezioni a Letta stanno preparando la resa dei conti

Ora che Lotti è stato escluso dalla corsa (sfruttando l’ostilità espressa dal suo territorio) Guerini è l’unico vero cavallo di Troia a cui ci si può affidare. Il ministro alla Difesa era già finito sotto accusa nelle ore più calde della chiusura delle liste per non esser stato capace di difendere i “suoi” con Letta. Oltre all’accusa di essersi troppo occupato dell’ingresso in coalizione di Luigi Di Maio (sarebbe più corretto dire: del seggio garantito per l’ex M5S).

Il messaggio dei libdem (la corrente che si definisce liberal-democratica all’interno del Partito democratico) è chiaro: “Senza i liberal-democratici, il Pd rischia di tornare semplicemente il Pds, e sarebbe un ritorno al passato”, ci dice uno di loro e il fatto che sia lo stesso concetto che da giorni esprime Matteo Renzi per attaccare Letta rende plasticamente visibile quanto gli ex renziani siano ancora in sintonia con il loro ex segretario.

Dall’altra parte qualcuno esulta comunque vada. “Perderemo le elezioni ma almeno avremo un gruppo parlamentare che segue Letta, a sua immagine e somiglianza”, dice un esperto senatore. Il concetto l’aveva già espresso Goffredo Bettini qualche mese fa: c’è bisogno di scrollarsi di dosso una classe dirigente che risale a Renzi e che troppo spesso è sulle posizioni di un leader (ora) di un partito concorrente.

La campagna elettorale dei democratici continua ad apparire troppo schiacciata su Giorgia Meloni

Fuori, nel Paese, la campagna elettorale dei democratici continua ad apparire troppo schiacciata su Giorgia Meloni, con il partito incapace di dettare l’agenda del dibattito. La scelta, fin dall’inizio, di polarizzare il dibatti per escludere gli altri partiti (che è alla base della decisione di Letta di confrontarsi eventualmente solo con la leader di Fratelli d’Italia) rischia di essere un boomerang.

Solo di Meloni si sono occupati la senatrice del Pd Simona Malpezzi (“La scelta delle parole svela molto di chi le pronuncia: potrà fare la finta moderata per le cancellerie internazionali, ma Giorgia Meloni rimane sempre questa. Il suo vero volto è quello del comizio di Vox”, ha detto a proposito della metafora meloniana del “clandestino che batte la signora violentata”), la responsabile Pari Opportunità nella Segreteria Pd e Portavoce della Conferenza delle Donne democratiche Cecilia D’Elia, la Capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati Debora Serracchiani (“Non è solo volgarità verbale: è lo specchio di chi recita moderazione e pratica intolleranza. La violenza contro le donne non ha scuse, attenuanti, ragioni”) e quasi tutte le donne candidate.

Letta intanto insiste nel dire che “la destra non ha già vinto” più per spronare i suoi che per una reale convinzione. “Quanto agli esiti già scritti, – ha detto ieri Letta – la storia anche recente è piena di risultati elettorali inattesi, di ribaltamenti, di sorprese, di spinte non fotografate dai sondaggi”.

Una notizia minore però rende l’idea dell’aria interna. Ai candidati è arrivata la richiesta dal Nazareno di usare la faccia di Enrico Letta da inserire nel proprio materiale elettorale. Alcuni (molti più del previsto) hanno declinato l’invito facendo presente che perderebbero voti. Aspettando il giorno dopo le elezioni.

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