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Comunione e… fatturazione Il bestiario del Meeting di Rimini

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Va in onda la sagra di Comunione e Liberazione, una lobby che in qualsiasi Paese sano provocherebbe vergogna e che invece da noi riesce a coagulare quasi tutti i partiti. Eccoci nel nostro quotidiano bestiario elettorale.

Renzi e Calenda putiniani

A forza di vedere putiniani dappertutto il duo Renzi-Calenda inciampa in una candidata che farebbe impallidire anche i putiniani davvero. Si chiama Stefania Modestino D’Angelo, è capolista al Senato per la lista di Azione e Italia viva, nel collegio di Caserta-Salerno-Avellino-Benevento, in Campania. «La politica a volte inciampa nella normalità…ed è accaduto con me!», ha scritto D’Angelo su Facebook. «Onorata di essere stata scelta e candidata al Senato come capolista dall’on.le Carlo Calenda e dal segretario regionale di Azione Giuseppe Sommese». La candidata calendiana sostiene che nella guerra in Ucraina la ragione vada data a Putin. Aveva scritto che Zelensky si era «messo in salvo a Leolopoli [Leopoli, n.d.r.] (o forse all’estero) diffondendo filmati registrati giorni fa». Il leader di Azione Carlo Calenda ha scritto su Twitter che la candidatura di D’Angelo «è stata segnalata dal territorio». «Errore nostro non aver verificato i post su politica estera. Me ne assumo la responsabilità. Stiamo gestendo la cosa», ha spiegato Calenda. Chi di Putin ferisce…

Tutti a baciare la ciabatta ai ciellini

Al meeting di Comunione e Liberazione, diavoli che vorrebbe sembrare santi e invece partoriscono lobby e politici della stregua di Formigoni, tutti contro il Reddito di cittadinanza. Il renziano Rosato (uno che per la legge elettorale che si è inventato dovrebbe nascondersi sotto un sasso e invece scorrazza felice e contento) ci spiega che «la povertà non si combatte solo con i soldi» e propone di abbassare le tasse alle imprese per aiutare i poveri. Un genio. Il berlusconiano Tajani dice che «dobbiamo dare lavoro a chi può farlo»: una frase intensissima, ci mancava solo che ci dicesse che il cielo è azzurro. Salvini propone di «togliere il Reddito al primo rifiuto di un lavoro offerto», dimenticando di saperne davvero poco (come quasi su tutto): secondo l’INAPP circa il 46% dei percettori del RdC sono lavoratori poveri, vuol dire che lo stipendio che percepiscono è talmente basso da essere al di sotto della soglia di povertà e il Reddito va ad integrarlo. Arriva addirittura Di Maio a sconfessare il suo cavallo di battaglia dicendo che è tutta colpa dei centri per l’impiego. Letta si barcamena parlando d’altro. La più applaudita Ovviamente Giorgia Meloni: ai ciellini piace il potere, cucinato in tutti i modi. Significativa la foto che vede tutti i leader chiacchierare amorevolmente come se fossero in gita presso gli agnelli di dio. Alla fine un bell’amen e tutti a casa.

Fa schifo perfino a Twitter

E’ stato rimosso per avere violato le regole. Come si nota dal profilo Twitter di Giorgia Meloni, il post con il video della violenza sessuale avvenuta a Piacenza domenica mattina è stato rimosso. Al suo posto compare la frase: “Questo Tweet ha violato le Regole di Twitter”. Tutto questo dopo il coro di critiche che ha coinvolto la leader di Fratelli d’Italia, mentre la Procura di Piacenza già ieri ha aperto un’inchiesta sulla diffusione del filmato, finito su alcuni giornali online e poi rimosso, mentre un’istruttoria è stata avviata anche dal Garante della Privacy “per accertare eventuali responsabilità da parte dei soggetti che a vario titolo e per finalità diverse” hanno diffuso il video. Intanto la vittima dello stupro agli inquirenti ieri ha detto: «”Sono disperata, mi hanno riconosciuta da quel video». Ben fatto Giorgia.

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La vera devianza è questa campagna elettorale

Giorgia Meloni è questa roba, gente che pasteggia sulla schiena di una stuprata per racimolare qualche voto ma soprattutto per aggiungere sale alla rabbia. Non è la prima volta che la rivittimizzazione di una donna avviene sotto gli occhi di tutti per altri scopi. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno passato anni a prendere dal cassonetto della cronaca nera minime storie personali che vengono sventolate davanti a tutti per suggerire un paradigma nazionale. Non è solo una questione politica, è una questione di etica.

Poi ci sono le devianze e stupisce che ci si stupisca. L’eugenetica è nella retorica della destra sovranista da anni in tutto il mondo e basta avere studiato un po’ di storia per sapere quali siano le sue radici. Ma la devianza più spaventosa è l’architettura di questa campagna elettorale dove si finge di scoprire solo ora cosa sia questa peggiore destra di sempre. È devianza in questa campagna elettorale avere permesso al cosiddetto terzo polo ù8che nella migliore delle ipotesi sarà il quarto) di attraversare trasmissioni e giornali per giudicare le candidature degli altri mentre hanno lo stomaco di presentare una lista elettorale con gente che è passata da Berlusconi al centrodestra all’odiatissimo Michele Emiliano prima di approdare nel “polo della serietà” (Massimo Cassano), con chi come Giuseppe Castiglione è diventato improvvisamente “serio e competente” dopo essere stato il braccio destro di Angelino Alfano e mentre è sotto processo per corruzione elettorale nella gestione del Cara di Mineo.

Renzi e Calenda candidano Giuseppina Occhionero, passata da Liberi e Uguali a Italia Viva, che accompagnava in carcere il radicale Antonio Nicosia, messaggero per i mafiosi. C’è l’ex sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo che indusse un pubblico ufficiale a presentare firme false a sostegno della sua lista. C’è Massimiliano Stellato che pensò bene di organizzare qui da noi una protesta dei “gilet gialli” (sempre a proposito di serietà e competenza) come i migliori populisti. In Abruzzo c’è Gianfranco Giuliante che dopo essere stato messo dalla Lega all’azienda regionale dei trasporti ha abbandonato Salvini spergiurando di non approdare in nessun altro partito e invece è finito nei “competenti”.

Nelle liste di Giorgia Meloni c’è quel Pecoraro che da prefetto di Roma si impegnò a negare la presenza delle mafie nella capitale. Nelle liste di Fratelli d’Italia c’è l’ex sindaco di Catania Salvo Pogliese condannato in primo grado per peculato: «Tra le spese contestate dall’accusa ci sono circa mille euro per lavori nello studio professionale del padre, uno dei più noti commercialisti della città etnea; il pagamento, anche ai familiari, di soggiorni in albergo a Palermo; regali per il Natale 2010; carburante e cene. In totale le contestazioni riguardavano l’uso improprio di 70mila euro. Secondo i giudici che lo hanno condannato, le motivazioni sono state depositate nel gennaio 2021, si tratta di spese non giustificate», scrive Nello Trocchia.

Premesso che nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, con liste così ci si sorprende che il centrosinistra (e la sinistra) continui a farsi dettare l’agenda della campagna elettorale da moralisti senza morale che usano uno stupro come spot elettorale e da presunti competenti che riciclano eterni ras dei voti.

Possiamo tornare a una campagna elettorale che non sia solo potenza di propaganda

Buon martedì.

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Cosa si poteva rispondere alla critica strumentale su Israele

La pozzanghera centrista, sempre disattenta sui rigurgiti di fascismo di quelli con cui si alleeranno (segnatevelo) ora se la prendono con un candidato del Pd (che il Pd ha proditoriamente silurato) perché ha osato porre dubbi su Israele. Che il Pd si faccia dare lezioni di antisemitismo da neofascisti e da parafascisti come sempre travestiti da liberali (anche questo lo insegna la storia) è piuttosto avvilente. Le risposte erano semplicissime:

«Siamo di fronte a qualcosa di mostruoso che suscita raccapriccio ed esecrazione. Questa furia omicida ricorda le nefandezze dei nazisti.
E sia chiaro: sono ostile all’antisemitismo come a qualsiasi altra forma di odio razziale, compreso quello di cui appaiono pervasi gli attuali governanti di Israele» (Enrico Berlinguer, settembre 1982, Festa de l’Unità di Tirrenia, a commento della distruzione dei campi di Sabra e Chatila)

«Lo Stato d’Israele avrebbe dovuto cambiare la storia del popolo ebraico, avrebbe dovuto essere un zattera di salvataggio, il santuario a cui sarebbero dovuti accorrere gli ebrei minacciati negli altri Paesi. L’idea dei padri fondatori era questa, ed era antecedente alla tragedia nazista: la tragedia nazista l’ha moltiplicata per mille. Non poteva più mancare quel Paese della salvezza. Che ci fossero gli arabi in quel Paese, non ci pensava nessuno. Ed era considerato un fatto trascurabile di fronte a questa gigantesca vis a tergo, che spingeva là gli ebrei da tutta Europa. Secondo me, Israele sta assumendo il carattere e il comportamento dei suoi vicini. Lo dico con dolore, con collera. Non c’è differenza tra Begin e Khomeini». (Primo Levi in Conversazione con Levi di Ferdinando Camon)

«La fine dell’occupazione dei territori da parte di Israele, nel pieno rispetto delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, rimane cruciale per porre fine al persistente ciclo di violenze. Quella che è diventata una situazione di occupazione perpetua è stata citata sia dalle parti interessate palestinesi che israeliane come una delle radici delle tensioni ricorrenti, dell’instabilità e del conflitto prolungato sia nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme, sia in Israele». (Rapporto Onu, 7 giugno 2022)

«L’apartheid non è accettabile in nessuna parte del mondo. Quindi perché il mondo l’accetta contro le e i palestinesi? I diritti umani sono stati a lungo tenuti da parte dalla comunità internazionale quando ha affrontato la lotta e la sofferenza pluridecennale della popolazione palestinese. Di fronte alla brutalità della repressione israeliana, la popolazione palestinese chiede da oltre vent’anni che venga compreso che la politica israeliana è una politica di apartheid. Nel corso del tempo, a livello internazionale, il trattamento riservato da Israele ai palestinesi ha iniziato a essere considerato in maniera sempre più ampia come apartheid. Tuttavia, i governi con la responsabilità e il potere di fare qualcosa si sono rifiutati di intraprendere qualsiasi azione significativa per chiedere conto a Israele delle sue responsabilità. Al contrario, si sono nascosti dietro un processo di pace moribondo a scapito dei diritti umani e dell’accountability. Sfortunatamente, la situazione odierna non vede alcun progresso verso una soluzione, ma anzi il peggioramento dei diritti umani per le e i palestinesi». (Amnesty International, 2 febbraio 2022)

«I bombardamenti israeliani sono incredibilmente pesanti e più intensi rispetto al passato. Hanno distrutto molte case ed edifici intorno a noi. Le persone sono intrappolate, perché non è sicuro né uscire né restare all’interno delle proprie abitazioni. Gli operatori sanitari stanno correndo rischi incredibili, se pur necessari, per muoversi» (Hellen Ottens-Patterson Capomissione Medici senza frontiere nei Territori palestinesi, 14 maggio 2021)

Accusare di antisemitismo chi critica legittimamente le politiche di Israele è un trucco che può funzionare solo se si decide di rinunciar alla verità. Basterebbe un po’ di coraggio, un po’ di schiena dritta. Invece niente.

Buon lunedì.

 

 

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Se il buongiorno si vede dalle candidature stiamo a posto. Berlusconiani a 5 stelle, Renzi fa quello che rimprovera agli altri e altre bestialità. Continua il bestiario elettorale.

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Eccoci qui, è già lunedì e finalmente cominciano a uscire anche le candidature degli altri partiti. Dicevamo che dopo il caos per quelle del PD ne avemmo viste delle belle anche per tutti gli altri. Il nostro quotidiano bestiario elettorale.

 

Boschi calabresi

Negli ultimi giorni vi è capitato di ascoltare dal prode Matteo Renzi le polemiche sulle candidature del Partito Democratico (di cui lui si occupa più del suo stesso partito) nei collegi che non sono di riferimento? Bene, tenetevi forte. Maria Elena Boschi sarà candidata capolista in Calabria per il cosiddetto terzo polo che invece è il quarto. Non male se si pensa che all’ultimo giro era stata candidata a Bolzano. Non male per i moralisti che dovrebbero essere il “polo della serietà”: dallo strudel alla ‘nduja il passo è breve, per accaparrarsi un seggio.

Tu quoque Renzi?

Matteo Renzi (che aveva promesso a Calenda di lasciargli spazio come portavoce della loro alleanza e invece imperversa dappertutto) criticava Conte per le sue plurime candidature in diversi collegi elettorali. Indovinate un po’? Ha fatto lo stesso. A proposito: Matteo Renzi ha perso la causa contro Travaglio: dargli del mitomane non è diffamazione. Avanti così, verso il dirupo.

Belusconiani a 5 Stelle

Claudia Mojolo era stata inserita dal M5S in un primo momento nel plurinominale Campania, dopo aver superato le parlamentarie. Qualcuno per curiosità ha butta l’occhio sul suo profilo Facebook e ha ritrovato hashtag come #Berlusconiamoremio e messaggi come questo: «Allora siete felici???? Eh capreeeeeeeeeeeeeee??!?! Vi voglio tra un paio di mesi a voi e a quei 4 grillini… Che sanno solo mettere il culo sulla sedia… Tempo al tempo… Ora fate festa da buoni ignoranti… Poi festeggeremo NOI… però mentre festeggiate ricordatevi che O NAN (riferimento a Berlusconi, ndr) ha chiavato più di voi… Con le femmine più belle.. Oltre ad essere stato un grande politico!!!!! Silvio Berlusconi sei e sarai un pezzo di storia per questa Italia popolata e governata da CAPRE». Ha oscurato tutti i suoi profili. Troppo tardi.

Non c’è Paragone

Gianluigi Paragone si era persino offeso quando l’avevano accusato di essere vicinissimo a forze di estrema destra come Casapound. Chi ha candidato nel Lazio 1 come capolista per i plurinominali 2 e 3? Carlotta Chiaraluce, militante romana di Casapound. Che coincidenza.

Castelli in aria

Di Maio ha infilato i suoi candidati nelle liste del PD e nonostante ora si sia travestito da chierichetto i nodi vengono al pettine. La sua fedelissima Laura Castelli candidata in Piemonte ha fatto scoppiare un pandemonio. Del resto l’ex viceministra è stata perfino condannata per diffamazione proprio per un posto contro il PD e Fassino. Lei ora dice di rifiutare la candidatura. Un po’ come la volpe e l’uva.

Lo spessore di Albertini

L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, chissà perché, è sempre raccontato come uomo dall’altissima statura politica dagli sfegatati liberali italiani. Avrebbe dovuto candidarsi per il cosiddetto terzo polo che poi è il quarto a Milano ma Calenda non le manda a dire: «Non vedo Albertini dall’epoca di Scelta Civica, direi quasi dieci anni. Una settimana fa ha chiesto una doppia candidatura a Milano con un messaggio. Non essendo mai stato iscritto ad Azione, mi è sembrata una proposta quantomeno stravagante». Forti questi statisti alla ricerca della seggiola.

Occhio ai post

Calendiani, renziani e poveri professori trombati sono scatenati a cercare i vecchi post dei candidati del PD. Qualcuno ha dovuto ritirarsi perché si era permesso di scrivere che Israele da anni perpetra un genocidio nei confronti dei palestinesi. Farsi dettare l’agenda sull’antisemitismo dalla destra è un capolavoro di idiozia. Farsi fare la morale da quattro stracci liberali su Israele (fingendo di non sapere che dicono ONU e le più importanti ONG) è vigliaccheria. Ben fatto.

 

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Eventi climatici estremi, in Italia danni e morti ma la politica rimane a guardare

Chissà quando verrà quel benedetto giorno in cui la smetteranno di chiamarlo maltempo. Per ultima è stata la Toscana, due morti e 20 feriti, danni enormi. Perfino Daniela Santanché, della schiera di quelli che si danno di gomito chiamando “gretini” quelli che i occupano di cambiamenti climatici, ora fa i conti con i danni alla sua attività. Il clima cambia ma noi no. L’Italia continua a essere l’unico dei grandi Paesi europei a non avere un piano nazionale di adattamento al clima che è in bozza dal 2018. La strategia è sempre la stessa: dichiarazioni di stati di emergenza per non dover fare i conti con la nuova normalità.

Eventi climatici estremi, in Italia danni e morti ma la politica rimane a guardare: il clima rimane fuori dalla campagna elettorale.
Agosto 2022, il mercato di Marina di Carrara devastato da un nubifragio (Twitter)

Nei primi sette mesi del 2022 si sono verificati 132 eventi climatici estremi

Intanto le bombe d’acqua, le trombe d’aria, le forti siccità. Le ondate di calore e le grandinate si moltiplicano. Come sottolinea giustamente Legambiente, da gennaio a luglio 2022 si sono registrati in Italia 132 eventi climatici estremi, numero più alto della media annua dell’ultimo decennio. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022 nella Penisola si sono verificati 1318 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti in 710 comuni italiani. Nello specifico in questi anni si sono registrati 516 allagamenti da piogge intense, 367 danni da trombe d’aria, 157 danni alle infrastrutture da piogge, 123 esondazioni fluviali (con danni), 63 danni da grandinate, 55 danni da siccità prolungata, 55 frane da piogge intense, 22 danni al patrimonio storico, 17 temperature estreme in città/ondate di calore. «In tutto ciò, in questa campagna elettorale, i temi della lotta alla crisi climatica e di un piano nazionale di adattamento al clima sono incomprensibilmente sottovalutati dalle varie agende politiche», osserva Legambiente.

La campagna elettorale, appunto, che si snoda su sentieri che hanno a che vedere poco con la politica e molto con la comunicazione. Una campagna elettorale capeggiata dagli amori che finiscono, dalle inimicizie che si risolvono, dai nomi che entrano o escono dalle liste. Una campagna elettorale che si infiamma per i tweet delle sue maschere, ma che non riesce a sollevare lo sguardo dalle piccole baruffe chiozzotte. Se qualcuno prova a mettere in fila gli eventi atmosferici che accadono nel nostro Paese viene trattato come un uccellaccio del malaugurio che deve essere rinchiuso in cantina.

LEGGI ANCHE: Twiga danneggiato dal maltempo, Briatore: «Italiani popolo di invidiosi»

Eventi climatici estremi, in Italia danni e morti ma la politica rimane a guardare: il clima rimane fuori dalla campagna elettorale.
Agosto 2022, la crisi idrica del Lago di Garda (MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

Eventi climatici estremi, l’allarme di Legambiente

«Il 2022 in fatto di eventi climatici estremi è da codice rosso. Chi si candida a governare il Paese per i prossimi cinque anni dovrebbe esplicitare quali soluzioni vuole mettere in campo per fronteggiare la crisi climatica, una delle principali emergenze planetarie che rischia di mettere in ginocchio l’intero Pianeta», spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. «L’Italia anche quest’estate sta pagando lo scotto della crisi climatica con vari nubifragi, la siccità di questi mesi in Pianura Padana, lo scioglimento dei ghiacciai come sta raccontando la nostra campagna, in corso, Carovana dei ghiacciai, con dati e monitoraggi scientifici insieme al Comitato Glaciologico Italiano. Tutti eventi estremi che dimostrano come non ci sia più tempo da perdere».

«Se non si interviene al più presto, rischiamo nei prossimi anni sia un disastroso impatto sociale ed economico, oltre che ambientale, sia di sprecare anche le risorse del Pnrr. Servono cambiamenti strutturali, politiche innovative, investimenti in tecnologie pulite e un piano nazionale di adattamento al clima non più rimandabili», continua Ciafani. «Senza dimenticare che va aggiornato anche il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima ai nuovi obiettivi europei di riduzione di gas climalteranti del RepowerEU, va applicato un taglio radicale dei tempi di autorizzazione dei nuovi impianti a fonti rinnovabili e va prevista una procedura semplificata per il rinnovo e il potenziamento di quelli esistenti». Una volta gli ambientalisti in Italia venivano trattati come un’élite che aveva il tempo di dedicarsi a questioni minori. Oggi l’ambientalismo è il prerequisito politico di ogni partito che si candida in Europa, ma in Italia è ancora un vezzo. Non bastano nemmeno i tetti che cadono sopra le nostre teste.

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Un anno di Pd in Campidoglio e Roma è già nell’abisso: con il caso Ruberti nella Capitale è tornato il solito sistema

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Non c’è solo il termovalorizzatore che è stato negato mille volte in campagna elettorale e poi riproposto dal sindaco Roberto Gualtieri con la nonchalance di chi non deve mai spiegazioni ai suoi elettori nella Roma “ripresa” in mano dal Pd.

E non c’è, come se non bastasse, una sporcizia identica a prima ma che in questo caso profuma poiché gli accaniti osservatori dell’igiene cittadina improvvisamente sono diventati sbadati e svogliati.

Ritorno al sistema Capitale

Nella rissa di Albino Ruberti, capo di gabinetto del Campidoglio e uomo vicinissimo al sindaco Gualtieri dopo esserlo stato di Nicola Zingaretti c’è molto della politica romana che infesta i partiti nazionali.

Prima, si sa, c’erano quelli del Movimento 5 Stelle e farne emergere gli errori e le grossolanità era fin troppo facile.

Ma Ruberti che in un ristorante a Frosinone, attovagliato con amici e parenti che poi sono gli stessi dirigenti del suo stesso partito, briga e disfa fino a perdere le staffe è esattamente l’immagine della politica che si fa corporazione, dei partiti come comunità endogamica che inevitabilmente corroborano la sensazione di lontananza.

C’è un capo di gabinetto, c’è un ex assessore regionale e europarlamentare, c’è una consigliera regionale che è anche compagna del capo di gabinetto e la fotografia vista da fuori rimanda al circolino.

È pacifico che i veleni in coda alla pubblicazione del video possano essere spenti solo sapendo esattamente di cosa si stesse parlando. È parimenti pacifico che non lo sapremo mai.

C’è poi il modo di Ruberti, il modo spaccone di quelli che parlano di “competenza”, di “serietà”, di “preparazione” e poi appena si scaldano mostrano la loro anima peggiore, non riescono a trattenere l’istinto di prevaricazione che nei partiti viene tollerato come naturale istinto di sopravvivenza.

Può sgolarsi quanto vuole Ruberti per convincerci che quella fosse una discussione privata e che noi giornalisti non dovremmo occuparcene ma una figura istituzionale di così alto livello all’interno della capitale d’Italia che urla «vi sparo, vi ammazzo» e che invita il suo avversario a inginocchiarsi è qualcosa che nei modi (e ci auguriamo che non sia così anche nella cultura) rimanda a uno stile di vendetta tipicamente mafioso, a un culto della violenza che deve provocare la vergogna, oltre alla sconfitta.

Vergognose difese d’ufficio

Ci sono poi le vergognose difese d’ufficio che non difendono nulla. Francesco De Angelis, che era lì con Ruberti, che si dichiara “estraneo” senza spiegarci esattamente come si possa restare estranei a due metri da qualcuno che invoca un punizione così esemplare.

Lo stesso De Angelis che prova a buttarla sul calcio, tipico argomento italiano con cui giustificare l’indicibile, per essere poi smentito dallo stesso Ruberti. Per farsi un’idea della finzione politica basterebbe leggere i giornali che sottolineano il ritiro della sua candidatura come gesto di responsabilità di De Angelis.

Pochi si ricordano di specificare che fosse una candidatura in posizione non eleggibile. Poi c’è quel “mi ti compro” che avrebbe fatto perdere le staffe a Ruberti, di cui lo stesso parla nella sua lettera di dimissioni a Gualtieri: una frase che sembra spuntare da una brutta puntata di Gomorra.

Per cosa avrebbe dovuto comprare il braccio destro del sindaco? Chi?

La sostanza della questione è perché Gualtieri (e il Pd romano) tengano così in considerazione un uomo violento che ha già violato il lockdown per una bella cena di pesce, ha aggredito degli ambientalisti che manifestavano contro Zingaretti e incarna alla perfezione il tipo da “lei non sa chi sono io”.

È questa la competenza

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La chiamano pace fiscale, ma è un regalo agli evasori: le destre contro i poveri preparano il colpo di spugna per chi li affama

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Eccola qua Giorgia Meloni, pronta a cavalcare con tutta la sua boria migliore una “sinistra” che vede solo lei, intesa a dileggiare gli avversari più che a raccontare il suo programma mentre l’alleanza di centrodestra si scanna sui nomi da mettere in lista.

Bugie sul Reddito di cittadinanza

Si parte, manco a dirlo, dall’attacco del reddito di cittadinanza: “Il Reddito di cittadinanza ha fallito – spiega Meloni – come strumento di lotta alla povertà che doveva essere abolita e invece ha raggiunto i massimi storici e ha fallito come misura di politica attiva”.

Secondo la leader di Fratelli d’Italia quei sarebbe di 9 miliardi all’anno la spesa per sostenere la misura. Qui c’è già la prima mezza bugia: si parla di 5,9 miliardi di euro per il 2019, 7,2 miliardi per il 2020 e 7,4 miliardi per il 2021, stabilendo un limite di spesa di 7,3 miliardi annui a partire dal 2022.

Si continua poi a blaterare di truffe miliardarie (Salvini parla di “15 miliardi di euro”) che non corrispondono alla realtà: parliamo di valori intorno al 2 per cento delle risorse stanziate per finanziare la misura e al 2 per cento dei beneficiari.

Meloni poi continua a dimenticare che l’Istat certifica che il Reddito di cittadinanza “ha interessato, nella seconda parte del 2019, oltre un milione di famiglie in difficoltà”, salvate dalla povertà.

Ma la mistificazione più grave rimane sempre la stessa usata anche dai liberali italiani: tra i percettori del Reddito di cittadinanza ci sono italiani che lavorano ma il 69% dei loro contratti non supera i tre mesi e i loro salari non bastano per raggiungere livelli dignitosi di vita.

Benedetti imprenditori

Del resto Giorgia Meloni non ha il coraggio di dire chiaramente che per chi come lei ama l’imprenditoria – anche quella più sfrenata – togliere dal mercato degli schiavi milioni di persone che dovrebbero cedere al ricatto di salari da fame e contratti senza diritti è un serio problema.

Non è un caso che nelle sue dichiarazioni la presidente del Consiglio in pectore se la prenda con la “sinistra” perché “criminalizza gli imprenditori”. È il solito trucco, raccontare che gli evasori di questo Paese siano solo un’eccezione così viene più facile non sentirsi in obbligo di agire politicamente.

Chissà che ne dice la Meloni del fatto che proprio ieri il 72% delle aziende ispezionate nel brindisino in un’operazione contro il caporalato siano irregolari. Non capire la differenza tra imprenditori e evasori è il trucco per non punire nessuno e salvare tutti.

Del resto, pensateci, chi oggi si preoccuperebbe di regolarizzare la propria posizione fiscale con un centrodestra dato per vincitore che nel suo programma elettorale parla di condono (loro lo chiamano “pace fiscale” ma non è altro che un condono)?

Si scrive pace fiscale, si legge condono

Se avessimo occhi attenti e memoria lunga potremmo notare anche che nel nuovo centrodestra a trazione meloniana è completamente sparito il tema delle mafie.

Non se ne fa cenno nel programma, non se ne parla nei comunicati stampa, non entra mai nelle dichiarazioni dei loro esponenti ospiti di trasmissioni televisive. Hanno abolito la mafia senza nemmeno dover scrivere una legge, incredibile.

Eppure non sono lontani i tempi in cui Matteo Salvini, quando ancora funzionava, prometteva fuoco e fiamme contro i boss e sognava di passare come il nuovo Prefetto di ferro.

Perché questa inversione? A voler pensare male si potrebbe ripercorrere lo spaventoso elenco degli arrestati per mafia e corruzione nelle file di Fratelli d’Italia.

Senza dimenticare che il monumento della politica vicina alla mafia sta proprio lì ed è Silvio Berlusconi. Anche se ormai non è più di moda ricordarlo.

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Un programma Possibile

Il partito fondato da Giuseppe Civati e oggi guidato dalla segretaria Beatrice Brignone parteciperà alle elezioni nella lista di Sinistra italiana/Verdi. Per motivi che magari un giorno qualcuno ci spiegherà i simbolo di Possibile non appare all’interno del simbolo della lista.

Per uscire da questo balletto di maschere e personalismi che sta infestando questi primi giorni di campagna elettorale abbiamo deciso di dedicarci ai programmi. Sostanzialmente per due motivi: innanzitutto per valutare la piattaforma di proposte dei partiti di “sinistra” in Italia e poi – questo lo faremo nei prossimi giorni – per chiederci e chiedergli come possa accadere ogni volta che ci si divida.

Ma andiamo con ordine. Secondo il programma di Possibile (lo trovate qui) per evitare la catastrofe climatica «bisogna proseguire – si legge – con la liberalizzazione delle comunità energetiche pubblicando i decreti attuativi mancanti e promuovendone l’adozione, specie per i piccoli comuni. Aumentiamo il ritmo delle autorizzazioni, procediamo almeno a 10 GW all’anno, per rispettare il parametro del programma europeo RePowerEu».

«Una rete rinnovabile è possibile: la ricerca scientifica lo conferma, una rete di produzione dell’energia elettrica totalmente proveniente da fonti rinnovabili è possibile – scrivono nel programma – bisogna costruire un sistema multipiattaforma (fotovoltaico, eolico, solare a concentrazione, con adeguate tecnologie di accumulo di energia (non solo batterie al litio ma anche pompaggi idroelettrici, idrogeno, ecc.) da impiegare nei periodi di minor produzione. Terra, acqua, aria: in primo luogo piantare alberi, al momento sono la tecnologia migliore per sequestrare CO2 dall’aria. I centri urbani, le metropoli, vanno difese dagli incrementi di temperature e soprattutto l’acqua deve essere tutelata. Occorrono limiti stringenti per le contaminazioni da Pfas nelle acque. La mobilità nuova: è integrata, intermodale. Usa le piattaforme digitali per essere accessibile più facilmente. Le automobili devono essere ridotte. Insieme al trasporto pubblico su rotaia, urbano ed extraurbano, devono essere creati i percorsi ciclabili. Il resto della mobilità pubblica è organizzato tramite mezzi elettrici. Bisogna rivedere le disposizioni del Pnrr in tal senso».

Sul lavoro la dignità è perseguibile – si legge – attraverso il salario minimo (su cui Possibile da tempo lavora a una sua proposta di legge di iniziativa popolare): «Rimettere al centro i Ccnl anche con l’aiuto del salario minimo (unico, nazionale, stabilito dalla legge ma in base al livello dei salari come determinato dalla contrattazione) è la misura necessaria per far crescere tutte le retribuzioni, non solo quelle che sono al di sotto di quel valore». Inoltre, si propone la cancellazione dei tirocini a favore del contratti di apprendistato. Mentre il lavoro agile «deve entrare negli accordi collettivi, nei contratti, con una cornice chiara di diritti, tra cui il diritto alla disconnessione e il mantenimento dei ticket / voucher pranzo». Per la sicurezza, incrementare gli ispettori (e le ispezioni), regolare il part-time e modificare il Reddito di cittadinanza sulla scorta del documento prodotto dal comitato presieduto da Chiara Saraceno.

Ci sono poi ovviamente scuola e università e ricerca (con il ritorno al piano Amaldi), una legge subito contro l’omotransfobia, il matrimonio egualitario, piena applicazione della legge 194, congedo parentale e parità retributiva di genere. L’abolizione dei decreti Sicurezza, il ritorno al modello d’accoglienza Sprar (cancellato da Salvini), lo Ius soli senza timidezze sono tra i punti prioritari. Poi l’imposta sostitutiva sui patrimoni, maggiore progressività fiscale (mentre molti parlano di flat tax), la riforma del catasto. “Tax the rich”, insomma. Come dovrebbe fare la sinistra.

Il programma lo trovate completo qui. Forse se uscissimo da questa smisurata attenzione ai temi che piacciono solo ai liberali di casa nostra potremmo aprire un dibattito più largo. E sarebbe meglio per tutti, senza perdere troppo tempo in scissioni, liti per le candidature e favole.

Buon venerdì.

 

* In foto, Beatrice Brignone e Giuseppe Civati

 

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Meloni non vede la fiamma, Salvini si butta sull’editoria e Di Maio fa la gara al partitino più lungo. Il quotidiano bestiario elettorale.

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Se avete letto da tutte le parti che c’è stato parecchio caos per le liste del Partito Democratico ora preparatevi al polverone delle liste degli altri. Il nervosismo sale e inevitabilmente aumenta il materiale per il nostro bestiario elettorale.

Lega di stampa e di Governo

Antonio Angelucci, storico parlamentare di Forza Italia, decide di passare tra le fila della Lega per la sua quarta legislatura di seguito. Angelucci ha l’invidiabile record di essere il recordman di assenze in Parlamento fin dal 2008 (superato solo ultimamente da Michela Brambilla, ovviamente sempre di Forza Italia). Ma Angelucci è soprattutto editore di Libero, il Tempo (lo era de Il Riformista) e altri quotidiani del centro Italia. Ora Salvini ha i suoi giornali di riferimento. Sempre a proposito del sanissimo rapporto in Italia tra politica e editoria.

Fiamma Quale fiamma

Intervistata dal settimanale conservatore The Spectator Giorgia Meloni spiega: «Quando abbiamo fondato Fratelli d’Italia, l’abbiamo fondato come centro-destra, a testa alta. Non ho mai parlato di fascismo perché non lo sono». Sul simbolo del suo partito chiarisce: «La fiamma nel logo di Fratelli d’Italia non ha nulla a che fare con il fascismo, ma è il riconoscimento del percorso compiuto dalla destra democratica nella storia della nostra Repubblica. E ne siamo orgogliosi». Al di là dell’ignoranza storica Giorgia Meloni è coerente: per lei era democratico anche Almirante. Tutto si tiene.

Amici per finta

Il centrodestra insiste nel raccontarsi compatto e sereno. Sarà. Intanto ieri avrebbero dovuto compilare le liste e non ci sono riusciti. Uscito prima degli altri partecipanti dal vertice tecnico di centrodestra mirato alla compilazione delle liste per i collegi, il leghista Giancarlo Giorgetti ha spiegato ai giornalisti che per conoscere i nomi servirà un altro giorno. «I nomi? Occorrono altre 24 ore», così il ministro dello Sviluppo economico. Se quei muri potessero parlare.

Que viva Cuba!

Vi ricordate quando esimi virologi (tra cui spiccava Roberto Burioni) irrideva il vaccino sviluppato da Cuba dipingendo il suo sistema sanitario come medievale? Benissimo. Cuba ha spedito 500 medici in Italia perché il nostro Sistema Sanitario Nazionale è in difficoltà. Ma i soldi del PNRR che dovevano salvare la sanità pubblica Li avranno spesi in biglietti aerei e sigari, evidentemente.

Tutti i giorni è family day

La Lega ha strepitato per giorni contro le candidature familistiche degli altri altri partiti. Ieri si è saputo che il compagno di Susanna Ceccardi, Andrea Barilotti, sarà candidato in un collegio blindato in Toscana. Salvini avrà pensato dopo la sconfitta di Ceccardi alla presidenza della Regione Toscana fosse giusto premiare tutta la famiglia. Il collegio di cittadinanza, insomma.

Anti-antimafia

L’ex procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, candidato per il Movimento 5 stelle alle elezioni del 25 settembre, intervistato da La Repubblica, sottolinea che in questa campagna elettorale non si sta parlando di “criminalità organizzata e di capitali mafiosi “Soprattutto ora con l’arrivo dei fondi del Pnrr e con l’emergenza ‘guerra ’lo considero un tema non trascurabile da parte della politica”, aggiunge. Ha ragione de Raho ma avete mai visto qualcuno costituirsi tra l’altro nel bel mezzo della sua campagna elettorale?

Il partitino del vicino è sempre più verde

Dice Di Maio che il M5S non esiste più perché Conte ha preferito «farsi il suo partitino». Ora, va bene tutto, ma almeno un po’ di senso del ridicolo…

 

17 – Segue

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Calenda e Renzi al 5,3% se va bene: i sondaggi seppelliscono il terzo polo che ormai esiste solo sui giornaloni

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Qualcuno che gli sta vicino dovrebbe prendere per un braccio Carlo Calenda, portavoce della coalizione di Azione e Italia Viva, e sussurragli all’orecchio che non fa una grande figura andando in giro per radio e televisioni a ripetere un bugia.

Il segretario di Azione insiste nella delegittimazione dei sondaggi assicurando che si sbagliano come già successe per le elezioni amministrative a Roma.

Dice il falso: i sondaggi in quell’occasione davano la lista di Calenda al 19% che fu esattamente la cifra che incassò allo spoglio.

Ma i sondaggi, si sa, sono veri solo se tornano utili e così il cosiddetto terzo polo (che nella migliore delle ipotesi sarà il quarto) non può fare altro che osservare malinconicamente i numeri.

Calenda e Renzi al 5,3%

Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato all’istituto Demopolis, l’alleanza tra Matteo Renzi e Calenda raccoglierebbe il 5,3 per cento dei consensi.

Mentre secondo un sondaggio, quello di Enzo Risso, commissionato dalla Lega ed eseguito dall’8 al 12 agosto se si votasse oggi Italia Viva otterrebbe il 2 per cento dei voti, mentre Azione il 2,3 per cento.

Se vi state chiedendo come possa un’alleanza elettorale così insignificante ottenere uno spazio così spropositato nel dibattito pubblico sappiate che è la domanda che si pongono quasi tutti coloro che per passione o per mestiere seguono queste brutte elezioni estive.

Intanto Calenda presenta il programma elettorale per le elezioni del 25 settembre. Nulla di significativamente nuovo sotto il sole, il refrain è sempre quello di portare avanti “l’agenda Draghi” (che nemmeno Draghi riconosce) e il solito mito della competenza agitato come un feticcio.

Agenda Draghi

“Il nostro obiettivo è semplice: andare avanti con l’agenda Draghi, andare avanti con il metodo Draghi del buon senso e del buon governo, avere possibilmente Draghi come presidente del Consiglio. E il nostro programma è attuare le riforme del Pnrr”, dice Calenda.

Nessuno dei giornalisti presenti gli fa notare che con il 5% risicato una dichiarazione del genere tradisce una pessima contezza di sé stessi.

Ma soprattutto nessuno dice chiaro e tondo il vero obiettivo di Renzi, Calenda e soci: far vincere tranquillamente la destra, senza inimicarsela troppo, aspettando che il governo Meloni crolli per dissidi interni (o per i conti pubblici che si sballeranno in un soffio) e quindi tornare a un bel governo tecnico in cui Azione e Italia Viva possano tornare a essere granelli di sabbia che sculettano da re.

Fotocopia della destra

Non male presentarsi alle elezioni ammettendo di aspettare con ansia le macerie. Non male anche questi continui attacchi al Pd e al centrosinistra funzionali al dover prendere per mano prossimamente Berlusconi e gli altri per governarci insieme.

Del resto basta leggere il programma e le dichiarazioni per accorgersi che centristi e centrodestra sono la stessa cosa. Sono identiche le idee sulla giustizia, con Maria Elena Boschi che ammette candidamente “vogliamo tornare alla prescrizione sostanziale. Siamo per l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione”, esattamente come un Berlusconi qualsiasi.

Sono identiche le idee sul presidenzialismo, che Renzi chiama “sindaco d’Italia” ma è sostanzialmente la stessa cosa (“attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio si può raggiungere anche a livello nazionale lo stesso obiettivo”, dice Gelmini) e sono identici perfino nei modi da bulli.

A questo punto sorge un dubbio: tra due destre pressoché identiche perché qualcuno dovrebbe votare quella insignificante, destinata a perdere?

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