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Di Maio in peggio

Passerà Ferragosto e si avrà il quadro completo delle candidature. Forse, speriamo bene, si smetterà di parlare di alleanze praticate o fallite (anche se Calenda e Renzi sembrano avere come unico punto del loro programma elettorale l’esegesi delle scelte degli altri) e potremo capire quale siano i buoni motivi per cui le cose dovrebbero andare diversamente da come andranno, con Giorgia Meloni preoccupata solo di non compiere errori e con Matteo Salvini che si “accontenta” di andare al Viminale. Tanto per avere l’idea di come stiamo messi.

L’antico adagio “dimmi con chi vai, ti dirò chi sei” è sempre attuale. Su Renzi e Calenda tanto s’è letto e tanto s’è scritto, non serve aggiungere altro. Che certa presunta sinistra (da Rizzo a Ingroia) abbia finito per ritrovarsi in corsa con un pezzo di destra è un classico degli ultimi anni. Dalle parti di Unione popolare (che qualcuno vorrebbe archiviare come esperienza residuale, con il solito trucco) c’è una connessione di esperienze, testimonianze e competenze che forse meriterebbe ben altro spazio. Nel frattempo loro potrebbero trovare in fretta un modo di comunicare la loro elaborazione collettiva (che c’è stata in Rifondazione e Potere al popolo, serrata, anche fuori dal Parlamento) senza svilirla in avventate dichiarazioni personali che offrono una sponda a chi si impegna a sminuirli.

Nel Movimento 5 stelle i candidati “scelti” da Giuseppe Conte saranno fondamentali: sarà la sua ultima occasione di circondarsi di persone capaci (capaci anche di invertire la sensazione di un partito zeppo di pericolosi incompetenti) e fedeli ai principi del partito e al suo capo politico. Se sbaglierà questa non avrà un’altra occasione.

Nel Pd, come al solito, si assiste al balletto per ricandidare esponenti moderati (Casini ne è un fulgido esempio) con alle spalle quintali di legislature senza esattamente capire quale dovrebbe essere il guadagno in termini di voti e di credibilità. Soprattutto con poco rispetto per i territori e i loro attivisti.

La domanda delle domande però è una: perché questo senso di imbarazzante gratitudine del Pd nei confronti di Di Maio? Questo sarebbe utile saperlo (lo vorrebbero sapere anche in molti nel partito) poiché è una questione squisitamente politica. Non facciamo fatica a immaginare che Tabacci abbia trovato in Di Maio il salvagente per provare a recuperare voti che non ha mai avuto nella sua carriera (siamo pieni di gente senza voti ma con ottime conoscenze che colleziona carriere incredibili) ma che un partito strutturato come quello di Letta abbia nei confronti di Di Maio quasi soggezione nasconde un pezzo della storia recente che non ci è stata raccontata. Verrebbe il dubbio, lo appoggiamo come innocente ipotesi, che la scissione del ministro ex grillino da Conte dovesse essere una stampella (nella migliore delle ipotesi) per spostare l’asse politico con numeri rassicuranti in Parlamento. Qualcuno potrebbe obiettare che non sia andata così. È vero. Non cambia la natura del discorso. Se non è finita come avrebbe dovuto forse è merito anche dell’altro ministro (Pd) così vicino a Di Maio da trovare il tempo, tra un ordine di un missile e l’altro, di assicurargli già da tempo (ben prima della crisi) un posto per il prossimo giro: del resto il nostro ministro della guerra è considerato un grande stratega fin dai tempi di Renzi ma è solo un abile galleggiatore secondo i peggiori canoni democristiani. Ovvio che sarebbe stata una strategia politicamente insulsa e fallimentare.

Eppure questa domanda a Letta non la pone nessuno: quale patto c’è da rispettare con Di Maio? Chi l’ha siglato? Quando? Perché?

Buon Ferragosto.

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Il deposito dei simboli è un circo. Continua il bestiario elettorale

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È una giornata scoppiettante quella del deposito dei simboli per la campagna elettorale. Ovvio che il bestiario della campagna elettorale sia ricchissimo.

IL CIRCO DEI SIMBOLI
Il primo partito a depositare il simbolo ieri è stato il PLI, i suoi dirigenti erano in fila dalla mattina del giorno precedente. Come sempre abbiamo più liberali che elettori.
Tra i partiti c’è anche “Il Sacro Romano Impero Cattolico e Pacifista”. Del resto si sa, se c’era un popolo pacifista erano proprio gli antichi romani.

Mentre erano tutti in fila per depositare i simboli la presidente del partito “Luce del Sud” Giusy Papale decide di non sprecare tempo e improvvisa un comizio lì, su due piedi. Papale papale.

Fenomenale il partito “Sud chiama Nord”: De Luca e Giarrusso hanno litigato pochi giorni fa per cui vengono depositati due simboli quasi identici: uno contiene la scritta “Giarrusso” e l’altro no. Non hanno trovato un grafico libero per una mezz’ora. Sarà colpa del reddito di cittadinanza.

Poiché i moderati sono di moda in questa primavera-estate del 2022 ci sono due simboli molto simili: uno si chiama “Moderati” e l’altro “Noi Moderati”. Si prospettano ricorsi che, scommettiamo, saranno tutt’altro che moderati.

Ad un certo punto irrompe un curioso personaggio. Il dottor Cirillo per depositare il logo del “Partito della Follia Creativa” portando con sé le sue celebri strisce pedonali tascabili. Lo accompagna una donna vestita da sposa. Qualcuno ride. In realtà sembrano molto più coerenti e credibili di alcuni illustri leader di partito.

C’è anche Clemente Mastella che presenta il suo partito “Noi di centro”. Quel “noi” indica Mastella e sua moglie che sarà candidata, guarda che coincidenza, a Benevento. Mastella è l’unico che è riuscito a creare in una zona d’Italia una vera e propria autonomia. È un po’ familistica, è vero, ma non non è il sovranismo “la difesa dei propri cari”?

Tra i partiti spunta i “Poeti d’Azione” (che non c’entrano nulla con Carlo Calenda). Il presidente spiazza tutti: “Ci presentiamo dal 2006, siamo anche riusciti a candidarci ogni tanto. Mi sono candidato nel sesto municipio di Roma”.

A metà pomeriggio “i “Moderati” annunciano di non candidarsi. “Presentiamo il simbolo solo per precauzione”. Dai, dite la verità, si può essere già moderati di così? Arriva il generale Pappalardo (ve lo ricordate?) dei gilet arancioni (ormai sono scomparsi, rimangono solo i gilet) e annuncia di non avere bisogno di firme perché ha siglato l’accordo con “L’Unione Cattolica Italiana”. Ovviamente è tutto un bluff ma lui avrà un’altra occasione per inscenare l’arresto di Mattarella. Che circo.

IL COCCOLONE
Il leghista Zaia dice: “Il centrodestra deve cambiare pelle rispetto a trent’anni fa, mi aspetto che sia più inclusivo e attento ai cambiamenti, libero dai complessi di inferiorità sul versante culturale e dai tabù in materia di diritti, nuove famiglia e sessualità. Lo dico in un altro modo: l’omosessualità non è una patologia, l’omofobia invece sì”. Caro Zaia, forse non è il centrodestra a cambiare pelle ma è lei a dover cambiare partito.

IL SOLITO CALENDA
Calenda: “Mi candiderò a Roma, nel proporzionale. Ma è presto per parlare di candidature»” Degli altri.

CORRERE CORRERE
“Noi saremo la sorpresa di queste elezioni» dice il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, capo politico di Impegno Civico, in un’intervista al Corriere della Sera. Di Maio è convinto che “Impegno civico andrà oltre il 3 per cento e ci sarà spazio per tutti quelli che vorranno correre nelle liste”. Lui, intanto, si fa eleggere.

DOMINO’S TECUM
La catena di pizzerie Domino’s chiude e Il Foglio scrive che “non ce li siamo meritati”. È il solito teorema de Il Foglio: viva il mercato libero ma i clienti devono fare come dicono loro.

13 – Segue

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A sinistra l’hanno riabilitato. Ma Berlusconi non cambia mai

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Beatrice Brignone è segretaria di Possibile, il partito fondato da Pippo Civati che partecipa a questa tornata elettorale nella lista di Sinistra italiana/Verdi, per il “campo largo” del Partito democratico di Enrico Letta.

Brignone, oggi si fa un gran parlare dell’uscita di Silvio Berlusconi che freme per il presidenzialismo e si augura le prossime dimissioni di Sergio Mattarella. Che ne pensa
“È l’ennesima dimostrazione del perché bisogna fare di tutto per non far vincere questa destra. Ancora una volta sono usciti dal contesto delle cose che servono davvero alle persone pur di rilanciare il loro vecchio pallino del presidenzialismo che non ha nessun impatto sulla vita reale dei cittadini. Per questo noi dobbiamo invece rimanere sui bisogni reali. Tra l’altro per noi di Possibile Mattarella è stato un pilastro in questi anni e meriterebbe almeno di essere tenuto fuori da queste becere dichiarazioni propagandistiche”.

Ma c’è un reale rischio che la destra metta le mani sulla Costituzione?
“Secondo me sì. I numeri ci dicono così. Con gli uninominali arrivano al 60% dei seggi. Con il 40% che i sondaggi gli assegnano e in più il bonus di questa pessima legge elettorale possono avere una maggioranza molto larga. E sinceramente non vedo personalità nel centrodestra attente al confronto e al dialogo parlamentare. Se possono lo fanno”.

Ma ha senso una campagna elettorale costruita intorno a questo pericolo?
“No, è infatti pessima e completamente sbagliata. È identica dai tempi in cui Berlusconi si affacciava sulla scena politica., Io da quando ho iniziato a votare sento sempre le solite cose. Serve una campagna elettorale con un progetto di Paese. Personalmente lo spettro delle destre non lo userei più altrimenti si rischia di sembrare senza idee. Fuori la gente parla d’altro: è preoccupata per i costi del riscaldamento nel prossimo inverno, è preoccupata dei costi per spostarsi e andare al lavoro. Per questo noi dobbiamo concentrarci sulle soluzioni. E magari anche usare un linguaggio diverso da quello dei nostri avversari”.

Eppure ai tempi dell’elezione del Presidente della Repubblica Berlusconi era stato riabilitato anche dal centrosinistra, oltre che da Matteo Renzi e Carlo Calenda… E il Pd con Berlusconi ci ha governato…
“Noi ci siamo sempre opposti alle larghe intese. La valanga è venuta giù proprio quando il centrosinistra ha aperto alle larghe intese. Io sono marchigiana e proprio nelle Marche c’è stata la prima apertura del Pd all’Udc. Conosco bene i danni delle larghe intese. Credo che il centrosinistra debba riconquistare molta credibilità e per farlo deve avere il coraggio di non stare al governo a ogni costo. Bisogna avere il coraggio di essere coerenti anche a costo di stare all’opposizione, senza cadere nella tentazione di governi larghi in nome di una presunta ‘responsabilità’”.

Immaginiamo: il governo Meloni si farà, dura poco e poi cade e alla fine si ritorna a un bel governo tecnico con quasi tutti dentro. Finisce che chi vi sceglie regala voti al prossimo governo di unità nazionale?
“Dobbiamo essere onesti: questa legge elettorale consente di farlo. Per questo se io fossi in Letta sarei molto chiara su questo argomento, direi subito che non ci saranno nuove alleanze con il centrodestra, anche in un momento difficile. è sempre il discorso di prima, questo attaccamento e questa voglia di rimanere sempre al potere. Io posso assicurare che Possibile non lo farà. Noi siamo qui per fare il centrosinistra. È un messaggio semplice che andrebbe dato da tutti per riacquistare credibilità”.

Come ci si sente da alleati di Luigi Di Maio?
“Beh, vale anche per il periodo in cui c’era Calenda. Io non temo che noi come Possibile ne saremo toccati, non temo di esserne contaminata. Questa oscena legge elettorale almeno consente di avere un proprio programma elettorale. Noi abbiamo il nostro programma, ci candidiamo per quello. Spero che varremo più di Di Maio. Sono molto determinata e convinta che stiamo portando avanti le battaglie giuste”.

Eppure da fuori il centrodestra presenta un suo programma unitario, si mostra compatto mentre da voi fioccano i distinguo…
“Il centrodestra è sempre bravissimo a sfumare le proprie differenze in campagna elettorale e apparire compatto. Il centrosinistra da sempre ha mille anime e rischiamo ovviamente di pagare questa nostra caratteristica. Dipende però da come sfruttiamo il tempo che abbiamo. Potremmo imparare la lezione e trovare temi che ci uniscono. Faccio un esempio: siamo d’accordo sul salario minimo? Bene, diciamolo chiaramente, “questo si può fare”. Abbiamo perso i primi giorni di campagna elettorale a parlare di persone ma sarebbe opportuno ora dire perché ci candidiamo, questo interessa alla gente. Se fossi in Letta riunirei tutta la collezione e troverei 5 temi scelti tutti insieme e batterei su quelli”.

Secondo lei il centro di Renzi e Calenda sarebbe pronto a fare da stampella a Giorgia Meloni?
“Non mi stupirei affatto”.

Come giudica la scelta di lasciare fuori il M5S?
“Li avrei tenuti dentro. Avrei allargato veramente il più possibile, superando tutte le questioni per tornare al punto principale: questa legge elettorale non consente altro. Le regole del gioco sono queste. Io avrei provato a tenere dentro anche Luigi De Magistris. Esiste un minimo comune denominatore. La base di ragionamento comune c’era”.

Però De Magistris è tra quelli che vi criticano per esservi “venduti al Pd”…
“Ieri sui social siamo diventati trend topic più per le persone che appoggiano la nostra scelta, che tra l’altro è frutto di una votazione dell’assemblea. Chiaro che chi è schierato con de Magistris può non coglierla e non condividerla. Noi non siamo mai stati teneri con il Pd ma il Pd non è il nostro nemico. Io in politica cerco sempre di capire cosa ci accomuna, non mi interessano i toni testosteronici. Qui tra l’altro non si è venduto nessuno: ci siamo rimboccati le maniche da anni. Se avessimo voluto venderci avremmo trovato strade più semplici”.

È contenta che Calenda se ne sia andato?
“Sì, perché ci avrebbe messo in difficoltà con le proposte. Ma, ripeto, non ho problemi, non mi faccio contaminare. È vero che ora il quadro è più chiaro”.

Civati rientra in Parlamento?
“Civati l’ha scritto chiaramente. Lui è generoso ma deve avere un senso”.

Lei, come segretaria di Possibile, la diamo per scontata…
“Certamente ci metto la faccia”.

 

Leggi anche: La voglia dei pieni poteri non finisce mai. Berlusconi svela il segreto di Pulcinella: una volta vinte le elezioni, le destre cambieranno il sistema da parlamentare a presidenziale

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Presidenzialismo, Berlusconi svela il segreto di Pulcinella

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“Il presidenzialismo esalta la democrazia, in Francia e Stati Uniti non è possibile quello che è successo in Italia, che dopo il mio Governo non c’è stato alcun Governo eletto dal popolo”. Lo dice Silvio Berlusconi riferendosi alla proposta di riforma costituzionale che sta nel programma del centrodestra.

Il Presidenzialismo è un sogno che Berlusconi coltiva da sempre e che Salvini e Meloni assecondano molto volentieri

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica è un sogno che Berlusconi coltiva da sempre – ovviamente vedendosi al Quirinale – e che Matteo Salvini e Giorgia Meloni, amanti per natura dell’uomo forte al comando, assecondano molto volentieri. Ma Berlusconi aggiunge: “Se entrasse in vigore il presidenzialismo Mattarella dovrebbe dimettersi, poi magari potrebbe essere eletto di nuovo”. A questo punto scoppia la polemica.

“Questa dichiarazione è la dimostrazione di quello che noi diciamo: per battere la destra l’unica alternativa è votare la coalizione che è nata attorno al Pd. Lui dice che se vince vuole cambiare la Costituzione in senso peggiorativo” e “attacca Mattarella mentre noi lo difendiamo. Il fatto che il centrodestra inizi la sua campagna con un attacco a Mattarella e la richiesta di dimissioni dimostra che la destra è pericolosa per il paese”, ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, aggiungendo: “Se oggi c’è un punto di unità nel paese è Mattarella e ora dopo aver fatto cadere Draghi vogliono fare cadere Mattarella”.

A stretto giro di posta sul tema interviene anche Luigi Di Maio: “Berlusconi ha dichiarato una cosa inquietante sul presidenzialismo, ha detto ‘Mattarella si deve dimettere’. Che il presidenzialismo fosse nel programma del centrodestra lo sapevamo da tempo: Berlusconi voleva fare il Presidente della Repubblica non c’è riuscito. Adesso capiamo che vuole fare il presidenzialismo per buttare giù Mattarella. Non c’è niente di moderato in questo. Sta venendo fuori la maschera del centrodestra, a loro non sta bene nemmeno avere il garante della Costituzione”.

Su Facebook il capo politico del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte scrive: “Con le parole di Silvio Berlusconi il centrodestra ha calato la maschera, ammettendo che la riforma costituzionale in senso presidenzialistico di cui parla prefigura un semplice un accordo spartitorio: Giorgia Meloni premier, Matteo Salvini vicepremier e Ministro dell’interno, Silvio Berlusconi primo Presidente della nuova Repubblica presidenziale, dopo avere ottenuto le dimissioni di Sergio Mattarella“.

E poi aggiunge: “Non permetteremo che le Istituzioni siano piegate alle fameliche logiche spartitorie delle forze di destra”. Prova a mettere un po’ d’ordine anche il presidente della Camera Roberto Fico ricordando che “la nostra è una Repubblica parlamentare. Il nostro Presidente della Repubblica ha un mandato della durata di sette anni. Qualcuno se ne dovrebbe fare una ragione e non trascinare le istituzioni nella campagna elettorale”.

Prova a smorzare la polemica Meloni che in un’intervista spiega che “il presidenzialismo è una riforma seria che è anche economica, grazie alla stabilità si riesce a dare fiducia agli investitori” ma ormai il messaggio è chiaro: questa destra non vede l’ora di mettere le mani sulla Costituzione. Berlusconi ovviamente dice di essere stato frainteso (“Non ho mai attaccato il Presidente Mattarella, né mai ne ho chiesto le dimissioni. Ho solo detto una cosa ovvia e scontata”) e parla di “malafede di chi mi attribuisce un’intenzione che non è mai stata la mia”.

In fondo siamo all’ennesima autocandidatura di questa campagna elettorale, dopo Carlo Calenda a Palazzo Chigi e il virologo Matteo Bassetti al ministero della Sanità. Solo che in questo caso abbiamo un uomo amico di amici di Cosa Nostra che vuole il Quirinale, E che, nella peggiore delle ipotesi, è seriamente lanciato verso la presidenza del Senato, seconda carica della nostra Repubblica.

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Cercasi seggio per lady Mastella. Continua il bestiario elettorale

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Il matrimonio tra Matteo e Carlo s’è fatto. Ma non c’è da stare tranquilli perché passerà pochissimo tempo prima che si rimettano a bastonarsi di nuovo. Eccoci al nuovo bestiario elettorale.

RESISTENTE COME UN FASSINO
In nome del rinnovamento e dei volti nuovi da portare in Parlamento il Pd decide di concedere la settima legislatura a Piero Fassino, entrato alla Camera per la prima volta nel 1994 con una pausa di 7 anni da sindaco di Torino. Letta avrebbe voluto candidarlo nel plurinominale in Emilia Romagna ma il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini giustamente ha respinto la proposta: “Se ti ritieni leader, prendi i voti a casa tua”, ha detto Bonaccini. Fassino tace. Calati juncu ca passa la china.

BERLUSCONI IN RITARDO
“Di fronte all’inflazione, che sta erodendo i redditi e i risparmi delle famiglie, vogliamo azzerare l’Iva sui prodotti di prima necessità come il pane, la pasta o il latte”. Lo scrive su Twitter il leader di Fi, Silvio Berlusconi. Bella idea, solo che questa proposta l’hanno già fatta praticamente tutti i partiti, in Parlamento e fuori. Ci aspettiamo che domani Silvio annunci l’avvento della televisione a colori.

CHI TROVA UN AMICO…
Dice Carlo Calenda a RTL102.5: “Ho imparato che in politica, a differenza delle aziende, finché non hai chiuso non hai chiuso”. In azienda (e nella vita) invece ha capito che ciò che conta è avere un amico che conta, sempre. Ha trovato Renzi. E conta anche fingersi amico del capo. Per quello c’è (suo malgrado) Mario Draghi.

L’UNICO VERO CENTRO
Clemente Mastella conferma: “Depositeremo il nostro simbolo, ci presentiamo in tutta Italia”. Sul “centro” di Renzi e Calenda dice: “C’è questa incompatibilità caratteriale tra Renzi e Calenda, oggi sembrano tutti damerino ma domani… Questo piccolo polo non prenderà neppure un parlamentare”. Intanto Mastella ha bussato alla porta di Forza Italia per ottenere una candidatura per la senatrice e moglie Sandra Lonardo (nella foto). L’univo vero centro è quello di Mastella e consiste nell’entrarci, a tutti i costi.

VEDO E PREVEDO
Sembra molto probabile che alla fine Matteo Bassetti abbia trovato qualcuno che gli offre un seggio da parlamentare. Dovrebbe essere il partito di Giorgia Meloni a offrire una candidatura sicura al virologo italiano che ha scoperto da poco l’incanto della popolarità. Il 9 febbraio aveva risposto “direi di no” a Radio2. C’è da dire, a sua discolpa, che di previsioni Bassetti non ne ha mai imbroccata una.

BAGNAI, AL PASSATO
Il leghista Alberto Bagnai se la prende con il sindaco di Milano Beppe Sala che bolla come superficiale la proposta di flat tax di Matteo Salvini. Come cambiano le cose. Come fa giustamente notare Luciano Capone “Bagnai era contrario alla Flat tax ma è entrato nella Lega perché Salvini voleva uscire dall’Euro (la svolta economica, secondo lui, necessaria e più importante di tutto il resto). Ora il leghista Bagnai è favorevole alla Flat tax anche se Salvini non vuole più uscire dall’Euro”. Usciamo da Bagnai.

MELONI REDENTA
Meloni rinnega (in inglese) il fascismo e tutti applaudono, Calenda in testa. Dice bene Claudio Riccio: “L’Italia è l’unico paese al mondo in cui se una persona che fa politica da sempre, dice, per la prima volta in vent’anni (e per evidente opportunismo), ‘è sbagliato sterminare milioni di ebrei’ le si dice anche ‘Brava!’”.

ECOLOGIA LESSICALE
Facciamo un patto, chiamiamo le cose con il loro nome. Meloni e compagni non sono “centrodestra”: sono destra. In tutti i Paesi del mondo non ci si vergogna a scriverlo. O forse se ne vergognano anche loro?

12- Segue

Leggi anche: I partiti stringono sui candidati. Molte le toghe in lizza. Da Matone a Maresca. Camusso e l’uomo dei tagli, Cottarelli: nel Pd c’è di tutto. La giornalista Maglie e Ferri (Mef) novità nella Lega

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La peggiore destra di sempre

Conviene leggerlo con calma il “programma” elettorale che il centrodestra ha partorito dopo una lunga gestazione riempita di messaggi contraddittori.

Si capirebbe, ad esempio, che la flat tax per le partite iva altro non è che il modo per aumentare le (finte) collaborazioni con le aziende togliendole dall’impiccio di dover assumere. Rendere più conveniente la precarietà è un ulteriore passo verso una precarietà peggiore.

Ci si renderebbe conto che gli hotspot su Paesi stranieri (quello che Meloni fino a pochi giorni fa chiamava “blocco navale” e che invece non è altro che un appaltare il problema) è un’idea già di Boris Johnson nel Regno Unito. Andate a vedere la fine che sta facendo. Stupisce anche l’idiozia di credere che si possa trattare con Paesi instabili e inaffidabili. Se non fosse così la gente non scapperebbe, evidentemente. Notevole anche la faccia tosta con cui si parla di “integrazione”. Chi integrerebbero se non vogliono nessuno?

Leggendo il programma della peggiore destra di sempre ci si rende conto che è tutto miele per gli evasori fiscali. Facciamo i conti ancora oggi, nella situazione in cui siamo, con condoni mascherati, con innalzamento delle soglie dei contanti (le mafie ringraziano), con l’avversione per i pagamenti digitali (gli evasori applaudono) e con una riforma del fisco raccontata in due righe senza sapere da dove hanno intenzione di prendere i soldi.

Se leggete il programma della peggiore destra di sempre vi accorgerete che nonostante tutto il loro can can contro il Reddito di cittadinanza è ammuina elettorale. Anche la peggiore destra di sempre sa che i poveri votano, eccome, e quindi promette di regalare soldi (come l’innalzamento delle pensioni, le dentiere e tutto il resto) semplicemente chiamandoli in altro modo. Hanno negato la povertà e ora le chiedono il voto.

Se leggete il programma elettorale della peggiore destra di sempre vi rendete conto che il presidenzialismo fortemente voluto da Berlusconi (per accarezzare il sogno di diventare imperatore) è ancora più inquietante in un momento in cui il primo partito in Italia oggi presenta il suo simbolo con la fiamma tricolore. Quel partito a cui è bastato un passaggio di qualche secondo contro il fascismo per essere riabilitato.

Buon venerdì.

 

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Ecco il programma delle destre. Corsa a chi la spara più grossa

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C’è la flat tax nella versione di Salvini, ma anche in quelle ben diverse di Berlusconi e Meloni. E poi un evergreen: il ponte sullo Stretto di Messina. Più i voucher e cose belle per tutti. Tranne che per i poveri con il Reddito di cittadinanza. Ecco il programma delle destre.

Sulla Flat tax tre proposte diverse da Lega, FI e FdI. Ma su una cosa a destra sono d’accordo: mano tesa agli evasori

Eppure, chissà perché, il centrodestra in Italia è riuscito a raccattare i voti di quelli a cui piace giocare con l’economia, con la finanza e con i numeri. Fino a quel governo Berlusconi cacciato dagli italiani e dall’Europa – stava affondando l’Italia e Giulio Tremonti ai tempi era ministro – Forza Italia era considerata il partito di quelli che ci sapevano fare.

Un po’ il merito di quel Silvio Berlusconi che “si era fatto da solo” (poi i giudici ci hanno detto che si era fatto anche grazie agli amici di Dell’Utri che sono uomini di Cosa Nostra) e un po’ perché il sogno degli italiani è di pagare meno tasse – o non pagarle e rimanere impuniti – e di non preoccuparsi dei conti pubblici.

In questa campagna elettorale che quasi tutti danno già per vinta Matteo Salvini e Berlusconi hanno collezionato già nei primi giorni una serie di inconcludenti figuracce che in una Paese normale – uno di quelli in cui ai politici si chiede di dimostrare la sostenibilità economica delle proprie proposte – ne avrebbe determinato il crollo della credibilità. Non andrà così.

La barzelletta più prorompente è il pasticcio sulla flat tax. Salvini è partito fin dalle prime ore di campagna proponendo una tassa piatta al 15% per tutti. Per esagerare a un certo punti ci ha buttato dentro perfino i dipendenti. Nessuno ha capito esattamente dove troverebbe i soldi, nessuno in verità glielo ha chiesto con fermezza. Così il leader della Lega ha potuto scorrazzare liberamente sparando promesse come se fosse sempre Natale.

Dalle parti di Forza Italia per non essere da meno il coordinatore del partito Antonio Tajani ha rilanciato proponendo una flat tax al 23%. Qui va notata l’incomprensibilità della proposta: se Salvini propone il 15% come si potrebbe pensare che gli elettori di centrodestra votino Tajani che promette una situazione peggiore?

La scena diventa talmente comica che a un certo punto interviene Giovanni Toti (che fa parte della stessa coalizione) che con calma spiega: “Prima regola: chiunque dica che abbasserà le tasse, anche solo di un euro, deve anche spiegare dove prenderà i soldi per farlo perché, se non si diminuisce la spesa o non si aumenta il Pil, ovvero la ricchezza, nessuno riuscirà realmente a diminuirle”.

Non so se l’avete notato anche voi ma in quelle parole Toti vi sta lasciando intendere che le promesse dei suoi alleati sono carta straccia. Interviene infine Giorgia Meloni, impegnata a fare apparire credibile quella banda sconclusionata, e si dice “convinta che la cosa migliore sia applicarla all’inizio sui redditi incrementali: vale a dire una tassa piatta su tutto quello che fatturi in più rispetto all’anno precedente, perché una misura di questo genere non ha bisogno di coperture particolari, trattandosi di eventuale maggiore gettito e ti consente di inserire il provvedimento nel nostro ordinamento per vedere come funziona”.

Sulle tasse Salvini e Berlusconi sono scatenati, in una sorta di ritorno alle campagne elettorali di quando eravamo ragazzini

Sulle tasse Salvini e Berlusconi sono scatenati, in una sorta di ritorno alle campagne elettorali di quando eravamo ragazzini. “I miei governi erano riusciti a mantenere la pressione fiscale sotto il 40 per cento, mentre ora è al 43,6 per cento”, dice Berlusconi in un’intervista a Il Messaggero. Falso: non è vero che durante i governi guidati da Berlusconi la pressione fiscale si è “sempre” mantenuta al di sotto del 40 per cento. Ed erano altri tempi, tempi molto più “buoni” di questi in cui tocca riparare i disastri provocati anche dai governi Berlusconi.

“Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha annunciato di voler introdurre una tassa patrimoniale sulla prima casa”. Falso: Letta non ha mai detto di voler introdurre una tassa patrimoniale sulla prima casa. Sulle accise invece si scatena Salvini (è un suo cavallo – perdente – di battaglia): il 9 agosto, in un’intervista con l’emittente radiofonica romana Radio Radio, il leader della Lega ha proposto (min. 6:44) di introdurre un tetto al prezzo del gas e dei consumi, dicendo che le tasse e le accise “sono più della metà della bolletta della luce”.

Anche in questo caso i fact checker di Pagella Politica sono andati a controllare e scrivono che i “dati Arera più recenti, relativi al terzo trimestre del 2022, attribuiscono alle imposte statali solo l’11 per cento del prezzo finale della bolletta”. Falso, insomma. Poi c’è la cosiddetta “pace fiscale” che altro non è che un condono mascherato (male). Del resto che il centrodestra insegua il voto degli evasori fiscali (come ha notato ieri anche il direttore di Domani Stefano Feltri) è cosa nota: Salvini e Meloni insistono per innalzare la soglia dei contanti e propongono una “voluntary disclosure” con imposte al 50% per il contante che si intende regolarizzare.

Nella stessa scia si immette la battaglia ai pagamenti digitali (“molti esercizi commerciali hanno perso l’opportunità di attrarre clientela, soprattutto straniera, abituata a spendere in contanti. Ognuno deve essere libero di pagare nella modalità e quantità che preferisce”, si legge nel programma della Lega). Sulla soglia dei contanti del resto siamo passati ai 12.500 euro fino al 2010, poi ai 1.000 euro con Mario Monti, poi a 3.000 con Matteo Renzi e poi a prevedere di abbassarlo a 1.000 nel 2023.

Poi c’è la rottamazione delle cartelle, chiamata “pace fiscale” che altro non è che un condono per gli evasori. Ieri, ospite a La corsa al voto su La7, Tajani, ha difeso la “pace fiscale” per recuperare una parte dei debiti che i contribuenti hanno con il fisco. “Pace fiscale è: ‘Tu devi mille euro allo Stato, decidi di pagare domani mattina: ne paghi 500’”, ha spiegato Tajani, sottolineando che non si tratta di un “condono” perché « il condono vuol dire che non paghi nulla”, mentre con la pace fiscale paghi solo una parte del debito con il fisco.

Eppure qualcuno potrebbe dirgli che ogni volta che si agevolano gli evasori è tecnicamente un condono. L’altro ieri è riapparso tutto sorridente Tremonti che sarebbe il ministro dell’Economia in pectore del prossimo governo di centrodestra. Qualcuno ha sperato che arrivasse finalmente una proposta di buonsenso, almeno qualcosa che si potesse verificare con i numeri e invece l’unica promessa che si è lasciato sfuggire l’ex ministro del Governo Berlusconi è stata “raddoppiare il 5×1000. Subito, come aiuto alle persone. Che diventi subito 10×1000” . Il livello è questo.

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Un saluto romano tira l’altro. Continua il bestiario elettorale

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Ora che il matrimonio tra Matteo Renzi e Carlo Calenda non è più interessante fioccano le nuove candidature e le bestiali uscite per il nostro bestiario elettorale.

Ora che il matrimonio tra Renzi e Calenda non è più interessante fioccano le nuove candidature per il nostro bestiario elettorale


TANTI SALUTI (ROMANI)
Francesco Storace (nella foto) scrive su Twitter: “Al bar di Capo d’Orlando. Uno entra e mi fa il saluto romano, “anche se non so se lo accetti”. “Ricambio volentieri”, gli faccio. Le cose belle della vita”. Bello, sì. Chissà se Giorgia Meloni ora la riconosce la “matrice”.

COME SI CAMBIA PER NON MORIRE
Federica Dieni è stata parlamentare per due mandati con il Movimento 5 Stelle. In questa legislatura è anche vicepresidente del Copasir. Ora passa con Renzi a Italia Viva. Dice di lei la presidente dei deputati Maria Elena Boschi: “L’arrivo di Federica dimostra che la costruzione di un progetto serio al centro è possibile e il tentativo di polarizzare le elezioni sta fallendo. Oggi più che mai il nostro progetto riformista si conferma attrattivo”.

Cosa diceva di Renzi e Boschi l’ex grillina Nel suo profilo social qualche tempo fa aveva pubblicato un foto proprio di Boschi scrivendo: “Io dico no a banche, affaristi senza scrupolo e a quello che ci propongono loro”. Illuminata sulla via di Riad.

COME S’OFFRE BASSETTI
Matteo Bassetti, noto per il suo narcisismo più che per la bravura a prevedere la curva del virus, dà la disponibilità per essere il futuro ministro della Salute. “Se qualcuno me lo chiedesse, sarei ovviamente onorato, lusingato e a disposizione per dare una mano come tecnico. Poi, in che ruolo, evidentemente non spetta a me dirlo”. Dopo Calenda presidente del Consiglio abbiamo il virologo ministro: dopo il governo dei competenti avremo il governo degli umili.

VIA IL LETTONE DI PUTIN
“Il mio rapporto con Putin si collocava in momenti storici diversi ed è stato funzionale a tentare di costruire un rapporto con Mosca che inserisse la Russia in un ordinamento pacifico dell’Europa e dell’Occidente, basato sul diritto internazionale”, spiega Silvio Berlusconi in un’intervista a Il (suo) Giornale. Dice Berlusconi: “Ora la nostra posizione è chiarissima. È quella del nostro governo, dell’Europa, dell’Alleanza Atlantica. La Russia ha violato la legalità internazionale”. Poteva limitarsi a quella nazionale, come Silvio.

SI CAMBIA AL FOGLIO
Spiega il vicedirettore de Il Foglio in prima pagina: “Giorgia Meloni secondo me non ha questa, diciamo qualità dell’essere fascista. Mi importa molto di più sapere se è per il libero mercato e queste cose qui, tutto il resto sono slogan”. Del resto con il libero mercato al Foglio toccherebbe vendere giornali, senza contributi pubblici. Ora urge normalizzare Meloni per essere subito pronti a servirla senza troppa vergogna.

5X1000 BALLE BLU
Nel centrodestra conviene che si fermino un secondo e si parlino tra loro. Matteo Salvini e Berlusconi continuano a proporre la flat tax ma con percentuali diverse. Ogni loro proposta non si capisce bene come dovremmo riuscire a pagarla. Poi ieri è tornato Giulio Tremonti come ministro all’Economia in pectore e tutti ci aspettavamo almeno una proposta che non fosse una sparata.

“In questi 10 anni la politica economica non è stata particolarmente brillante”, ha detto Tremonti. Tutti con il fiato sospeso per sentire la sua idea rivoluzionaria. E lui: “Una cosa che farei subito è raddoppiare il 5×1000. Subito, come aiuto alle persone. Che diventi subito 10×1000”. Ora sì che gli italiani si sentono veramente sollevati.

COLPA DELLA RACCHETTA
Youtrend conferma che Calenda vale poco, pochissimo (2%) e il leader di Azione li accusa di essere “i sondaggisti del Pd”. Come i bambini: è sempre colpa degli altri. Sempre.

11 – Segue

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Bonetti e Carfagna parafulmini di Matteo e Carlo

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Fingono di parlare di politica ma come al solito sono semplicemente lì a brigare di simboli di potere e di posti. Osservare Matteo Renzi e Carlo Calenda che fingono di esse impegnati per costruire il “terzo polo” è come assistere seduti comodamente nel salotto di casa alle gesta di ladri nel condominio di fronte.

La discussione è sulla divisione dei collegi: a Calenda brucia avere perso il malloppo che era riuscito a scippare a Enrico Letta e ora deve rispondere ai suoi che si sentivano già pronti con le valigie per Roma. Dall’altra parte Renzi, ovviamente, ha bluffato.

Ha bluffato quando ha detto ai giornali di essere pronto a cedere la leadership a Calenda – ma quando mai – e sa bene che Calenda bluffa con la sua sicumera per un simbolo che invece non ha in tasca. La rivendono come una lunga riunione politica ma è solo la messinscena poco credibile di una spartizione di (poco) potere che si consuma finché entrambi potranno dirsi vincitori, l’uno sull’altro.

Così si discute sul simbolo contando i millimetri per fare a gara di chi ce l’ha più grosso, si discute di chi deve essere ospitato in televisione, si litiga su chi deve essere intervistato sui giornali. Renzi e Calenda sanno benissimo che nonostante la campagna elettorale sia brevissima non riusciranno a non cedere alla tentazione di spararsi addosso. Chi fa il mediatore? Qui arriviamo al punto.

Le ministre Elena Bonetti e Mara Carfagna foglie di fico nella battaglia di potere tra Renzi e Calenda

Calenda ha pensato che l’ipotesi di Mara Carfagna (nella foto) potesse essere un’idea brillantissima poiché l’esser donna l’avrebbe preservata da certi attacchi degli avversari. Non male come idea delle donne usate come parafulmini. Qualcuno gli ha fatto notare tra l’altro che rendere una ministra di Silvio Berlusconi (fino a qualche ora fa) la faccia spendibile del “terzo polo” sarebbe stato un po’ eccessivo.

Carfagna intanto ha introiettato in fretta lo slogan della coalizione “seria” e lo ripete in tutte le interviste. Matteo Renzi avrebbe voluto affiancarla alla sua ministra Elena Bonetti ma Bonetti, benché esponente del governo, ha meno voti di un amministratore di condominio. Usare due donne come specchietto per le allodole mentre i due capi si menano dietro le quinte è un trucco facile da svelare.

Ma la bugia più grande è questa narrazione del “terzo polo”: c’è il centrodestra, c’è il campo largo del Partito democratico, c’è il Movimento 5 Stelle e non si sa per quale motivo la pozzanghera centrista debba essere terza. O meglio, il motivo lo sappiamo benissimo: credere che la politica sia sempre una proiezione di sé stessi. Solo quello.

Leggi anche: Oggi le nozze tra Renzi e Calenda. Ultima spiaggia per non sparire. Tensioni fino alla fine su leadership e collegi. Ma prevalgono l’amore per Draghi e l’astio per Letta

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L’attitudine al servilismo

Intorno a Giorgia Meloni si è attivato un meccanismo molto italiano, che ha a che fare con il potere e che ben descrive l’anima nera di questo Paese.

Giorgia Meloni studia da wasp (donna bianca anglosassone protestante, il modello mito dei repubblicani) ripetendo interviste in cui è vestita da repubblicana statunitense, truccata da repubblicana statunitense, con improbabili sfondi di abitazioni Usa. Per passare dalla figura della coatta romana post-fascista alla donna internazionale davvero può bastare uno studio di immagine ben fatto? È vero che il suo competitor Salvini si dedica a Nutella e spritz – non è particolarmente difficile da battere in termini di credibilità – ma sembra che tutti abbiano dimenticato l’enorme quantità di falsità e violenza verbale che Giorgia Meloni ci ha rifilato negli ultimi anni.

Com’è possibile che una leader di partito e il suo partito improvvisamente diventino credibili dopo essere stati derisi? Semplice, basta avere una buona predisposizione al servilismo. C’è una parte dei giornali che ha come missione aziendale (e a volte anche editoriale) quella di piacere al potere, chiunque esso sia. Sono i media che di volta in volta diventano berlusconiani, poi montiani, poi renziani, poi salviniani, poi draghiani e ora senza troppi problemi si cambiano l’intimo per esser pronti a diventare meloniani. Li riconoscete facilmente: sono quelli che nelle ultime settimane insistono sul fatto che l’antifascismo sia un vezzo e che Giorgia Meloni non sia fascista «perché l’ha detto» lei. Hanno il coraggio di scriverlo esattamente così.

Ieri Carlo Calenda (uno che sta ampiamente dimostrando di essere pronto ad attraccare in ogni porto pur annusare il potere) ha riportato un’agenzia di stampa che riprendeva il discorso multilingue confezionato da Giorgia Meloni per diventare potabile a livello internazionale (in cui dice – in inglese – «no ambiguità sul fascismo») e ha scritto: «Penso che sia doveroso prendere atto di questo passaggio chiaro e netto di ⁦Giorgia Meloni». Eccola la normalizzazione per utilità personale.

Del resto per essere antifascisti bisogna avere la schiena dritta, non cadere mai nella tentazione di assecondare i potenti.

Buon giovedì.

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