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Ora Calenda deve umiliare Renzi

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Era il 7 marzo del 2018 e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, aveva pochi dubbi: “Bisogna liberarsi al più presto di personaggi come Carlo Calenda e ricominciare un cammino diverso”, disse a Bari, a margine di una conferenza stampa sul turismo. “E adesso – ha aggiunto – la brutta notizia è che ha perfino deciso di iscriversi al Pd: questa veramente è la notizia più triste di questi giorni”.

Quella tra Matteo Renzi e Carlo Calenda è una lunga storia di amore e odio

Molto più schietto fu lo scrittore Fulvio Abbate: “Carlo Calenda, figlio della regista e scrittrice Cristina Comencini, spermatozoo d’oro della Roma borghese dalle insegne artistico – scrisse Abbate a gennaio 2018 – intellettuali, l’Urbe dei quartieri con prenotazione obbligatoria, tra Villa Balestra a Monti Parioli e piazza Caprera nel cuore di gnomo del Quartiere Trieste, fa di meglio. Mai sfiorato dal bisogno d’essere un rivoluzionario, un incendiario, un Franti, assodato che non è neppure nella sua natura, nella sua indole, nel suo peso-forma da circolo di canottieri affacciato sul Tevere. Calenda preferisce piuttosto affiancarsi al proverbiale Luca Cordero di Montezemolo, che infatti lo porterà fin da subito alla Ferrari con ruoli di ‘responsabile gestione relazioni con i clienti e con le istituzioni finanziarie’”.

Dalla Ferrari a Sky, poi assistente del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo e poi la politica. Viceministro allo Sviluppo economico con Enrico Letta e Matteo Renzi, poi ministro con Renzi e Paolo Gentiloni, parlamentare europeo con una valanga di preferenze ma nella lista del Pd e poi segretario di Azione, capo del suo partitino personale dopo una vita sotto padrone.

Fulminato da Mario Monti – per cui si è candidato nella fallimentare operazione politica di Scelta Civica – Carlo Calenda diventa Calenda grazie al tocco magico di Renzi, nel periodo d’oro del renzismo in cui tutto ciò che toccava Matteo si trasformava in magia.

È proprio Renzi a innervosire un bel pezzo della diplomazia italiana per la nomina di Calenda a Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea sostituendo Stefano Sannino, considerato da Renzi troppo poco combattivo e troppo “compatibile” con i riti europei. In quell’occasione 200 diplomaci in una lettera definirono la nomina di Calenda “un segnale che potrebbe preludere all’esclusione dei diplomatici di carriera dagli incarichi di maggiore responsabilità” e che “attesta il declino di autorevolezza dell’Amministrazione degli Affari esteri”.

“Serviva uno rissoso? – chiesero a Renzi i diplomatici italiani – Ma qui è pieno di gente rissosa. Il punto è se basta battere i pugni”. Matteo però fece scudo a Carlo e forse il loro tormentato rapporto in quei momenti fu saldo come non mai. Calenda, si sa, ama essere protetto e per Renzi non c’è soddisfazione più grande di passare come protettore dei suoi.

Poi qualcosa si è rotto e com’era facilmente immaginabile l’egocentrismo dei due incendiò ancora di più la rottura. “Non ho nessuna intenzione di fare un partito con Renzi”, diceva Calenda a novembre dell’anno scorso. Era l’epoca in cui Calenda bastonava Renzi per la sua alleanza con Gianfranco Miccichè in Sicilia e per “l’inconsistenza” della Leopolda. All’inizio del 2021 Calenda e Renzi se le erano date di santa ragione per la nascita del secondo governo Conte. Poi arriva di nuovo l’alleanza per le elezioni amministrative di Roma.

Calenda rivendica un risultato clamoroso grazie al suo nome sulla scheda elettorale ma Renzi lo corregge ricordandogli che tra i consiglieri comunali Valerio Casini e Francesca Leoncini sono stati eletti in quota Italia Viva. “Non siete in grado di ragionare, – rispose Calenda- neanche in presenza di un’apertura, piena di riconoscimenti per il lavoro fatto. Vi raccontate che a Roma il risultato è soprattutto merito di Renzi, come tutto ciò che di buono accade nel mondo. Siamo all’infallibilità. È religione non politica”.

Quando si scatena il caso Open Calenda difende Renzi per la “barbarie dell’attacco giudiziario” ma chiarisce: “Renzi è un mio avversario”. Poi ci sono gli attacchi sul caso Renzi-Arabia Saudita. Nel giorno in cui viene eletto segretario di Azione, Calenda – eravamo all’inizio del 2021 – dice di Renzi: “Lo ritengo il migliore presidente dai tempi di De Gasperi. A lui dico: certo che stiamo insieme ma non è pensabile che tu sia pagato da uno Stato straniero. Decidi se vuoi fare politica o business. Io da quando faccio politica non ho più una consulenza. Chi fa politica non fa consulenze: i soldi li trova dai suoi sostenitori. Renzi questo lo sa perfettamente”.

E ancora: “Con che credibilità Renzi potrebbe in futuro ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri o sedere nel Copasir o influenzare la politica estera dopo aver preso soldi personalmente dall’Arabia Saudita”, disse un mese prima. “Ritengo inaccettabile – affondò Calenda – che un senatore della Repubblica, pagato dai cittadini, vada in giro per il mondo a fare il testimonial di regimi autocratici dietro pagamento di lauti compensi. Prendere soldi da governi di Paesi stranieri mentre eserciti ancora un’attività politica è inaccettabile”.

A novembre dell’anno scorso Renzi vola a Wall Street per il lancio della società italo-russa di car sharing Delimobil, nel cui cda sedeva il leader di Italia Viva: “Trovo sbagliato che un leader di partito faccia attività di lobbying. – rimarcò ancora Calenda – Questo suo comportamento avrà influenza nel progetto del Grande centro”.

Perfino pochi giorni fa, quando Calenda era ancora nel “campo largo” del Pd con Letta, la risposta a un elettore di Italia Viva lascia pochi dubbi. “Io voto Italia Viva”, scrisse il malcapitato e Calenda: “Bravo! Regala un voto a Salvini e Meloni su uninominali. Però potrai rivendicare la tua purezza. Insieme a chi ha fatto il Conte 2 e fa il promoter dei sauditi. Insomma una vera alternativa liberale”.

Carlo e Matteo, sempre pronti a cambiare idea per uno spicchio di popolarità

Pochi mesi fa quando qualcuno chiedeva a Calenda di un’eventuale collaborazione con Renzi il giudizio era sempre lo stesso: “Io vedo la necessità di un grande motore politico riformista contro i populismi. Non di un centro che sia un fritto misto che si allea ora a destra ora a sinistra, alla ricerca di un vantaggio”. Carlo e Matteo, sempre pronti a cambiare idea per uno spicchio di popolarità.

Leggi anche: Trovato l’accordo tra Italia viva e Azione. A ore Calenda vedrà Renzi. Durissima la Bonino: “Mai visto un voltafaccia così repentino, immotivato e truffaldino” 

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Ombre sulla “Greta” italiana. Continua il bestiario elettorale

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Non c’è solo la telenovela dell’estate dell’amore che torna tra Matteo Renzi e Carlo Calenda nella giornata elettorale. C’è un super Silvio Berlusconi e parecchio materiale per il bestiario.

LUIGI LE SBAGLIA TUTTE

Per dimostrare che il suo nuovo partito non è solo un’operazione di recupero del ceto politico, Luigi Di Maio si butta sull’ambientalismo e candida Federica Gasbarro, una giovane attivista che alcuni definiscono “la Greta italiana”. “Sarai l’anima ambientalista di Impegno Civico”, le dice Di Maio.

Solo che a gennaio il movimento Friday for future Italia aveva preso le distanze da Gasbarro: “Federica non rappresenta in maniera ufficiale il pensiero dietro il nostro movimento contro i cambiamenti climatici – scriveva a gennaio il movimento -. Federica è stata più volte richiamata dal movimento per aver approfittato degli spazi concessi per accrescere la sua immagine personale e dare una visione edulcorata delle proteste”. Perfetta per Di Maio, se ci pensate.

TASSATE LE BUFALE DI DESTRA
Silvio Berlusconi e Matteo Salvini insistono con la promessa di abbassare le tasse, proponendo una flat tax che – guarda caso – impoverirebbe i poveri per arricchire i ricchi. Salvini propone il 15%, Tajani di Forza Italia parla del 23% e osservandoli da fuori ci si chiede se non avessero potuto mettersi d’accordo prima di venire da noi elettori. Al Tg1 ieri un esponente di Forza Italia è riuscito a dire che i soldi per la flat tax li troveranno rottamando le cartelle esattoriali, con le quali contano di recuperare mille miliardi di euro.

Ha detto veramente mille miliardi. Alla fine interviene Giovanni Toti (che è della stessa coalizione) in un video in cui spiega: “Prima regola: chiunque dica che abbasserà le tasse, anche solo di un euro, deve anche spiegare dove prenderà i soldi per farlo perché, se non si diminuisce la spesa o non si aumenta il Pil, ovvero la ricchezza, nessuno riuscirà realmente a diminuirle”. Comprereste un’auto usata da questi?

SBADATI SULLA LEGGE ELETTORALE
Lo scrive benissimo il professore ordinario di diritto costituzionale Andrea Pertici: “Sento critiche alla #LeggeElettorale provenire da ogni parte come se l’avesse portata la cicogna. In realtà si chiama #Rosatellum perché ideata da Rosato, attuale coordinatore di #ItaliaViva e voluta dal Pd guidato da Renzi, Lega e Forza Italia. Meglio non dimenticare”. La trave e la pagliuzza.

SINDACO SHOCK
Il sindaco di Como Alessandro Rapinese shock sui migranti: “Non vanno fatti circolare, ci sono ampie zone deserte della Barbagia che potrebbero ospitarli”. Centrosinistra, FdI e FI chiedono le scuse. Bersani: “inflazione di stupidaggini”, Deidda di FdI: “Il deserto è nella sua testa”. Incredibile è riuscito a fare incazzare tutti. Quinto polo.

PLURALE MAIESTATIS
Berlusconi: “Nel mio partito mi hanno detto che è importante che mi candidi, ora ci penso e poi decidiamo”. Dopo l’uscita di Gelmini, Carfagna e Brunetta resta da capire chi gliel’abbia chiesto. Forse il cane Dudù.

COS’È LA DESTRA, COS’È LA SINISTRA
La parlamentare Sabrina De Carlo lascia il M5S. Le motivazioni? “Conte troppo di sinistra”, spiega. E aggiunge: “Fedriga ottimo interlocutore vicino ai problemi della gente”. Insomma da né di destra né di sinistra ora ha voluto essere di sinistra e di destra. Confusa.

LA PEGGIORE CANZONE DI MORGAN
Il cantante Morgan: “Sto consigliando Meloni per il programma elettorale”. La leader di FdI smentisce: “Non è vero, ogni tanto ci scriviamo. L’altro giorno mi ha suggerito di stare attenta al linguaggio nel programma”. Paroliere a sua insaputa, in pratica.

10 – Segue

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Il blocco navale è una cagata pazzesca

Giorgia Meloni parla poco. C’è da capirla, la sua posizione è talmente avvantaggiata – anche  rispetto ai suoi alleati – che può solo sbagliare. Ma poiché non può pagare la campagna elettorale a farsi foto sentendo profumo di Palazzo Chigi la leader di Fratelli d’Italia ha ritirato fuori uno dei suoi pezzi forti, il blocco navale, e non le è nemmeno scappato da ridere.

Il blocco navale del resto ormai è un genere letterario che affonda le radici al tempo di Mare Nostrum, quando anche i più feroci dovettero arrendersi di fronte alla Cedu e alle Convenzioni internazionali. Dice l’articolo 42 dello Statuto delle Nazioni Unite che il blocco navale non può essere attivato unilateralmente da uno Stato se non nei casi di legittima difesa, e cioè in caso di aggressione o guerra. Poiché il contrasto dell’immigrazione non è una guerra (anche se a Meloni e soci piacerebbe) sarebbe semplicemente illegale.

Giorgia Meloni ha poi provato a correggere la sua proposta parlando di hotspot in Libia, rafforzando di fatto gli accordi con la Libia che iniziarono sotto il governo Gentiloni e che furono rinforzati da Matteo Salvini. Giorgia Meloni, come molti altri, sembra ignorare consapevolmente che stringere accordi con la Libia significhi non avere idea della situazione politica di quei territori e non conoscere la costante violazione dei diritti umani. Stringereste un patto con dei carnefici? A meno che Giorgia Meloni non dismetta i panni da novella statista e confessi limpidamente di volere proprio questo. Gianfranco Schiavone, membro di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), spiega a Eleonora Camilli per Redattore Sociale: «Questo tipo di proposte hanno tutte un retropensiero non espresso ma evidente: che si possa impedire il diritto di asilo come diritto di accesso individuale al territorio, selezionando i ‘veri rifugiati’ e bloccando le frontiere – dice Gianfranco Schiavone -. L’ipotesi è quello di un blocco navale realizzato sotto altre forme più o meno legali, ma tra l’ipotesi iniziale e quella apparentemente più ragionevole c’è una continuità di pensiero. Invece il diritto d’asilo prevede sempre il diritto di accesso al territorio dello Stato in cui si vuole chiedere protezione»

Giorgia Meloni parla poco ma quel poco di cui parla è violento e sbagliato.

Buon mercoledì.

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La lealtà secondo Carlo Calenda. Il leader più infedele che ci sia

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Ciò che è accaduto in questi ultimi giorni tra Carlo Calenda e il resto del mondo va tenuto a memoria, stampato e appeso nelle segreterie dei partiti che si definiscono progressisti e va insegnato a tutti coloro che nel corso della loro carriera politica potrebbero incrociarlo. Calenda è uno di quei politici che lucra sulla dimenticanza facile degli italiani.

Nel giro di pochi giorni Carlo Calenda ha fatto e disfatto patti e accordi. E ora lo sbocco più naturale è tra le braccia di Renzi

Il primo modo per disinnescarlo è esercitare la memoria. Era il 2 agosto quando Calenda aveva firmato l’accordo con il segretario del Pd Enrico Letta e il segretario di Più Europa (con cui Azione aveva già un accordo che gli permetteva di saltare la raccolta delle firme). I tre partiti si erano impegnati a presentarsi insieme alle elezioni convenendo su alcuni punti programmatici (tra cui la fantomatica “Agenda Draghi” che lo stesso Draghi moneta qualche ora dopo) e una spartizione dei seggi uninominali finale con un rapporto di 70/30 con i democratici come soci di maggioranza.

In quella stessa conferenza stampa Letta aveva chiarito che al di là dell’accordo appena siglato con Azione il Pd avrebbe allargato la coalizione coinvolgendo altre forze politiche. Chiunque, anche l’osservatore meno accorto, sapeva che Sinistra italiana e Europa Verde (guidati, rispettivamente, da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli) sarebbero stati in quell’alveo. Anzi, volendo essere ancora più precisi: basterebbe scorrere le pagine di politica per accorgersi che il patto tra Letta, Fratoianni e Bonelli fosse di molto precedente rispetto a quello con Carlo Calenda.

“Abbiamo siglato un patto elettorale che sta all’interno di un accordo più largo, con altre componenti che a nostro avviso sono fondamentali”, disse Letta. Per questo il 6 agosto il Partito democratico ha formalizzato gli accordi con Sinistra italiana e Europa Verde. Sempre nello stesso giorno sono entrati nell’alleanza elettorale (che Letta non ha mai chiamato “coalizione” proprio per chiarire come fosse un insieme di partiti che avevano punti programmatici perfino configgenti ma che dovevano adattarsi a questa pessima legge elettorale) il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il leader del Centro Democratico Bruno Tabacci (a cui Di Maio si è attaccato per avere in tasca il simbolo che gli permette di evitare la raccolta delle firme).

Ovviamente anche in questo caso Letta ha firmato una spartizione di seggi per i collegi uninominali e alcuni punti programmatici su cui convergere. Qui inizia lo show di Carlo Calenda, qui le calendiadi diventano un genere letterario. Calenda mira soprattutto contro Di Maio (accusato di essere un ex rappresentate del M5S) e Fratoianni (perché all’opposizione nel governo Draghi) ma ne ha anche per Bonelli che è – ovviamente – contro il nucleare che invece il prode Calenda indica nel suo programma come soluzione della crisi energetica (dimenticandosi di spiegare i costi e i tempi, ma questo evidentemente è un dettaglio).

Siamo al 7 agosto quando Calenda annuncia l’intenzione di uscire dall’alleanza. Lo fa a modo suo, in diretta televisiva ospite di Mezz’ora in più. “Se andiamo così dal Paese, ci facciamo ridere dietro”, ha detto. Letta finalmente dice quello che tutti pensano: “Ho ascoltato Carlo Calenda. Mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda Noi andiamo avanti nell’interesse dell’Italia”.

Il senso della lealtà di Calenda lo spiegano molto bene due voci che contatto in questa storia. Giordano Masini è coordinatore della segreteria di +Europa (che a differenza di Calenda ha confermato il suo patto con il Pd) e racconta dal suo profilo twitter: “Avremmo voluto confrontarci con @Azione_it sulla strada migliore da intraprendere, invece @CarloCalenda ha preferito comunicarci, via whattsapp, una decisione già presa ovvero la rottura unilaterale dell’accordo sottoscritto pochi giorni fa con il Pd, e la conseguente rottura del nostro patto di federazione se noi di @PiùEuropa non lo avessimo seguito. Prendere o lasciare, via whattsapp. Oggi dice ai giornali che ci aveva informati, fingendo di non capire la differenza tra una ‘informazione’ e una discussione. Gli abbiamo risposto che per prenderci la responsabilità del genere avremmo dovuto quantomeno riunire i nostri organismi dirigenti – segreteria, direzione – e confrontarci con i vertici di Azione attorno a un tavolo, lui ci ha risposto salutandoci e uscendo dalla chat”.

Anche il presidente di +Europa Riccardo Magi mette in fila gli eventi: “1. Carlo Calenda scrive una bozza di accordo con il Pd in cui pone a Letta tutte le condizioni tanto di Azione quanto di +Europa. 2. Enrico Letta accetta tutte quelle condizioni (tra cui il fatto che Fratoianni, Bonelli e Di Maio – che tutti sapevano sarebbero stati nella coalizione – non fossero candidati nei collegi uninominali). 3. Calenda, +Europa e il Pd firmano un patto davanti alle telecamere, baci e abbracci. 4. Letta, come concordato nel patto, sigla un accordo elettorale con altri partiti ma ribadisce che l’accordo programmatico e di Governo è quello con noi. 5. Calenda attacca Renzi per la sua idea di andare solo, dice che così favorirà solo la destra. 6. Passano solo 4 giorni e Calenda cambia idea. 7. Chiediamo a Calenda un incontro e ci dice che è inutile. Gli chiediamo di fare una riunione congiunta delle segreterie di +Europa/Azione per decidere tutti assieme. Ci dice di no. 8. Calenda dice di lasciare il patto con il Pd in diretta tv su Raitre. 9. Mentre noi convochiamo una direzione di +Europa per prendere una decisione lui avvisa i suoi che il patto di Federazione con +Europa è saltato (peccato scoprirlo cosi). 10. Non so se domani Calenda cambierà di nuovo idea. Un commento? Se la parola non ha valore la politica non ha valore. È una citazione di Carlo Calenda”.

Non serve aggiungere molto, le voci dei protagonisti restituiscono lo spessore di Calenda, la sua lealtà, il suo “onore”. Ora Calenda probabilmente finirà tra le braccia di Matteo Renzi. Immaginate i due peggiori egotici del panorama politico nazionale (e della storia politica recente) mettersi d’accordo su dichiarazioni, posizione e suddivisione dei collegi. Accadrà perché Carlo Calenda si evita i banchetti per la raccolta firme ma poi Carlo, com’è nella sua natura, dividerà per esistere. Finché la lezione non sarà imparata e ricordata.

La sirena di Renzi: “Carlo Calenda e i suoi devono decidere se fare o no l’accordo con noi”

“Carlo Calenda e i suoi devono decidere se fare o no l’accordo con noi, se fare una lista unica. Noi siamo disponibili a stare in squadra perché il Terzo polo sarebbe la grande sorpresa delle elezioni e solo con un terzo Polo forte si potrà chiedere a Draghi di rimanere a Palazzo Chigi” ha mandato a dire a Calenda e ai suoi, questa mattina a Omnibus, il leader di Italia viva, Matteo Renzi.

Leggi anche: Carlo Calenda esiste solo quando riesce a dividere

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Un decalogo sull’ambiente per i partiti

Dieci punti già pronti per una campagna elettorale che guardi all’ambiente. A sottoscriverli è il gruppo scientifico Energia per l’Italia, coordinato dal professor emerito dell’Università di Bologna Vincenzo Balzani, con numerosi scienziati e accademici.

«Siamo in una “tempesta perfetta”  – spiegano – nella quale le difficoltà sociali ed economiche della pandemia non ancora risolta si sommano all’emergenza climatica e alla crisi energetica, resa ancor più drammatica dalla guerra scatenata dalla Russia nel cuore dell’Europa». «In questo momento – si legge nell’appello – nel quale le italiane e gli italiani sono ancora preoccupati per la propria salute fisica, ma ancor più per le bollette di gas e luce e per i rincari del cibo, nel quale gli agricoltori vedono sparire i raccolti e le aziende energivore sono costrette a fermare gli impianti, nel quale i giovani vedono sfumare il loro futuro, siamo chiamati a votare avendo ben chiari i programmi dei partiti che si candidano a governare».

«Il decalogo:

1 TRANSIZIONE ENERGETICA, DALLE FONTI FOSSILI ALL’EFFICIENZA E ALLE FONTI RINNOVABILI

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente dal 1980 al 2019, a causa degli eventi estremi dovuti alla crisi climatica, l’Italia ha subito perdite economiche stimate in 72,5 miliardi di euro. L’inquinamento è responsabile in Italia di 60mila morti ogni anno. La dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio ci espone ai rischi della speculazione dei mercati e ci rende soggetti ai ricatti di regimi autocratici e antidemocratici. La crisi idrica che sta colpendo il Paese mette a rischio dal 30 al 50% della produzione agricola nazionale, penalizza la filiera agroalimentare, a causa dell’aumento generalizzato dei prezzi ed aumenta quindi le diseguaglianze sociali e di genere. È necessario accelerare la transizione dalle fonti fossili ed inquinanti ad un sistema basato sul risparmio energetico, l’efficienza e le fonti rinnovabili. Con queste scelte, dipenderemo meno dalle importazioni di gas e petrolio, avremo rapidamente bollette più basse, benefici ambientali e climatici, e anche una crescita virtuosa degli investimenti e dell’occupazione.

2 DEMOCRAZIA ENERGETICA, ENERGIA COME BENE COMUNE

Il Sole è il più grande “reattore a fusione nucleare” già disponibile per la produzione di energia rinnovabile e fornisce ogni anno 15mila volte l’energia di cui l’umanità necessita. La ricerca scientifica ha sviluppato le tecnologie necessarie a catturare l’energia solare come il fotovoltaico, il solare termico e l’eolico, così come quelle per conservare l’energia in maniera molto efficiente, ad esempio con le batterie al litio e i pompaggi idroelettrici. È necessario che ognuno di noi sia messo nelle condizioni di produrre energia pulita e soprattutto di condividere e scambiare l’energia prodotta attraverso la rete elettrica e il relativo mercato, che devono essere riorganizzati per gestire il 100% di energia elettrica rinnovabile. L’energia deve diventare un bene comune, staccandosi dalla logica dei sistemi centralizzati in cui pochi producono/distribuiscono e tutti consumano la risorsa, se hanno la possibilità di acquistarla. La democrazia energetica si può realizzare attraverso un’economia di condivisione del vettore energetico che alimenta le nostre società e una rete che supporta l’autoconsumo collettivo, attraverso l’indispensabile evoluzione delle comunità energetiche.

3 BASTA CON I SUSSIDI ALLE FONTI FOSSILI

In Italia ogni anno ben 35,5 miliardi di euro di denaro pubblico vanno a sostenere la produzione e l’impiego di fonti fossili. Secondo l’Ocse, questi sussidi gravano in modo importante sui conti pubblici e sulle tasche dei contribuenti, sono dannosi per l’ambiente, socialmente iniqui e inefficienti; l’onere che ne deriva grava sulla fiscalità generale e sottrae risorse che potrebbero essere destinate ad altri finanziamenti di pubblica utilità. Un tale fardello ambientalmente dannoso e socialmente iniquo va rimosso e le risorse economiche così liberate devono essere utilizzate per sostenere la transizione ecologica.

4 L’ENERGIA NUCLEARE NON È LA RISPOSTA GIUSTA ALLA CRISI

Un ritorno al nucleare per supportare la transizione ecologica e combattere il cambiamento climatico, come alcuni politici stanno affermando, è totalmente sbagliato per vari motivi. Non si tratta di una fonte energetica verde perché, se è vero che nelle centrali nucleari viene prodotta elettricità senza generare CO2, a monte se ne genera moltissima per processare il combustibile, per costruire e infine smantellare la centrale; l’uranio non è una fonte energetica rinnovabile e le scorte di combustibile sono limitate; il problema delle scorie non ha ancora una soluzione e sussiste il pericolo di gravi incidenti alle centrali, come Chernobyl e Fukushima dimostrano; la costruzione di una centrale nucleare richiede grandi investimenti e almeno 15 anni per completare i lavori; la dismissione di una centrale è un’impresa ancora più costosa della sua costruzione e produce altre scorie che non sappiamo dove mettere. Nel caso specifico dell’Italia, poi, c’è da considerare che il nostro Paese non è adatto al nucleare, essendo un territorio densamente popolato e sismico, che non ha riserve di uranio e, ormai, non ha neanche più le competenze per costruire e gestire una centrale nucleare, cosa che ci renderebbe dipendenti da altre nazioni che hanno uranio e tecnologia.

5 EDIFICI E TRASPORTI EFFICIENTI, SOSTENIBILI E NON INQUINANTI

Gli edifici italiani costruiti durante il boom economico del dopoguerra mostrano gravissimi limiti dal punto di vista energetico, generando alti costi energetici e forti emissioni di CO2 per il riscaldamento e il raffrescamento. Si deve assolutamente rimettere mano alla coibentazione e al miglioramento energetico di tutti gli edifici pubblici e privati puntando alla sostituzione delle caldaie a gas con efficienti termopompe elettriche, alimentate da fonti rinnovabili. Occorre inoltre un piano straordinario per l’installazione di pannelli solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria.

I trasporti in Italia generano il 25% di tutte le emissioni di gas serra, un fortissimo inquinamento dell’aria e sono quasi del tutto dipendenti dalle importazioni di petrolio. È necessario potenziare i trasporti pubblici locali a trazione elettrica, trasferire quote rilevanti delle merci su treno e vietare la vendita di nuovi motori termici entro una data ravvicinata. È necessario istituire prezzi politici per gli abbonamenti mensili o annualisull’intera rete del trasporto pubblico, utilizzare solo motori elettrici, estendere i treni veloci sull’intera rete, costruire una rete ciclabile nazionale molto capillare.

6 ATTIVARE SUBITO IL PIANO NAZIONALE DI ADATTAMENTO AL NUOVO CLIMA

Il cambiamento climatico è già in atto e sta creando impatti notevoli su popolazione ed ecosistemi. Bisogna assolutamente ridurre le emissioni di gas serra e quindi l’uso dei combustibili fossili (mitigazione) e allo stesso tempo bisogna agire sugli effetti del nuovo clima con azioni di adattamento, per ridurre i rischi già presenti e quelli futuri, anche maggiori e più frequenti. In Italia esiste una Strategia di adattamento nazionale da dieci anni, ma non c’è ancora un Piano nazionale di adattamento che selezioni le azioni prioritarie e le metta in atto, al contrario di quanto avviene in tutti i Paesi europei. È tempo che l’Italia si allinei; siamo già in clamoroso ritardo!

7 FORMAZIONE PER UNA CITTADINANZA CONSAPEVOLE E RICERCA FINALIZZATA A RISOLVERE LE CRISI

Il Paese deve investire in formazione e ricerca, a maggior ragione in un momento di crisi. La formazione è necessaria per avere cittadini e politici consapevoli delle grandi sfide che li attendono, mentre la ricerca è fondamentale per lo sviluppo. Formazione significa fornire agli studenti una preparazione inter- e trans-disciplinare creando lo spirito critico, necessario per muoversi nel mare delle informazioni oggi disponibili, e affrontare il problema della sostenibilità nelle sue tre dimensioni, ambientale, economica e sociale, facendo riferimento all’Agenda 2030. Ricerca significa investire il denaro pubblico avendo sempre in mente il bene sociale. Poiché i finanziamenti, per quanto cospicui, sono sempre limitati, occorre definire le linee di ricerca da potenziare; dovranno essere privilegiate quelle tematiche che ci permettono di trovare possibili soluzioni ai gravi problemi sanitari, ambientali, economici e sociali che caratterizzano la nostra epoca.

8 AGRICOLTURA SOSTENIBILE, CONSERVAZIONE DEL SUOLO E PROTEZIONE DELLE FORESTE

Il clima è cambiato e cambierà ancora; è dunque essenziale un adattamento del sistema agricolo italiano al nuovo clima: diminuzione e compatibilità ambientale delle produzioni animali, oggi eccessive e sostanzialmente insostenibili; potenziamento del settore biologico e delle produzioni locali; drastico abbattimento dei danni arrecati dall’agricoltura industriale ai suoli, alle acque e alla biodiversità; massima integrazione con l’ambiente e le risorse naturali disponibili. Le foreste non vanno tagliate ma protette e devono continuare a crescere e assorbire CO2. Serve un serio impegno per fermare il consumo irreversibile di suolo che si riflette sul dissesto idrogeologico, sul ciclo dell’acqua e indirettamente sul clima. I soldi pubblici che vanno alle imprese agroalimentari devono essere condizionati all’effettivo miglioramento sul fronte ambientale.

9 PROTEGGERE LA SALUTE DALL’INQUINAMENTO DELL’ARIA

La protezione dell’atmosfera deve agire sia sulle emissioni di gas serra, per limitarne gli impatti sul clima, sia sulle emissioni di inquinanti primari e secondari, per minimizzare le concentrazioni di composti insalubri nell’aria che respiriamo. Esempi di inquinanti sono il black carbon e l’ozono a bassa quota, che hanno effetti sulla salute e sul riscaldamento a breve termine del pianeta. In generale, come afferma l’Organizzazione mondiale della sanità nel suo rapporto 2021, gli sforzi per migliorare la qualità dell’aria possono ridurre i cambiamenti climatici e gli sforzi per la mitigazione dei cambiamenti climatici possono, a loro volta, migliorare la qualità dell’aria. Diminuendo cioè l’uso dei combustibili fossili si crea un circolo virtuoso che impedisce in Italia e nel mondo milioni di morti premature dovute sia alla cattiva qualità dell’aria che alle conseguenze del cambiamento climatico.

10 PIÙ EQUITÀ SOCIALE IN ITALIA E NEGOZIARE PER LA PACE IN EUROPA

I dati Istat informano che nel 2022 la povertà assoluta ha raggiunto il massimo storico in Italia, con circa 5,6 milioni di poveri. La pandemia Covid-19 e il cambiamento climatico hanno aumentato le disuguaglianze, esacerbando le difficoltà sociali e sanitarie. Per ridurre le disuguaglianze occorre, da un alto, redistribuire il reddito mediante tassazione progressiva più spinta, tetti agli stipendi più elevati, alte tasse di successione e tasse sui patrimoni elevati e, dall’altro, sviluppare e potenziare i servizi e i beni pubblici: sanità, scuola, trasporti, strutture sportive, parchi.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa, ha fatto decine di migliaia di vittime ed è già un conflitto di lunga durata con drammatiche conseguenze. Questa guerra va fermata subito e va cercata una soluzione negoziale; con le principali reti pacifiste e organizzazioni della società civile del nostro Paese, raccolte nel cartello Europe for Peace, chiediamo che l’Italia si impegni affinché riprendano i negoziati per un immediato cessate il fuoco».

Ora la palla passa ai partiti.

Buon martedì.

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Carlo sbaglia mantra con Goffredo. Continua il bestiario elettorale

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Una campagna elettorale di amori brevissimi, di tradimenti perdonati e di ricongiungimenti che arriveranno. E anche oggi siamo qui per il bestiario elettorale.

AMICI PER FINTA
Giorgia Meloni vive questa campagna elettorale come una lunga prova generale verso Palazzo Chigi. Così ancora una volta a Rtl102.5 rilancia: “Le regole si conoscono nel centrodestra. Il partito che prende più voti in una coalizione propone al presidente della Repubblica la figura che vorrebbe fosse indicata come premier. Spetta al presidente della Repubblica. Il nome sono io, perché non dovrebbe esserlo? La cosa che non capisco è: perché la Meloni no? Io penso che chi vota Fratelli d’Italia voti in quest’ottica”, dice.

Passano pochi minuti e Matteo Salvini mentre visita un canile a Milano punta contro la telecamera e spiega: “Chi fa cosa lo decidono gli italiani con il voto del 25 settembre. Non ci sono ministri adesso, premier, sottosegretari: aspettiamo il 25 settembre. Se gli italiani scelgono il centrodestra e nel centrodestra danno un consenso di più alla Lega – ha aggiunto -, sono pronto a prendermi l’onore e l’onere di prendere per mano questo Paese e di scegliere il meglio per questo Paese”. Non male l’aria dalle parti del centrodestra.

A COLPI DI MANTRA
Passando tutto il giorno infoiato su Twitter Carlo Calenda sceglie un commento di Goffredo Bettini (Pd, nella foto) che lo accusa di essere “inaffidabile e spregiudicato”: “Goffredo, – scrive Calenda – facciamo una cosa, ne parliamo dopo che tu avrai ripetuto come un mantra Thailandese ‘ho sbagliato a pensare che Conte fosse il nuovo Prodi’ venti volte e siamo a posto cosi. Poi parliamo di alleanze elettorali”. Bettini lo fulmina: “Caro Carlo, riparliamone quando avrai capito che il mantra è una pratica induista che non c’entra niente con la Thailandia. Che è buddista e in piccola parte mussulmana. Ancora una volta, non solo in politica, sei in errore”. Carletto, dietro alla lavagna.

STRATEGHI ANCHE SU DI BATTISTA
“Non si può ricucire coi 5 Stelle ora che torna Di Battista” era la frase preferita da certi esponenti dell’ex coalizione di centrosinistra e di molti editorialisti che hanno già spostato armi e bagagli dal duo Renzi-Calenda. Di Battista non si è candidato. “Eh, ma c’è Casalino!”. Casalino non si è candidato. “Ma non sono affidabili! Andiamo con Calenda” e poi si è visto com’è finita. Sarebbe curioso sapere chi siano le fonti di questi valenti giornalisti. Oppure sarebbe interessante sapere se non siano guidati dagli interessi, mica dalle fonti.

PRI, A VOLTE TORNANO
Pochi se ne sono accorti ma in queste elezioni esiste ancora il Partito Repubblicano Italiano. C’è da dire che si sta dando anche da fare: dopo aver prima stracciato il patto con Azione e poi annullato quello con Impegno Civico, il PRI ieri ha annunciato un accordo elettorale con Italia Viva. La campagna elettorale è ancora lunga, magari farà in tempo a scegliere il palco del JovaBeach Party.

CIAO CIAO AL GRANDE NORD
Tra i partiti italiani esiste la Confederazione Grande Nord guidata da Roberto Bernardelli, storico esponente della prima Lega di Bossi e poi Lega Casalinghe-Pensionati, poi Padania pensione sicura, poi Pensionati Padani e Pensionati Nord, poi Lega Padana Lombardia. Formidabile appello per le prossime elezioni: “Non voteremo la partitocrazia romana. La questione settentrionale è la grande assente di queste elezioni”. A Salvini fischiano le orecchie?

L’IRREALE CALENDA
Dice Enrico Letta: “Calenda ha scambiato Twitter per la realtà”. Ha ragione, eccome. C’è da dire che anche lui però ha scambiato Calenda per un politico capace.

9 – Segue

 

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Letta prepara le valigie per lo sfratto dal Pd

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Il giorno dopo la rottura con Calenda che ha deciso di rompere Enrico Letta riconosce i suoi errori: «Col senno di poi sono stato troppo ingenuo – dice il segretario del Pd in un’intervista a La Stampa – Ma sono esterrefatto: il principio fondamentale del diritto è pacta sunt servanda (i patti si rispettano, ndr). Se un politico, un uomo di Stato, fa saltare gli accordi che ha firmato perché ha cambiato idea non c’è più politica, siamo su Twitter, dove si può cambiare idea ogni minuto. Ecco, credo che Calenda abbia scambiato Twitter per il mondo reale».

Letta: “Credo che Calenda abbia scambiato Twitter per il mondo reale”

Per tutto il giorno i maggiorenti del PD lanciano accuse vero il “traditore”. Gongola certamente l’alleanza Verdi/Sinistra italiana che si ritrova con un perimetro politico dell’alleanza molto più consono ai loro elettori. Bonelli dei Verdi annuncia di avere in mano «personalità significative del mondo della società civile, due nomi molto importanti che faranno discutere», spiegando che ora «Calenda è il miglior alleato della destra estrema».

Di sicuro ieri Fratoianni ha incontrato la segretaria di Possibile Beatrice Brignone per discutere di una possibile alleanza che coinvolgerebbe anche il fondatore del partito Pippo Civati.

I sondaggisti spiegano che dopo lo strappo di Calenda il centrosinistra è sotto il 30%

I sondaggisti spiegano che dopo lo strappo di Calenda il centrosinistra è sotto il 30% mentre l’alleanza Calenda-Renzi può superare il 10%. Per il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani «Calenda ora è nelle mani di Renzi. Calenda ora deve raccogliere in due giorni le firme, – spiega Giani – cosa impossibile, e quindi si deve rimettere a Renzi. Sono i paradossi della storia, del resto Calenda era un ministro del governo con Renzi presidente del Consiglio ed è evidente che nella posizione del centro Renzi prende una notevole centralità e Calenda diventa un suo personaggio a seguire».

«Calenda ha tradito», dice il presidente della regione Lazio ed esponente del Pd, Nicola Zingaretti: «sono giorni che dice Draghi, dice che è contro Putin, dice che crede nell’Europa e ora avvantaggia la destra che è contro Draghi, filo Putin e spesso anti euro». Calenda promette di sfidare Zingaretti nel collegio uninominale di Roma (sempre a proposito di testosterone fuori controllo). C’è un particolare che rende tutto ancora più paradossale: al momento sono compagni di maggioranza in Regione.

Enrico Letta prova a alzare il livello della campagna elettorale rivendicando la sua presenza per la commemorazione della strage a Marcinelle: «sono fiero di essere a Marcinelle – dice Letta a Giorgia Meloni che lo accusava di strumentalizzare l’evento – nel rispetto dei nostri connazionali morti qui, per onorare la loro memoria e per parlare di futuro, un futuro in cui l’immigrazione e l’emigrazione non possono l’esito che si ebbe 66 anni fa. La cosa grave è dividere morti di serie A e di serie B, questa è una cosa che non faremo mai. Per noi sono tutte persone, che meritano rispetto».

Ma nella coalizione le polemiche contro Calenda si acuiscono: il segretario di Azione in un video propone di “militarizzare i siti” e Bonelli spiega che “usare l’esercito”, come proposto da Calenda, è vero che non è né di destra né di sinistra “perché è drammaticamente fascista“. «Ecchela là. Sono diventato fascista. Contavo i minuti», controreplica Calenda.

Intanto Di Maio dopo lo strappo di Calenda può evitare l’imbarazzante candidatura nel proporzionale sotto il simbolo del PD e riprendersi un collegio uninominale, probabilmente in Campania, con il sostegno di tutta la coalizione. Dovrebbe esserci posto anche per alcuni fedelissimi come Spadafora e Castelli. Il tempo dei contenuti sembra ancora lontano.

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Calenda e la cronaca di un disastro annunciato

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Il disastro è servito. Non era per niente difficile prevedere che il “campo largo” di Enrico Letta fosse un progetto politicista – e non politico – che sarebbe costato il morire di tattica. Carlo Calenda ieri ha fatto il Carlo Calenda, com’è nella sua natura, ovvero si è dedicato a distinguere per distinguersi, rompere per racimolare macerie, mostrarsi in tutta la sua incompetenza politica mista a narcisismo.

Il disastro è servito. Ecco perché il leader di Azione, Carlo Calenda, ora finirà tra le braccia di Matteo Renzi

Prima ci sono state le 24 ore di silenzio su Twitter – una bolla che solo Calenda e qualcun altro può prendere talmente sul serio da confonderla con il mondo reale – che rientrano nella strategia “mi si nota di più se vengo o se non vengo”.

Poi, quello che vorrebbe insegnare la serietà in politica, si è seduto come ospite in televisione per potersi poi ammirare in tutto il suo splendore e ha rotto il patto che aveva siglato solo 6 giorni fa: «non c’è coraggio, bellezza, serietà e amore a fare politica così», ha recitato Calenda – che crescendo non è per niente migliorato come attore – con una frase che, come molte sue, non significa niente.

Il solito populismo delle élite, i soliti competenti “in niente” che riescono a essere classisti perfino con gli altri dirigenti politici. Così l’accordo che 6 giorni fa parlava esplicitamente di “patti legittimi” con “diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza” ora per Calenda diventa «una coalizione che nasceva per perdere».

Poi con la solita bulimia che lo assale ogni volta che si ritrova sotto mezzo riflettore sputato Calenda ha anche avuto il coraggio di insegnare alla sinistra (lui che è di destra ma non ha il coraggio di confessarlo) come dovrebbe fare la sinistra (anche questa caratteristica l’ha ereditata da Forza Italia): a Letta manca il coraggio – dice Calenda – «rappresentare la sinistra senza correre dietro a Fratoianni».

Del resto Calenda la sinistra se la immagina con il suo faccione come leader assoluto, con Gelmini e Carfagna come portabandiera. E non si immagina così solo la sinistra, vede così anche il centro e anche la destra. Perché Calenda in fondo sogna un mondo in cui lui possa essere l’unico protagonista.

Ha detto giusto Enrico Letta che twitta: «Ho ascoltato @CarloCalenda. Mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia #Calenda. Noi andiamo avanti nell’interesse dell’Italia».

Solo che Letta avrebbe potuto accorgersene molto prima oppure avrebbe potuto smetterla di inseguire i “coerenti all’agenda Draghi” (un’altra espressione che non significa nulla, altro populismo senza nessun contenuto) e avrebbe potuto capire in fretta chi fossero i coerenti almeno con sé stessi. Il disastro, annunciato, consiste nell’avere concesso a Calenda di fare il Calenda.

E su questo il PD ha responsabilità enormi. Perfino Bettini risulta profeta in patria: «Calenda inaffidabile, io avevo avvertito durante la direzione Pd», ha scritto ieri. E ora Ora il progetto “per fermare le destre” è fallito. Bisogna avere i coraggio di dirselo. Calenda (che è riuscito perfino a litigare con +Europa) finirà abbracciato a Renzi. Forse ora è il tempo di fare politica, più che i fan di agende che non esistono?

Leggi anche: Carlo Calenda costretto a convivere con Renzi per necessità. Dopo la rottura con il Pd al leader di Azione servono le firme

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Ora si potrebbero appoggiare gli occhi di tigre e si potrebbe cominciare a parlare di diritti

Cosa insegna lo sfacelo che si è concesso a Calenda Siamo sempre al solito antico peccato originale del Partito democratico: la sua irrefrenabile voglia di annacquarsi a destra per accontentare una delle due anime che si sono unite alla fondazione del partito e che non sono mai riuscite a trovare una sintesi.

Una campagna elettorale persa completamente nella sua fase iniziale può essere rilanciata parlando dei temi: una transizione ecologica che no,  non è un “bagno di sangue” come furbescamente detto da Cingolani; diritti individuali e collettivi (ddl Zan, ius scholae e altro) che ora si possono proporre senza cercare la mediazione con chi più o meno apertamente li osteggia; un attacco sincero alle rendite che bloccano questo Paese e impoveriscono il welfare; un salario minimo che non sia delegato a chi i salari li ha scassati in questi ultimi anni; un Reddito di cittadinanza (chiamatelo come vi pare) che salvi le persone dalla povertà (partendo dal milione di persone salvate che tutti fingono di non vedere); una narrazione che si scosti dai frigni di imprenditori troppo furbi e che si focalizzi sulla mancanza di opportunità dignitose per chi un lavoro lo cerca; una progressività delle tasse com’è scritta nella Costituzione e che sia la destra che il centro vogliono continuare a violare; la cancellazione dei vergognosi patti con la Libia che hanno le impronte digitali di Minniti e la bava di Salvini e di Meloni.

Il cambio di paradigma nell’alleanza elettorale del centrosinistra è un’opportunità se non ci si metterà in testa di inseguire gli elettori dei più draghiani di Draghi e se si smetterà di cercare gli elettori che poi sono gli stessi che esultano per la rottura di Calenda. E magari, una volta tanto, si potrebbe smettere di pensare che la politica funzioni con addizioni di partiti illudendosi di fare massa di elettori.

Questa è l’occasione. Come andrà, non so.

Buon lunedì.

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Amnesty accusa Zelensky: “Sta mettendo a rischio i civili”

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“Nel tentativo di respingere l’invasione russa iniziata a febbraio, le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione civile collocando basi e usando armamenti all’interno di centri abitati, anche in scuole e ospedali. Queste tattiche violano il diritto internazionale umanitario perché trasformano obiettivi civili in obiettivi militari. Gli attacchi russi che sono seguiti hanno ucciso civili e distrutto infrastrutture civili”, lo scrive Amnesty International in un suo rapporto dedicato alla guerra in Ucraina.

Amnesty International: “Per respingere i russi le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione civile”

“Abbiamo documentato un modello in cui le forze ucraine mettono a rischio i civili e violano le leggi di guerra quando operano in aree popolate”, ha affermato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International. “Essere in una posizione difensiva non esenta l’esercito ucraino dal rispetto del diritto umanitario internazionale”.

I ricercatori di Amnesty International hanno trascorso diverse settimane in Ucraina a indagare sugli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv

Tra aprile e luglio, i ricercatori di Amnesty International hanno trascorso diverse settimane a indagare sugli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv. L’organizzazione ha visitato luoghi colpiti dagli attacchi, ha intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari di vittime, ha analizzato le armi usate e ha svolto ulteriori ricerche da remoto. Durante queste ricerche, i ricercatori di Amnesty International hanno riscontrato prove che le forze ucraine hanno lanciato attacchi da centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi.

Per convalidare ulteriormente queste prove, il Crisis Evidence Lab dell’organizzazione per i diritti umani si è servito di immagini satellitari. La maggior parte dei centri abitati dove si trovavano i soldati ucraini era a chilometri di distanza dalle linee del fronte e, dunque, ci sarebbero state alternative che avrebbero potuto evitare di mettere in pericolo la popolazione civile.

Amnesty International non è a conoscenza di casi in cui l’esercito ucraino che si era installato in edifici civili all’interno dei centri abitati abbia chiesto ai residenti di evacuare i palazzi circostanti o abbia fornito assistenza nel farlo. In questo modo, è venuto meno al dovere di prendere tutte le possibili precauzioni per proteggere le popolazioni civili.

In cinque diverse località, i ricercatori di Amnesty International hanno visto le forze ucraine usare gli ospedali come basi militari. In due città decine di soldati stavano riposando, passeggiando o mangiando all’interno di strutture ospedaliere. In un’altra città i soldati stavano sparando nei pressi di un ospedale. Il 28 aprile un attacco aereo russo ha ucciso due impiegati di un laboratorio medico alla periferia di Kharkiv dopo che le forze ucraine avevano installato una base nelle immediate adiacenze.

Usare gli ospedali a scopi militari è un’evidente violazione del diritto internazionale umanitario. L’esercito ucraino colloca abitualmente le sue basi all’interno delle scuole dei villaggi e delle città del Donbass e della regione di Mykolaiv. Le scuole sono temporaneamente chiuse ma molte sono situate vicino a insediamenti urbani. In 22 delle 29 scuole visitate, i ricercatori di Amnesty International hanno trovato soldati o rinvenuto prove delle loro attività, in corso al momento della visita o precedenti: tenute da combattimento, contenitori di munizioni, razioni di cibo e veicoli militari.

Le forze russe hanno colpito molte delle scuole usate dall’esercito ucraino. In almeno tre città, dopo i bombardamenti russi, i soldati ucraini si sono trasferiti in altre scuole, mettendo ulteriormente in pericolo i civili. Amnesty International ha chiarito che il suo rapporto non mette minimamente in discussione la responsabilità della Russia nell’invasione dell’Ucraina. Del resto sono moltissimi i report in cui Amnesty ha denunciato i crimini di guerra commessi dall’esercito di Putin.

Com’era immaginabile però il report ha destato un vespaio di critiche. La direttrice di Amnesty in Ucraina, Oksana Pokalchuk, si è dissociata dalle conclusioni del rapporto. Il Partito Unico Bellicista ha affilato i suoi social per accusare addirittura di filoputinismo la ONG. “Perché il caso di Amnesty è significativo? – scrive l’inviato di guerra Nico Piro – Perché da ieri è in corso su spinta di studiosi, fellows, esperti e influencer ucraini, Nato, americani e opinionisti con l’elmetto in genere una campagna per bollare Amnesty come al servizio del Cremlino, chiedendo la testa della sua presidente.

Resta il dato di fatto, c’è il tentativo di silenziare una voce preziosa e soprattutto terza in una guerra che forse più delle altre è imbottita di propaganda, disinformazione, bugie. Stiamo assistendo ad un pericoloso trionfo del #PUB globale, frutto di mesi in cui il marketing della guerra ha massicciamente lavorato per ‘costruire il nemico’ demonizzando la Russia e per santificare l’Ucraina, in un tipico copione epico: il bene contro il male, la guerra giusta ed etica”.

Raggiunto telefonicamente Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ci dice che “quelli che oggi sostengono che siamo caduti nella propaganda applaudivano 5 mesi fa quando denunciavamo crimini di guerra netti russi. Ora che pubblichiamo un rapporto che contesta la condotta ucraina sembra che abbiamo perso credibilità. È curva da stadio per il tifo. Esce la conclusione ovvia: in guerra ci può essere qualche eroe ma non ci sono santi. Noi dal 29 luglio – dice Noury – abbiamo mandato le nostre conclusioni al ministero della Difesa ucraino chiedendo commenti prima della pubblicazione ma fino a ieri non hanno risposto. Ora la viceministra della Difesa ci accusa di confondere aggredito-aggressore ma l’accusa è inaccettabile, è lo stesso negazionismo dei portavoce russi nei precedenti rapporti contro di loro”.

Noury: “Questa guerra ha fatto perdere il senso delle proporzioni”

Secondo Noury “questa guerra ha fatto perdere il senso delle proporzioni”. Intanto Paolo Brera, inviato di Repubblica, sul suo account twitter scrive che “questo rapporto conferma quello che ho visto e scritto. I giornalisti sul campo lo sanno benissimo: i soldati ucraini vicino al fronte occupano abitazioni e infrastrutture civili, e prima di scegliere il posto dove dormire controlliamo sempre chi sono i “vicini di casa”. A ranghi invertiti parleremmo senza mezzi termini di scudi civili. Credo sia doveroso farlo anche in questo caso (e l’ho fatto e scritto)”, scrive Brera.

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