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Letta si è arreso a Calenda ma Sinistra e Verdi resistono

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Alla conferenza stampa con Carlo Calenda in cui Enrico Letta annunciava l’ingresso ufficiale di Azione nel “campo largo” sostenuto dal Partito Democratico il segretario del Pd ostentava sicurezza sugli altri alleati: “Come Pd abbiamo e continueremo la discussione sia programmatica, sia per la campagna elettorale, con altre liste, sono liste con cui abbiamo un rapporto fondamentale. C’è su questa una asimmetria nel rapporto fra Pd, Azione e Più Europa. Staremo insieme ma il rapporto che abbiamo con le altre liste lo consideriamo solido”.

L’ammucchiata di Letta e Calenda è già a pezzi. Fratoianni e Bonelli chiedono di rinegoziare gli accordi

Letta sbagliava. Da lì a qualche ora il comunicato di Sinistra Italiana e Verdi parla chiaro: “Prendiamo atto dell’accordo bilaterale tra Partito democratico e Azione/+Europa, non ci riguarda e non ne condividiamo nel merito delle questioni programmatiche. Chiediamo un incontro al Partito democratico per verificare se ancora ci sono le condizioni di un’intesa elettorale che coinvolga l’alleanza tra Verdi e Sinistra”.

L’incontro tra Letta, Fratoianni e Bonelli, che ieri avrebbe dovuto sciogliere le riserve, non c’è stat I

Le tensioni tra Letta e la coppia Fratoianni-Bonelli sono serie. L’incontro che ieri avrebbe dovuto sciogliere le riserve non c’è stato. Ieri l’alleanza Verdi-Sinistra ha “deciso di rinviare l’incontro con il segretario del Pd Letta alla luce delle novità politiche emerse. Registriamo – scrivono in un comunicato – comunemente un profondo disagio nel Paese e in particolare nel complesso dell’elettorato di centro-sinistra. Essendo cambiate le condizioni su cui abbiamo lavorato in questi giorni, sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore”.

I motivi sono molti. C’è il fastidio per come la trattativa tra Letta e Calenda si è sviluppata: “Questa trattativa un po’ curiosa che si concentrata molto sui collegi, era partita con un veto. Ho sfidato personalmente Carlo Calenda a mettersi in gioco. Noi non abbiamo paura a metterci in gioco e correre sul proporzionale. La nostra proposta politica – ha spiegato Fratoianni – non è negoziabile. Per questo consideriamo questo accordo legittimo, perché è bilaterale, ma in nessun modo vincolante sul tema programmatico della proposta politica”.

A Bonelli e Fratoianni non interessa “il diritto di tribuna” che il Pd vorrebbe garantire ai leader dei partiti nell’alleanza elettorale: “Qualsiasi ipotesi che contempli un diritto di tribuna non ci riguarda, non ne abbiamo bisogno. Come abbiamo sempre fatto intendiamo guadagnare uno spazio politico a partire dalla capacità di costruire consenso sulla nostra proposta politica”. Dello stesso parere è anche Bonelli che dice: “Non siamo interessati ad alcun diritto di tribuna, il diritto ce lo conquisteremo con il voto degli elettori e delle elettrici”.

Nella giornata di ieri si sono intensificate le riunioni di Verdi e Sinistra Italiana e nel pomeriggio sembra essersi fatta più forte l’ipotesi di rompere l’accordo con il Pd. Ci sono, tra l’altro, anche le molte voci critiche che si levano nei due partiti. In Sinistra Italiana l’alleanza con il Pd di Letta – che era già ostica – è contestata da quelli che trovano improponibile presentarsi con Gelmini e Carfagna.

Nei Verdi molti iscritti e simpatizzanti chiedono a Bonelli come si possa coniugare la politica del partito come Azione che nel programma punta forte sul nucleare. A questo si aggiungono i movimenti a sinistra del Pd, con De Magistris che oggi presenterà programma e simbolo dell’Unione Popolare, e con il Movimento 5 Stelle che molti vedono come alleato naturale ben più dei liberali.

Fratoianni e Bonelli si ritrovano in una strada strettissima: se confermeranno il loro accordo con Letta dovranno tornare dall’incontro con il Pd con risultati importanti da offrire ai propri elettori (come ha fatto Calenda con i suoi) altrimenti finiranno per essere considerati solo una “stampella”, un’operazione di leftwashing e greenwashing regalata al “campo largo”.

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Ungheria in rivolta. La lezione di Orbán alla sua amica Meloni

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Nel Centrodestra convinto di vincere le elezioni non c’è solo il problema degli amici di Putin (Matteo Salvini e Silvio Berlusconi soprattutto) ma c’è anche il serio problema dell’amica di Viktor Orbán, Giorgia Meloni.

Sovranismi e diritti negati agitano le piazze del paese governato da Orbán. Un bel promemoria per la leader di FdI Giorgia Meloni

Basterebbe sfogliare i giornali ungheresi di questa ultima settimana per avere un’idea di quale sia il mondo che Orbán (e presumibilmente Meloni, sua accanitissima ammiratrice) ha in mente. Lo scorso 27 luglio Zsuzsa Hegedüs, collaboratrice del primo ministro ungherese, ha dato le dimissioni dopo che sabato in un discorso pubblico Viktor Orbán si era detto contro i “popoli di razza mista”.

Nella sua lettera di dimissioni, Hegedüs ha definito le frasi di Orbán “una polemica puramente nazista” e ha paragonato il primo ministro a Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda della Germania nazista sotto Adolf Hitler. Anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen aveva commentato sdegnata: “Tutti gli Stati membri dell’Ue, compresa l’Ungheria, hanno sottoscritto valori comuni globali. Discriminare sulla base della razza significa calpestare questi valori. L’Unione europea è costruita sull’uguaglianza, la tolleranza, l’equità e la giustizia”.

Non è solo il razzismo il problema di Orbán

Ma non è solo il razzismo il problema di Orbán (e forse anche nostro): anche se non si trova notizia sui media ungheresi i cittadini stanno bloccando il Paese (ad esempio sui ponti che collegano Buda a Pest – per protestare contro l’inflazione galoppante (siamo all’11,7%). Mentre nel Paese sale la protesta per gli stipendi degli insegnanti Orbán ha raddoppiato l’importo che può essere utilizzato per l’educazione religiosa e morale.

Aumentano i prezzi degli alimenti e della benzina ma il primo ministro preferisce glorificare il nazionalismo e la retorica della gloria. Poi ci sono i diritti. Nel 2012 con i due terzi del Parlamento ungherese in mano al partito Fidesz Orbán ha fatto inserire un articolo che stabilisce che il matrimonio è un’unione tra un uomo e una donna. Nella riforma costituzionale del 2020 c’è scritto “la madre è femmina, il padre è maschio”.

L’omofobia da quelle parti sostanzialmente è legge. Poi c’è Putin. L’85 per cento del gas e il 70 per cento del petrolio in Ungheria proviene dalla Russia. L’ampliamento della centrale nucleare di Paks Orbán lo ha affidato alla moscovita Rosatom. Orbán pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina era in viaggio a Mosca e Orbán – vale la pena ricordarlo – si è opposto al sesto pacchetto di sanzioni contro Putin.

L’Ungheria non ha inviato un solo fucile all’Ucraina. Il ministro della Difesa Kristóf SzalayBobrovniczky è stato nominato a maggio – a guerra già iniziata – nonostante sia un uomo d’affari nel campo ferroviario con il sostegno importante di banche russe. Non è un caso che anche i rapporti con la Polonia si siano ultimamente deteriorati. Orbán non ha mai preso le distanze da Putin e Jaroslaw Kaczynski, vice primo ministro polacco e leader del partito nazionale conservatore, il PiS, ha detto che “se Orban non riesce a vedere i crimini di guerra russi in Ucraina forse dovrebbe fare un controllo della vista”.

A metà luglio i lavoratori ungheresi hanno subito un pesante aumento delle tasse

A metà luglio i lavoratori hanno subito un pesante aumento delle tasse con la “riforma Kata” che ha ristretto la platea dell’aliquota unica (a proposito della flat tax di cui si favoleggia qui in Italia). Le proteste nel Paese sono sedate dagli interventi della Polizia. Non è solo l’amicizia con Putin il manifesto politico della destra italiana. Ci sono, anche in Europa, lampanti esempi della politica che inseguono e di come impatti sulle persone. Forse sarebbe la pena parlare un po’ meno delle beghe tra partiti e osservare le gesta degli idoli ispiratori di Meloni che si prepara a Palazzo Chigi.

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Pd calenda est

Dopo giorni di sportellate quindi Carlo Calenda ha trovato l’accordo con Enrico Letta. Il partito Azione (insieme a +Europa) farà parte del “campo largo” pensato dal Pd che ora (e molto probabilmente sarà l’assetto definitivo con cui si presenterà alle elezioni) va da Sinistra italiana e Verdi di Fratoianni e Bonelli fino alla parte più destrorsa di Calenda, facilmente riconoscibile dal marchio di Forza Italia slavato da poco sulle divise di Gelmini e Carfagna (in attesa che arrivi anche Brunetta).

L’accordo, come si legge oggi su tutti i giornali, pretende una quota del 30% dei seggi (rispetto al totale di quelli di Pd e Azione/+Europa), l’imposizione di non candidare “leader divisivi” nei collegi uninominali (ovvero Fratoianni, Bonelli, Di Maio e i fuoriusciti berlusconiani). Calenda è riuscito, al solito, a capitalizzare i suoi penultimatum, per farsi ipervalutare negli accordi elettorali. Piaccia o no (a me non piace per niente) il machismo politico rende. Anche se poi accade, come sta succedendo a Matteo Renzi, che ci si ritrovi irrimediabilmente soli.

L’accordo tra Letta e Calenda però non è solo sugli equilibri elettorali. L’accordo con Calenda contiene punti strettamente politici (sì all’agenda Draghi e ai rigassificatori, impegno a modificare reddito di cittadinanza e bonus 110%) che indicano una precisa scelta di campo. Enrico Letta, consapevole o no, ha dato l’occasione al segretario di +Europa Benedetto Della Vedova di affermare «questo non è un centrosinistra, è un centro (liberale, riformatore) e sinistra». Non ha tutti i torti, anche se definire “sinistra” il Partito democratico è un atto coraggioso o miope (e di miopia nelle valutazioni politiche ce n’è parecchie nel campo dei cosiddetti liberali.

Ora il compito più difficile sarà convincere gli elettori che con i loro voti non contribuiranno a fare eleggere Gelmini e Carfagna da una parte e Di Maio e Fratoianni dall’altra. Questa legge elettorale, è vero, fa schifo: costringe i partiti a creare alleanze elettorali che non sono coalizioni politiche – non esiste infatti un programma di coalizione – e contemporaneamente gli consente di simulare un “liberi tutti”. Calenda e Fratoianni insistono su questo punto: “Stiamo insieme ma non non c’entriamo niente”, ripetono e ripeteranno fino alle elezioni. Enrico Letta, per ora, azzarda di più ipotizzando un fronte che potrebbe addirittura governare. Comunque sia da fuori è un pasticcio piuttosto confuso.

Intanto si sono persi giorni buoni per parlare di programmi a limare alleanze elettorali intorno ai caminetti di partito (e oggi si continuerà ancora) e questa campagna elettorale in questa prima fase sembra un calciomercato estivo. Tra l’altro nelle prossime ore si capirà che la promessa di Letta sul Pd che “offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza” significa che Di Maio (che non avrebbe mai preso il 3% con la sua lista per farsi eleggere nel proporzionale) sarà candidato nelle liste del Pd. Un bel premio, non c’è che dire. Sarebbe curioso capire per cosa sia premiato, tra l’altro.

Mentre i soliti noti giocano con le figurine chi cerca di proporsi come reale alternativa (Unione popolare sta apparecchiando una campagna elettorale improvvisa e difficile) deve provare a raccogliere le firme grazie a una tagliola ben studiata dal potere che mira a mantenere sé stesso. Forse che partiti senza simboli in omaggio (come quelli di Bonino o Tabacci) rischino di non potersi misurare alle elezioni è un problema di democrazia che meriterebbe attenzione trasversale di tutti i partiti. Ma qui siamo ai coltelli, mica alla politica.

Buon mercoledì.

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Berlusconi e una pillola al giorno. Continua il bestiario elettorale

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Ieri si è conclusa la prima stagione delle Calendiadi ma il bestiario elettorale continua a correre di gran lena.

PD CALENDA EST
La sintesi dell’accordo tra Calenda e Letta si può rubare a Lorenzo Zamponi che su twitter scrive: “Comunque, dopo aver visto che ha strappato a Enrico Letta un accordo che prevede la garanzia per Azione del 30% dei collegi uninominali (15 eletti presunti + il proporzionale), con il 5% dei voti, non so voglio Calenda ds della Fiorentina o segretario della Cgil.”

In sostanza Calenda ha creato un partito fatto in laboratorio, dalla scissione con il PD. Si è fatto prestare un simbolo per non raccogliere le firme. È tornato dal PD a trattare un rapporto di forza mai verificato dai voti e si è mangiato un 30% che nel PD non avrebbe mai avuto. Aggiotaggio politico.

ROSSI E VERDI, DI RABBIA
Ieri pomeriggio Enrico Letta, piuttosto soddisfatto, dice in sala stampa: “Come Pd abbiamo e continueremo la discussione sia programmatica, sia per la campagna elettorale, con altre liste, sono liste con cui abbiamo un rapporto fondamentale. C’è su questa una asimmetria nel rapporto fra Pd, Azione e Più Europa. Staremo insieme ma il rapporto che abbiamo con le altre liste lo consideriamo solido”.

Non fa in tempo a finire la frase che Verdi e Sinistra Italiana chiedono un incontro (che si terrà oggi): “Prendiamo atto dell’accordo bilaterale siglato dal Pd e da Azione/Più Europa – scrivono Bonelli e Fratoianni – . E’ un accordo che non ci riguarda e non ne condividiamo molte cose programmatiche, nel merito. Noi siamo impegnati a difendere la democrazia ma anche a dare una risposta all’emergenza climatica e poi va data una risposta molto forte sul piano sociale. Alla luce di tutto ciò chiediamo un incontro al Pd per verificare se ci sono le condizioni per andare avanti”. Tutto solidissimo, davvero.

UNA SOLITUDINE CHIAMATA CORAGGIO
Dice Renzi, ormai rimasto solo: “Abbiamo voluto Draghi al governo, soli contro tutti. Oggi non ci alleiamo con chi ha votato contro Draghi. Prima della convenienza viene la Politica. Quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio”. Ha ragione: ci vuole coraggio per compiere il “capolavoro politico” (come lo chiamano i suoi) di fondare un partito nel settembre del 2019 e contarne le macerie a luglio di 3 anni dopo senza nemmeno la fatica di passare dalle elezioni.

KOMUNISTI!
Tra le reazioni più sbilenche sull’accordo Letta-Calenda c’è Gasparri che parla di “più tasse, legalizzazione delle droghe, cittadinanza facile per gli immigrati”, ripetendo il solito ritornello ma soprattutto c’è il meloniano (ex leghista) Gianluca Vinci che stentoreo ci dice: “Il PD non parla della libertà dei cittadini, rimangono comunisti”. Ma magari fossero comunisti, Vinci. Magari.

UN PILLOLA PER SILVIO
Silvio Berlusconi scatenato: “Ho registrato venti messaggi televisivi da mandare tutto agosto. Una pillola al giorno leva il medico di torno; una pillola del nostro programma al giorno dovrebbe levare di torno i signori della sinistra”. Passano gli anni ma siamo sempre lì: all’avanspettacolo politico.

IL PD IN SOCCORSO DI LUIGI
Letta salva Di Maio: “Nelle prossime liste elettorali il Partito Democratico offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale”. Di Maio quindi si candiderà nelle liste del PD. Praticamente Letta è il suo navigator.

FAMIGLIA A MODO SUO
Guido Crosetto spiega la “famiglia tradizionale” secondo Fratelli d’Italia: “Non parliamo della famiglia sposata in chiesa e battezzata. Ma della famiglia come nucleo. Io sono separato, siamo una famiglia”. Quindi in sostanza ce l’hanno solo con i gay.

5-segue

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Il campo largo mette in crisi Articolo Uno. Brucia l’esclusione dei 5S

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C’è movimento in Articolo Uno, il partito di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza che qualche giorno fa ha deciso di entrare nel campo largo voluto dal Pd di Enrico Letta. Ben 261 membri del partito (dirigenti locali e nazionali) hanno scritto un documento in cui comunicano di non seguire il gruppo dirigente nazionale di Articolo Uno nelle liste del Pd.

Secondo molti dirigenti di Articolo Uno, la posizione del Pd è “profondamente sbagliata e politicamente incomprensibile”

“Crediamo – scrivono – che il modo migliore per sconfiggere la Destra sia costruire una Alleanza di Progresso con Pd, M5S e SI/EV e lavoriamo per la costituzione di un “Partito del Lavoro”, socialista, ecologista e femminista. Riteniamo profondamente sbagliata e politicamente incomprensibile, la posizione del Pd di escludere dall’alleanza politico-elettorale e dal fronte progressista il Movimento 5 Stelle”.

“Riteniamo altresì sbagliata – aggiungono i dirigenti dissidenti – la scelta della Direzione Nazionale di Articolo Uno di partecipare alla lista elettorale del Pd, che muove nella direzione opposta alla missione stessa di Articolo Uno con il rischio di una omologazione culturale e politica che cancella e mortifica un’esperienza e un patrimonio importante di idee e di valori, di impegno e di generosa militanza”.

Secondo i sottoscrittori la “scelta di partecipare alla lista del Pd rappresenta infatti il prodromo di una confluenza dentro quella organizzazione, ingresso più volte auspicato dal gruppo dirigente nazionale, anche nella recente fase congressuale”.

Per questo annunciano di lavorare “da subito e in prospettiva, così come ha detto da sempre di volere fare Articolo Uno, per la Costituente di un nuovo unitario Partito della Sinistra e del Lavoro. Consapevoli dell’importanza e dei pericoli dell’esito delle prossime elezioni politiche proveremo, con le nostre idee, con l’impegno di tante donne e di tanti uomini, a contribuire il 25 settembre, nei modi che la legge elettorale consente, a sconfiggere la Destra”.

Secondo i dissidenti è “profondamente sbagliata e politicamente incomprensibile, la posizione del PD di escludere dall’alleanza politico-elettorale e dal fronte progressista il Movimento 5 Stelle”.

Dalle parti del quartier generale del partito assicurano che si tratta solo di una prevedibile frizione interna ma ora per il segretario del partito Speranza c’è una grana in più. Intanto è di ieri la candidatura nelle liste del partito dell’epidemiologo Lo Palco in Puglia. I militanti intanto aspettano un risposta che probabilmente non arriverà.

Leggi anche: Nasce il campo largo e subito ci seppelliscono la Sinistra. Calenda detta legge nel Pd. E la coalizione di Letta sbanda

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Carlo Calenda esiste solo quando riesce a dividere

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Carlo Calenda ha partecipato alla sua prima campagna elettorale nel 2012, tra le fila di Scelta Civica di Mario Monti. Non venne eletto ma Enrico Letta lo premiò con un posto da viceministro dello sviluppo economico.

Da Scelta Civica in poi Carlo Calenda ha collezionato una carriera di polemiche e rotture

Poi Matteo Renzi subentrò a Letta e l’allora segretario del Partito Democratico decise di lasciarlo lì. Nel 2015 annuncia di lasciare Scelta Civica e di aderire al Pd. Ci ha messo un po’: nel 2018. Passano pochi mesi e lancia il suo contenitore all’interno del Partito democratico, “Siamo Europei”. Poi siamo al presente: Calenda lascia il Pd e fonda il suo partito personale, Azione. 

Basta questo per capire facilmente che Carlo Calenda esiste quando riesce a dividere. «Il cattivo gusto e la maleducazione di Calenda si commentano da soli. Oltre ad essere confuso, è un ragazzino viziato e cafone», disse di lui Mara Carfagna, ora sua compagna di partito.

Nell’alleanza elettorale che ha in mente Enrico Letta, suggellata oggi con un patto sottoscritto insieme a +Europa, Calenda nel giro di pochi giorni di campagna elettorale è riuscito ad attaccare il Pd per avere «abbandonato troppo presto l’agenda Draghi». Poi se l’è presa con i Verdi e con Bonelli per il loro «ambientalismo ideologico». Poi ha chiamato la comunità di Sinistra Italiana «frattaglie di sinistra» non disdegnando almeno un attacco al giorno a Nicola Fratoianni.

Calenda non ha mai smesso nemmeno di menar colpi anche al suo ex amico Matteo Renzi, colpevole, secondo lui, di lavorare per un polo di centro in cui Calenda non abbia il ruolo di unica guida. 

Calenda si è auto-candidato a Presidente del Consiglio, dimenticandosi di essere un piccolo partito all’interno di un’alleanza elettorale di cui il Partito Democratico è baricentro (lo dicono i voti). Quando qualcuno gli ha fatto notare che voler prendere il posto di Mario Draghi fosse un eccesso tragicomico di narcisismo Calenda ci ha spiegato che «la politica si fa candidandosi».

A modo suo ha ragione: per lui la politica è tutt’uno con il potere. Nel frattempo se l’è presa con Tabacci che ha regalato a Di Maio la possibilità di candidarsi senza raccogliere le firme. Di Maio e Tabacci, cale la pena sottolinearlo, dovrebbero essere nell’alleanza di Calenda, insieme a Bonelli e Fratoianni.

Si è dimenticato Calenda che lui ha usato lo stesso trucco: il simbolo di +Europa gli permette di saltare a piè pari la raccolta delle firme. Ma Calenda è fatto così: ciò che fa lui è incontestabile, sempre. Del resto perfino l’ex ministra Gelmini, protagonista della distruzione della scuola in Italia, ora è diventata una statista. 

Ieri ha passato tutta la giornata a sputare veleno sul PD e sui suoi ipotetici alleati per la campagna elettorale. Il “grande pericolo della destra sovranista” si è rimpicciolito di colpo perché Calenda vuole sapere che si fa sul rigassificatore di Piombino. Intanto ha sempre in tasca la sua proposta sul nucleare che ha fatto sbellicare dalle risate (per tempi e costi) anche i nuclearisti. Il PD, dopo una giornata frenetica, ha chiesto di non porre veti. Come ha risposto Calenda «Enrico Letta sei troppo intelligente per considerare questo appello una risposta». La risposta passivo-aggressiva del resto è una delle sue specialità. 

Non è nemmeno importante sapere come andrà a finire, alla fine si rimetterà a cuccia. Ciò che conta, soprattutto in campagna elettorale, è l’idea di unità di intenti – se non di programmi – di ogni alleanza che si presenta alla corsa. Ieri il “campo largo” di Letta non aveva “occhi di tigre” ma sbrodolava picche e ripicche. Gli unici punti di programma sono l’inossidabile narcisismo di Carlo Calenda e il PD che si umilia inseguendolo.

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Fate qualcosa di sinistra

Sì, lo so bene, questo è il tempo degli appelli e probabilmente degli appelli tardivi. Forse andrebbe anche detto che gli appelli di questo tipo risultano sempre “tardivi” anche perché in questo Paese solo il profumo di elezioni sembra capace di trasformare la realtà e di alimentare l’iniziativa.

Lo scrive il gruppo di Qualcosa di sinistra:

«Lettera aperta a

Aboubakar Soumahoro, DeMa, Europa Verde, Gruppo ManifestA, Possibile, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana

Siamo persone che il 25 settembre andranno a votare con la consapevolezza dell’ennesima sconfitta. Ci conoscete bene: siamo il popolo di sinistra stanco, arrabbiato, disilluso, stremato dalla situazione politica, economica, sociale e culturale di questo paese.

Sono decenni che, a un rafforzamento costante del blocco politico neoliberista, corrisponde la lenta frammentazione di quello socialdemocratico, ecologista e comunista.

Il 25 settembre questo paese sarà costretto a scegliere tra la coalizione più a destra della storia repubblicana e quella che farà esclusivamente gli interessi della classe dominante economica e finanziaria.

Abbiamo scritto questo appello in preda alla rabbia e alla disperazione, per chiedervi di mettere da parte opportunismi e ostilità e fare l’unico gesto di responsabilità nei confronti del Paese, del vostro popolo.

Per chiedere ad alcuni un passo indietro e ad altri un passo avanti.

Fate la cosa più ovvia, che per troppi anni è sempre stata la più difficile da realizzare: trasformate i valori in cui credete e crediamo in azione politica e costituite un’alleanza elettorale di sinistra alle prossime elezioni. Altrimenti sarà l’ennesima occasione sprecata per avviare un processo di rinnovamento strategico verso un progetto unitario.

E senza unità, il destino della sinistra italiana è uno solo e si chiama estinzione.

Non abbiamo più tempo da perdere.

Iniziate subito questo percorso di dialogo, mediazione e sintesi politica per contrastare l’ignobile agenda Draghi e quella ancora più violenta dell’estrema destra.

Un altro orizzonte comune è fattibile e urgente, per ridare speranza a milioni di persone schiacciate da politiche antipopolari, da echi di un nero passato mai superato e da un futuro chiamato collasso climatico.

Ormai è chiaro a chiunque che il ricatto del voto al meno peggio non porta alcun miglioramento politico, sociale ed economico alle fasce di popolazione più deboli e sempre più numerose.

E le recenti elezioni cilene, colombiane e francesi hanno tracciato la strada da percorrere per costruire la rinascita di una sinistra popolare, ecologista, transfemminista, antirazzista e anticolonialista.

Basta con i festeggiamenti per le vittorie della sinistra di altre nazioni.

Basta con egocentrismi e integralismi che portano solo all’eterna irrilevanza.

Basta con i campi larghi senza futuro e compromessi con i nemici di classe.

Pretendiamo l’unità socialista per ridare al popolo di sinistra e al Paese qualcosa in cui credere. Qualcosa per cui lottare.

Ascoltate la nostra voce per costruirne una sola.

Che la sinistra si unisca e faccia finalmente la sinistra!».

Buon martedì.

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Salvini e Meloni litigano già per le poltrone

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Non ce la fa Matteo Salvini a tenere a freno la lingua, come gli consigliano anche i suoi più fedeli compagni di partito. C’è da capirlo. Ha passato anni a sognare questo momento, vedendosi incoronato come leader della Lega primo partito in Italia  dopo averla raccolta mentre era di pochi spiccioli percentuali e invece ogni giorno che passa vede l’obiettivo sempre più improbabile, praticamente impossibile.

Giorgia Meloni incassa ogni giorno endorsement sempre più convinti e ha adottato la strategia di apparire la responsabile del gruppo, tra Berlusconi e Salvini (e lo so, fa già ridere così) e come avviene spesso in questo Paese un pezzo della stampa e dell’imprenditoria è pronta a ad asservirsi. Salvini osserva Meloni che si staglia all’orizzonte come europeista e atlantista, pronta a calcare i consessi internazionali, mentre a lui non resta che lucrare sugli sbarchi, sulle tasse e sulla propaganda trita e ritrita che ormai non funziona più.

Matteo Salvini si è autocandidato ministro dell’Interno

«Mancano 55 giorni al voto. – dice Salvini in tour elettorale a Chioggia (Venezia) – Noi ci siamo impegnati a fare campagna elettorale basata solo sulle proposte. Più la sinistra insulta, più noi dobbiamo rispondere con i fatti e il sorriso. Di là sono terrorizzati dal fatto di perdere la poltrona. Se va come va, tra un mese e mezzo il centrodestra governerà per cinque anni questo paese e la Lega sarà alla guida di questo centrodestra».

Le proposte di Salvini? «Azzerare l’Iva, le tasse sui beni di prima necessità, pane, pasta, latte, frutta, verdura», che è poi una proposta di quasi tutti i partiti e magari – dice il segretario della Lega – farlo togliendo il reddito di cittadinanza: «io penso che potrebbero essere meglio spesi una parte di quei quattrini», spiega strizzando l’occhio a Renzi. 

Ma il centrodestra non è tranquillo e non finge nemmeno troppo bene. «Sul tavolo del programma la Lega chiederà agli alleati di firmare, per poi essere omogenei dopo una eventuale vittoria, alcuni accordi», ha detto Matteo Salvini a Radio anch’io, facendo intendere che manca l’intesa su alcuni punti. «Il centrodestra è compatto.

I litigi li lasciamo a Letta, Calenda, Renzi e Conte», dice Salvini, che subito dopo aggiunge «se va come va, tra un mese e mezzo il centrodestra governerà per cinque anni questo paese e la Lega sarà alla guida di questo centrodestra», provando a rivendicare ancora una leadership nella coalizione a cui non crede più nessuno. Giorgia Meloni intanto si gode l’ultimo sondaggio di Youtrend per Sky Tg24 che vede ill suo partito al 24,2%, (sette giorni fa era al 23,8%) e si limita a qualche messaggio sui social contro Letta, provando a non cadere nelle trappole dei suoi alleati.

Salvini e Meloni litigano sulle poltrone già prima del voto

Il centrodestra comunque da giorni bolle per la scelta delle poltrone del nuovo governo che ha già in mente di presiedere. L’ordine all’interno della coalizione è quello di non lasciare trasparire tensioni che non sono nient’altro che spartizioni di potere ma Giorgia Meloni ha già prenotato Palazzo Chigi e Salvini, per non essere da meno, si è già intestato il Viminale, provando a ripetere la scenetta dell’uomo forte al Ministero dell’Interno per guadagnare autorevolezza.

«Al Viminale? Io mi vedo dove gli italiani mi vedono», dice Salvini in un’intervista radiofonica e non è un caso che i suoi attacchi alla ministra Lamorgese si siano intensificati. Alla fine, come al solito, prova a calmare gli animi il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani che ai microfoni di Radio24 spiega: «se tutto il centrodestra è d’accordo, si può indicare qualche nome anche se non si può indicare tutta la lista. Berlusconi sta riflettendo su alcune personalità importanti. Ovviamente nel rispetto del ruolo del presidente della Repubblica».

Secondo Tajani per la scelta dei ministri, anche di quello dell’Economia, «ci vuole la qualità e l’esperienza, non è indispensabile sia parlamentare. Ma – aggiunge – ci vogliono persone capaci e competenti nei diversi settori». «Io il ministro per un annetto l’ho fatto – ribadisce Salvini -. Se ci ridarete fiducia torneremo a proteggere i confini del nostro Paese e portare sicurezza nelle nostre città, perché non è possibile vedere migliaia di sbarchi incontrollati».

«Solo nel mese di luglio di quest’anno – ha aggiunto – sono sbarcati più clandestini che tutto il 2019 quando c’era la Lega al governo con 6 milioni di italiani poveri che devono scegliere tra il pranzo e la cena».

Ha un grande appetito questo centrodestra che vorrebbe sembrare adulto. È l’appetito per le posizioni di potere di chi appare convinto di poter governare senza bisogno di stampelle o all’interno di governi di “unità nazionale”. Ed è quella fame che fa spavento, questo loro spartirsi la Repubblica ancora prima delle elezioni, noncuranti delle elezioni e del Presidente della Repubblica. Del resto è la loro natura. 

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Il bestiario elettorale: Letta morso dai quasi alleati

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Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta al Tg2 rilancia una proposta di maggio 2021: dare i soldi ai diciottenni alimentandola con un incremento delle tasse sulle successioni. C’è da rallegrarsene, se la campagna elettorale esce dai personalismi e comincia a proporre soluzioni è un bene per tutti.

SCUSATEMI, MI È SCAPPATA UNA COSA DI SINISTRA
Solo che il (forse) alleato Calenda si inalbera: «ai diciottenni non serve una dote ma un’istruzione di qualità e meno tasse sul lavoro», dice. Del resto per Calenda l’unica istruzione che serve a un diciottenne è quella che insegna a entrare in fabbrica e a timbrare il cartellino senza troppe pretese. L’altro (forse) alleato del PD Matteo Renzi si indigna: «la sinistra apre la campagna elettorale parlando di tasse», dice. L’equazione sinistra=tasse era un’invenzione di Berlusconi poi rimasticata dai suoi camerieri Meloni e Salvini. Finché non l’ha cominciata a usare un ex segretario del PD. Alleanze coese.

DI MAIO A BIBBIANO
Il “campo largo” di Letta avrebbe intenzione di candidare Luigi Di Maio in un collegio blindato a Modena. La capogruppo Dem alla Camera Debora Serracchiani alla Festa Regionale del Pd di Villalunga ha spronato i suoi compagni di partito con una frase piena di ottimismo: «quindi se serve al Paese sono pronta a ingoiare un rospo enorme e a farmi venire mal di testa tutti i giorni». Non male come prospettiva futuro. In quel collegio, tanto per aggiungere pieghe tragicomiche a una situazione già poco seria, c’è anche il comune di Bibbiano. Aveva ragione Di Maio: il PD è il partito di Bibbiano e Di Maio è il suo ambasciatore. Cortocircuito.

GIURIN GIURETTA CALENDA
Era il 18 giugno, non molto tempo fa, alle ore 22 e 39 quando il leader di Azione Carlo Calenda estraeva dalla tasca il suo iPhone e sdegnato twittava: “Oggi ho ricevuto alcune telefonate da giornalisti per chiedere se stessi lavorando ad un partito con Di Maio, Sala, Carfagna e Gelmini. Di Maio. Giuro”. Giurava, Calenda, che fosse un’ammucchiata improponibile. E in effetti si era dimenticato Brunetta. Spergiuro.

NON C’È PARAGONE
Gianluigi Paragone presenta i primi candidati della sua creatura Italexit. Tenetevi forte. C’è Stefano Puzzer, l’ex leader dei portuali di Trieste, diventato il simbolo delle mobilitazioni contro il Green pass obbligatorio. Puzzer è lo stesso che si è presentato Ginevra per denunciare l’Italia all’ONU ma non gli ha aperto nessuno. In compenso i suoi adepti erano cascati in una foto falsa di un pagina satirica in cui Puzzer stringeva la mano a Kofi Annan, ex Segretario generale dell’ONU morto nel 2018.

Tra i candidati c’è anche Stramezzi, dentista no vax che dice di saper curare il Covid senza nemmeno visitare i clienti, semplicemente con Bisolvon, Aspirina, Plaquenil, Enterogermina. Gaviscon e altro. Dice Puzzer: «il programma politico è la battaglia contro il vaccino obbligatorio, contro il Green pass e contro l’invio di armi all’Ucraina, con una particolare attenzione ai problemi finanziari dell’Italia, che sembra tutti sottovalutino». Chissà se al Senato candideranno Trump.

CROSETTO CI INSEGNA LA LIBERTÀ
Guido Crosetto (fondatore di Fratelli d’Italia) manganella l’ex senatore Elio Vito, uscito da Forza Italia e inspiegabilmente non atterrato da Calenda (che ci combini, Elio!): «Per FI è stato capogruppo e Ministro. – dice Crosetto – Era un ortodosso, un negriero come capogruppo, intollerante verso la libertà di voto in aula».

Crosetto che dà del “negriero” a un suo ex alleato e si scaglia contro gli “intolleranti verso la libertà” è un cappottamento della realtà. «Ecco perché mi preoccupano al potere, li conosco», risponde Vito. Caro Elio, se avevi bisogno di una mano per capire avresti potuto farci una telefonata vent’anni fa.

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L’effetto spettatore e il video di Alika Ogochukwu

Il 13 marzo del 1964 a New York, nel quartiere New Gardens, Kitty Genovese rientrava a casa. Era tardi, le tre e un quarto di notte, e venne accoltellata Winston Moseley, che le corse dietro e la raggiunse in breve tempo, accoltellandola alla schiena per due volte. L’articolo del New York Times che raccontava quell’omicidio uscì parecchi giorni dopo (era il 27 marzo) e iniziava con la frase «Per più di mezz’ora trentotto rispettabili cittadini, rispettosi della legge, hanno osservato un killer inseguire e accoltellare una donna in tre assalti separati a Kew Gardens.» Successivamente le indagini che una dozzina di vicini (quasi certamente non i 38 citati dall’articolo del New York Times) avevano avuto modo di udire o osservare parti dell’attacco senza intervenire.

Gli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley iniziarono una serie di ricerche sui motivi per cui non sempre le persone intervengono di fronte alle emergenze. Si chiama “effetto spettatore” e, come spiega bene Wikipedia, «è un fenomeno della psicologia sociale che si riferisce ai casi in cui gli individui non offrono alcun aiuto a una persona in difficoltà, in una situazione d’emergenza, quando sono presenti anche altre persone. La probabilità d’intervento è inversamente correlata al numero degli spettatori. In altre parole, maggiore è il numero degli astanti, minore è la probabilità che qualcuno di loro presterà aiuto. Numerose variabili intervengono nel determinare l’effetto spettatore. Esse comprendono l’ambiguità, la coesione sociale e la diffusione della responsabilità».

Le scoperte successive di Mark Levine e Simon Crowther (nel 2008) illustrarono che la dimensione crescente del gruppo inibiva l’intervento in uno scenario di violenza stradale quando gli spettatori erano estranei, ma incoraggiava l’intervento quando gli spettatori erano amici. Essi trovarono anche che quando l’identità di genere era rilevante la dimensione del gruppo incoraggiava l’intervento quando gli spettatori e la vittima condividevano l’appartenenza alla categoria sociale.

Alika Ogochukwu è stato ucciso a mani nude da Filippo Ferlazzo. Ha suscitato molta indignazione il fatto che Alika morisse mentre alcuni riprendevano con il proprio cellulare la scena e nessuno interveniva. Chi ha reso i neri “estranei” agli altri? Chi addirittura ha soffiato sulla guerra tra “noi” e “loro”? L’odio non nasce per caso. Quando poi intorno all’odio (e alla sua violenza) galleggia l’indifferenza significa che molti lo considerano fisiologico, nemmeno più una patologia. Così tutto è spiegato come semplice “esasperazione”. E invece c’è un criminale e una vittima. E ci sono dei mandanti morali.

Buon lunedì.

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