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Atlantista con i filoputiniani in casa, la Meloni alleata degli amici dello Zar. La linea di Giorgia pro Usa e Nato in Ucraina non regge. Tutta colpa della passione di Berlusconi e Salvini per Mosca

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Finalmente, addì 30 luglio, la politica e la stampa si accorgono che i filoputiniani di cui preoccuparsi non sono i pacifisti. Sia chiaro, è solo l’utilità del momento, nessuna reale presa di coscienza, però il gioco delle elezioni ha fatto tornare la memoria a molti e ora ci si finge sorpresi di scoprire che Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (ma anche Giorgia Meloni, che ora gioca a fare l’atlantista perché sente profumo di Palazzo Chigi) sono amici di Putin.

Giorgia Meloni atlantista con i filoputiniani in casa

Si accende il dibattito sui rapporti tra Matteo Salvini e uomini dell’ambasciata russa – roba che alcuni quotidiani scrivevano due mesi fa ma si sa che qui da noi l’amichevolezza del mezzo conta più del contenuto – per i colloqui avvenuti a maggio tra Antonio Capuano e Oleg Kostyukov, il capo dell’ufficio politico dell’ambasciata russa, nei quali si sospetta che si sia parlato della situazione politica italiana.

Se fossimo stati meno distratti avremmo potuto ricordarci che Antonio Capuano per Salvini aveva già incontrato l’ambasciatore in persona, Sergey Razov, con il quale aveva brigato per organizzare la trasferta russa proprio di Matteo Salvini. Il viaggio è poi saltato per l’evidente inopportunità.

Salvini risponde piccato: “Secondo La Stampa Putin ha fatto cadere il governo, – dice il leader della Lega – secondo La Repubblica Putin sta mandando i barconi di immigrati dall’Africa. Ci aspettiamo domani degli scoop su altri giornali di sinistra: c’è Putin dietro la siccità, c’è Putin dietro l’invasione di cavallette e cinghiali e c’è Putin dietro la monnezza che sta impestando le strade di Roma. Ragazzi, non scherziamo: la sinistra ha una paura incredibile di perdere poltrone ed elezioni”.

Giorgia Meloni intanto prova a parare il colpo e spiega alle agenzie che “l’eventuale governo di centrodestra, con la prima donna presidente del Consiglio (se mai sarà), non potrà che essere atlantista e rispettoso delle sovranità delle nazioni che non possono arrendersi, ma devono essere aiutate a difendersi. I leader della coalizione che avessero ‘dubbi’ sulla sua posizione sono avvisati”. Peccato che nessuno le ricordi che essere atlantisti e europeisti appoggiando in toto la linea di Orban sia una contraddizione politica. Ma certo giornalismo, si sa, ama esibire la propria mansuetudine al potere in pectore.

Ingerenze straniere

Giorgia Meloni non fa in tempo a terminare la sua dichiarazione che emerge l’altro amico di Putin, l’amico di lettone Silvio Berlusconi. Secondo una ricostruzione di Tommaso Ciriaco su Repubblica nelle concitate ore che precedono la caduta di Draghi Berlusconi avrebbe rivelato ai suoi “ho parlato con l’ambasciatore russo in Italia Razov. Mi ha spiegato le loro ragioni, cosa ha fatto Zelensky”.

E avrebbe aggiunto: “Mi ha raccontato che è stata l’Ucraina a provocare ventimila vittime nelle zone contese. E che l’invasione era necessaria perché il rischio era che l’Ucraina attaccasse la Russia”. Anche in questo caso non serve capire se il fatto circostanziato sia reale o meno: Berlusconi fin dall’inizio della guerra ha dimostrato di pendere dalla parte della Russia, spingendosi a ipotizzare che l’Ucraina dovesse assecondare i desiderata di Putin per porre fine alla guerra.

Intanto dal Copasir sbuca una lettera (leggi l’articolo qui sotto) alle capigruppo di Camera e Senato che avvisa sul “pericolo di ingerenze russe nella campagna elettorale”. Del resto le ingerenze hanno nomi e cognomi, fin dall’inizio della guerra. Ora è stato utile accorgersene.

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Carfagna in Azione e Silvio gretino, il bestiario della corsa elettorale. Tana per La Russa: in aula con la Gazzetta dello Sport. Lacrime di coccodrillo per De Luca orfano dei 5S

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In campagna elettorale non c’è la settimana corta e anche il sabato c’è lo spazio per farcire un nuovo bestiario.

La Russa dello sport

Spunta un video in Senato, seduta del 28 luglio, in cui il vicepresidente Ignazio La Russa (che presiedeva la seduta) sfoglia la Gazzetta dello Sport. L’aveva già fatto (meglio: era già stato pizzicato) a settembre dell’anno scorso. Ora finalmente ci ha dato la spiegazione: “Leggo durante la pausa dei lavori”, dice. E poi aggiunge: “Dovrebbero farmi una statua gli editori visto che sono uno dei pochi che ancora oggi acquista almeno 5 giornali”. Caro La Russa, il problema sono gli elettori che ti leggono sui giornali solo per imprese così. La Gazzetta Ufficiale.

Carfagna in… Azione

In Azione arriva anche Mara Carfagna. Ormai il partito di Calenda è il sacco dell’umido di Forza Italia. Alla conferenza stampa dei suoi due nuovi acquisti (Gelmini e Carfagna) Calenda prova a indossare i panni del democratico e annuncia: “Qualsiasi decisione prenderemo nei prossimi giorni (sulle alleanze, ndr), la prenderemo insieme. Azione ha fatto i Congressi, ha degli organi. Mara e Maria Stella entrano nella segreteria di Azione, decideremo insieme”. Al di là del fatto di chiamare le donne per nome (avete mai sentito Calenda chiamare Draghi “Mario”?), Calenda ha promesso che darà alle ministre la possibilità di essere d’accordo con lui. Uomo vero.

Vieni avanti gretino

Silvio Berlusconi ha trovato la soluzione per il cambiamento climatico. “Il mio sogno – dice il leader di Forza Italia – è di creare intorno alle città dei boschi e all’interno delle città dei corridoi verdi che uniscano tutte le parti verdi dei parchi delle stesse città, perché la natura è straordinaria, ci salva da tante malattie, ci fa vivere anche molto meglio”. Si è dimenticato solo di dire che le città in mezzo ovviamente le vuole costruire lui. Vieni avanti, gretino.

Al miglior offerente/1

Sulla fuga dal partito Berlusconi si supera: “I transfughi di FI? Sono amareggiato perché non pensavo che trovassero un vantaggio ad andare altrove”. Gli brucia perché non è più il miglior offerente. Il Cav inesistente.

Al miglior offerente/2

Sempre Berlusconi (ieri è tornato smagliante come ai vecchi tempi): “Garantiremo e abbiamo già fatto i conti su dove trovare i fondi naturalmente necessari, 1.000 euro al mese per tredici mensilità a tutte le nostre nonne e a tutte le nostre mamme”. Del resto sul reperimento di fondi Silvio ha sempre avuto un naturale talento.

Avanti, Savoia!

Il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, dopo essersi dichiarato monarchico, in un punto stampa vicino a Montecitorio: “Io credo nei risultati che Berlusconi ha avuto in campagna elettorale, sempre. E questo è nel pieno rispetto della regola che ci siamo dati. Chi prenderà più voti indicherà al capo dello Stato un nome. Il capo dello Stato poi deciderà con la libertà che gli concede la Costituzione cosa fare”. Troppa grazia, monarca Tajani.

Impara l’arte e…

Nel programma elettorale di Fratelli d’Italia – lo denuncia l’associazione “Mi riconosci?” – è previsto un “affitto a lungo termine” a musei esteri del patrimonio artistico italiano. Per Meloni e i suoi del resto l’identità nazionale va difesa ma il patrimonio culturale può essere ceduto in scioltezza. Siamo alle solite: sono patrioti al miglior offerente.

Lacrime di Masaniello

Il presidente della Regione Campania del Pd Vincenzo De Luca dice che non gli fa “piacere questa rottura del Pd con il Movimento 5 stelle” e che avrebbe preferito una “collaborazione, per rendere realistica la battaglia elettorale in tempi rapidi”. Ma dai? Lui che ha fatto di tutto per cacciarli. Lacrime di Masaniello.

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Calenda e il bluff del grande centro che di nuovo non ha nulla

Hanno passato gli ultimi mesi a ripeterci che finalmente il terreno era pronto, dicevano che dopo tanti tentativi miseramente falliti “il grande centro” avrebbe fatto irruzione nel panorama politico italiano e avrebbe fatto sfaceli alle elezioni. Calenda e Renzi su questo sono sempre stati d’accordo: tra il campo largo di Letta, il campo giusto di Conte, il campo di sinistra e il solito campo di destra che non cambia protagonisti e copione, il loro campo era quello di cui l’Italia ha bisogno. Tra i due Calenda si era spinto perfino oltre (superando Renzi per narcisismo) e negli ultimi mesi aveva deciso di auto-assegnarsi il marchio doc dell’unico vero centro inimitabile e possibile. Per mesi il leader di Azione ha imperversato sui social – che maneggia con costanza per sembrare “in mezzo al popolo” senza bisogno di sgualcirsi – ripetendo che il suo progetto fosse talmente cristallino che nessuna alleanza avrebbe mai potuto ingolosirlo. «Noi corriamo da soli», ripeteva Calenda. «Noi corriamo da soli», ripeteva Renzi (che però in uno spiraglio da Calenda ci sperava in fondo in fondo).

Calenda e il grande centro che di nuovo non ha nulla
Matteo Renzi (Getty Images).

Anche Renzi si siederà al suo posto senza fare più capricci (per ora)

Poi è caduto Draghi. Come sia caduto non c’è nemmeno bisogno di ripeterlo perché questi primi giorni di campagna elettorale sono la scia lunga della fine precedente, anche se non si scorge l’araba fenice ma sembra più un ruzzolare tra macerie. Appena caduto il governo dalle parti di Italia Viva si è acceso un fremito che qualsiasi osservatore ha potuto annusare come un irrefrenabile bisogno di accasarsi e così Renzi e la sua combriccola hanno adottato la tecnica passiva aggressiva. Oscillano tra «il Pd non ci vuole» e «il Pd non ci sta bene e non lo vogliamo» in un fluttuare di dichiarazioni da giramenti di testa che ogni giorno si accavallano. Ovviamente le trattative, quelle vere, rimangono riservate ai componenti della chat di Whatsapp più ristretta perché, si sa, la politica da queste parti è più la narrazione di ciò che si ha bisogno di far accadere che un franco posizionamento leale con gli altri partiti e con i proprio elettori. Enrico Letta, sfiancato da una campagna elettorale che si preannuncia un inno all’egomania, ha tolto il veto a Renzi e Italia Viva. Ora Renzi cincischierà un po’ e infine si siederà al suo posto senza fare più i capricci (per ora).

Calenda e il grande centro che di nuovo non ha nulla
Carlo Calenda con Mariastella Gelmini e Mara Carfagna (da Instagram).

Calenda nuovo faro degli ex berlusconiani

Carlo Calenda, bisogna riconoscerlo, almeno è stato lineare. Come no. Dopo avere detto che c’era bisogno di una forza nuova sul panorama politico ha cominciato a imbarcare il meglio (secondo lui, altri la vedono in maniera opposta) di Forza Italia, da Gelmini a Brunetta e a Carfagna. Gli ex berlusconiani rilasciano interviste in cui esultano perché si sentono finalmente a casa e Calenda li accoglie come figlioli prodighi. Una scena commovente che nei fatti appare una scalata a Forza Italia senza nemmeno la fatica di doversi tesserare, svuotandola dall’interno. Letta così riesce nella miracolosa operazione di prendere il peggior trasformismo del Movimento 5 stelle (con Di Maio novello Churchill) e il peggior trasformismo di Forza Italia liberandosi però di quegli scomodi simboli. In un’epoca di giornalismo sincero leggeremmo in giro che stiamo assistendo, dopo la legislatura con il peggior opportunismo, alla campagna elettorale più funambolica che si potesse immaginare. Invece niente. Ma il punto più interessante riguarda il “grande centro”. Il “grande centro” che giurava di avere imparato a camminare con le proprie gambe anche questo giro adotta la solita strategia: si è attaccato alla sottana degli altri, si farà eleggere con i loro voti e infine li accuserà di essere troppo poco di centro. E quegli altri per l’ennesima volta ci sono cascati, ancora.

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Dal Renzusconi a Tajani anti-Greta. Il bestiario della corsa elettorale

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Siamo nel 2022 ma la campagna elettorale dalle parti della destra sembra quella di 20 anni fa. C’è addirittura il ponte sullo Stretto. E anche oggi il bestiario di questa estate elettorale si ingrossa.

TANA PER GIORGIA
Giorgia Meloni non ci sta. Per non sembrare fascista riunisce i suoi e li avvisa: “Se qualcuno pensa di poter, sotto le nostre insegne, avere comportamenti che consentono alla sinistra di dipingerci come nostalgici da operetta quando noi stiamo costruendo un grande partito conservatore, sappia che ha sbagliato casa e che lo tratteremo come merita: uno che fa gli interessi della sinistra, e dunque un traditore della nostra causa”. Sapete chi usava il termine “traditori” per bollare i nemici? Proprio loro. La leader di FdI prova a scollarsi di dosso il passato ma non riesce a trattenere la sua natura. Tana per Giorgia.

POPULISMO ALLA CALENDA
All’assemblea di Coldiretti intanto si assiste alla sfilata dei politici in piena campagna elettorale. Carlo Calenda spiega che “le cose da fare non sono di destra o di sinistra. Sono semplicemente di buonsenso”, usando inconsapevolmente lo stesso “buonsenso” in nome del quale Salvini ci bombarda di anni con le sue idiozie. Il populismo dei migliori.

BOMBA O NON BOMBA
Matteo Renzi come al solito brilla per lo spessore politico dei contenuti: “Un primo ministro mi ha detto che durante il consiglio europeo quando parlava Draghi prendevano appunti, quando parlava Conte prendevano il caffè”, dice per poi parlare dell’unico argomento su cui è fortissimo, sé stesso: “Io ho perso la poltrona per cambiare la costituzione, lasciamo stare…”. Chissà gli elettori come saranno interessati. Infine la bomba, solita: “Italia Viva da sola vale almeno il 5%. Ma io non faccio politica per un seggio”. Renzi, vota te ipsum.

BRACCIA RUBATE ALL’AGRICOLTURA
Sempre in Coldiretti Matteo Salvini urla che “a ora di pranzo non si possono vedere insetti, scarafaggi, formiche e locuste” e che “l’Italia è ferma dai no e non si possono fare gli invasi perché c’è Legambiente, la sovraintendenza, il comitato, Pinco, Pluto, Pallino…”. A dargli manforte arriva anche Antonio Tajani di Forza Italia che chiarisce: “Abbiamo una visione dell’ambiente che non è quella di Greta, non è la religione della nuova papessa”. La conclusione è di Salvini: “Lunga vita agli agricoltori italiani, lunga vita a Coldiretti!”. Braccia rubate all’agricoltura.

TI SPIEZZO IN DUE
Dalle parti del Pd molti iscritti disorientati si chiedono esattamente cosa siano gli “occhi di tigre” che Letta chiede ai suoi elettori. Un po’ come “una campagna elettorale con colori ben definiti come un quadro di Van Gogh”, solo che Van Gogh era affetto da xantopsia, una distorsione della percezione che gli faceva vedere il mondo intorno più giallo della realtà e questo spiegherebbe l’ossessione per il colore che caratterizzava i suoi quadri. Ieri Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci del Pd, ha sfidato il ridicolo e ha dato la sua spiegazione: “Noi sindaci siamo già oltre gli occhi di tigre di Rocky III, siamo pronti a Rocky IV e a ti spiezzo in due”. Forse sarebbe meglio darsi una calmata con le metafore e cominciare a parlare di programmi e contenuti, che dite?

RENZUSCONI
Renzi su Berlusconi: “Vederlo staccare la spina al governo Draghi mi spiace, chi gli sta accanto dovrebbe consigliarlo meglio. Berlusconi ha guidato più governi di tutti, ha una sua riconoscibilità a livello internazionale, lo vuoi rimettere nell’agone politico?”. E poi: “Berlusconi va aiutato a fare il padre nobile”. Per Renzi Berlusconi è un “padre nobile”. Sostanzialmente una confessione. La guerra scompare dalla campagna elettorale. Visto? Ubi maior minor cessat.

2- Continua – qui la prima puntata

Leggi anche: Da Calenda premier al Pd in ritardo. Il bestiario della corsa elettorale. Letta, Sala, Tajani… è già gara per le gaffe migliori

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Nel Pd cade il veto su Renzi. Ed è rissa per i seggi blindati

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In casa Pd ora il primo pensiero sono le liste. Il segretario Enrico Letta ha dato mandato ai segretari regionali di preparare le liste che verrano votate il 9 o l’11 agosto. Però c’è un problema non da poco: tra i rivoli delle correnti all’interno del Partito democratico Base riformista ha una prevalenza che a molti – anche tra i parlamentari – sembra non rispecchiare i reali valori di forza all’interno del partito.

In casa Pd ora il primo pensiero sono le liste. Letta ha posto come regola che nessuno può fare più di 3 mandati di fila

Appartengono a Base riformista la maggioranza dei segretari regionali e in molti chiedono a Letta di “svolgere le funzioni da segretario, sta lì per quello”. È il solito bilico difficile tra federalismo e centralismo democratico dell’organizzazione interna. Ma l’appartenenza di corrente dei candidati non è l’unico problema: nella prima bozza delle candidature la presenza femminile si aggirerebbe intorno al 30% e in molti hanno fatto notare che così non va.

La riduzione dei parlamentari però pesa eccome sul nervosismo con sui si preparano le liste e l’equilibrio di genere è un ulteriore ostacolo che Letta dovrà riuscire a superare per tenere compatto il partito che si prepara alla campagna elettorale.

Qualcuno contesta anche le deroghe per le candidature. Nel suo discorso in direzione nazionale il segretario Letta ha posto come regola che nessuno può fare più di 3 mandati di fila (15 anni) in Parlamento. Da regolamento però vengono derogati “coloro i quali ricoprono o abbiano ricoperto la carica di Segretario nazionale, di presidente del Consiglio dei ministri e di ministro della Repubblica” e in un partito che da anni si ritrova al governo inevitabilmente gli ex ministri fioccano: spazio aperto quindi a Franceschini ma anche a Fassino e altri che in Parlamento ci stanno da una vita.

Letta ha promesso però che gli ex ministri con più di tre legislature dovranno farsi eleggere trovando i voti, nei collegi uninominali. E dentro il Pd sono in pochi a crederci. Sul fronte esterno invece la notizia è l’apertura di Letta a Renzi, che fino a ieri sembrava fuori dall’alleanza. Letta lo ha detto chiaramente a margine della festa dell’Unità a San Miniato (Pisa), rispondendo a chi chiedeva se ci siano veti nei confronti di Matteo Renzi.

“L’ho già detto, noi non mettiamo veti nei confronti di nessuno”, ha risposto il segretario dem. La discussione sulle alleanze è basata su “tre criteri fondamentali – ha aggiunto – costruiremo alleanze con chi porta valore aggiunto, chi arriva con spirito costruttivo e chi si approccia senza porre veti”.

A Renzi non sembra vero e ospite ad Agorà si lancia: “Vorrei fare un appello – dice – a tutti i partiti: qui c’è una situazione serissima, sono molto preoccupato. C’è un problema d’inflazione, il costo della bolletta è sempre più alto, la campagna elettorale deve continuare sui battibecchi, le discussioni, o su quello da fare? Prima si deve decidere cosa fare”.

Si finge di parlare di contenuti ma ora ciò che interessa al leader di Italia Viva è trovare un approdo sicuro per non rischiare di rimanere fuori dal Parlamento. Poi ritira fuori l’agenda Draghi. «La politica oggi sembra impazzita, forse è il caldo – ha aggiunto l’ex premier -. Io partirei prima dai contenuti per fare la coalizione, però se mi chiedono un nome dico che ripartirei da Draghi. Se ci sarà una situazione di pareggio, è chiaro che se la destra stravince vorrà decidere lei”.

Insomma, non è ancora entrato ma già compie azione di disturbo. E così mentre anche Beppe Sala da Milano chiede che “l’alleanza sia la più larga possibile, senza veti di nessun tipo” il deputato renziano Gabriele Toccafondi non riesce a trattenersi e attacca Nicola Fratoianni e Sinistra Italiana (che nell’alleanza con il Pd ci sono da tempo): “Il Pd apre le porte all’alleanza con Sinistra Italiana, quel partito che ha definito il governo Draghi ‘delle banche e dei poteri forti’, il partito che ha votato 55 volte contro la fiducia al governo di unità nazionale. Questo Pd è lo stesso che si dice ‘riformista’ e che vuole seguire l’agenda Draghi?”, scrive sul suo profilo Facebook il deputato Iv.

Non male come spirito costruttivo per convincere Letta a farsi imbarcare sull’ultima scialuppa di salvataggio disponibile. Il coordinatore toscano di Italia Viva Nicola Danti rincara la dose e in un’intervista al Corriere fiorentino spiega: “Noi vorremmo portare avanti l’agenda Draghi nel futuro parlamento, la cosa importante in politica è aver un programma condiviso: il Pd sta facendo un’accozzaglia di sigle.

Vedo che Fratoianni (Sinistra Italiana, ndr) dice già no al rigassificatore di Piombino. Come si fa”. Già, come si fa Se lo chiedono in molti dentro (e fuori dal Pd). Vale davvero la pena imbarcare Renzi e i suoi spiccioli di voti per turbare un’alleanza che già non si prospetta tranquilla Una cosa è certa: gli stessi che ieri assicuravano che fosse impossibile l’ingresso di Renzi in coalizione oggi rispondono con laconici “non so”. Qualcuno a Letta dovrà spiegare la favole della rana che muore annegata dallo scorpione che sta trasportando: lei gli chiede “ma perché mi uccidi sapendo di morire anche tu?w, e lui sornione risponde “perché è la mia natura”.

Leggi anche: Letta toglie il veto a Italia Viva e Renzi si ringalluzzisce

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Un governo in carica solo per gli affari ricorrenti

Figurarsi se il ministro della guerra non rientra nell’ordinaria amministrazione di un governo che formalmente dovrebbe limitarsi solo agli “affari correnti”. O forse è una confessione: che Guerini aumenti le spese militari è una scena già vista così tante volte che ormai dalle parti del Parlamento (e della stampa) non ci fa più caso nessuno.

Così tra gli affari ricorrenti rientra anche un miliardo e duecento milioni in più che l’Italia spenderà per le sue Forze armate. Il Documento programmatico triennale firmato dal ministro Lorenzo Guerini porta la spesa per il 2022 a 18 miliardi, contro i 16,8 dello scorso anno. Come racconta Floriana Bulfon su Repubblica «la lista della spesa vede imporsi il futuro caccia Tempest, realizzato con la Gran Bretagna e la Svezia: un velivolo chiamato di sesta generazione a cui vengono destinati subito 200 milioni in più. C’è poi il piano per una serie di veicoli corazzati che vede crescere la dote di oltre un miliardo e mezzo: si prevede un investimento di 3,74 miliardi in tredici anni. Questo programma è presentato in chiave di collaborazione europea e influenzerà le trattative per la vendita di Oto Melara: nel Documento si specifica che le risorse serviranno pure per gli studi del nuovo “carro armato europeo”. Un altro elemento chiave è la task force navale per gli interventi dei “marines” italiani: la brigata San Marco della Marina e i Lagunari dell’Esercito. C’è uno stanziamento di 1.200 milioni per costruire due navi anfibie per le operazioni di sbarco. Le altre voci più rilevanti riguardano le quote annuali per i sottomarini U-212 (510 milioni), gli intercettori Eurofighter (1,4 miliardi) e i caccia invisibili F35 (1.270 milioni)».

Ma nel pieno della crisi climatica e di una guerra finanziata dai proventi di gas e petrolio, il governo italiano ha aumentato la spesa per le missioni militari a protezione delle fonti fossili. Lo denuncia Greenpeace: in un nuovo rapporto pubblicato ieri, Greenpeace Italia svela che nel 2022 la militarizzazione della nostra “sicurezza energetica” ci costerà 870 milioni di euro, il 9% in più rispetto al 2021 e ben il 65% in più  rispetto al 2019. Nel complesso, si tratta di una cifra pari al 71% dell’intero budget per le missioni militari del 2022.

La relazione governativa sulle missioni in corso, approvata ieri dalle commissioni Esteri e Difesa della Camera e ancora all’esame del Senato insieme alla delibera sulle nuove missioni, rimanda ripetutamente alla sicurezza dei nostri approvvigionamenti di fonti fossili. Anche i due ministri competenti, Lorenzo Guerini (Difesa) e Luigi Di Maio (Esteri), nella loro audizione davanti alle commissioni riunite del 26 luglio hanno citato più volte la questione energetica. In particolare, Guerini ha dichiarato che «l’impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali» punta anche a prevenire e gestire «scenari di crisi conseguenti tanto alle minacce convenzionali, quanto a quelle ibride», come «le restrizioni all’approvvigionamento energetico».

Che l’Italia intendesse rispondere alla guerra in Ucraina puntando su una militarizzazione della diversificazione energetica era già stato anticipato da Guerini in occasione della sua comunicazione sul conflitto del 5 maggio: «Il dovere di rimodulare una situazione di dipendenza dalle forniture russe non può prescindere dal consolidamento delle condizioni di stabilità di quelle regioni che rappresentano una valida alternativa per l’approvvigionamento delle risorse energetiche a tutela della sicurezza energetica nazionale ed europea».

Oltre alle missioni militari che Greenpeace aveva già etichettato come “fossili” in un rapporto diffuso a dicembre (dallo Stretto di Hormuz all’Iraq, dalla Libia al Golfo di Guinea, fino al Mediterraneo orientale e al Corno d’Africa), quest’anno il governo ne ha aggiunte tre nuove, di cui due legate allo sfruttamento di fonti fossili: la missione bilaterale di supporto alle Forze armate del Qatar in occasione dei “Mondiali di calcio 2022” e la missione Eu in Mozambico. In audizione, Di Maio e Guerini hanno ricordato «gli importanti accordi in ambito energetico» stretti di recente con il Qatar. Già nel luglio scorso, inoltre, il ministro della Difesa aveva sottolineato che le violenze in corso nella provincia nord del Mozambico avevano causato «le interruzioni dell’attività estrattiva». Inoltre, le operazioni Gabinia nel Golfo di Guinea e Mare sicuro al largo della costa libica continuano ad avere come primo compito la «sorveglianza e protezione delle piattaforme ENI».

Mentre sempre più studi internazionali, compresi quelli dell’Onu e dell’Unione europea, segnalano che le disuguaglianze economiche e il deterioramento ambientale connessi all’attività estrattive sono tra le cause profonde di molte crisi che la comunità internazionale e l’Italia stanno tentando di risolvere con le loro missioni militari (dalla pirateria nel Golfo di Guinea all’instabilità dell’Iraq) il nostro governo continua a difendere asset fossili che alimentano quelle stesse crisi in un drammatico circolo vizioso che Greenpeace chiede di interrompere al più presto.

«Il nostro Paese deve smettere di proteggere militarmente gli asset e gli interessi dell’industria dei combustibili fossili, puntando con decisione sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico. Solo così potremo assicurarci una maggiore indipendenza energetica e tutelare davvero l’ambiente e la pace», dichiara Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia.

Buon venerdì.

Nella foto: il ministro degli Esteri Di Maio, il presidente del Consiglio Draghi e il ministro della Difesa Guerini, Roma, 20 luglio 2022

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“Calenda è un politicante, vuole il nucleare ma non dice chi pagherà”. Parla Bonelli (Europa Verde): “Per fermare le destre serve anche Conte”

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Angelo Bonelli è Co-Portavoce di Europa Verde, assieme a Eleonora Evi. Ieri il suo partito ha ufficializzato la corsa alle prossime elezioni con Sinistra Italiana.

Bonelli, la domanda che si pongono tutti: ma davvero i Verdi con Calenda
“I Verdi nono finiscono proprio per nulla con Calenda. È lui che deve fare attenzione perché le questioni che noi portiamo sono maggioritarie nel Paese. C’è un problema di fondo, Calenda ha fatto della competenza il suo slogan ma in realtà si è trasformato in un politicante: sul nucleare, ad esempio, non dice all’Italia come lo finanzierà. Il nucleare attinge sempre dai soldi pubblici, tra l’altro molte centrali francesi sono ferme per siccità e il governo francese ha nazionalizzato Edf a causa dei debiti che non riesce più a reggere (13 miliardi di euro). Il programma di Calenda, per dividere e distinguersi, fa una proposta che mette le mani nelle tasche degli italiani, costringendoli a pagare l’energia ancora di più”.

Però l’alleanza che Letta ha in mente comprende voi e Calenda…
“È un’alleanza che viene proposta da Letta in questi termini. Noi, anche se Letta ha chiuso al M5s e il M5s ha annunciato di voler correre da solo, per tutti i giorni che mancano al deposito delle liste non ci rassegniamo e ci impegneremo a costruire un fronte democratico per fermare i sovranisti con dentro anche Conte. Ma solo noi sentiamo questa responsabilità? Fino a ieri Meloni bombardava il governo Draghi dove c’erano Salvini e Berlusconi. Oggi a destra litigano ancora sui posti da spartire. Questi hanno promesso a Berlusconi la presidenza del Senato. Ci rendiamo conto? Immaginiamo: se prendono 2/3 del Parlamento, cambiando la Costituzione? I nostri padri costituenti ci guarderebbero dicendoci “cosa state facendo?” Per questo bisogna insistere a tenere dentro il M5S fino alla fine”.

Ma voi non avete una posizione diversa dal PD su politiche energetiche e clima
“Su questo dissento. Sono molto severo da sempre con loro su infrastrutture e consumo di suolo. A proposito, ieri è uscito un rapporto drammatico del Sistema nazionale protezione ambiente. Dati terrificanti: 2,2 metri quadri al secondo che se ne vanno. Pezzi di territorio che se ne vanno, se li associamo a crisi climatica e desertificazione è un disastro. Ma il Pd si è schierato contro il nucleare, contro la tassonomia in Europa che è stata un vero e proprio regalo a Macron e all’industria francese. Ha votato con noi un piano che dà target importanti su rinnovabili e auto elettriche. Io penso che da questo punto di vista, forse anche grazie a noi, si sono ridotte molto le distanze. Piuttosto mi preoccupa Calenda. Ha fatto dei numeri e della competenza il suo modo di agire ma non dice come finanzierà il suo programma nucleare. Il modello per noi è la Germania che prende scelte dolorose per garantire il funzionamento del corpo economico e sociale ma dice entro che entro il 2030 l’80% dell’energia sarà rinnovabile”.

Che ne pensa di Cingolani?
“Quello che manca al governo – per questo sconsiglio di parlare di “agenda Draghi” – è un piano serio. Cingolani ci vuole rendere dipendenti per i prossimi decenni dal gas che costerà il 40% in più rispetto a quello che paghiamo. L’Eni lo scorso trimestre ha registrato un +3870% perché con l’aumento del gas ha fatto profitti incredibili che il Governo ha calcolato in 40 miliardi di euro. La strategia di Cingolani ci condannerà a bruciare fonti fossili, con costi altissimi per imprese e cittadini. Una vera e propria recessione. Poi mi chiedo: per rigassificatori è stato messo un commissario mentre 150GW di richieste di autorizzazioni dalle rinnovabili sono bloccate, perché?. Nei prossimi anni utilizzeremo il gas ma bisogna dire quando saremo 100% rinnovabili”. Del resto un ministro che dice che “la transizione ecologica è un bagno di sangue” è lampante che sia inadeguato”.

Che inverno ci aspetta
“Ho grande preoccupazione, siamo stati i primi a lanciare l’allarme. Abbiamo parlato di imporre un tetto al prezzo gas, per primi. Ci sono tre questioni: se il Consiglio d’Europa non decide allora lo faccia l’Italia come accaduto in Spagna e Portogallo. Non possiamo consentire che arrivino a pensionati e artigiani bollette decuplicate. Abbiamo il dovere morale di intervenire rapidamente. La seconda questione è quella degli extraprofitti. Nessuno vuole mettere in discussione gli utili ma qui stiamo parlando di profitti generati dalla speculazione. Quelli vanno integralmente restituiti alle famiglie e alle imprese. Il 25% di prelievo non è stato rinnovato, si è fermato marzo 2022. Noi chiediamo che il 100% sia restituito. Infine anche con un commissariamento abbiamo bisogno di sbloccare le autorizzazioni per l’energia pulita e per abbassare il costo dell’energia”.

L’articolo “Calenda è un politicante, vuole il nucleare ma non dice chi pagherà”. Parla Bonelli (Europa Verde): “Per fermare le destre serve anche Conte” sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Manca la terra sotto i piedi

Tra il 2006 e il 2020 nell’Area metropolitana di Milano sono stati consumati 2153,2 ettari di territorio, mentre nell’area del Comune di Roma, il consumo di suolo ha riguardato 2023,66 ettari. Si tratta di una differenza di poco meno di 130 ettari quella che separa la capitale d’Italia dall’Area metropolitana di Milano. Sono i dati raccolti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) nell’ambito del progetto europeo Soil4life che vede coinvolti Legambiente, come capofila, Cia, Ccivs, Crea, Ersaf, Politecnico di Milano, Roma Capitale e Zelena Istra con l’obiettivo di promuovere l’uso sostenibile del suolo in quanto risorsa strategica e non rinnovabile.

In questi 14 anni, in cui il tema del consumo di suolo ha cominciato ad assumere una notevole importanza non solo sotto il profilo scientifico e ambientale, ma anche e soprattutto, sociale e politico, gli ettari di suolo consumati per far posto alla crescita delle aree edificate delle due principali città italiane non si è mai fermato, neanche con l’emergenza Covid. Oltre 123 gli ettari consumati nella Capitale tra il 2019 e il 2020, mentre nell’Area Metropolitana di Milano, nello stesso periodo, sono stati impermeabilizzati 93,54 ettari di suolo. Complessivamente la percentuale di suolo ormai perso nel Comune di Roma è pari al 24 per cento del totale con un consumo procapite di 108 metri quadrati per abitante. Nella Città Metropolitana di Milano la percentuale scende al 32%

Nel periodo 2012-2020 l’incremento di consumo di suolo a Roma è stato di 697 ettari. A Milano salgono a 978.

La scelta del confronto tra Comune di Roma e Area metropolitana nasce da due considerazioni di fondo: Roma e Milano sono due città molto diverse tra loro con una storia diversa e con confini amministrativi differenti. Il Comune di Milano è molto più piccolo di quello di Roma, sia in termini di superficie che di popolazione. Per avere un aggregato simile a quello del Comune di Roma, almeno in termini di dimensioni, occorre guardare all’Area Metropolitana di Milano, almeno così come è definita all’interno dei confini dell’ex Provincia di Milano. C’è poi un’altra considerazione da fare come spiega Michele Munafò, dirigente di ricerca e responsabile scientifico per Ispra del progetto Soil4Life: «Guardando i dati emerge chiaramente come la gran parte del consumo di suolo degli ultimi 15 anni si concentri, nel caso della Città metropolitana di Roma, all’interno dei limiti del comune centrale (quasi la metà, con una tendenza alla crescita negli ultimi anni), mentre la situazione opposta si verifica a Milano, dove il 90% del consumo dello stesso periodo avviene nei comuni di cintura e non nel comune capoluogo (che negli ultimi due anni ha un consumo di suolo bassissimo, con un’evidente tendenza alla riduzione). Nei due comuni le percentuali di superfici già consumate sono molto diverse (Milano 58%, Roma 23,5%). Per questo a Milano (Comune) il poco suolo naturale rimasto andrebbe tutelato con molta attenzione. Basti pensare che nella città lombarda ogni residente ha oggi a disposizione poco più di 50 mq di aree non consumate, a fronte dei 350 mq per abitante disponibili invece nella capitale».

«La legge contro il consumo di suolo è una riforma non rinviabile, prevista anche dal Pnrr – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente che è capofila del progetto Soil4Life – e l’Italia la aspetta da troppi anni. Ora occorre impedire che la ripresa post-pandemica inneschi dina-miche speculative ai danni dei suoli liberi, cosa che stiamo già osservando nelle nostre campagne con la proliferazione di capannoni per la logistica e l’e-commerce. Il suolo è centrale per la transizione ecologica: occorre introdurre una speciale tutela per i suoli intatti, siano essi di foresta, di pascolo o zone umide, perché oggi sappiamo che questi sono i più preziosi giacimenti di carbonio organico e biodiversità del nostro Paese».

È un costo complessivo compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, in pratica la metà del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quello che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030. Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. In altre parole due milioni di volte il giro della terra.

È la situazione attuale e quella futura analizzata dal Sistema nazionale per la protezione dell’Ambiente nell’edizione 2021 del Rapporto sul “Consumo di suolo in Italia”.

A livello nazionale le colate di cemento non rallentano neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, e ricoprono quasi 60 chilometri quadrati, impermeabilizzando ormai il 7,11% del territorio nazionale. Ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni 50).

L’incremento maggiore quest’anno è in Lombardia, che torna al primo posto tra le regioni con 765 ettari in più in 12 mesi, seguita da Veneto (+682 ettari), Puglia (+493), Piemonte (+439) e Lazio (+431).

Nelle aree a pericolosità idraulica la percentuale supera al 9% per quelle a pericolosità media e il 6 % per quelle a pericolosità elevata. Il confronto tra i dati 2019 e 2020 mostra che 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità da frana, di cui 20 ettari in aree a pericolosità molto elevata (P4) e 62 a pericolosità elevata. Le percentuali si confermano alte anche nei territori a pericolosità sismica alta dove il 7% del suolo risulta ormai cementificato.

Consumo di suolo e isole di calore. A livello nazionale superano i 2300 gli ettari consumati all’interno delle città e nelle aree produttive (il 46% del totale) negli ultimi 12 mesi. Per questo le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive, già più alte di 2°C, che possono arrivare anche a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non urbanizzate.

Transizione ecologica e fotovoltaico, meglio sui tetti che a terra: solo in Sardegna ricoperti più di un milione di mq di suolo, il 58% del totale nazionale dell’ultimo anno. E si prevede un aumento al 2030 compreso tra i 200 e i 400 kmq di nuove installazioni a terra che invece potrebbero essere realizzate su edifici esistenti. Il suolo perso in un anno a causa dell’installazione di questa tipologia di impianti sfiora i 180 ettari. Dopo la Sardegna è la Puglia la regione italiana che consuma di più con tale modalità, con 66 ettari (circa il 37%).

E con la logistica l’Italia perde ancora più terreno. Invece di rigenerare e riqualificare spazi già edificati, sono stati consumati in sette anni 700 ettari di suolo agricolo e il trend è in crescita. In Veneto le maggiori trasformazioni (181 ettari dal 2012 al 2019, di cui il 95% negli ultimi 3 anni) dovute alla logistica, seguita da Lombardia (131 ettari) ed Emilia- Romagna (119).

Buon giovedì.

Sul consumo di suolo e la politica europea in materia, vedi articolo di Roberto Musacchio, su Left del 3 luglio 2020

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Da Calenda premier al Pd in ritardo. Il bestiario della corsa elettorale

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Quando Carlo Calenda si è reso disponibile per fare il Presidente del Consiglio “in mancanza di Draghi” in molti abbiamo pensato se il leader di Azione non avesse almeno un amico che gli tiri la giacca quando esagera con le panzane.

Letta, Sala, Tajani… è già gara per le gaffe migliori. Ma non è facile stare al passo con il leader di Azione

Poi il suo compagno di partito Giacomo Leonelli ci ha spiegato che “l’ironia sull’ipotesi Calenda premier” è fuori luogo perché il suo leader “è stato al Mise con innegabili risultati”. Il sogno dei calendiani è cancellare questa rottura di scatole del voto popolare e assegnare ruoli sul merito. Che si autocertificano da soli. Dalla meritocrazia alla meritomiocrazia.

CALENDA MAN
Sempre Calenda (in questi giorni è in gran forma) rispondendo a un suo elettore per difendere la nuova arrivata Mariastella Gelmini dice: “Tutti in passato abbiamo fatto errori”. Ha ragione, del resto chi di noi non è incappato per sbaglio per 28 anni alla corte di Berlusconi. Forse Di Maio per farsi perdonare deve fare un fine settimana con Tajani. Dal populismo siamo passati al perdonismo.

LETTA MANI DI FORBICE
Enrico Letta ci avvisa che l’incontro tra governo e parti sociali è stato “molto positivo”: “Fa davvero rabbia pensare – dice Letta – che se non fosse stata tolta la #fiducia al #governo sarebbe stato molto più positivo, a partire da una mensilità in più a fine anno per i lavoratori, frutto del taglio alle tasse sul #lavoro”. Eravamo a un passo dal toccare il cielo con un dito e non ce ne eravamo accorti. Un po’ come quando arrivi in un locale mesto e i tuoi amici ti dicono che fino a un minuto prima era stata una figata pazzesca. Tempo delle mele.

DI MAIO FA CENTRO
Luigi Di Maio ormai è pronto per essere un leader del “grande centro”: ieri ci ha spiegato che “bisogna fare il salario minimo ma non si può imporlo ai datori di lavoro”. Il salario minimo omeopatico, del resto, è uno dei punti forti del programma centrista in cui promettono una nuova linea di eau de toilette al gusto “Diritti”. Un flacone di cittadinanza per tutti.

AR-RUOCCO ANTI-IVA
La compagna di Di Maio nel nuovo partito “Insieme per il Futuro”, Carla Ruocco, ci avvisa che stanno lavorando “per azzerare l’Iva su pane e pasta e ridurre l’aliquota dal 10 al 5% su carne e pesce”. “Per noi, – dice Ruocco – non contano gli slogan ma le soluzioni concrete”. Sembra una puntata di Stranger Things, dove i protagonisti vengono risucchiati da un demogorgone che gli modifica l’identità. Hanno incrociato Sala e Tabacci e sono diventati adulti in un attimo.

GIRATO DI MELONI
Circola una foto. Nella sede di Fratelli d’Italia a Civitavecchia, circolo dedicato a Giorgio Almirante, sono appesi poster e vessilli della Xª Flottiglia MAS con la foto del golpista Borghese. Chissà se Giorgia Meloni anche in questo caso avrà bisogno di tutto il girato per individuare la “matrice” che infesta il suo partito. Fallo di simulazione.

SALA E I DUE LIOCORNI
Il sindaco di Milano Bebbe Sala (che non si candida ma è il nuovo baby sitter di Di Maio “per il bene del Paese”) dice che l’unico consiglio che ha dato a Letta “è di lavorare in questo momento affinché si azzerino i veti”. Il segretario del Pd avrà pensato che dopo avere imbarcato Calenda, Brunetta, Gelmini e forse Carfagna ormai mancano solo i due liocorni. Coalizione aperta quasi spalancata.

TAJANI MONARCHICO
Il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani viene impallinato dal meloniano Rampelli per escluderlo dalla corsa a Palazzo Chigi: “Era monarchico!”, dice Rampelli. Tajani si difende: “E che problema c’è?”. Te lo diciamo noi, Tajani: che vi candidate a guidare una Repubblica parlamentare. Questo è il problema.

1-Continua

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Il campo kamikaze già scoppia. La prima bomba è Calenda

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Enrico Letta traccia il solco: in nome del “voto utile” (questa volta contro la destra di Meloni e Salvini) bisogna costruire “un’alleanza elettorale” per battere la destra “nero fossile”. Per farlo il segretario del Partito democratico ammette che bisogna convincere “qualcuno che in passato ha votato per loro o noi questa sfida non la vinciamo”.

C’è per Letta un problema non da poco: Fratoianni e Bonelli non vogliono Calenda e Calenda pone il veto su Fratoianni e Bonelli

Letta fa anche i nomi e i cognomi: bisogna convincere gli elettori di Forza Italia. Che gli elettori di Forza Italia possano votare un’alleanza che – almeno sulla carta – vorrebbe essere di centrosinistra appare impervio ma per portarsi avanti intanto sembra più che pronto ad abbracciare Gelmini e Brunetta portati in dote da Calenda.

Matteo Orfini prova a sollevare il tema: “Non mettiamo veti sulle persone, ma se vogliamo fare pace con il mondo della scuola non potremo avere qualcuno che non ce lo fa fare”, dice riferendosi ovviamente all’ex ministra Gelmini ma i più maligni dell’assemblea non possono fare a meno di pensare anche a Lucia Azzolina, ministra del secondo governo Conte che ora Di Maio regala al Partito democratico.

Anche su Luigi Di Maio i malumori ci sono, eccome. Laura Boldrini non lo nomina ma fa riferimento a “chi parò del partito di Bibbiano e dei taxi del mare” mentre Goffredo Bettini avvisa che Calenda (ormai a un passo dall’ingresso in coalizione) “ha fatto della demolizione degli altri la sua cifra politica, si erge a giudice di ogni singola forza o personalità politica, non se ne salva nessuna, ha diviso fra i buoni e i cattivi”.

Lui, Calenda, intanto da fuori riesce a sfiorare il ridicolo dichiarandosi disponibile a fare il Presidente del Consiglio “se Draghi non sarà disponibile” (leggi l’articolo). Basterebbe anche solo questa frase per fare capire come, al di là dei numeri, la presenza del leader di Azione e dei suoi nuovi acquisti pescati dalla cesta di Berlusconi sarà ingombrante e faticosa. A sinistra intanto Nicola Fratoianni – che abbiamo intervistato su La Notizia di oggi (leggi l’articolo) – sembra pronto a fare parte del gruppo.

C’è per Letta un problema non da poco: Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (nella foto) non vogliono Calenda e Calenda pone il veto su Fratoianni e Bonelli. Del resto al di là delle questioni personali ci sarebbe da rendere compatibili programmi che su molti punti sono addirittura opposti: gli uni vogliono più stato sociale mentre l’altro lo cancellerebbe mettendolo sul mercato, questo vuole le centrali nucleari e i rosso-verdi sono contrari già al rigassificatore di Piombino.

Letta insiste chiarendo che “non c’è nessuna agenda Draghi” (ma era stato lui a sventolarla) e che “ciascuno potrà tenere i propri programmi”. La legge elettorale, del resto, rende ancora più difficile una campagna elettorale che si preannuncia durissima. “Il problema sarà anche come si sviluppa concretamente la campagna elettorale. Se dovessimo censurarci perché c’è uno che ti smentisce, rinunceremmo alle nostre potenzialità di fuoco», dice il ministro Orlando.

Poi c’è il problema delle liste: si voteranno il 9 o l’11 ma saranno i segretari regionali a farsene carico. Le donne per ora sono poche, troppo poche. E le deroghe sono già pronte per Fassino, Franceschini e i soliti noti. Il M5S è ufficialmente escluso. Di Renzi non parla nessuno ma un suo ingresso sembra molto improbabile.

Il vicesegretario Peppe Provenzano coglie il punto: «Bisogna evitare di dare l’impressione di voler costruire un’alleanza degli inclusi, sarebbe un regalo a Meloni”, dice. Eppure per ora da fuori sembra proprio così. Un centro-centro-centro-sinistra che cerca voti a destra.

Leggi anche: Benvenuti nel Campo kamikaze del Pd, dove i nuovi alleati di Letta già lo bocciano come candidato premier per Draghi forever

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