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Il punto di questa bislacca campagna elettorale

Questa legge elettorale è un disastro. Questa cosa va chiarita subito perché non è ben chiara: un partito deve avere almeno il 3% dei voti oppure presentarsi in una coalizione di partiti che ottengono insieme il 10% per eleggere i suoi in Parlamento. Ecco perché ieri Enrico Letta ha parlato di “alleanza elettorale” e non di “coalizione” ed ecco perché ha puntualizzato che gli eletti del Partito Democratico risponderanno al programma del Pd e non a un indefinito programma di coalizione.

Chiarito questo ieri il segretario del Pd ha illustrato la sua strategia: fingersi di centrodestra per prendere i voti del centrodestra e riuscire a battere la destra. Qualcuno dei suoi giustamente ha posto il tema dei voti che così si perderebbero a sinistra (quella che Calenda chiama amichevolmente “frattaglie”) ma il tema non sembra per ora molto sentito. Così sembra davvero probabile (a oggi, ma sono giorni convulsi in cui potrebbe cambiare il quadro) che Letta miri a una coalizione con Fratoianni e Bonelli a sinistra e Calenda a destra, compresi Gelmini e Brunetta e compagnia cantante. Fratoianni e Calenda si faranno la guerra fino all’ultimo ma poi in nome della “responsabilità” potrebbero decidere di andare fino in fondo, questa è la sensazione diffusa. Renzi, per ora, è fuori. Ma nei prossimi giorni ci sarà da preparare le liste e gli animi si scalderanno.

A sinistra Luigi De Magistris, Potere al Popolo e Rifondazione si avvicinano all’assemblea che darà il via a “Unione Popolare”. De Magistris vorrebbe coinvolgere il M5S (i contatti sono continui) ma Potere al Popolo non vede di buon occhio l’ingresso del partito che firmò i decreti sicurezza con Salvini (solo per citare uno dei tanti punti critici). Anche in questo caso la sensazione, a oggi, è che l’alleanza elettorale dovrebbe rimanere così. In attesa degli eventi.

Si fa strada l’ipotesi che il Movimento 5 Stelle corra da solo. L’idea è di far rientrare Di Battista, Raggi e Appendino. Tra le condizioni poste c’è quella di “tornare alle origini” e non allearsi con nessuno.

A destra invece si stanno scornando per la leadership. Giorgia Meloni sa di avere più voti ma teme l’asse Berlusconi-Salvini (immaginatevi tra l’altro lo scorno di essere comandati da una donna). Meloni ha chiesto che si chiarissero le modalità con cui il centrodestra sceglie il presidente del Consiglio. Berlusconi ha risposto senza rispondere. Tra l’altro da quelle parti c’è già profumo di festa e champagne. Ed è una leggerezza che potrebbero pagare cara.

Non male come inizio.

Buon mercoledì.

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Crepe a sinistra per il Pd, Nicola Fratoianni boccia l’Agenda Draghi

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Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, ha presentato il simbolo comune con Europa Verde con Angelo Bonelli e Eleonora Evi.

Fratoianni, le faccio la domanda che fanno tutti in queste ore: davvero Sinistra Italiana e Verdi staranno con Calenda
Sinistra italiana e Verdi stanno con il paese soffre che soffre una crisi sociale e ambientale. Credo che serva una proposta chiara, ambiziosa e radicale nelle soluzioni. Serve una proposta che comprenda la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario – per tenere insieme transizione e occupazione -, serve un serio percorso di digitalizzazione, serve una vera transizione. Siamo l’unico Paese in cui salari da 30 anni calano mentre i prezzi crescono. Penso a un Paese che per tornare competitivo investa sull’istruzione gratuita fino all’Università, nella ricerca pubblica, nella sanità, nelle energie rinnovabili e non fossili. Penso a un paese che ha bisogno di cambiare per aumentare i diritti. Noi lo faremo consapevoli che di fronte abbiamo una destra pericolosa per le sue ricette, non solo per la provenienza: sono gli amici di Trump, è la destra del negazionismo, che vuole la flat tax smantellando lo stato sociale considerato solo merce da spartire. Credo che tutti debbano porsi un problema: come impedire che questa destra vinca e ci condanni a un pericoloso passo indietro? Questo riguarda tutti. Per cui Fratoianni e Bonelli all’inizio di questa crisi determinata da una delle forze che sostenevano il governo propongono un progetto. Ricordo che io sono stato sempre all’opposizione, contro l’invio di armi, contro l’aumento delle spese militari, contro la delega fiscale senza progressività. Di fronte a una crisi che ha precipitato il Paese in una campagna elettorale mai vista, ad agosto, noi continuiamo a dire a coloro che oggi pensano che la ricetta della destra vada combattuta che sono tutti chiamati a un elemento di responsabilità. Questa volta la uso io questa parola che tante volte hanno scagliato contro di me. Si lavori alla più larga convergenza in difesa della Costituzione.

E quindi Fratoianni con Calenda
No, il loro programma è incompatibile. Non avrò mai un programma insieme a Calenda, non avrei un programma comune con quasi nessuna delle forze che ha governato con Draghi. Sono stato d’accordo solo raramente nel governo Conte 2.

Però Letta pensa a un’alleanza che vada da voi fino a Azione…
Ognuno la pensa come vuole. Discuteremo, ci confronteremo. Oggi inizia una campagna elettorale per i nostri contenuti. Il modo sarà l’oggetto della discussione dei prossimi giorni e delle prossime settimane. Io continuerò ad appellarmi all’impegno di tutti, a ripetere, verificare fino all’ultimo minuto, fino al 20 agosto quando ci sarà la presentazione delle liste. Del resto siamo di fronte anche a una pessima legge elettorale.

Quindi potrebbe essere il pontiere con il M5S?
Non pontiere, continuerò ad affermare quello che mi pare buonsenso: costruire con chiunque sia possibile una convergenza programmatica sui singoli temi. Come ho sempre fatto, all’opposizione e in maggioranza. Questo lo farò continuamente, lo ripeto: mi rivolgerò a tutti perché il tema della destra che avanza è un tema che non può essere agitato a corrente alternata, deve prevedere l’impegno di tutti. Ma non si fa una campagna elettorale “contro”. Una cosa posso dirla: chi vota per il nostro simbolo ha la certezza che chi verrà eletto e andrà in Parlamento continuerà a non votare per l’aumento della spesa militare, per l’invio di armi, continuerà a dire no al rigassificatore di Piombino. Gli elettori possono stare tranquilli. Possono misurare che quello che diciamo ha una certa corrispondenza: sono in parlamento da 9 anni credo che si difficile per chiunque indicare qualche passaggio in cui la mia correttezza e trasparenza sia stata messa in discussione.

Letta dice di puntare ai voti di Forza Italia, dopo aver agitato “l’agenda Draghi”…
Ognuno punta a prendere i voti che ritiene potenzialmente disponibili. Certo io penso che si debba lavorare per prendere voti ma anche per dare una speranza a chi in questo Paese ha continuato a soffrire. Lo dico chiaramente: non credo che esista un’agenda Draghi come possibile piattaforma per l’Italia nei prossimi decenni. Tra un po’ sarà Draghi a dirlo a chi continua a tirarlo per la giacchetta. L’agenda Draghi cos’è? Non esiste, era un governo d’eccezione per stessa definizione di chi l’ha fatto nascere (e io non sono tra loro). Il Presidente Repubblica disse “un governo che non risponde a nessuna formula politica”. Come si può pensare di farne una piattaforma Non si può. A meno che non si pensi di porre le basi per creare le condizioni per un governo simile al precedente. Quella formula richiede una trasversalità. L’altra garanzia che posso dare ai nostri elettori è: se per caso grazie a questa legge elettorale, si dovesse determinare la condizione per un trasversalismo per un governo come quello Draghi noi non ci saremo.

I sondaggi parlano chiaro: la destra stravince. Come si può pensare di batterla
Le campagne elettorali cambiano umori e percezioni. Io mi auguro che di fronte alla campagna della destra (Salvini posta già il suo faccione sorridente davanti a una barca di essere umani terrorizzati, impauriti e disperati) gli equilibri possano cambiare. Abbiamo visto le loro proposte. Io non vorrei che potessero applicarle con il bazooka del 60% dei voti. La destra italiana è questa roba qua: prende la sanità strappata a morsi per darla ai privati, è quella che taglia strutturalmente il finanziamento della ricerca pubblica perché non sa che dove non c’è ricerca non c’è innovazione anche del privato e dell’impresa. La gente sceglierà tra chi propone gratuità del trasporto pubblico locale per studenti (come in Germania e Spagna, in risposta a crisi energetica) e chi propone di cementificare, rimandare sine die la transizione all’elettrico Sono convinto che le persone sapranno scegliere.

De Magistris intervistato sul nostro giornale dice che “Sinistra Italiana potrebbe finire per fare la gamba sinistra di un PD che non c’entra niente con la sinistra”…
Io credo che a sinistra dovremmo liberarci di un’ossessione, guarire da una malattia: considerare quello che ti è più vicino il peggiore dei tuoi nemici. Luigi dice di voler lavorare per l’antisistema ma non ho capito cosa significhi. Io non sarò mai preoccupato che altri – che su molti temi hanno idee che considero condivisibili – possano essere al mio fianco. Credo che questi argomenti allontanino le persone che vorremmo. In bocca al lupo comunque a Luigi per la sua campagna elettorale.

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Stefano Bonaccini scambia l’Emilia-Romagna per Roma

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Voleva fare il calciatore e invece è finito presidente dell’Emilia Romagna. Stefano Bonaccini in queste ore è sulla bocca di molti per essere stato incoronato potenziale leader da Matteo Renzi (che per spaccare il Partito democratico sarebbe disposto a elogiare perfino Salvini).

Stefano Bonaccini in queste ore è sulla bocca di molti per essere stato incoronato potenziale leader da Matteo Renzi

Bonaccini, travolto dall’hybris, rilascia anche un’intervista in cui insegna al Pd come vincere le elezioni: “Dovremo fare a meno del Movimento 5 Stelle – spiega al Tg4 – perché cosa fatta capo ha e (testuale, sic!) non è possibile allearsi con chi ha cercato di mandarti a casa. Adesso dobbiamo costruire una alleanza di centrosinistra che a mio parere, come succede in Emilia-Romagna da sette anni, va, in questo caso, da Renzi e Calenda fino a Elly Schlein e che si contrapponga a questa destra che non vede nulla di centrodestra: Salvini e Meloni in Europa stanno con l’estrema destra non con i conservatori”.

Solo che usare il paradigma di quelle elezioni regionali alle prossime elezioni nazionali non ha senso, per una serie di motivi che Bonaccini strumentalmente dimentica. In quella campagna elettorale una grande mano alla sua vittoria gli arrivò dal fenomeno della Sardine (ormai annacquate in un posto nel consiglio comunale di Bologna del fu leader Mattia Santori) che incanalarono un importante movimento contro la Lega e la sua candidata Lucia Borgonzoni.

A proposito di Borgonzoni: fu una candidata convinta che l’Emilia Romagna confinasse con il Trentino, ipotizzò l’apertura al sabato e alla domenica degli ospedali senza sapere come funzionassero, andava in giro con la maglietta “Parlateci di Bibbiano!”, ha passato settimane a ripetere che non avrebbe festeggiato il 25 aprile.

Stefano Bonaccini ebbe gioco facile contro un’avversaria che nei sondaggi non sfondò mai (a differenza della destra nazionale che nei sondaggi esonda). In più Bonaccini potè godere dell’enorme contributo di Elly Schlein che collezionò 15.975 preferenze a Bologna, atre 3.896 a Reggio Emilia e ancora 2.227 a Ferrara con la sua lista “Coraggiosa” nata con la benedizione di Vasco Errani e Pierluigi Bersani.

Bonaccini insomma ama essere la cartina di tornasole della politica nazionale proponendo uno schema che non è ripetibile e che c’etra davvero poco. Ma per lui l’importante è che se ne parli.

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Operazione “Planning”: la ‘Ndrangheta su edilizia e supermercati. I nomi e cognomi.

C’è l’ex assessore e presidente del consiglio comunale di Reggio Calabria Dominique Suraci fra le 12 presone arrestate stamane dagli uomini del Centro operativo della Dia della città calabrese dello Stretto nell’ambito dell’operazione antimafia coordinata dalla Procura distrattuale reggina. Surace è coinvolto nella sua qualità di imprenditore legato, secondo l’accusa, alla ‘ndrangheta. Nell’indagine della Dia reggina compaiono i nomi di imprenditori molto noti, operanti nel settore della grande distribuzione alimentare e dell’edilizia legati, in particolare, ai clan De Stefano e Araniti, ma anche ad altri clan

Tra le dodici persone, presunti affiliati alla ‘ndrangheta ed imprenditori collusi, per l’operazione, denominata «Planning», che ha consentito di sgominare un’associazione criminale che avrebbe visto alleati imprenditori e famiglie di ‘ndrangheta finalizzata all’infiltrazione di alcune cosche nel settore edile e nella grande distribuzione alimentare.

Le dodici persone sono accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno, associazione per delinquere, impiego di denaro di provenienza illecita, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Fra gli indagati risultano i fratelli Giampiero e Sergio Gangemi, Antonio Mordà, e Domenico Gallo. Alcuni degli arrestati sono stati coinvolti in altre operazioni.

Contestualmente – in Lombardia, Abruzzo, Lazio e Calabria – Dia e finanzieri stanno dando esecuzione al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, disposto dalla procura reggina, di 27 imprese, di cui una con sede legale in Slovenia e una in Romania, 31 unità immobiliari, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 32 milioni di euro.

Le mani sul settore edile e sulla grande distribuzione alimentare

L’operazione costituisce l’esito di un’indagine condotta dalla Dia e dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Reggio Calabria. In particolare, sarebbero stati acquisiti elementi relativi all’esistenza di un’associazione a delinquere nel cui ambito imprenditori attivi nel settore edile e della grande distribuzione alimentare – alcuni dei quali già coinvolti in inchieste penali o destinatari di misure di prevenzione – avrebbero stretto una pluralità di accordi con famiglie di ‘ndrangheta, agevolando, secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’infiltrazione della consorteria in quei settori attraverso la compartecipazione occulta di loro esponenti alle iniziative economiche, gestite ed organizzate tramite imprese fittiziamente intestate a terzi, o mediante l’affidamento di numerosi servizi e forniture a imprenditori espressione dell’associazione criminale.

I soldi “dirottati” alla ‘ndrangheta

Parte dei profitti così accumulati sarebbe stata poi trasferita in maniera occulta, attraverso fittizie operazioni commerciali e fittizi rapporti giuridici – al fine di dirottare la liquidità verso i titolari effettivi delle operazioni economiche, incluse le cosche di ‘ndrangheta, e di ostacolare le indagini – eludendo l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali e consentendo l’impiego e l’autoriciclaggio dei proventi illeciti. Nello stesso tempo, le cosche avrebbero agevolato l’espansione delle iniziative imprenditoriali sul territorio, a discapito dei concorrenti, tutelandone gli interessi anche con l’esercizio della forza intimidatoria.


Personale della Direzione investigativa antimafia e militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria – sotto il coordinamento della locale procura reggina diretta da Giovanni Bombardieri – stanno dando corso a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal gip di Reggio nei confronti di 12 persone (8 in carcere e 4 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno, associazione per delinquere, impiego di denaro di provenienza illecita, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, tutti comunque aggravati dalle modalità mafiose.

Le indagini, durate 2 anni, hanno avuto ad oggetto illeciti commessi dal 2011 al 2021 e sono state integrate e riscontrate da plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, formatesi autonomamente e in tempi diversi. Peraltro, le investigazioni – allo stato del procedimento e impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – avrebbero consentito di svelare ulteriori ipotesi di impiego di denaro o beni o utilità di provenienza illecita e autoriciclaggio che coinvolgono la provincia di Pescara, ove taluni indagati avrebbero sostenuto, con proventi derivanti dall’attività criminale, un investimento finalizzato all’avviamento e alla gestione di due supermercati.

Nello specifico, gli imprenditori reggini coinvolti nell’iniziativa economica sviluppata in tale area sarebbero accumunati dai rapporti di solidarietà criminale con la cosca De Stefano, sebbene questo non sarebbe l’unico tratto collusivo con la ‘ndrangheta reggina, atteso come la gran parte di loro vanterebbe anche ulteriori rapporti di solidarietà criminale con altre cosche.

In manette l’ex assessore Dominique Suraci

C’è l’ex assessore di Reggio Calabria, Dominique Suraci, fra le 12 presone arrestate stamane dagli uomini del Centro operativo della Dia della città calabrese dello Stretto nell’ambito dell’operazione antimafia coordinata dalla Procura distrettuale reggina. Surace è coinvolto nella sua qualità di imprenditore legato, secondo l’accusa, alla ‘ndrangheta. Nell’indagine della Dia reggina compaiono i nomi di imprenditori molto noti, operanti nel settore della grande distribuzione alimentare e dell’edilizia legati, in particolare, ai clan De Stefano e Araniti, ma anche ad altri clan

I nomi delle persone colpite dall’ordinanza

Sono finiti in carcere Dominique Suraci, 54 anni; Francesco Armeni di 68 anni; Andrea Chilà di 57 anni; Domenico Gallo di 66 anni; Giampiero Gangemi di 53 anni; Sergio Gangemi di 48 anni, Fortunato Martino detto “Nato” di 59 anni e Antonino Mordà di 53 anni.

Agli arresti domiciliari Gaetano Coppola di 83 anni, Roberto Di Giambattista di 65 anni, Vincenzo Lo Giudice detto “Enzo” di 60 anni e Giuseppe Antonio Milasi detto “Pino” di 53 anni.

Indagati a piede libero Luigi Bagnato, 68 anni; Filippo Antonio Barcaiolo, 40 anni; Marcello Brunozzi, 71 anni; Francesco Cozza detto “Ciccio”, 48 anni; Carmelo Maria Romeo, 44 anni; Domenico Siclari, 63 anni; Tiziana Spina, 41 anni; Gianluca Taverniti, 44 anni.

(fonte)

Matteo Renzi chiede asilo politico al Pd. E boccia Letta premier

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Italia Viva bolle. Matteo Renzi che fino a qualche minuto prima della caduta del governo Draghi si aggirava con il mento all’insù per i corridoi del Parlamento convinto di tenere il boccino in mano ora annaspa alla ricerca di un pertugio.

Italia Viva bolle. Matteo Renzi annaspa alla ricerca di un pertugio

La “comunità di Italia Viva” intanto graficamente si scioglie nel nuovo logo di partito dove campeggia il nome del senatore fiorentino, a riprova che quel progetto politico può provare a rientrare in Parlamento solo grazie alla popolarità del suo padrone.

Ma la popolarità di Renzi, non è una sorpresa, è tutt’altro che fiorente. Negli uffici del Partito democratico girano sondaggi che indicano Renzi come portatore forse di un 2%, accettandolo nel “campo largo” che ha in mente Letta, ma peserebbero almeno un 4% gli elettori che si perderebbero. Il saldo è negativo.

Renzi dal canto suo prova a buttarla sul piano emozionale parlando di “astio” di Enrico Letta nei suoi confronti. È il suo solito trucco – che non funziona da tempo – di confondere il piano umano e il piano politico secondo la convenienza: Renzi che spara cannonate contro Conte e il Pd per tutti questi mesi dovrebbe essere un’arguta analisi politica, il Partito democratico che non vuole allearsi con lui invece dovrebbe essere isteria.

Non viene sfiorato nemmeno dall’idea che la sua continua delegittimazione di Letta (e del Pd), il suo continuo fare sponda alla destra, le sue continue offese agli elettori dei democratici e il suo avere fatto cadere un governo (il Conte 2) sostenuto anche da chi ora dovrebbe accoglierlo a braccia aperte, possano essere motivi più che sufficienti per accompagnarlo gentilmente alla porta.

Senza alleanza con i dem Italia Viva rischia l’estinzione

Certo gli brucia, eccome se gli brucia, assistere all’ingresso nel “campo largo” di Carlo Calenda con tutta la sua truppa di fuoriusciti berlusconiani (Brunetta e Gelmini novelli progressisti, una vera e propria distopia) mentre il suo partito galleggia intorno a un malinconico 1,8% nell’ultimo sondaggio di Youtrend per Sky Tg24.

A questo aggiungeteci che il partito di Luigi Di Maio (che probabilmente non esisterà mai, con l’ex ministro inghiottito nella lista di Letta) è dato al 2,6%: il “capolavoro politico” di Renzi sta tutto qui. Il suo “sono pronto a correre da solo” risuona come quei ragazzini che interrompono la partita urlando “il pallone è mio”, inconsapevoli che un pallone in giro lo si trova comunque.

Ma poiché Renzi non riesce a sfuggire alla sua natura nell’intervista al Corriere della Sera riesce ancora una volta a offendere Letta e i suoi e prova l’ennesima mossa del cavallo (perdente) proponendo Stefano Bonaccini come candidato alla Presidenza del Consiglio.

“Letta – dice Renzi – è il segretario del Pd: decida lui. Fossi al suo posto sceglierei uno bravo a vincere elezioni che sembravano già perse: Bonaccini. Ha preso il voto dei moderati e quello degli estremisti di sinistra e ha fermato Salvini nel momento in cui sembrava impossibile. Bonaccini ha fatto meno campagne elettorali di Letta, ma ne ha vinte qualcuna in più”. Non male provare a farsi aprire la porta dal Pd sputandogli sul campanello.

Ma non è finita qui. Mentre Bonaccini si ringalluzzisce per essere diventato una notizia – anche lui non riesce a dissimulare quanto si piaccia – Matteo Renzi cambia idea e dice di voler “riportare Draghi a Palazzo Chigi”. Stava scherzando. O forse – preoccupato com’è di piacere al Pd – prova a scimmiottare Calenda per ottenere la stessa benevolenza. Renzi continua a non capire che Calenda ha una caratteristica di cui lui è sprovvisto: i voti. E i voti in campagna elettorale contano, eccome, più di qualsiasi narcisistica narrazione di sé stessi.

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Luigi De Magistris: “Definire i dem di Sinistra è da querela”

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Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli per due mandati, è pronto alla corsa per le prossime elezioni politiche. C’è anche lui nella coalizione che si propone a sinistra del Pd e che aspetta il Movimento 5 Stelle.

De Magistris, la rivediamo sulla ribalta nazionale. Che ha fatto finora
“In questi mesi oltre ad aver scritto 2 libri (uno su Napoli e uno sul sistema criminale) ho lavorato per una cosa che avevo sempre trascurato: l’organizzazione politica. La costruzione di un laboratorio in cui si potesse costruire un’alternativa al liberismo e al draghismo per tenere insieme un fronte ambientalista, pacifista che si rivolga ai delusi e agli astenuti. Il 9 luglio con un’assemblea partecipata da molti giovani a Roma ci eravamo dati un programma ma la situazione è precipitata e ci impone di farci trovare pronti. Siamo gli unici che possiamo rappresentare un’alternativa. Siamo pronti”.

Il nome sarà “Unione popolare”?
“Lo definiamo il 28 luglio, ma mi sento di dire che sarà questo”.

E chi siete?
“I fondatori sono De.ma., Manifesta, Rifondazione e Potere al popolo. Ma fin dall’inizio ci siamo detti che non è la sommatoria dei simboli, né la riproposizione di altre esperienza già sconfitte. Partiamo noi per aprire soprattutto a storie credibili. In 20 giorni dobbiamo fare le liste e punteremo a storie credibili di persone che sono state contro le mafie, contro la corruzione, per la solidarietà, che hanno lottato per il lavoro. Ci saranno amministratori locali, associazioni, movimenti, intellettuali. Deve essere un’operazione che coinvolge chi non si sente rappresentato”.

Che ne pensa del Pd e del suo “campo largo”?
“Letta ha detto che il campo largo è finito. Era stato presentato come laboratorio progressista e invece ha già fallito. Soprattutto con la guerra il Pd ha dimostrato che di sinistra non ha nulla, è un partito di centro, il primo azionista governo Draghi. Un partito bellicista che lavora a un grande centro che tenga insieme Di Maio, Calenda, Mastella, Gelmini, Brunetta. Cercherà di mantenere qualche gamba per fingersi di sinistra ma non so se ci riuscirà. Sarà un’operazione che drenerà a destra. Ormai siamo al partito che tutela le élite, i ceti oligopolistici, la distruzione del pubblico. È da querela dire che il Partito democratico sia di sinistra”.

Ma con il Pd ci sono Sinistra Italiana e Verdi…
“Un’apparente gambetta che serve più a dare uno scranno ai leader, non mi pare più di questo. Se va in porto Unione Popolare e riusciamo a ragione con il M5S delle origini su un’agenda ambientale e sociale allora non so come possano giustificare Sinistra Italiana e i Verdi di stare con Calenda che vuole nucleare e inceneritori”.

Avete contatti con il M5S? Con Conte? Con Di Battista
“Contatti con Conte per ora no. Ma quello che registro è un vento: esiste una spinta di molti mondi che guardiamo reciprocamente con attenzione che vorrebbero questa operazione. È un’operazione giustificata da un’emergenza elettorale che ha il suo dato fondante nella rottura di Conte con il Pd. Se attorno a 10 punti irrinunciabili troviamo un accordo significherà che ci saranno 3 campi: centro, destra, e il nostro dei non allineati. Diventa un campo radicale progressista e per la Costituzione. Tutti e 3 si contenderanno la vittoria”.

Vi diranno che fate vincere Meloni. Come rispondete?
“Questa storia è finita, perché nel nostro Paese non è solo Meloni il problema. Le peggiori riforme vicine a un pensiero di destra le ha fatte il centrosinistra, soprattutto il Pd. Bisogna sconfiggere il cuore del liberismo, della mercificazione dei beni comuni, la distruzione dell’ossatura democratica. Sono nostri avversari Meloni e Pd. Ecco perché questo polo spiegato bene può ambire a vincere”.

I vostri punti programmatici?
“Sì al salario minnon imo e a un equilibrio di salari e pensioni. Sì al Reddito di cittadinanza che va rivisto e reso più funzionale con le politiche attive del lavoro perché non sia alibi per le stagnazioni. Stop all’invio delle armi. Recupero di una politica estera autonoma pur nella cornice europea. Piano effettivo riconversione ecologica: invertire completamente le politiche ambientali e industriali del nostro Paese, possiamo creare moltissimi posti di lavoro. Intervento forte sul fisco per riequilibrare le disuguaglianze colpendo i super ricchi. Attenzione a partite iva e piccole e medie imprese, con sostegni importanti e con semplificazione burocratica e amministrativa. Invertire la rotta sui beni comuni mi sta molto a cuore: evono tornare in mano pubblica energia, acqua, mare, beni primari, beni strategici. Lotta alla corruzione e alle mafie che saranno determinanti con il flusso di soldi che passeranno in questi anni”.

Non si rischia di avere una campagna elettorale troppo compressa
“Assolutamente, dovremmo farla diversamente da come ci piace. Nel poco tempo proveremo a arrivare ovunque ma sarà una campagna molto di comunicazione e di credibilità. Bisogna ritrovare la fiducia. L’appello è di non affidare la cura a chi ci ha portato fin qui. Questi non sono più credibili. Dobbiamo mettere sul campo le nostre storie, senza cedere al compromesso morale. Gli italiani sanno quanto la politica ha deluso. Noi dobbiamo dare l’alternativa”.

Avete un candidato premier in mente?
“Con questa legge elettorale si deve indicare un capo coalizione. Decideremo il 28. Dobbiamo vedere se il campo rimarrà questo o arriverà il M5S”.

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La distopia elettorale

Salvini e Meloni ieri non hanno parlato. Hanno capito probabilmente che con un campo di centrosinistra così convulso conviene quasi stare zitti, visto che ogni volta che aprono bocca infilano qualche figura barbina. Silvio Berlusconi, rintanato nel suo berlusconissimo silenzio, fa la conta dell’emorragia di parlamentari che ora lo dipingono come un despota. Del resto non c’è niente di peggio dell’acredine di un servitore che ha trovato un padrone più conveniente.

Dall’altra parte succede di tutto. Gli uomini di centrodestra che ora magicamente verranno rivenduti sul banco del centrosinistra si presentano subito magnificamente. Andrea Cangini (uno dei nuovi idoli del centrosinistra dopo avere mollato Berlusconi) dice: «Carfagna, Brunetta o Gelmini potrebbero essere i candidati premier del centrosinistra». Sembra uno scherzo ma non lo è: il campo largo di Enrico Letta rischia serenamente di essere l’incubatore del prossimo centrodestra. Quando accadrà molti fingeranno di non essersene accorti.

A proposito di candidato presidente del Consiglio, Carlo Calenda (ormai ufficialmente nel campo del Pd) appena arrivato detta già le sue regole e propone Draghi come presidente del Consiglio. Ci sono due piccoli particolari non trascurabili: Draghi non è disponibile (ma per Calenda l’importante è l’effetto che fa, come tutti i populisti che si rispettino) e lo statuto del Pd all’articolo 5 dice: «Il Segretario nazionale rappresenta il partito, ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale, l’indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione ed è proposto dal partito come candidato all’incarico di presidente del Consiglio dei ministri».

Renzi è sempre più solo. Avrà avuto una nottata difficile leggendo che Di Maio vale più della sua creatura politica. Il leader di Italia viva continua a ripetere “noi corriamo da soli” e intanto bussa a tutte le porte, come un vero e proprio stalker di Enrico Letta. Intanto Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli cominciano ad avere più di un problema con i loro elettori non proprio entusiasti della prospettiva di correre in coalizione con Calenda (che è per la distruzione dello Stato sociale e per le centrali nucleari) e con Brunetta, Gelmini e compagnia. Calenda intanto ieri ha proposto di risolvere il tema dell’immigrazione «aumentando i rimpatri»: un’ottima soluzione di destra (politicamente è la stessa posizione di Meloni e Salvini) tra l’altro inattuabile, come un vero populista.

La cosa più incredibile sono i veti che stanno per cadere. Ne ha fatto un riassunto perfetto il giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli: «Il #vetometro del 25 luglio. Calenda: mai con M5s, rossoverdi e Di Maio. Di Maio: mai con M5s. Rossoverdi: mai con Calenda e Renzi. M5s: non ci vogliono più, cattivi! Pd: tutti insieme tranne che con il M5s. Renzi: candidatemi. La destra naturalmente trema».

Siamo in piena distopia.

Buon martedì.

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Una campagna elettorale partita malissimo

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Se i primi giorni di campagna elettorale sono il termometro di quello che ci aspetta sarà un agosto duro, oltre che caldo. Non si è ancora posata la polvere in Senato – dove il bluff del “governo di unità popolare” si è sbriciolato di fronte agli interessi particolari – e già accadono immaginabili storture che tutti avevano negato fino poco tempo fa.

Se i primi giorni di campagna elettorale sono il termometro di quello che ci aspetta sarà un agosto duro, oltre che caldo

C’era una volta il famoso “centro”, quello che questa volta prometteva di potercela fare da solo, c’erano – ve li ricordate? – gli pseudocompetenti italiani che giuravano su un nuovo “polo liberale” che avrebbe corso da solo, alla faccia della destra sporca e cattiva e del PD sporco e cattivo. Nel centro che prometteva di camminare sulle proprie gambe c’era poi Carlo Calenda che si era spinto più in là: «nessun polo, noi corriamo da soli», ripeteva il leader di Azione.

E poi c’era Renzi – che intanto ha messo il proprio nome nel logo del partito, sempre a proposito dei partiti personalistici che diceva di odiare tanto – che si diceva pronto a correre per le lezioni senza bisogno di nessuno.

Bene, sono passati tre giorni e ora Calenda è ormai legato mani e piedi al Partito Democratico: il suo polo liberale è la sua polo che indosserà nella foto di gruppo del “campo largo” guidato da Enrico Letta. È vero che con questa pessima legge elettorale e con la riduzione dei parlamentari è praticamente impossibile non costruire un’alleanza elettorale (che è ben diversa da una coalizione politica, qui l’Ulivo non c’etra proprio niente, nonostante alcuni commentatori ancora non l’abbiano capito) ma la situazione era chiara da tempo, anche quando Calenda – che vorrebbe passare per serio – poco seriamente immaginava scenari non praticabili.

Matteo Renzi invece ha perso la sua sicumera e invertito la rotta. Memorabile la sua dichiarazione di sabato scorso: “Se Enrico Letta e il Pd riusciranno a mettere insieme una grande alleanza, un fronte repubblicano credibile e coeso, allora saranno forti. Se, invece, il Pd rinuncerà a questo ruolo, avrà la responsabilità di portare al governo la peggior destra europea”, dice Renzi. Tradotto semplice semplice: «per favore non lasciatemi a piedi». Non male.

Letta, da canto suo, dice di essere pronto a imbarcare anche Brunetta e Gelmini (e tutti quelli che molleranno Berlusconi dopo averlo munto finché tornava utile) e in giro s’ode questa ridicola tentazione di incoronarli statisti. Brunetta addirittura si merita un’intervista in cui racconta del bodyshaming subito da Berlusconi.

Sia. chiaro: il bodyshmanig fa schifo, sempre. Solidarietà a Brunetta. Fa schifo anche la violenza politica che Brunetta ha adottato in tutta la sua carriera contro la povera gente. Il lato umano della povera gente falcidiato dal livore concimato da Brunetta però non lo leggiamo sulla stampa.

Che sarebbe la pena non esagerare con la riabilitazione di certi personaggi lo dice anche Pierfrancesco Majorino, europarlamentare del PD: “Il gruppo dirigente nazionale del #PD dice una cosa molto giusta. Proposte concrete, innanzitutto su sociale e ambiente, attenzione ai contenuti etc. Parliamo di questo non di altro. È la strada maestra. Poi però se ti imbarchi #Brunetta e c. quella strada la uccidi”, scrive.

In tre giorni intanto l’agenda Draghi non è più il vessillo unico del campo largo. «Usciamo rapidamente da questo tormentone dell’agenda Draghi», dice Letta in un’intervista. E chi l’ha lanciato, fateci capire, il tormentone?

A destra A destra siamo messi con Salvini che dice “mi faccio la barba, mi mangio la salsiccia e sudo…Non sono mica come quelli del Pd che non sudano mai. Pensandoci, non ho mai visto #Letta sudato” e Giorgia Meloni che ammette forse di avere qualche volta sbagliato i toni, senza rendersi conto che il suo problema sono i contenuti e le cattive compagnie.
Dal M5S per ora tutto tace. Non sarebbe invece ora di muoversi?

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Dei punti da cui partire

Anche io come molti altri – Fabrizio Barca l’ha spiegato benissimo in un’intervista ieri su La Stampa – sono rimasto più che disorientato nel vedere che la campagna elettorale di quel campo che dovrebbe essere il centrosinistra sia partita dalla cosiddetta “agenda Draghi”. Al di là del fatto che usare l’agenda di un governo tecnico come bussola politica è una cretinata enorme sono abbastanza vecchio per ricordare che con l’agenda Monti finì male, malissimo.

Quando poi ho cominciato a vedere i nuovi ingressi nel “campo largo” ho avuto ancora più dubbi: l’agenda Draghi ha tutta l’aria di essere un perimetro politico, ovviamente spostato a destra. Anche perché per l’ennesima volta assisteremo alla truffa del “voto utile”, del “meno peggio”, e della “destra da battere” con cui poi questi hanno governato per tutti questi anni.

C’è un documento, che è di un’associazione quindi non ne avranno male i partiti, che mentre tutti parlano di alleanze mette nero su bianco un’idea che forse sarebbe la pena percorrere. L’ha scritto la rete di attivisti Up – Su la testa!:

«Una delle più strane crisi di governo che si sia mai vista, apertasi nonostante la maggioranza bulgara di cui godeva il governo Draghi in Parlamento, si è chiusa col colpo di grazia finale delle destre di governo. Si tornerà alle urne dunque, le cittadine e i cittadini italiani sono chiamati al voto il prossimo 25 settembre.

Draghi e una parte dell’establishment hanno provato a spaccare sia la destra sia il centrosinistra per costruire un blocco di centro neoliberista che portasse avanti l’agenda del governo (privatizzazioni, smantellamento del reddito di cittadinanza, riforma fiscale a vantaggio dei redditi alti, politica di riarmo, investimento sulle fonti fossili) anche dopo le elezioni.

La destra, come sempre accade quando c’è l’obiettivo della conquista del potere, si è mantenuta unita ed è ora in pole position verso le elezioni. Il centrosinistra, invece, si è diviso, con il Pd che ha deciso di rompere con il Movimento Cinque Stelle e di presentarsi alle elezioni come l’erede della continuità con “l’agenda Draghi”, magari abbracciando il centro liberista di Renzi, Calenda, del neo arrivato Di Maio e addirittura dei fuoriusciti da Forza Italia come Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, tra i principali responsabili dello smantellamento della scuola e dell’università pubblica e dei diritti di lavoratori e lavoratrici dei servizi pubblici.

Il rischio è che le elezioni di settembre si riducano allo scontro tra una destra reazionaria, razzista e omofoba, guidata da Giorgia Meloni, e un centro liberista e tecnocratico guidato da Enrico Letta, se non da Draghi stesso. Un quadro che porterebbe con ogni probabilità all’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi: il ritorno della stessa destra berlusconiana di sempre, che già troppi danni ha fatto al nostro paese, per di più ora guidata da una persona e da un partito eredi diretti del fascismo ed espressione della destra più radicale e pericolosa.

La scelta del Pd di rincorrere Draghi rischia di regalare tutti i collegi uninominali alla destra: l’unico modo per impedire questo scenario, dati alla mano, è che il blocco centrista non sia l’unico ad opporsi alla destra ottenendo un risultato significativo.

In questo scenario di campagna elettorale scomparirebbero completamente — o peggio ancora verrebbero assorbite da una destra che in campagna elettorale è sempre pronta a definirsi “sociale” — le questioni che stanno a cuore alla maggioranza degli italiani: salari insufficienti a reggere l’aumento dell’inflazione, un sistema di welfare sotto attacco, la povertà energetica crescente, il riscaldamento globale che minaccia la stessa esistenza della nostra specie.

Eppure non partiamo da zero: questi anni hanno visto emergere nella società proposte utili e unificanti: un salario minimo che assicuri una retribuzione dignitosa a tutti i lavoratori; la difesa e il potenziamento del reddito di cittadinanza come strumento di lotta alla povertà e di liberazione dal ricatto del lavoro sottopagato; una transizione ecologica giusta che metta al centro le energie rinnovabili e la trasformazione della nostra economia, facendone pagare i costi a chi inquina. Chi porterà avanti questi temi? Due liste di sinistra contrapposte? Il Movimento Cinque Stelle?

Le forze politiche che condividono queste proposte hanno la responsabilità di portarle avanti, e di costruire a partire da esse un fronte comune di alternativa, come avviene del resto in tutti i paesi europei.

Ci rivolgiamo alla alleanza tra Sinistra Italiana e Verdi, al Movimento Cinque Stelle, all’Unione Popolare lanciata da Luigi De Magistris a tutte le forze di sinistra, civiche, ecologiste: serve un’alleanza per il salario minimo, un vero reddito di cittadinanza, la pace, il disarmo e la transizione ecologica: un’alleanza per la pace, il pane, il pianeta.

Una proposta politica che abbia l’ambizione di rappresentare la maggioranza delle persone alle prossime elezioni, e che poi in Parlamento si misuri alla luce del sole con la capacità di costruire accordi programmatici chiari per avere finalmente un governo che lavori nell’interesse della maggioranza sociale del Paese.

In questi giorni abbiamo sentito parlare troppo a sproposito di “responsabilità”, come fattore che avrebbe dovuto unire tutti intorno all’agenda Draghi.

Crediamo invece che la responsabilità di tutti e tutte, oggi, sia di rivolgersi alla maggioranza delle persone, prendersi carico dei temi che stanno loro a cuore e farne proposta politica e di governo. Non c’è alternativa al discredito della politica, all’astensione, al rifugiarsi nella peggiore destra da parte delle classi popolari, se non in una politica che metta al centro gli interessi concreti delle persone. Salario, reddito, clima, pace: ripartiamo da qui».

Non sembra così difficile.

Buon lunedì.

Nella foto dalla pagina fb di Up-Su la testa, sciopero del 16 dicembre 2021

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Quelli che silurano Draghi e non hanno il coraggio di metterci la faccia

C’è un’immagine che parla da sola. Matteo Salvini nel giorno della crisi scarta i cronisti – lui che di giornalisti è sempre affamato – dicendo: «Oggi lascio spazio alla squadra, non parlo, tocca ai capigruppo». In quel momento sa benissimo che la Lega abbatterà il governo Draghi a suo modo, giocando di sponda, ma si nasconde. Perché si nasconde? Perché Salvini è consapevole che inventarsi su due piedi la caduta di un governo che fino a ieri era ribadito e rassicurato sarebbe un figura barbina senza un motivo valido da presentare anche ai propri elettori. Quindi il “Capitano” – colui che da sempre si rivende come l’uomo forte e che in questi giorni vuole sembrare “più forte” della sua avversaria interna Giorgia Meloni – decide di mandare avanti qualcun altro. Ha un nome questa inclinazione: codardia. Così anche in questo caso Salvini riesce a rimediare la figura del capitan Fracassa. Di lui rimane la fotografia seduto alla buvette del Senato con una Coca Cola in mano, mentre sbrodola un “cin cin!”, brindando alla fine del governo.

Quelli che prima silurano Draghi poi nascondono la mano
Silvio Berlusconi (Getty Images).

Berlusconi ci vuole convincere che lui con la crisi non c’entra nulla

Silvio Berlusconi in questi giorni sta provando a convincerci che non è stato il suo partito a fare cadere Draghi. Dice che Draghi era stanco – da Palazzo Chigi hanno smentito piuttosto risentiti a questa illazione – e teorizza che gli orari di lavoro di un Presidente del Consiglio, più impegnativi di quelli di un governatore di una banca centrale, abbiano fiaccato il capo del governo. Lo dice con quel suo sorriso sornione, mentre promette di piantare un milione di alberi (una volta erano un milione di posti di lavoro ma la crisi climatica ha cambiato il pay off del marketing politico berlusconiano) e intanto promette pensioni a 1000 euro e una vecchiaia felice per tutte le mamme degli italiani.

La marcia indietro dei grillini

Il capogruppo alla Camera Davide Crippa del Movimento 5 Stelle rilascia un’intervista al Corriere della Sera in cui dice: «Secondo me si doveva lavorare per star dentro e incidere nei provvedimenti in lavorazione». Davide Crippa era pronto alla scissione fino a qualche giorno fa, ora ha cambiato idea e chiede che ci sia «un confronto interno». Fabiana Dadone, ex ministra dei grillini dice: «Questa crisi non l’abbiamo innescata noi così come non l’abbiamo conclusa». Paolo Ferrara, nel Consiglio nazionale del M5s, invece ci fa sapere che «il M5s non è responsabile per la situazione in cui ci troviamo e non vuole diventare complice senza fare nulla per cambiarla».

Quelli che prima silurano Draghi poi nascondono la mano
Davide Crippa del M5s (da Fb).

Da Fedriga a Giorgetti, i governisti della Lega tacciono

Ma quelli che devono sempre scindere e poi rimangono sempre accomodati sono anche Giorgetti, Fedriga e tutta l’ala governista della Lega. Gente che si è costruita “credibilità” perfino nel centrosinistra per la il suo «senso di responsabilità» (in molti scrivevano così) e perché, a leggere certi giornali, stavano tutto il giorno a smussare Salvini. Appena hanno sentito profumo di elezioni hanno deciso che contraddire il capo sarebbe troppo maleducato e si sono seduti in disparte per non perdersi il prossimo giro di prebende.

Quelli che prima silurano Draghi poi nascondono la mano
Il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (Getty Images).

Le idee, in questa campagna elettorale agostana, sono pericolose

Si può essere d’accordo o meno con il disarcionamento di Draghi ma la codardia del giorno dopo è significativa: non è stato nessuno, è colpa di tutti. Non è solo una questione di onestà intellettuale: nessuno ritiene necessario spiegare i motivi politici della caduta del governo, come se fossero una sciocchezza da scavalcare. L’importante è buttarsi sulle prossime elezioni. Così agli elettori non viene nemmeno data la possibilità di farsi un’idea. Le idee in questa breve campagna elettorale estiva sono pericolose. Sarà tutto solo un turbinio di emozioni. E non è un bene, credeteci.

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