Vai al contenuto

Prepariamoci al Draghi bis. “Il premier tornerà sui suoi passi per ambizione personale”: parla la scrittrice Daniela Ranieri

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il suo romanzo “Stradario aggiornato di tutti i miei baci” edito da Ponte alle Grazie è stato selezionato nei due più prestigiosi premi letterari italiani (Campiello e Strega) ma Daniela Ranieri oltre che scrittrice è anche un’attenta osservatrice della politica, come giornalista per il Fatto Quotidiano. L’abbiamo intervistata per La Notizia.

Uno scrittore vincitore dello Strega ha scritto una lettera a Draghi sul Corriere della Sera in cui gli dice: “lei è spinto alle dimissioni da un accanito torneo di aspirazioni miserabili, da sudicie congiure di palazzo, da calcoli meschini, irresponsabili e spregiudicati di uomini che, presi singolarmente, non valgono un’unghia della sua mano sinistra”. Che effetto le ha fatto?

“Mi è dispiaciuto. Al di là del merito di volere Draghi al governo, peraltro contro il suo stesso volere, che è una posizione legittima, mi ha colpito che Scurati abbia usato un linguaggio così studiatamente servile e un tono così adulatorio nei confronti di un potente che ha già tutto il Sistema (economico, finanziario, politico e diciamo culturale) dalla sua parte. Mi interrogo su cosa spinga uno scrittore affermato, che conosce il valore delle parole, a offrire un così largo e prodigo contributo al mantenimento dello status quo”.

Come è accaduto anche sulla guerra in Ucraina non trova che in questo Paese sia sempre più difficile trovare persone di cultura e della letteratura che si prendano la responsabilità di dissentire?

“Voglio pensare siano in buona fede, anche se forse è più disperante. Il dissenso non è un dono divino, una qualità della personalità. Dipende dal proprio contesto di origine e di appartenenza, dalle letture che si è fatto, dal margine di utilità che proviene dall’assecondare l’opinione dominante. Se questo margine è nullo, si è più portati a dissentire, cioè ad esercitare il pensiero critico. Non si tratta di essere bastian contrari, ma di pensare mettendo in campo tutte le mediazioni, tutte le dialettiche che ogni situazione richiede. L’eliminazione della “complessità”, ad esempio, e la sua stigmatizzazione come forma di intelligenza col nemico russo, è stata una frontiera pericolosa, oltre che ridicola, del dibattito recente (dibattito per modo di dire: noi, insieme con costituzionalisti e storici di vaglia, dicevamo “è complesso”, loro dicevano “quanto ti paga Putin?”). Interrogarsi sulle origini della guerra, sulla conformità dell’invio di armi alla Costituzione, sul ruolo della Nato nel mondo, è stato fatto apparire come un endorsement a Putin o, come mi hanno scritto alcuni su Twitter, una prova di indifferenza se non addirittura di godimento per la morte dei bambini ucraini sotto le bombe: si può essere più violenti e pedestri?”.

Perché, secondo lei, in Italia i cosiddetti “intellettuali” e gli artisti si espongono sempre così poco su questioni spinose e politiche? Timidezza o calcolo economico e politico?

“A parte qualche preziosa eccezione, l’intellighenzia italiana è una sottoclasse sociale preoccupata di mantenere i propri privilegi, di casta e di censo. È un esempio mirabile di come la struttura (i danè, come li chiamava Gadda) ha informato la sovrastruttura, cioè ha modificato e censurato il pensiero. Essere draghisti ed essere bellicisti, cioè devoti al Pil anche se pompato con la vendita di armi, è tutt’uno. Per il resto non mi sembrano timidi. Quando c’è da scrivere brani inoffensivi e spiritosi su questioni attuali, colpendo questo o quello svantaggiato e irridendo chi prende il Reddito di cittadinanza, non fanno mai mancare il loro contributo. Sono naturalmente e culturalmente amici dei potenti, non dei deboli (che non è glamour né conveniente), e il desiderio di conformarsi all’opinione corrente, anche dei loro colleghi, li tiene lontani dalla vocazione eversiva dell’arte. Mi viene in mente un brano della Dialettica dell’Illuminismo che è folgorante: “Solo la necessità di inserirsi continuamente, sotto le minacce più drastiche e più severe, come esperto di problemi estetici nella vita degli affari, ha definitivamente piegato il collo dell’artista. Un tempo essi firmavano le loro lettere, come Kant e Hume, «servo umilissimo», e intanto minavano le basi del trono e dell’altare. Oggi danno del tu ai capi di governo e sono sottomessi, in tutti i loro impulsi artistici, al giudizio dei loro principali illetterati”.

Lei oltre che scrittrice è anche giornalista. Come convive nei due ruoli?

“Mi interessa l’attualità, ma amo l’inattualità e ad essa anelo. Per il resto scrivo pezzi di antropologia del potere o pagine su temi di cultura. È un esercizio quotidiano alla scrittura. Lo hanno fatto scrittori immensi senza danno per la loro vocazione principale. Impossibile fare un elenco, cito i più grandi: Gadda, Manganelli, Sciascia, Landolfi, Buzzati, quest’ultimo senza sofferenza, come invece, in parte, gli altri. Credo che oggi manchino scrittori-giornalisti, basta leggere come sono scritti i quotidiani, l’uso della punteggiatura che fanno i notisti politici, anche i più illustri. Questa sciatteria si riflette anche nel pensiero, che spesso è scadente. Karl Kraus univa l’attività di giornalista a una indagine addirittura metafisica di sguardo critico sulla realtà: quanti lo fanno oggi?”.

Le è mai capitato di avere la sensazione di perdere lettori per le sue prese di posizioni politiche? 

“No. I lettori dei miei libri sono in genere abbastanza evoluti.

Forse funziona solo lo scrittore “non sgualcito” dalla realtà?

“Dipende da cosa si intende per “funziona”. La maggior parte delle opere di questi scrittori non sgualciti, non compromessi, placidamente quieti nella rappresentazione dei loro drammi borghesi, sarà dimenticata in pochissimi anni. È comunicazione, è marketing. Quindi in un senso molto preciso funziona, cioè è funzionale: serve a corroborare la narrazione e la dis-etica corrente. Nell’ottica delle Lettere e del progresso morale dell’umanità, non serve a niente.

Prende piede il sogno di un governo che sia sempre largo, che tenga dentro i cosiddetti “moderati” lasciando fuori i cosiddetti estremismi. Un’idea che con Draghi ha avuto un notevole rinvigorimento. Per essere credibili in questo Paese è necessario non avere (o non esporre) idee troppo radicali?

“L’idea che “si vince al centro” è semplicemente ridicola, manipolatoria e anti-storica. In Francia non è stato così: Macron ha non solo non-fermato, ma anche fatto crescere Mélenchon e Le Pen. Si scavano la fossa da soli, poi quando la gente si accorge che sono inetti e classisti, gridano al lupo e al fascismo. Così brigano per rimettere tutti dentro la marmellata neo-liberista, la piaga delle società occidentali. In realtà questi famosi moderati non sono che gente di centrodestra che ama detenere il potere a qualunque costo, odia il popolo e si è inventata la guerra al populismo per mascherare la propria arroganza e le proprie impotenze.

In cosa assomiglia il mondo letterario italiano al mondo politico? Ci sono dinamiche che si ripetono? 

“Ci sarebbe da scrivere un trattato à la fratelli Goncourt su questo. La cosa più lampante che mi viene in mente è il razzismo, condiviso nei due ambienti, per chi “non ce l’ha fatta”, per quelli che loro decretano come “non meritevoli”, per i non “resilienti”, per gli studenti lavoratori che hanno voti bassi, per chi è meno abile nelle relazioni sociali, per chi non “fa network”, per chi ha fatto lavori umili e cerca di migliorare la propria condizione: in definitiva per i poveri. Hanno antenne apposite per individuarli ed escluderli, posto che a loro volta la maggior parte di loro sono inconsapevolmente illetterati fatti e finiti.

Come si sono comportati i suoi colleghi giornalisti nella promozione del suo libro? Ha avuto la sensazione di “frizioni” per il suo doppio ruolo?

“Mi fa sempre sorridere che alcuni giornalisti che sui social sparano a zero tutti i giorni contro il Fatto poi mi scrivono senza alcun imbarazzo per chiedermi recensioni sul Fatto per i libri loro e/o delle loro consorti. Non ho avuto sensazioni evidenti di frizioni. Chi non ama come scrivo e cosa scrivo ha tutto il diritto di ignorarmi. Altri invece sono stati molto gentili. Però alcuni giurati del Premio Strega, molti dei quali intellettuali, scrittori, giornalisti a loro volta, interpellati dall’ufficio stampa di Ponte alle Grazie hanno candidamente dichiarato che non avrebbero votato il mio libro perché scrivo sul Fatto”.

Che ne pensa del capitolo sulla crisi del romanzo che è questa legislatura

“Dice che è una crisi? Uno scrittore veramente bravo, uno come Morselli o Savinio, ne farebbe un capolavoro.

Nel complesso, questi 5 anni, che genere sarebbero? Una distopia

“No, è commedia all’italiana. Compreso lo sfondo drammatico di 6 milioni e mezzo di poveri che assistono a questo circo e pagano le conseguenze di decisioni politiche oscenamente classiste.

La letteratura ha ancora un ruolo politico in Italia

“Lo ha sempre e ovunque. Il suo ruolo è universale ed eterno. Ci sarà sempre, anche nelle epoche decadenti, qualcuno capace di apprezzare una riga scritta da un poeta, da uno scrittore non obbediente. Ovidio a Tomi continuò a scrivere, per fortuna.

Scrivendo storie per mestiere, come andrà a finire?

“Draghi tornerà sui suoi passi per una questione di reputazione e ambizione personale. Poi ci sarà chi premerà per un Draghi bis anche dopo le elezioni, a cui andrà a votare meno della metà degli elettori e il cui risultato basterà ignorare. Almeno finché non traslocherà al Quirinale, allora potremo vivere senza di lui come Presidente del Consiglio.

L’articolo Prepariamoci al Draghi bis. “Il premier tornerà sui suoi passi per ambizione personale”: parla la scrittrice Daniela Ranieri sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

“La scissione dei 5 Stelle pianificata da tempo. L’obiettivo era lo strappo”

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

“Nessuno se n’è accorto, ma giovedì a negare la fiducia al governo #Draghi è stata anche Loredana De Petris, capogruppo di Leu, il partito del ministro Roberto Speranza. Lo ricordo per amor di cronaca e per dire quanto stretto sia ormai il #campolargo di Letta”, ha scritto il senatore di Forza Italia Andrea Cangini. «La sen Loredana De Petris non verrà ricandidata vero?», incalza il giornalista Mario Lavia.

«Comunque volevo aggiungere che ieri anche Leu non ha partecipato alla votazione sul dl aiuti al Senato, per cui la formazione guidata dal ministro Speranza non ha dato la fiducia al governo di cui Speranza è ministro», scrive il giornalista Alberto Ciapparoni. La senatrice di Leu De Petris non ha partecipato al voto sul Decreto Aiuti ed è subito finita nel mirino dei più fervidi sostenitori del governo Draghi.

Senatrice, perché non ha votato il Dl aiuti?
“Perché non ero d’accordo sul provvedimento. Cosa che ho fatto anche altre volte: non ho partecipato al voto”.

Eppure molti l’accusano di avere dato manforte alla crisi.
“I problemi di quel decreto erano ampiamente annunciati, da tempo. Draghi ha voluto drammatizzare con le dimissioni. Ciò che è accaduto era previsto, si poteva correre ai ripari prima, invece di insistere mettendo la fiducia. Tra l’altro non capisco perché un governo con una maggioranza così larga debba ricorrere così spesso alla fiducia. Tra l’altro io sono di Roma, non posso fare la battaglia contro termovalorizzatore e poi votare una cosa del genere. Draghi ha voluto drammatizzare perché ci sono stati vari problemi nella maggioranza, forse perché pensava che il suo mandato, quando fu investito, sarebbe durato meno. La mia personale valutazione è che dovrebbe ritirare le dimissioni, non c’è stata nessuna sfiducia. Se avessero voluto sfiduciarlo gli avrebbero votato contro, mentre non partecipare al voto è un modo per segnare una presa di posizione contraria. Le questioni del M5S erano aperte da giorni”.

Non so se ha visto, è stata massacrata suoi social, accusata di collaborazionismo con il nemico…
“Io evito i social. Di certo c’è molta voglia di liberarsi delle voci critiche. Su questo non c’è dubbio. Gli odiatori delle voci critiche contro Draghi tra l’altro sono curiosamente anche molto organizzati. L’unica cosa che posso dire è che su molti temi che stanno cuore a me dentro questa maggioranza ci sono molti problemi. Mi sono assunta la responsabilità di votare il governo Draghi perché pensavo che in quel momento fosse necessario, ora mi occupo di rimozione del danno, in questi mesi ho portato avanti questo lavoro. Ci sono alcune cose su cui non posso predicare in un modo e poi fare altro. Mi spiace. Almeno il diritto di non essere d’accordo, altrimenti che siamo pagati a fare? È successo così anche sulla vivisezione, non partecipare al voto è l’unico modo che ho avuto. L’anomalia è un abuso per cui anche i provvedimenti più semplici, con pochi emendamenti, vengono votati con la fiducia”.

Che ne pensa di Conte e del M5S in questo momento?
“Loro e le loro dinamiche sono molto complessi Del resto quando ti fanno una scissione tutto diventa molto più complicato. La scissione è stata la miccia, non ha stabilizzato nulla ma ha anzi avviato l’instabilità. Ed è stato tutto preparato dai tempi della risoluzione del Consiglio europeo. Non si accettava nessuna proposta che proveniva da loro, io l’ho visto da dentro. Evidentemente si voleva produrre lo strappo. Era tutto preparato da un po’. Sul provvedimento nello specifico (il dl aiuti) anche i ministri non hanno partecipato al voto. E poi tutta questa polemica sul reddito di cittadinanza, assolutamente gratuita. E poi non sistemare la cessione del credito suoerbonus, per cosa Per fare dispetto alla suocera Quello creerà il fallimento delle imprese”.

Quindi qualcuno al governo ha preparato il terreno per questa crisi?
“Contro il M5S un tentativo di tenerli fuori l’ho visto in tutti questi mesi. Poi loro hanno i loro modi non sempre comprensibili. Il M5S ha posto punti che riguardano il sociale, non bisogna rispondere a loro, noi siamo con i salari fermi da 30 anni, quella non è un’invenzione dei 5S. A prescindere dal fatto che il problema l’abbiano posto loro. Fino adesso al salario minimo in commissione ci sono sempre stati ostacoli. Che ci sia un’emergenza salariale è sotto gli occhi di tutti”.

Il campo largo pensato da Letta non c’è più?
“Bah, Letta ha fatto già un accordo con Sinistra italiana e Verdi che sono fieramente all’opposizione. Se andiamo a elezioni anticipate è complicato ma se andiamo avanti probabilmente ci sarà”.

Eppure il cosiddetto “centro” insiste per riproporre alle prossime elezioni uno schema simile a questo governo Draghi…
“Bisogna capire. Ci sono variabili infinite. Se si vota subito la vittoria del centrodestra sarà schiacciante. Ma io penso che non si voti. Allora ci sarà lo spazio per modificare la legge elettorale. Dipende che legge uscirà”.

Renzi ha depositato le carte per un referendum sul reddito di cittadinanza, che ne pensa
“Appunto, continuiamo le provocazioni, queste sì che fanno male all’Italia”.

L’articolo “La scissione dei 5 Stelle pianificata da tempo. L’obiettivo era lo strappo” sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Ormai siamo al terrorismo politico-mediatico

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Vittorio Feltri: “Il vero comico è Conte, non Beppe Grillo”. Matteo Renzi: “Sì allo statista Draghi, no allo stagista Conte”. Il giornalista Mario Lavia: “M5s come i Demoni di Dostoevskij ma con il tavernacoliere (“Lo sfonnamo”). Due piccioni con una fava: avanti Draghi e Conte distrutto”.

Giornaloni scatenati contro Conte, il M5S e chiunque critichi il premier Draghi

Fenomenale il giornalista de Il Riformista Aldo Torchiaro: “La decisione di far cadere Draghi è stata presa a Roma o a Mosca @GiuseppeConteIT dica la verità sul viaggio di Di Battista pagato dal Fatto, chi ha incontrato e quali ordini ha preso?”. Per Torchiaro, ma mica solo lui, sono in molti perfino dentro il Pd, ci sarebbe un ordine mondiale organizzato di poteri forti che ha ordito un complotto contro Conte usando un viaggio di Alessandro Di Battista in Russia per provare a far cadere Draghi.

Si può pensare ciò che si crede di questa crisi di governo ma il dibattito italiano mette i brividi. La stragrande maggioranza dei media – sia quelli che fin dall’inizio si sono dichiarati camerieri di Draghi e del draghismo sia quelli che da anni fingono di essere progressisti e invece sono conservatori con la spilla delle Feste dell’Unità – vorrebbero convincerci che essere contro Draghi sia un peccato mortale, la miccia di una catastrofe, il capitolo prima dell’invasione delle cavallette.

A stupire non è tanto il terrorismo applicato come arma dall’opinionismo politico – sono anni che usano solo questo, l’hanno imparato benissimo dai peggiori politici Usa – ma la vastità dell’operazione. Sono rarissimi i giornali che scrivono una loro opinione, anche durissima, contro l’operato di Conte e del Movimento 5 Stelle. Quello che conta è proclamare la “distruzione” del partito avversario, oppure “la definitiva uscita dal Parlamento” di un partito.

Se potessero augurerebbero uno sterminio di eletti e elettori di quel partito, si trattengono solo per mantenere un filo di finta dignità. Il tentativo di annientamento di Conte e del Movimento 5 Stelle, attraverso la vigliacca arma del discredito sistematico, sta raggiungendo livelli così imbarazzanti che perfino chi non ha mai votato Movimento 5 Stelle (io), anche chi li ha sempre poco amati, in queste ore sta chiedendo di rientrare nei limiti della dignità politica.

Attenzione: chi si augura la cancellazione del M5S confidando in un genocidio politico sono gli stessi che sono pronti ad abbracciare la Lega di Matteo Salvini (magari usando Giancarlo Giorgetti come fondo tinta), sono gli stessi che hanno riabilitato Silvio Berlusconi mentre nel trentennale dalla morte di Falcone e Borsellino i suoi colonnelli peggiori appena usciti dalla galera hanno apparecchiato le elezioni in Sicilia, sono gli stessi che pompano Guido Crosetto per normalizzare il post-fascismo “buono e competente” di Fratelli d’Italia, sono gli stessi che sono pronti a ingoiare tutto, proprio di tutto, l’importante è che non ci sia Conte.

Dentro a questo plotone d’esecuzione c’è quel Matteo Renzi che ora sarebbe disposto perfino a pomiciare con Luigi Di Maio pur di ottenere la sua vendetta. Ci sono i giornalisti che oggi amano Draghi solo perché è il padrone, pronti ad amare perfino Conte se per un’impossibile allineamento degli astri dovesse tornare alla ribalta. C’è dentro tutta la schiera di questa Italia ipocrita, inetta e servile. Ieri su un prestigioso quotidiano nazionale abbiamo perfino letto uno scrittore premiato allo Strega che ha scritto una lettera di scuse a Draghi, come un buon amministratore di condominio imbarazzato con un suo condomino, che ci ha tenuto a letteraturizzare lo stigma contro Conte.

Non è questione di difendere Conte, non è quello il punto. Ciò che si legge in questi giorni non ha nulla a che vedere con la politica ma è la stessa boria cretina di chi usa la guerra come serotonina: perfino essere in disaccordo con Draghi è peccato mortale. Non ci si può permettere di notare che a oggi non si è mai affrontato e non si è mai provato a risolvere la questione dei salari da fame, non si può fare notare che la distruzione del Reddito di cittadinanza non prevede – nel dibattito politico – un’altra eventuale soluzione per i poveri.

Non ci si può permettere di dire “il governo Draghi non mi piace, questo governo non fa quello che io riterrei giusto” perché immediatamente si viene inseriti nella lista di proscrizione dei “grillini” e quindi “nemici della Patria”. Basterebbe solo conoscere un po’ di storia – quella scritta sui libri di storia, mica quella scritta nei bigini di partito – per rendersi conto del sapore fascista di questa ampia operazione. E, badate bene, è un fronte comune che non si riesce a cementare contro Casapound o Forza Nuova, è un fronte comune che poi si sgretola quando capita un politico qualsiasi che inneggia a Hitler e Mussolini.

Un bel pezzo del mondo dell’informazione ha trovato unità di intenti contro Conte e il Movimento 5 Stelle

Un bel pezzo del mondo dell’informazione ha trovato unità di intenti contro Conte e il M5S, eleggendo Di Maio (che fino a ieri era il “bibitaro”) come loro novello Cavour. Non riescono semplicemente a dire che Mario Draghi dovrebbe rimanere perché lo ritengono indispensabile per il Paese – posizione legittima e politica – il loro compito è distruggere l’avversario. Poi con calma distruggeranno quella che ritengono l’estrema sinistra (Leu in primis), poi i “dissidenti” del Partito democratico che hanno collaborato con il nemico e infine ce l’avranno fatta: qualsiasi partito che si occupi di istanze sociali sarà stato disinnescato.

L’articolo Ormai siamo al terrorismo politico-mediatico sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Il dovere di spiegare “come”

Nel Regno Unito l’Alta Corte ha “condannato” il governo a spiegare per filo e per segno come le sue politiche ambientali permetteranno di raggiungere gli obiettivi che si sono posti sulle emissioni.

La causa è stata intentata da alcuni gruppi ambientalisti (Friends of the Earth, ClientEarth e il Good Law Project) che hanno contestato la strategia del governo sui cambiamenti climatici sostenendo che non includesse le politiche che sarebbero servite per raggiungere l’obiettivo.

In una sentenza emessa lunedì sera, il giudice Holgate ha affermato che la strategia del governo manca di qualsiasi spiegazione o quantificazione di come i piani del governo avrebbero raggiunto l’obiettivo di emissioni e come tale non ha rispettato i suoi obblighi ai sensi del Climate change act (Cca) 2008. Il giudice ha anche scoperto che Greg Hands, il ministro dell’energia, ha firmato la strategia “net zero” nonostante non avesse le informazioni legalmente richieste su come sarebbero state abbattute le emissioni di combustibili fossili.

La sentenza è rivoluzionaria. Dice – al Regno Unito ma anche al resto del mondo – che la politica ha il dovere di spiegare “come” riuscirà a ottenere ciò che promette. Sancisce, finalmente, l’obbligo non solo morale di conoscere ciò di cui sta parlando ma anche l’obbligo legale di promettere solo dopo avere individuato una strategia fattibile e supportata dai numeri e dai fatti.

Sam Hunter Jones, avvocato di ClientEarth, ha dichiarato: «Questa decisione è un momento rivoluzionario nella lotta contro il ritardo climatico e l’inazione. Costringe il governo a mettere in atto piani climatici che affronteranno effettivamente la crisi».

Pensate, senza ricorrere ai tribunali, se anche i nostri politici (che con l’avvicinarsi delle elezioni sono prodighi come non mai di promesse) fossero incalzati su questo. Che poi, a ben vedere, la stampa dovrebbe fare anche questo. Dovrebbe.

Buon martedì.

L’articolo proviene da Left.it qui

Regeni, Mollicone, Aldrovrandi: il fine settimana nero della giustizia

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Sono state giornate dure per il senso di giustizia, le ultime della scorsa settimana. Mentre infuocava il dibattito sulla crisi di governo la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei pubblici ministeri della Procura di Roma contro la decisione del giudice dell’udienza preliminare che l’11 aprile scorso aveva disposto la sospensione del processo Regeni disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti.

Sono state giornate dure per il senso di giustizia, le ultime della scorsa settimana

Gli indirizzi degli aguzzini di Giulio Regeni – uomini al soldo del presidente Al Sisi – non sono mai stati dati. Le promesse del governo italiano si sono schiantate contro gli interessi con l’Egitto (soldi e armi, in primis) e il messaggio è chiaro: alla famiglia di Giulio lo Stato italiano sta dicendo di arrangiarsi. “Attendiamo di leggere le motivazioni ma riteniamo questa decisione una ferita di giustizia per tutti gli italiani. Abnorme è certamente tutto il male che è stato inferto e che stanno continuando a infliggere a Giulio. Come cittadini non possiamo accettare né consentire l’impunità per chi tortura e uccide”, dicono Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, assistiti dall’avvocato Alessandra Ballerini.

Quella sentenza della Cassazione dice che le promesse della politica ai genitori di Giulio sono state parole infedeli. Dice che il potere (prepotente) è un cappio alla giustizia. Dice che il governo italiano colleziona un fallimento che è un’onta.

Ieri Lino Aldrovandi ha fatto gli auguri a suo figlio Federico, che è stato ucciso da quattro poliziotti il 25 settembre del 2005 durante un normale controllo. I quattro sono stati condannati semplicemente per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”, mentre 3 poliziotti furono condannati anche per avere depistato le indagini.

Scrive il papà di Federico: «Caro Federico, da poco è il 17 luglio 2022. Credo che fra un po’, ti avrei chiamato per augurarti semplicemente “Buon compleanno Federico”. Oggi avresti l’età di un uomo adulto, 35 anni. E chissà quante cose, forse anche belle, intorno a te. E’ proprio vero che se anche il tempo passa, un genitore, orfano di un figlio, nel tuo caso ucciso senza una ragione, una bastarda, infame domenica mattina, sopravvive soltanto. La “bellezza e la presenza” di altri figli intorno, sarà comunque per quel genitore orfano di un figlio, sempre molto importante, ed anche se in un certo senso lo aiuterà, il sorriso di “quel figlio” ed il suo sguardo gli mancheranno maledettamente. Ognuno di noi è unico ed ha un solo cuore che batte nel petto. E quel cuore non potrà mai essere sostituito. Nel 1987, l’anno in cui nascesti, l’anno in cui toccai il cielo con un dito, usciva una canzone dal titolo “proprio come in paradiso”. Quel “piccolo paradiso”, qui su questa terra, l’avevamo conosciuto insieme, mio dolce piccolo eterno Federico. Quei tuoi 18 anni, massacrati dalla bestialità umana, giaceranno per sempre invece sull’asfalto di “quella” via silenziosa e indifferente, in tutto e per tutto, della città che ti vide nascere. Buon Compleanno Federico con anche una foto, dove in riva al mare chissà di cosa parlavamo. Quante cose oggi avrei da raccontarti e chissà quante altre tu. Con la tua verità, quella più importante, quella che ancora mi manca, di una pazzia consumata senza freni, in un’alba assassina e vigliacca. Parlami Federico con la tua voce. Il “tuo cuore” sezionato…, nell’ultimo disperato messaggio d’amore, lo fece. Non smettere mai mio piccolo di farlo, ovunque tu sia.». La madre di Federico, nel giorno del compleanno del figlio per quei 35 anni che avrebbe avuto, scrive di un perdono che non ci potrà mai essere «per chi ti ha ucciso, né per chi li ha aiutati». E nomina la vicenda di Serena Mollicone.

Serena Mollicone a 18 anni è entrata viva in una caserma dei carabinieri. Venne ritrovata due giorni dopo. In questa brutta storia di una caserma che è diventata un buco c’è un brigadiere che forse è stato suicidato, carabinieri amici del camorrista Marino e nei giorni scorsi un’assoluzione che fa schifo. Nessun colpevole. L’avvocato del padre di Serena, Dario De Santis, ha dichiarato: «non commento la sentenza finché non leggerò le motivazioni, ma il dato che emerge oggettivo è che a 21 anni dai fatti non c’è ancora giustizia per Serena» La morte del padre di Serena negli anni scorsi,- dice l’avvocato – almeno «gli ha risparmiato questa altra delusione. Ma non ci rassegneremo finché non ci sarà giustizia. Resta il turbamento perché a tanti anni dai tragici fatti lo Stato non è stato capace di fare giustizia».

Lo scrittore Usa William Gaddis diceva: «otterrai giustizia nell’altro mondo. In questo accontentati della legge».

 

L’articolo Regeni, Mollicone, Aldrovrandi: il fine settimana nero della giustizia sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Lampedusa per tirare la volata a Salvini e Meloni

La situazione nell’hotspot di Lampedusa va oltre ogni immaginazione. In una struttura inadeguata e in condizioni igieniche inaccettabili sono state ammassate per giorni circa 2mila persone. Tra loro bambini e donne incinte. L’emergenza non sta negli sbarchi, diminuiti rispetto al 2021, ma nella mancanza di soccorso in mare e nella lentezza dei trasferimenti. Sembra la Libia ma è l’Italia, aveva commentato l’ex sindaca Giusi Nicolini (anche lei sventolata come vessillo dei diritti e poi dimenticata dal suo partito).

A chi serve Lampedusa Yasmine Accardo, referente di LasciateCIEntrare a Melting Pot Europa spiega: «Ci sono anche casi di persone tornate in Italia per la seconda volta (oggetto quindi per la nostra normativa di reato di reingresso). La prima volta erano stati espulsi senza aver accesso nemmeno ad una informativa, molti speravano con la seconda di riuscire a riconquistare un diritto. Ma nulla cambia. Nemmeno stavolta ci sono riusciti».

«Le persone – prosegue l’attivista – sono trattenute nell’hotspot di Lampedusa senza accesso a legali di fiducia. Sanno che un giudice li giudicherà altrove, senza che possano essere presenti e soprattutto senza un difensore che ne conosca la storia, ricevendo così una veloce sentenza di condanna ed espulsione. Questa è la prassi oramai consolidata. Reato di reingresso che in realtà dovrebbe essere guardato come ricerca di giustizia negata ancora e ancora».

A chi serve Lampedusa Il giornalista Riccardo Bottazzo abbozza un’ipotesi: «È incredibile che ogni estate a Lampedusa si ripeta lo stesso copione. La possibilità di organizzare dei veloci trasferimenti verso le altre regioni italiane e il sistema di accoglienza sarebbe nelle facoltà di uno Stato che ad oggi è riuscito ad accogliere oltre 145mila profughi ucraini. Ma lo stato di emergenza permanente serve a legittimare la politica del governo con le sue prassi d’urgenza e gli accordi bilaterali dalla dubbia legittimità, a stringere patti con dittatori costantemente riabilitati in quanto “necessari” fino a rifinanziare le milizie libiche, con l’ovvia conseguenza di riportarci ad un livello di dibattito pubblico sempre al punto di partenza e reso ancor più infimo dai facili slogan ed isterie della destra», scrive.

Non è un caso che con la crisi di governo in corso Salvini e Meloni si ributtano sugli slogan (falsi) contro l’immigrazione. Come se non esistesse la povertà, come se non esistesse la crisi, come se non esistessero gli italiani che non riusciranno a pagare le bollette, come se il pianeta non stesse soffrendo per la crisi climatica. Niente di niente. Si buttano sugli immigrati per racimolare qualche voto. Sono sovranisti ma l’unica loro Patria sono loro stessi, le loro tasche, i voti.

Buon lunedì.

Per approfondire, vedi Left del 15-21 luglio 2022

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

L’articolo proviene da Left.it qui

La Fake News a stelle e strisce di Draghi caduto sulle armi all’Ucraina

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Visto che da mesi assistiamo alle lezioni focose di presunti esperti di propaganda e disinformazione – tutta gente che poi scivola in difesa di questo o quel leaderino a cui sono affezionati – sarebbe bello sottoporre alla masnada di giornalisti geopolitici dell’ultim’ora il titolo di oggi del Wall Street Journal, quotidiano spesso sventolato per certificare “l’autorevolezza dell’Italia all’estero”.

La Fake News a stelle e strisce

Il quotidiano Usa, con un affondo mirabile di fantasia, titola “il primo ministro italiano Mario Draghi si dimette mentre la coalizione crolla” e sotto ci scrive “la coalizione di governo ha litigato sull’opportunità di inviare armi in Ucraina”. Lo slancio è notevole: mettere insieme la guerra con la crisi del governo italiano facendo credere che il motivo del contendere sia l’invio delle armi in Ucraina è fieno per il Partito Unico Bellicista e per i complottisti demenziali che in queste ore vorrebbero farci credere che sia addirittura Vladimir Putin il regista della crisi del governo Draghi. Sia chiaro: che Putin sia contento di un’eventuale caduta di Draghi (come di qualsiasi caos e indebolimento del fronte politico in Europa) è un dato di fatto. Che Putin sia il mandante della crisi è roba da complottisti di quart’ordine.

Eppure il Wall Street Journal, come un giornaletto russo qualsiasi, manipola la realtà e sul suo account twitter seguito da 20 milioni di persone scrive: “Il primo ministro italiano ha detto che si sarebbe dimesso dopo che la sua coalizione è andata in pezzi per i disaccordi sull’invio di armi in Ucraina”. I giornalisti Eric Sylvers e Marcu Walker scrivono nel pezzo: “Draghi ha detto che si sarebbe dimesso dopo che un partito chiave della sua coalizione ha ritirato il suo sostegno al suo governo a seguito di litigi tra i gruppi sull’opportunità di inviare armi in Ucraina e quanto sostegno finanziario dare alle famiglie italiane scosse dall’alta inflazione”. Qui in Italia abbiamo qualcuno che sbraita di un governo caduto “per un termovalorizzatore a Roma”. Il “soft power” statunitense (che non è altro che propaganda, seppure elegantissima) è riuscito addirittura a fare di peggio.

L’articolo La Fake News a stelle e strisce di Draghi caduto sulle armi all’Ucraina sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Più si avvicina il voto più i politici ricorrono alla menzogna sistematica

Ogni tanto mi capita, per svuotarmi dall’incessante flusso pornografico di notizie di politica, di passeggiare per le pagine di Pagella politica, il sito che minuziosamente controlla le dichiarazioni dei leader politici italiani e le confronta con i dati reali. Ogni tanto mi immagino i colleghi di Pagella politica con i morsetti usati per i delicati interventi chirurgici oculari (quelli di Arancia Meccanica, per intendersi) mentre frugano tra le montagne di dichiarazioni – me le immagino accatastate come la spazzatura romana sui marciapiedi – con quel loro slancio per la lealtà verso la verità.

Salvini, canne al vento

Lì dentro c’è, tanto per fare un esempio, Matteo Salvini che il 10 luglio al quotidiano La Nazione diceva che «la linea ufficiale del governo, certificata dal Dipartimento per le politiche antidroga, è nettamente contro la cannabis». Immagino un elettore e una elettrice che leggendo una dichiarazione del genere possano pensare a un colpo di testa dei partiti (come il Pd e il M5s) che sostengono la proposta di legge per depenalizzare la produzione di cannabis in piccole quantità. I custodi della realtà di Pagella politica raccontano che «il presidente del Consiglio Mario Draghi è stato chiamato in causa sul tema, non ha parlato di una posizione contraria del governo, ma ha detto che è compito del Parlamento legiferare sulla depenalizzazione. Inoltre, l’ultima relazione annuale del Dipartimento per le politiche antidroga parla esplicitamente della necessità di prendere in considerazione la depenalizzazione della cannabis». I lettori de La Nazione però probabilmente non sapranno mai di avere letto una dichiarazione falsa.

L'Europa e le contraddizioni di Giorgia Meloni
La leader di FdI Giorgia Meloni (Getty Images).

Giorgia Meloni e le spese militari inesistenti

Ed è una lunga catena di menzogne. Salvini dice che «siamo l’unico Paese del G20 a non avere le centrali nucleari» e invece quelli pazientemente spiegano che «oltre all’Italia, anche Australia, Arabia Saudita, Indonesia e Turchia non producono energia grazie al nucleare, a cui vanno aggiunti anche 14 Stati membri senza nucleare su 27 dell’Unione europea, che fa parte del G20 nel suo complesso». C’è Giorgia Meloni che dice «Fratelli d’Italia è l’unico partito che l’aumento delle spese militari ce l’ha nel programma dall’inizio della sua nascita» e invece di spese militari non si parlava nel programma di Fratelli d’Italia e nemmeno in quello della sua coalizione del Popolo delle libertà (hanno cominciato a parlarne sei anni dopo). C’è Guido Crosetto che sentenzia «il codice penale oggi in vigore è stato firmato dal re e da Mussolini e ha passato il vaglio della Costituzione antifascista, mentre il codice di procedura penale dell’antifascista Vassalli è stato bocciato dalla Corte» e invece «sia il codice penale, sia il codice di procedura penale, hanno subito interventi di censura da parte della corte Costituzionale ma entrambi sono oggi in vigore. Dire che uno è stato “bocciato” dai giudici, mentre l’altro ha “passato il vaglio della Costituzione antifascista” è dunque scorretto. Anzi, il codice penale Rocco è stato ampiamente modificato dal legislatore e dalla Consulta proprio per depurarlo delle norme più chiaramente figlie dell’epoca fascista».

Più si avvicina il voto più i politici ricorrono alla menzogna sistematica
Danilo Toninelli (Getty Images).

Le tasse secondo Toninelli 

C’è Salvini che racconta che l’Unione europea ha raccomandato all’Italia di «reintrodurre la tassa sulla prima casa» e invece le raccomandazioni chiedevano al nostro Paese di aggiornare i valori catastali, e non di introdurre di nuovo un’imposta sulla prima abitazione. C’è l’ex ministro Danilo Toninelli che su Facebook scrive che da quando il Movimento 5 stelle è alla guida dell’Italia, le tasse «si sono solo abbassate» e invece il rapporto tra imposte e Pil è calato leggermente solo alla fine del 2018 e negli anni successivi è poi continuato a salire. C’è Meloni che per difendere i balneari disse che con il provvedimento del governo «30 mila aziende italiane vengono letteralmente espropriate e mandate all’asta» e invece gli stabilimenti e le imprese balneari in Italia sono al massimo un terzo della cifra citata da Meloni, le spiagge sono un bene pubblico (quindi non vengono espropriate, al massimo ritornano al legittimo proprietario) e non ci sono aste ma normali gare pubbliche.

Più si avvicina il voto più i politici ricorrono alla menzogna sistematica
Raffaele Sasso, sottosegretario all’Istruzione in quota Lega (da Fb).

Il sottosegretario fa confusione sullo ius soli

Secondo il sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso, deputato della Lega, «In Italia lo ius soli è in qualche modo già previsto dall’articolo 9, comma 1, lettera f, della legge 92 del 1991» (Omnibus, 3 luglio 2022) e invece la legge italiana sulla cittadinanza (la n. 91 del 1992) non prevede lo ius soli. Di questa forma di concessione della cittadinanza non si fa nemmeno menzione nell’articolo specifico citato dal sottosegretario. Poi c’è il deputato di Forza Italia Lucio Malan sui cambiamenti climatici, e così via.

Con l’avvicinarsi del voto aumenta il ricorso alla menzogna sistematica

Al di là del meritorio lavoro del sito Pagella politica rimane, dopo averlo navigato, la sensazione di non essere mai nella verità, mai, nel nostro agone politico. L’avvicinarsi delle elezioni tra l’altro accelererà il ricorso alla menzogna sistematica come arma di politica. A me, che per mestiere la politica mi ritrovo a commentarla, mi pare un questione enorme, questa della verità. È qualcosa che meriterebbe un’alleanza d’unità nazionale, un intergruppo parlamentare. La verità dovrebbe essere il prerequisito di qualsiasi ruolo pubblico (me la auguro anche nel privato, personalmente). Invece siamo ancora qui, a confondere le legittime opinioni per il diritto di dire il falso. La crisi della verità si affiancherà in autunno a quella energetica, climatica e pandemica.

L’articolo Più si avvicina il voto più i politici ricorrono alla menzogna sistematica proviene da Tag43.it.

La propaganda Usa sulla crisi del governo Draghi

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Visto che da mesi assistiamo alle lezioni focose di presunti esperti di propaganda e disinformazione – tutta gente che poi scivola in difesa di questo o quel leaderino a cui sono affezionati – sarebbe bello sottoporre alla masnada di giornalisti geopolitici dell’ultim’ora il titolo di oggi del Wall Street Journal, quotidiano spesso sventolato per certificare “l’autorevolezza dell’Italia all’estero”. Il quotidiano USA, con un affondo mirabile di fantasia, titola “il primo ministro italiano Mario Draghi si dimette mentre la coalizione crolla” e sotto ci scrive “la coalizione di governo ha litigato sull’opportunità di inviare armi in Ucraina”.

Per il Wall Street Journal il governo Draghi starebbe cadendo sulle armi all’Ucraina

Lo slancio è notevole: mettere insieme la guerra con la crisi di governo italiano facendo credere che il motivo del contendere sia l’invio delle armi in Ucraina è fieno per il Partito Unico Bellicista e per i complottisti demenziali che in queste ore vorrebbero farci credere che sia addirittura Putin il regista della crisi del governo Draghi. Sia chiaro: che Putin sia contento di un’eventuale caduta di Draghi (come di qualsiasi caos e indebolimento del fronte politico in Europa) è un dato di fatto. Che Putin sia il mandante della crisi è roba da complottisti di quart’ordine. Eppure il Wall Street Journal, come un giornaletto russo qualsiasi, manipola la realtà e sul suo account twitter seguito da 20 milioni di persone scrive: “il primo ministro italiano ha detto che si sarebbe dimesso dopo che la sua coalizione è andata in pezzi per i disaccordi sull’invio di armi in Ucraina”. I giornalisti Eric Sylvers e Marcu Walker scrivono nel pezzo: “Draghi ha detto che si sarebbe dimesso dopo che un partito chiave della sua coalizione ha ritirato il suo sostegno al suo governo a seguito di litigi tra i gruppi sull’opportunità di inviare armi in Ucraina e quanto sostegno finanziario dare alle famiglie italiane scosse dall’alta inflazione”. 

Lo chiamano “soft power” ma è semplicemente propaganda

Qui in Italia abbiamo qualcuno che sbraita di un governo caduto “per un termovalorizzatore a Roma”. Il “soft power” USA (che non è altro che propaganda, seppure elegantissima) è riuscito addirittura a fare di peggio.

L’articolo La propaganda Usa sulla crisi del governo Draghi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Che pena, quasi tutti

Ieri sera, dopo una giornata convulsa a seguire le tragicomiche acrobazie di un governo “autorevole sul piano internazionale” (è lo slogan vincente di queste ore) ma caduco qui a casa nostra, ero con un amico davanti a un bicchiere di vino. «E ora», mi ha chiesto, contaminato dall’isteria collettiva di chi ha bisogno di un allarme al giorno per sentirsi partecipe alla realtà. Ho spiegato, con calma, che si tratta solo dell’ennesima crisi di governo di questa legislatura che ricorderemo come sempre gravida di leader che non hanno rinunciato al loro partitino di cittadinanza. Una legislatura, sembra che in molti se ne siano dimenticati, che arriva a fine corsa con schieramenti geneticamente modificati mai passati dalle urne, simboli e sigle che esistono sulla carta intestata del Parlamento con truppe di deputati e senatori che non potranno mai avere passando da una normale elezione politica.

Ricordavamo, aiutati dalla tranquillità del tavolino di un bar dove ci si presenta solitamente di persona, senza l’aiuto di infervorate truppe cammellate come avviene su Twitter, che l’ultima crisi di governo avvenne con centinaia di morti al giorno e una pandemia che ai tempi appariva insormontabile. Cadde il governo per il Mes. Sembra incredibile, vero? Fu “il Mes” la roncola usata in quell’occasione, roba perfino più triste del candelabro del maggiordomo. Ci spiegarono dopo che il Mes fu solo la leva per togliere di torno Conte da Palazzo Chigi. Fu definito un capolavoro. L’arrivo di Draghi rese ancora più fieri i fans del guastatore. Ci sta, la politica è un gioco – spesso sporco – che prevede anche l’azzoppamento dei nemici.  In quell’occasione qualcuno vide nel “conticidio” una manovra oscura di poteri esterni e piani alti. Trovai la teoria piuttosto bislacca: avevano semplicemente vinto coloro che volevano fare fuori Conte. A posto così.

Parimenti bislacca è la teoria che debbano esistere poteri forti (diametralmente opposti) in questo caso in cui Draghi ha perso la fiducia – politica – di un partito. È la ripetizione speculare di ciò che accadde solo che in questo caso, non si capisce bene il perché, il “capolavoro politico” che fu ora dovrebbe essere un “tradimento”. Anzi, per dirla meglio: conticidio, tradimento e tutte queste altre panzane buone per aumentare il coinvolgimento social sono furberie retoriche e emozionali che attengono al tifo. Non c’entrano nulla con la politica… Hanno a che fare piuttosto con bestie e bestioline – rondoliniane o morisiane, sono tutte della stessa pasta – che vivono la politica come una partita di calcio. Tifosi, semplicemente.

«Ma ora arriva la destra», mi ha detto quel mio amico seduto stanco, introiettando un altro tic che ciclicamente viene usato da chi aspira al massimo al meno peggio. Gli ho spiegato, spero di essere stato abbastanza convincente, che la “destra” sta già al governo, bella pasciuta, avendo piazzato un filotto di ministri che non avrebbero mai potuto sperare in una loro resurrezione politica senza il “capolavoro” dell’ultima crisi di governo. Salvini, per dirne uno, quel Salvini che si era ribaltato da solo in un parcheggio nell’estate del Papeete, oggi sta al governo. Brunetta, che sgomma con la sua auto da ministro, prima del governo Draghi era nascosto in un’ala polverosa del Parlamento. Giorgetti, che gioca a fare il Gianni Letta in queste ore, è stato riabilitato per un gioco di crisi e di rovesciamenti. Volendo vedere la stessa Giorgia Meloni è stata messa nella comoda posizione di poter cannoneggiare nella conveniente posizione dell’unica opposizione grazie alla crisi precedente a questa.

Se vincerà la destra, trainata da Giorgia Meloni, vorrà dire che questo “governo dei migliori” là fuori non ha voti. Di più: significherà che c’è un bacino elettorale ampio, ampissimo, che non si trova d’accordo con le politiche di Draghi. Mi pare lecito, in democrazia. O forse il tema vero è che questi leader di partito sono abilissimi guastatori delle politiche degli altri ma hanno una paura fottuta di sottoporre le proprie politiche ai loro elettori. Funziona così, la politica e la democrazia.

Buon venerdì.

L’articolo proviene da Left.it qui