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Pure Pd e destre non ne possono più del governo Draghi

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La sintesi migliore, seppur cattiva, l’ha fatta Alessandro Di Battista: “E anche oggi il Movimento 5 Stelle esce domani – scrive sul suo account Facebook -. Esprime a Draghi il proprio disagio, come se uno dei peggiori presidenti del Consiglio della storia fosse un prete nel confessionale.

Il governo Draghi, checché ne dicano alcuni commentatori interessati, è sbriciolato da tempo

Chissà, magari il Movimento uscirà dal governo dopo l’estate, quando i parlamentari avranno maturato la pensione. Magari uscirà dopo la finanziaria, momento d’oro per chi è alla ricerca di denari da trasformare in markette elettorali. O forse non uscirà mai”. In realtà Giuseppe Conte chiarisce di “non aver dato rassicurazioni a Mario Draghi sulla permanenza nel governo” e lega il futuro dell’esecutivo dei migliori alle risposte che arriveranno dal presidente del Consiglio.

Di risposte non ne arriveranno o se arriverà qualcosa saranno mezze promesse impossibili da mantenere. Il governo Draghi, checché ne dicano alcuni commentatori interessati, è sbriciolato da tempo, resta in piedi un po’ per l’atavica paura della classe politica di fronte alla possibilità del voto, un po’ per la ciurma trasversale dei parlamentari terrorizzati dal doversi trovare un lavoro e un po’ perché la retorica dell’emergenza – anche se siamo in emergenza praticamente da tre anni – attecchisce ancora tra qualche leader di partito.

Il governo Draghi però non traballa “per l’irresponsabilità del M5S” come scrive qualcuno. Il M5S ha messo sul tavolo temi che ritiene identitari – come il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la transizione ecologica, il superbonus 110% – ma soprattutto ha fatto presente (e questo lo sanno tutti) che un governo che si rivende come “apolitico” o “tecnico” logora i partiti e rinforza i portatori di interessi.

Dall’altra parte anche la Lega punta su “aumento di stipendio e pensioni, lavoro e taglio delle tasse” rilanciando anche “l’autonomia e la lotta all’immigrazione clandestina”. La linea della responsabilità in casa leghista si attenua giorno dopo giorno. Per ora Salvini punta il dito contro la “sinistra” ma è solo il trucco per avere a disposizione “provocazioni” da sventolare in caso di rottura con il governo.

La base del Carroccio è in subbuglio, le recenti sconfitte alle elezioni amministrative e sui referendum stanno mettendo all’angolo Salvini che infatti ha offerto un patto di cogestione del partito fino alle prossime elezioni ai “governisti” Zaia e Giorgetti con cui litigava fino a pochi giorni fa. Nel vertice milanese del partito è emerso come tema di dibattito lo scetticismo “di gran parte del partito” nei confronti del governo Draghi.

Il capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo continua a ripetere di “avere messo in conto qualche sacrificio in termini di consenso elettorale decidendo di sostenere il governo Draghi” ma che ora serve una svolta nei rapporti con il governo ben superiore a quella che traspare dalle dichiarazioni ufficiali.

Nel frattempo Enrico Letta – almeno a parole – conferma di “non voler arretrare di un millimetro sullo Ius Scholae” e di non essere disposto “a subire ricatti”. Il vice segretario del Pd Peppe Provenzano rilancia la battaglia sui “salari, diritti, lotta alla precarietà” e “un’agenda sociale per rispondere ala rabbia”.

La tragedia della Marmolada nelle ultime ore ha evidenziato anche la distanza tra le diverse forze politiche su come si intende attuare la transizione ecologica con l’asse Renzi-Salvini-Calenda che – sempre a proposito della “responsabilità” che tanto decantano – sta spingendo sul ritorno del nucleare. L’aspetto più curioso è che tutti questi governano insieme.

L’ipocrisia del governo Draghi. Si impallinano tutti i giorni ma siedono allo stesso tavolo

O almeno dovrebbero. Si impallinano tutti i giorni e siedono allo stesso tavolo del Consiglio dei ministri. Questa è la vera ipocrisia del governo dei migliori: starci fingendo di non esserci, come nella peggiore tradizione politica italiana. E forse il governo è già finito e semplicemente manca un matto che dica che il re è nudo.

Leggi anche: Sull’appoggio o meno al governo dei Migliori, il M5S è spaccato in due. Ecco chi vorrebbe affondare

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Il mondo ha fame, sempre più fame

Nel mondo, il numero delle persone che soffrono la fame è salito a 828 milioni nel 2021. Si tratta di un aumento di circa 46 milioni di persone dal 2020 e 150 milioni di persone dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Sono i dati di un Rapporto delle Nazioni Unite che fornisce nuove prove di come il mondo si stia allontanando ulteriormente dal suo obiettivo di porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione in tutte le sue forme entro il 2030.

L’edizione 2022 del rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World (Sofi) presenta aggiornamenti sulla situazione della sicurezza alimentare e della nutrizione in tutto il mondo, comprese le ultime stime sul costo e sulll’accessibilità di una dieta sana. Il rapporto esamina anche i modi in cui i governi possono ripensare il loro attuale sostegno all’agricoltura per ridurre il costo di diete sane, tenendo conto delle limitate risorse pubbliche disponibili in molte parti del mondo.

Il rapporto è stato pubblicato ieri congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef), dal World Food Programme (Wfp) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).

I numeri dipingono un quadro cupo:

  • Ben 828 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2021: 46 milioni di persone in più rispetto all’anno precedente e 150 milioni in più dal 2019.
  • Dopo essere rimasta relativamente invariata dal 2015, la percentuale di persone affamate è aumentata nel 2020 e ha continuato a crescere nel 2021, raggiungendo il 9,8 per cento della popolazione mondiale, rispetto all’8 per cento nel 2019 e al 9,3 per cento nel 2020.

  • Circa 2,3 miliardi di persone nel mondo (29,3 per cento) hanno vissuto in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2021, 350 milioni in più rispetto a prima dello scoppio della pandemia di COVID 19. Quasi 924 milioni di persone (l’11,7 per cento della popolazione mondiale) hanno affrontato gravi livelli di insicurezza alimentare, un aumento di 207 milioni in due anni.

  • Il divario di genere nell’insicurezza alimentare ha continuato a crescere nel 2021: il 31,9 per cento delle donne nel mondo ha sofferto di insicurezza alimentare moderata o grave, rispetto al 27,6 per cento degli uomini, un divario di oltre 4 punti percentuali, rispetto ai 3 punti percentuali nel 2020 .

  • Quasi 3,1 miliardi di persone non hanno potuto permettersi una dieta sana nel 2020, 112 milioni in più rispetto al 2019, un riflesso degli effetti dell’inflazione sui prezzi dei generi alimentari al consumo derivante dagli impatti economici della pandemia di COVID-19 e dalle misure messe in atto per contenerla.

  • Si stima che circa 45 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni abbiano sofferto di deperimento, la forma più mortale di malnutrizione, che aumenta il rischio di morte dei bambini fino a 12 volte. Inoltre, 149 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni hanno avuto deficit di sviluppo a causa di una mancanza cronica di nutrienti essenziali nella loro dieta, mentre 39 milioni erano in sovrappeso.

  • Si stanno compiendo progressi nell’allattamento al seno, con quasi il 44 per cento dei bambini di età inferiore ai sei mesi che, in tutto il mondo, sono stati allattati esclusivamente al seno nel 2020, anche se si è al di sotto dell’obiettivo del 50 per cento entro il 2030. Desta grande preoccupazione il fatto che due bambini su tre non abbiano un regime alimentare diversificato, necessario per crescere e sviluppare il proprio pieno potenziale.

  • Guardando al futuro, le proiezioni indicano che, nel 2030, quasi 670 milioni di persone (l’8 per cento della popolazione mondiale) dovranno ancora affrontare la fame, anche prendendo in considerazione una ripresa economica globale. Si tratta di un numero simile al 2015, quando l’obiettivo di porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione entro la fine di questo decennio fu lanciato nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Nel periodo di pubblicazione di questo rapporto, la guerra in corso in Ucraina, che coinvolge due dei maggiori produttori mondiali di cereali, di olio di semi e di fertilizzanti, sta sconvolgendo le catene di approvvigionamento internazionali e facendo aumentare i prezzi di grano, fertilizzanti, energia, nonché degli alimenti terapeutici pronti all’uso per bambini che soffrono di malnutrizione grave. Ciò accade mentre le catene di approvvigionamento sono già colpite negativamente da eventi climatici estremi sempre più frequenti, specialmente nei paesi a basso reddito, e ha implicazioni potenzialmente preoccupanti per la sicurezza alimentare e la nutrizione globali.

«Questo rapporto evidenzia ripetutamente l’intensificarsi di questi principali fattori di insicurezza alimentare e malnutrizione: conflitti, shock climatici estremi e economici, combinati con crescenti disuguaglianze», hanno scritto nella Prefazione di quest’anno i capi delle cinque agenzie delle Nazioni Unite. «La questione in gioco non è se le avversità continueranno a verificarsi o meno, ma come intraprendere azioni più audaci per costruire la resilienza contro gli shock futuri».

Riqualificazione delle politiche agricole

Il rapporto rileva come debba far riflettere il fatto che il sostegno mondiale al settore alimentare e agricolo sia stato in media di quasi 630 miliardi di dollari l’anno, tra il 2013 e il 2018, di cui gran parte devoluta ai singoli agricoltori, attraverso politiche commerciali e di mercato e sussidi fiscali. Tuttavia, gran parte di questo sostegno non solo distorce i mercati, ma non raggiunge molti agricoltori, danneggia l’ambiente e non promuove la produzione di cibi nutrienti che sono al centro di una dieta sana. Ciò è in parte dovuto al fatto che i sussidi spesso sono usati per la produzione di alimenti di base, latticini e altri alimenti di origine animale, soprattutto nei paesi a reddito alto e medio-alto. Riso, zucchero e carni di vario tipo sono i prodotti alimentari più incentivati ​​in tutto il mondo, mentre frutta e verdura sono relativamente meno supportate, in particolare in alcuni paesi a basso reddito.

Con le minacce di una recessione globale incombente e le sue implicazioni sulle entrate e sulle spese pubbliche, un modo per sostenere la ripresa economica consiste nel ripensare il sostegno alimentare e agricolo indirizzandolo verso quegli alimenti nutrienti in cui il consumo pro capite non corrisponde ancora ai livelli raccomandati per diete sane.

L’evidenza suggerisce che, se le risorse che i governi stanno attualmente usando venissero convertite per incentivare la produzione, la fornitura e il consumo di cibi nutrienti, ciò contribuirebbe a rendere le diete sane meno costose, più convenienti ed eque per tutti.

Infine, il rapporto sottolinea anche che i governi potrebbero fare di più per ridurre le barriere commerciali per gli alimenti nutrienti, come frutta, verdura e legumi.

Buon giovedì.

Nella foto un ragazzo afgano presso il campo sfollati interni a Qala-e-Naw, Afghanistan, 14 dicembre 2021. L’Afghanistan è uno dei Paesi più colpiti dalla crisi alimentare

Per approfondire leggi Left del 10 giugno 2022

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SOMMARIO

 

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Un dittatore per amico

Giusto qualche giorno fa i draghiani più draghiani dello stesso Draghi (non c’è nemmeno bisogno di specificare di quali micropartiti, è fin troppo facile) difendevano il padrone del governo dei migliori che non rispondeva e poi tornava piccato da una giornalista del Corriere della sera che si era permessa di chiedere al presidente del Consiglio cosa pensasse dei curdi regalati a Erdogan in cambio dell’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia.

“Non è affar suo”, ci spiegavano gli azionisti e soprattutto gli italiani vivi, convinti che la politica per Draghi sia una perdita di tempo che debba giustamente trattare con sufficienza. La risposta è comunque arrivata ieri dal vertice di Ankara dove Draghi (che un anno fa definiva il presidente turco Recep Tayyip Erdogan «un dittatore», di cui si ha comunque «bisogno» e con il quale occorre dunque «cooperare» per assicurare gli interessi del nostro Paese) si è fatto fotografare sorridente con il dittatore affermando che «Italia e Turchia sono partner, amici, alleati».

Il motivo di questo cambio repentino è facile da indovinare: «La Turchia è oggi il primo partner commerciale per l’Italia nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa – spiega Draghi -. Nel 2021 l’interscambio è stato di quasi 20 miliardi di euro, in crescita del 23,6% rispetto all’anno precedente». Così è tutto un firmare di ministri, fottendosene allegramente di un dittatore ora diventato amichetto del cuore.

Risuonano le parole di Salih Muslim, presidente del partito curdo-siriano, il Pyd: «I Paesi occidentali non stanno tenendo conto delle conseguenze del proprio sostegno al regime turco. Sanno che la Turchia ha incarcerato centinaia di giornalisti, politici e magistrati. E che ha commesso crimini di guerra in Rojava contro i curdi. Tuttavia, Usa ed Europa chiudono un occhio su tutto ciò per tutelare i propri interessi. Noi, al contrario, rappresentiamo i valori di democrazia, umanità e libertà. Se sono onesti, devono stare con noi. Questo, alla lunga, servirà per portare stabilità e progresso nel Medio Oriente».

Buon mercoledì.

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Calenda si ributta sul nucleare. Con uno studio farsa

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C’è un nuovo asse nello scenario politico italiano che non stupisce per niente: Carlo Calenda e Matteo Salvini da qualche giorno si sono buttati a pesce sul nucleare, eldorado per ottenere qualche voto in più e per accarezzare la propria ossessione di distinguersi. Calenda ormai non rinuncia a rilanciare il ritorno al nucleare quasi quotidianamente, confidando nelle goccia che scava la pietra e fottendosene di quello che dice l’Unione europea che tanto ammira, ma solo quando gli torna utile.

Carlo Calenda e Matteo Salvini da qualche giorno si sono buttati a pesce sul nucleare

Il 30 giugno il leader di Azione ha presentato in Senato una mozione per chiedere che il nucleare venga reintrodotto tra le fonti utilizzate dal nostro Paese per produrre energia. Secondo Calenda senza il nucleare sarà “impossibile” per l’Italia rispettare gli accordi europei per il 2050. Per questo Calenda già a marzo aveva avanzato la proposta di 8 centrali nucleari, con tre o quattro reattori ciascuna, per una potenza complessiva di 40 gigawatt, da combinare con l’uso di altre energie rinnovabili.

La retorica (piuttosto populista, secondo il solito refrain di certi pro nuke) è quella di energia “a basso costo” e con bassi livelli di dipendenza da fonti straniere, “reattori sicurissimi” e con “tempi rapidi di costruzione”. Peccato che secondo il rapporto dell’Iea il nucleare rappresenta la fonte di energia ecosostenibile più costosa: nel 2020, nell’Unione europea questa richiedeva una spesa di circa 150 dollari per ogni megawattora prodotto, contro i 60 dell’energia solare, i 50 dell’energia eolica con impianti su terra, e i 70 degli impianti eolici in mare.

Per quanto riguarda la rapidità di costruzione il World Nuclear Industry Status Report sottolinea ogni volta che la costruzione degli impianti va incontro molto spesso a lunghi ritardi, talvolta decennali, e a grandi aumenti dei costi rispetto ai preventivi iniziali. Un esempio è la Francia con la costruzione della centrale di Flamanville che è iniziata nel 2007 e avrebbe dovuto essere pronta entro il 2012, per un costo stimato di 3,3 miliardi di euro. Oggi però si prevede che la centrale sarà attiva non prima del 2023, e il costo è salito a 12,7 miliardi di euro, quasi quattro volte la cifra iniziale.

Calenda comunque insiste e ieri ha “prodotto” una nuova ricerca. In realtà chiamarla ricerca è un parolone, visto che si tratta di ben quattro slides (roba da presentazione alle scuole medie) che conferma e rilancia il documento di marzo. Come al solito poche specifiche – non dovrebbero essere i competenti? – ma soprattutto rimane il mistero su chi abbia redatto il documento.

Se si scorrono i responsabili tematici di Azione sul loro sito si scopre che ce né per tutti i gusti: dal responsabile “demografia e migrazione” al “responsabile editoriale e delle campagne” passando per una responsabile dedicata solo a “Roma capitale”, “Coesione territoriale centro-nord” e “Coesione territoriale centro-sud”, ben 2 responsabili per lo “sport” e un responsabile per i “media”. Non c’è nessuno però che si occupi di “energia”. Chi ha scritto quindi quel piano energetico? A domanda diretta Calenda non risponde.

“Professionisti del settore”, si limita a dire – ci mancherebbe – come se nel mito della “competenza” non conti il curriculum di chi redige le proposte. Ieri la curiosità sugli autori del documento serpeggia per tutto il giorno. Si parla di un non meglio definito “Centro Studi” che si scopre essere diretto da Gabriele Franchi che però è un economista.

Nel partito di Calenda “uno non vale uno” ma le diapositive per spingere il nucleare (che sarebbero una barzelletta in qualsiasi Consiglio d’amministrazione) vanno bene anche se le ha scritte Paperino. In compenso in serata arriva il capo di AssoNucleare Umberto Minopoli a sparare addosso “all’ambientalismo radicale” spiegandoci che «sulle Alpi 1500 anni fa passeggiavano gli elefanti di Annibale». Sbagliano di 500 anni in storia elementare, figuratevi l’attendibilità sui tempi di costruzione di una centrale.

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Negazionisti scatenati. E sui giornali delle destre il clima sta benissimo

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Eccoli i negazionisti davvero pericolosi, altro che quei quattro sciancati che da qualche anno imperversano sui social e riempiono le pagine di giornali e siti complottando sul Covid: i negazionisti del clima sono organizzati, spesso sono addirittura classe dirigente e comicamente sono quelli che fino all’altroieri idolatravano “la scienza” che oggi rinnegano.

I negazionisti del clima sono organizzati, spesso sono addirittura classe dirigente

Tra le prime pagine più schifosamente vergognose si merita la medaglia d’oro Il Giornale (spesso capolista del peggio) che titola “Gli sciacalli dei ghiacci”. Dentro c’è tutta l’ipocrisia ambientale e politica che ci si aspetterebbe: accusano i “gretini” (hanno il coraggio di chiamare così gli ambientalisti, questi “cretini” di giornalisti) di “strumentalizzare la strage” e così riescono a dedicare la prima pagina del loro giornale utilizzando la tragedia della Marmolada per bastonare gli avversari politici. Esattamente l’atteggiamento di cui accusano gli altri. Un capolavoro.

All’interno si spende perfino la penna d’oro di Nicola Porro che non può non negare «che le temperature stiano salendo» (cara grazia) ma si ingegna a scovare un’occasione, a Torino nel 1922, in cui la temperatura era più alta. Confondere la temperatura con il clima è un errore da pennarello rosso perfino per uno studente di scuola media ma dalle parti de Il Giornale evidentemente non hanno trovato di meglio.

E non finisce qui. Filippo Facci (oggi perfino climatologo) su Libero ci spiega che “la verità, ogni tanto, non serve” (del resto senza il condono dell’ipocrisia lui non farebbe il giornalista già da un pezzo) e ci spiega che “i seracchi sono sempre caduti, cadranno sempre” e grida al “regime militare” di chi vorrebbe chiudere le montagne. Vi ricorda qualcosa Sì, è esattamente lo stesso pietoso vocabolario dei complottisti applicato a altro. Ma questo non sta su una bacheca Facebook bensì in prima pagina di un quotidiano nazionale. Perfino Draghi viene accusato di essersi “prestato alla recita” per aver parlato di “deterioramento dell’ambiente”.

A proposito di verità sull’omonimo quotidiano diretto da Belpietro, Mario Giordano con il suo editoriale frigna perché i negazionisti del clima vengono trattati come i no vax e come i filo putiniani, sono il “nuovo pericolo nazionale?”, chiede Giordano: sì, solo che il pericolo non è nazionale ma è mondiale e i negazionisti sono certificati come dannosi dal 99,9% degli scienziati. Il problema, al di là della piagnona strumentalizzazione di Giordano, non è “chi fa la doccia” che viene dipinto come “criminale” ma è chi, come lui, nega la realtà per continuare a lisciare i complottisti di ogni sorta e guadagnarsi il suo piccolo spazio da neomelodico della cazzata in qualche trasmissione televisiva.

Non serve nemmeno specificare che insieme a Libero, Il Giornale e La Verità si accodi Il Foglio che del negazionismo climatico ha fatto la sua bandiera che dopo dieci anni di articoli negazionisti ancora davanti alla tragedia della Marmolada sostiene “un dibattito laico sulle cause” del cambiamento climatico dimenticando che il dibattito è già chiuso dagli anni con evidenze scientifiche note a tutti tranne a Il Foglio.

Come scrive giustamente Antonio Scalari “è giornalisticamente grave, frustrante e imbarazzante che per questi quotidiani (Il Foglio, La Verità, Il Giornale), riconducibili all’area di destra, non esista il consenso scientifico ma solo l’opinione dei soliti 3 o 4 bastiacontrari climatici italiani. Questi personaggi, spesso presentati come “esperti di fama mondiale”, che si intervistano e rilanciano tra di loro, che firmano petizioni antiscientifiche, continuano a trovare in queste testate un megafono con cui diffondere tesi scorrette e ingannevoli su #CambiamentoClimatico.

Diffondere, senza alcuno scrupolo o verifica, questa disinformazione viola qualsiasi deontologia giornalistica ed etica informativa, alimenta ignoranza e confusione perfino davanti a eventi come quello della #Marmolada che la scienza ricollega da tempo al #CambiamentoClimatico. La disinformazione sul cambiamento climatico inganna e confonde i lettori, impedisce loro di farsi una corretta opinione sulla più grave crisi del nostro tempo.

Fino a quando giornali come quello diretto da Cerasa e altri continueranno a diffonderla Particolare non da poco: questi sono gli stessi che tutti i giorni vanno a braccetto con i politici che sventolano il mito della “competenza” come se fosse un marchio. Ovviamente i “competenti” sono sempre loro, solo loro. Ai direttori basterebbe informarsi prima di informare, scoprirebbero che la principale causa del cambiamento climatico sono le emissioni prodotte dai combustibili fossili.

Vorrebbero dare lezioni di politica e di giornalismo ma sono solo l’esatta rappresentazione dell’ignorante avidità di chi mostrifica qualsiasi cambiamento per la paura di perdere qualche posizione o qualche protezione. Il giornalismo del giorno dopo la tragedia della Marmolada è uno scempio. Pericolosi per qualche pugno di lettori, irresponsabili pur di esistere: esattamente come i partiti che sostengono.

Leggi anche: Dal Covid ai mutamenti climatici. Negazionisti senza vergogna.

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Minacce flop ai 5 Stelle. Da Franceschini l’ennesimo bluff del Pd

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Dario Franceschini, bisogna riconoscerlo, ci ha provato. Impegnato nell’incontro nazionale di AreaDem a Cortona (Arezzo) ha confezionato un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali: “Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5s dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione, perché un appoggio esterno è una rottura, per noi porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residua possibilità di andare al proporzionale”.

Da Franceschini un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali

Esultanza prevedibile da parte degli innumerevoli partiti di centro, che vorrebbero creare “il grande centro” e che invece sono attaccato alla sottana del Partito democratico: per loro una rottura tra Pd e M5S significherebbe trovare un’insperata tavola imbandita che li farebbe apparire progressisti mentre strenuamente continuano a servire le élite. Sarebbe un sogno.

Poiché la sparata di Franceschini è sopravvissuta al tempo breve delle agenzie di stampa ed è riuscita a diventare un dibattito di corsa è arrivato il deputato dem e membro della segreteria nazionale Enrico Borghi che all’Adnkronos per dire che “le posizioni di Franceschini sono largamente diffuse all’interno del partito e chiaramente, essendo lui tra gli esponenti che maggiormente hanno lavorato per un accordo con i 5 Stelle, credo assumano anche un peso specifico notevole”.

La posizione di Borghi del resto è sempre la solita tiritera di “un’alleanza molto larga” – dice Borghi – “fatta sui contenuti e non sugli aspetti ideologici”. Per uscire dal politichese significa che la frase di Franceschini potrebbe tornare utile a chi davvero vede pensabile un’alleanza che tenga dentro Conte, la sinistra di Fratoianni, il Pd, Bersani con i suoi, Renzi e Calenda.

Posto che sarebbe impossibile qualsiasi convergenza ideologica (e l’ideologia fa tutt’altro che schifo, benché la pronuncino sputando, poiché è la linea per misurare la coerenza) risulta difficile immaginare anche quali sarebbero i “contenuti” che potrebbero tenere insieme i partiti che stanno dalla parte degli imprenditori che vorrebbero pagare ancora meno i lavoratori e quelli che contestano i salari da fame. Solo per dirne una. Ma l’uscita di Franceschini, al netto dell’apparenza del voler salvare il governo, è un’uscita che ha poco senso.

Da una parte non fa altro che pungolare per procura il Movimento Cinque Stelle in una concitata discussione interna, tra l’altro a pochi giorni dall’abbandono di Luigi Di Maio e la sua banda (a proposito, anche loro nel “fronte progressista”?), apparendo in tutto e per tutto un assist a chi il M5S lo martella come ragione di vita (Carlo Calenda e Matteo Renzi in primis) e dall’altra parte estrae l’argomento della “lealtà” proprio a poche ore dal voto sulla stretta del Reddito di cittadinanza che il Pd ha votato insieme a Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e il gruppo Misto.

C’è poi un aspetto tutto elettorale: il Partito democratico senza il Movimento Cinque Stelle, con questa legge elettorale, non ha nessuna possibilità di poter provare a battere le destre almeno che i democratici non ritengano possibili le percentuali percepite di Renzi e compagnia (smentite da ogni sondaggio elettorale) o peggio ancora almeno che con un pezzo di destra stiano pensando di allearsi.

Il colpo di Franceschini è a salve: voler costruire un “fronte ampio” lasciando fuori il Movimento Cinque Stelle è tutt’altra cosa rispetto a ciò che Letta ripete da mesi. Un ultimo appunto: dice Franceschini che non bisogna bruciare “ogni residua possibilità di andare al proporzionale”. In quel caso ognuno andrebbe per conto suo.

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Dal Covid ai mutamenti climatici. Negazionisti senza vergogna

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Il distacco del ghiacciaio che ha travolto diverse cordate di escursionisti sulla Marmolada è una strage. Dei 19 dispersi ne sono stati rintracciati e salvati 4 mentre sarebbero 8 le vittime, tra cui due guide alpine. I feriti sono una decina, due dei quali in gravi condizioni.

La tragedia della Marmolada ha dato nuovo fiato a complottisti e negazionisti

Walter Milan, portavoce del soccorso alpino, ha fatto il punto della situazione: “L’operazione è molto complicata, ed è fatta sia sul terreno sia con tutta una serie di approfondimenti che vanno a verificare le varie segnalazioni. I droni stanno scandagliando ogni metro della valanga. Il pericolo oggi come ieri sono le alte temperature, non sono esclusi altri crolli. Si cerca di lavorare con meno forze possibile sul terreno per non mettere in pericolo i soccorritori. Le operazioni non si sono mai interrotte, sono continuate dalle prime ore di questa mattina e andranno avanti”.

L’inchiesta per disastro colposo al momento a carico di ignoti aperta dal procura di Trento dovrà stabilire le cause ma i numeri parlano chiaro: la stazione di rilevamento dell’Arpav presente in quota nelle ore precedenti al collasso del saracco dice che sabato si erano toccati i 9 gradi, durante la notte la minima era stata di 5 gradi e già alle 11 di domenica mattina la rilevazione aveva superato i 10°.

La tragedia della Marmolada ha però dato nuovo fiato ai complottisti e ai negazionisti che anche sul clima trovano terreno fertile per concimare le proprie strampalate teorie. Come sempre si tratta di complotti che, anche grazie alla rete, si propagano velocemente in tutto il mondo. Nel novembre dell’anno scorso The Denial File di Bbc World Service segnalava che “diverse pagine di Wikipedia in lingua straniera (non in inglese, ndr) viste da Bbc News stanno promuovendo teorie del complotto e facendo affermazioni fuorvianti sul cambiamento climatico”.

Il gioco è sempre lo stesso: suggerire che gli scienziati siano divisi sulle cause del riscaldamento globale mentre il consenso scientifico sul fatto che sia causato dall’uomo è enorme: 99,9%. Altre teorie ampiamente smentite includono affermazioni infondate sull’emergere di un governo mondiale totalitario e collegano le richieste dei giovani di Friday For Future di una maggiore azione climatica a interessi finanziari segreti, facendo con questa ipotesi strampalata il gioco delle multinazionali petrolifere e delle petro-monarchie e dittature i cui interessi non sono affatto segreti.

Su Facebook, com’è facile immaginare, il terreno è ancora più fertile. In occasione della Cop 26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, gli influencer e gruppi complottisti sul clima hanno superato per popolarità e capacità di coinvolgimento la comunità scientifica. Una ricerca dell’Institute for strategic dialogue ha monitorato come durante i giorni della Cop 26 i post degli influencer anti-scientisti siano riusciti a silenziare quelli del Climate Science Center di Facebook, ovvero un insieme di organizzazioni che promuovono informazioni affidabili sui cambiamenti climatici.

Oltre a una maggiore popolarità i gruppi negazionisti su facebook dimostrano anche una maggiore capacità di coinvolgimento: i contenuti condivisi da queste pagine hanno generato un livello di interazione significativamente maggiore rispetto ai post prodotti da fonti autorevoli. La propaganda di disinformazione sul clima ha su facebook un livello di coinvolgimento 12 volte superiore a quello generato dalla cosiddetta scienza.

La strategia negazionista del resto si è mossa fin dagli anni ’70 e ’80 con lo slogan “la scienza non è definita” che aveva l’obiettivo di ritardare e impedire l’approvazione di leggi e politiche contro le emissioni di gas serra attraverso campagne di disinformazione e attività di lobbying. Come hanno scritto Stella Levantesi e Antonio Scalari per Valigia Blu “il negazionismo si adatta ai tempi e alle circostanze e sfrutta le occasioni che il dibattito pubblico offre […] il suo approccio continua a essere basato sulla strumentalizzazione, la manipolazione di dati e studi scientifici e l’uso di argomenti infondati e fallaci […] L’intento, piuttosto, è quello di far apparire le politiche per l’ambiente e il clima come un potenziale ostacolo alla crescita. Un fardello per le imprese, i consumatori e per l’intera collettività”.

E in Italia i disinformatori viaggiano anche su testate eccellenti, fingendo che il dibattito scientifico sull’esistenza del cambiamento climatico sia ancora in corso quando invece il cambiamento climatico non è più una “teoria” ma una realtà scientificamente fondata. Così si passa dal fisico Antonino Zichichi, che attribuisce il riscaldamento globale all’attività solare (una vecchia tesi, già smentita), Franco Battaglia (docente di chimica fisica dell’Universitа di Modena) che ospite a Cartabianca su Rai 3 ha ripetuto che le attività umane “non c’entrano niente con il cambiamento climatico” o Franco Prodi (spesso ospite de Il Foglio che del negazionismo del cambiamento climatico ne ha fatto una missione editoriale, mentre poi dispensa patenti di “competenza” agli altri) che vorrebbe convincerci che “il cambiamento è connaturato al clima”.

Che “i cambiamenti climatici sono la regola della Natura” l’ha scritto anche Umberto Minopoli, guarda caso presidente di Asso Nucleare. Eppure il 99,9% degli articoli scientifici pubblicati dal 2012 a oggi ritiene che le cause antropiche abbiano un ruolo nella crisi climatica. Solo 4 studi su 3000 lo mettono in dubbio. Laura Young ed Erin Fitz, ricercatori del Georgia Gwinnett College, negli Stati Uniti, hanno analizzato le pubblicazioni sul tema e hanno scoperto che quei pochi negazionisti tra l’altro non sono qualificati per esprimere una valutazione attendibile e fanno anche parte di organizzazioni e industrie che si oppongono al movimento contro il cambiamento climatico

Dopo i complottisti sul Covid ora ci ritroviamo i negazionisti del clima. C’è una sostanziale e pericolosissima differenza: questi hanno alle spalle interessi enormi. Non è ignoranza, è consapevolezza di chi si è scelto di servire.

Leggi anche: Le lacrime sintetiche dei nostri ecologisti alle vongole. L’editoriale del direttore Gaetano Pedullà

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Le gaffe di Sasso

Oltre a essere un politico è anche insegnante ed è perfino sottosegretario all’Istruzione. Il leghista Rossano Sasso è ospite della trasmissione Omnibus per sparare contro lo ius scholae e si trova di fronte l’avvocato Hilarry Sedu, uno degli autori del disegno di legge, per di più nero.

La scena è una fotografia del Paese. Sasso parte in quarta spiegando che in Italia esiste già lo ius soli spiegandoci che è previsto «dall’art. 9, comma 1, lettera F, della legge 92 del 1991». Ovviamente lo ius soli non esiste ma, particolare non da poco, la legge a cui avrebbe voluto fare riferimento Sasso è la legge 91 del 1992. Qualcuno può pensare che si tratti di un errore veniale, una distrazione.

Continuiamo. Sasso spiega che lo ius scholae sarebbe uno “scudo” per impedire l’espulsione in caso di un reato. La spiegazione è la solita propaganda leghista: «Se un bambino di 8 anni ha un papà che delinque, e i dati dimostrano che sono tantissimi i reati compiuti dagli immigrati, quel papà non viene espulso. Ecco che allora si realizza il disegno della sinistra di estendere con questo ius soli mascherato la cittadinanza a tutti». Dall’altra parte il pacato avvocato Sede gli fa notare che «se il genitore del minore delinque e costituisce una minaccia per lo Stato e per l’ordine pubblico, viene comunque espulso», e siamo alla seconda figuraccia nel giro di pochi minuti.

Hilarry Sedu fa notare anche che etnicizzare un reato ha un nome preciso: razzismo. Il sottosegretario, come accade a tutti i leghisti, si indigna. Il finale è da brividi. «Macché razzista, come si permette?», urla Sasso. Sedu risponde: «Glielo dico perché sta facendo una serie di confusioni arrivando a dire addirittura agli italiani che in questo momento esiste lo ius soli. Per favore, quando si va in televisione, bisogna essere preparati, altrimenti si fa altro». Sasso non ci sta: «Avvocato, si ripassi l’art. 9 della legge», dice. Sedu sorride sconsolato: «Veramente sarebbe l’art. 4 e anche in questo lei è impreparato».

Sipario. Parliamo di un sottosegretario. Un sottosegretario del governo dei migliori.

Buon martedì.

Nella foto: Rossano Sasso, frame della trasmissione Omnibus, 3 luglio 2022

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Il Rinascimento saudita sta già imparando l’impunità

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Un giudice statunitense ha chiesto all’amministrazione Biden di valutare la possibilità che a Mohammed bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, possa essere concessa l’immunità sovrana in una causa civile intentata contro di lui negli Stati Uniti da Hatice Cengiz, la fidanzata di Jamal Khashoggi, giornalista ucciso da agenti sauditi nel 2018.

Un giudice Usa ha chiesto all’amministrazione Biden di valutare la possibilità che a Mohammed bin Salman possa essere concessa l’immunità sovrana

John Bates, un giudice del tribunale distrettuale, ha concesso al governo degli Stati Uniti tempo fino al 1° agosto per dichiarare i propri interessi nella causa civile o per notificare al tribunale di non avere alcuna opinione in merito.

Il presidente degli Stati Uniti incontrerà l’erede al trono saudita alla fine di questo mese, quando farà il suo primo viaggio a Riyadh da quando è entrato alla Casa Bianca. La denuncia civile contro il principe Mohammed bin Salman, presentata da Cengiz presso il tribunale distrettuale federale di Washington DC nell’ottobre 2020, sostiene che lui e altri funzionari sauditi abbiano agito in una “cospirazione e premeditazione” quando agenti sauditi hanno rapito, legato, drogato, torturato e ha ucciso Khashoggi all’interno del consolato saudita a Istanbul nel 2018. La stessa tesi è sostenuta da rapporto dell’intelligence USA pubblicato nel 2021 che definisce “probabile” che proprio bin Salman abbia ordinato l’omicidio di Kashoggi.

Già un processo, quello in contumacia contro gli assassini di Khashoggi, si è arenato per volere di Erdogan che ha voluto così migliorare i suoi rapporti con i sauditi. Qualsiasi mossa del governo degli Stati Uniti per chiedere al principe ereditario l’immunità sovrana nel caso rappresenterebbe un tradimento della promessa di Biden di ritenere l’Arabia Saudita responsabile «Sarebbe assurdo e senza precedenti per l’amministrazione proteggerlo.

Sarebbe l’ultimo chiodo nella bara per i tentativi di ritenere responsabili gli assassini di Khashoggi», ha affermato Abdullah Alaoudh, il direttore della ricerca di Dawn, un’organizzazione no-profit che promuove la democrazia in Medio Oriente fondata da Khashoggi e co-querelante su il caso contro il principe ereditario.

Agnès Callamard, a capo di Amnesty International, che ha indagato sull’omicidio di Khashoggi nel suo precedente ruolo di relatore speciale delle Nazioni Unite sugli omicidi extragiudiziali, ha affermato che è “risibile” che il principe Mohammed bin Salman, che ha definito “un quasi sovrano”, possa beneficiare dell’immunità da capo di Stato dopo che gli stessi Stati Uniti avevano concluso pubblicamente che molto probabilmente aveva approvato l’operazione per uccidere Khashoggi.

Chissà che ne dicono, certi nostri politici italiani che di questi tempi sono così sensibili per le ragioni dei giornalisti oppressi dagli altri e non vedono i giornalisti oppressi (o come in questo caso uccisi) dai loro amici.

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Come un Minniti qualsiasi

Un gruppo di 20 persone è morto dopo essersi perso nel deserto libico nella zona di confine con il Ciad. Da due settimane non si aveva nessuna notizia. I dispersi sono stati ritrovati mercoledì 29 giugno dal servizio di emergenza libico che, con un comunicato, ha riferito che tutti e venti sono stati rinvenuti morti di sete nel deserto.

Come racconta Melting Pot nel suo report di giugno sono «almeno 770 le persone decedute ad oggi nel Mediterraneo centrale a cui si aggiungono le vittime dell’ultimo naufragio, avvenuto alla fine del mese, il 30 giugno, in Tunisia al largo di Djerba. In 17, tutti di nazionalità tunisina, viaggiavano a bordo di piccola imbarcazione: verranno rinvenuti 3 corpi mentre, altre 3 persone risultano disperse. Molte altre vite, scomparse in ignoti naufragi, resteranno senza un nome e, su di loro, non vi sarà neanche un lenzuolo a coprire tutte le speranze negate da una solidarietà e da una volontà politica europea arbitraria e discriminante. Nel mese di giugno 2022, 7.843 persone hanno raggiunto l’Europa attraversando il Mediterraneo centrale, approdando con imbarcazioni sempre più fatiscenti sulle coste siciliane e calabresi o, salvati miracolosamente in mare dagli operatori delle navi umanitarie presenti in area di ricerca e soccorso. Nel mese di giugno 2021 ne arrivarono 5.840».

Salvini e Meloni, con le elezioni che si avvicinano (e con lo ius scholae in discussione) stanno ripartendo con la propaganda dell’invasione. La Libia intanto è la solita polveriera, senza nessuna possibilità per ora di tornare una sua stabilità politica (anche questo tutto merito dell’Occidente che ha “esportato la sua democrazia”). A questo si aggiunge la povertà che sta attanagliando l’Africa, per la crisi climatica e per l’aumento di prezzi dei beni essenziali a causa della guerra.

In tutto questo il ministro della Guerra Lorenzo Guerini riesce a rilasciare un’intervista a Repubblica che ci ricorda, per l’ennesima volta, perché lo sentiamo e lo vediamo così poco in giro. Mentre discetta di guerre in giro per il mondo non riesce a trattenersi e ci fa sapere che sul Sahel «senza sviluppo non può esserci sicurezza. C’è il rischio di fenomeni migratori mai visti prima». Un ministro che parla di guerre e che riesce a ipotizzare la possibilità che portino “sviluppo” e che infine sventola le migrazioni come tema di “sicurezza”. Una roba indecente, così. Come un Minniti qualsiasi, semplicemente con più capelli e più profumo di incenso.

Buon lunedì.

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