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Minacce flop ai 5 Stelle. Da Franceschini l’ennesimo bluff del Pd

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Dario Franceschini, bisogna riconoscerlo, ci ha provato. Impegnato nell’incontro nazionale di AreaDem a Cortona (Arezzo) ha confezionato un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali: “Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5s dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione, perché un appoggio esterno è una rottura, per noi porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residua possibilità di andare al proporzionale”.

Da Franceschini un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali

Esultanza prevedibile da parte degli innumerevoli partiti di centro, che vorrebbero creare “il grande centro” e che invece sono attaccato alla sottana del Partito democratico: per loro una rottura tra Pd e M5S significherebbe trovare un’insperata tavola imbandita che li farebbe apparire progressisti mentre strenuamente continuano a servire le élite. Sarebbe un sogno.

Poiché la sparata di Franceschini è sopravvissuta al tempo breve delle agenzie di stampa ed è riuscita a diventare un dibattito di corsa è arrivato il deputato dem e membro della segreteria nazionale Enrico Borghi che all’Adnkronos per dire che “le posizioni di Franceschini sono largamente diffuse all’interno del partito e chiaramente, essendo lui tra gli esponenti che maggiormente hanno lavorato per un accordo con i 5 Stelle, credo assumano anche un peso specifico notevole”.

La posizione di Borghi del resto è sempre la solita tiritera di “un’alleanza molto larga” – dice Borghi – “fatta sui contenuti e non sugli aspetti ideologici”. Per uscire dal politichese significa che la frase di Franceschini potrebbe tornare utile a chi davvero vede pensabile un’alleanza che tenga dentro Conte, la sinistra di Fratoianni, il Pd, Bersani con i suoi, Renzi e Calenda.

Posto che sarebbe impossibile qualsiasi convergenza ideologica (e l’ideologia fa tutt’altro che schifo, benché la pronuncino sputando, poiché è la linea per misurare la coerenza) risulta difficile immaginare anche quali sarebbero i “contenuti” che potrebbero tenere insieme i partiti che stanno dalla parte degli imprenditori che vorrebbero pagare ancora meno i lavoratori e quelli che contestano i salari da fame. Solo per dirne una. Ma l’uscita di Franceschini, al netto dell’apparenza del voler salvare il governo, è un’uscita che ha poco senso.

Da una parte non fa altro che pungolare per procura il Movimento Cinque Stelle in una concitata discussione interna, tra l’altro a pochi giorni dall’abbandono di Luigi Di Maio e la sua banda (a proposito, anche loro nel “fronte progressista”?), apparendo in tutto e per tutto un assist a chi il M5S lo martella come ragione di vita (Carlo Calenda e Matteo Renzi in primis) e dall’altra parte estrae l’argomento della “lealtà” proprio a poche ore dal voto sulla stretta del Reddito di cittadinanza che il Pd ha votato insieme a Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e il gruppo Misto.

C’è poi un aspetto tutto elettorale: il Partito democratico senza il Movimento Cinque Stelle, con questa legge elettorale, non ha nessuna possibilità di poter provare a battere le destre almeno che i democratici non ritengano possibili le percentuali percepite di Renzi e compagnia (smentite da ogni sondaggio elettorale) o peggio ancora almeno che con un pezzo di destra stiano pensando di allearsi.

Il colpo di Franceschini è a salve: voler costruire un “fronte ampio” lasciando fuori il Movimento Cinque Stelle è tutt’altra cosa rispetto a ciò che Letta ripete da mesi. Un ultimo appunto: dice Franceschini che non bisogna bruciare “ogni residua possibilità di andare al proporzionale”. In quel caso ognuno andrebbe per conto suo.

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Dal Covid ai mutamenti climatici. Negazionisti senza vergogna

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Il distacco del ghiacciaio che ha travolto diverse cordate di escursionisti sulla Marmolada è una strage. Dei 19 dispersi ne sono stati rintracciati e salvati 4 mentre sarebbero 8 le vittime, tra cui due guide alpine. I feriti sono una decina, due dei quali in gravi condizioni.

La tragedia della Marmolada ha dato nuovo fiato a complottisti e negazionisti

Walter Milan, portavoce del soccorso alpino, ha fatto il punto della situazione: “L’operazione è molto complicata, ed è fatta sia sul terreno sia con tutta una serie di approfondimenti che vanno a verificare le varie segnalazioni. I droni stanno scandagliando ogni metro della valanga. Il pericolo oggi come ieri sono le alte temperature, non sono esclusi altri crolli. Si cerca di lavorare con meno forze possibile sul terreno per non mettere in pericolo i soccorritori. Le operazioni non si sono mai interrotte, sono continuate dalle prime ore di questa mattina e andranno avanti”.

L’inchiesta per disastro colposo al momento a carico di ignoti aperta dal procura di Trento dovrà stabilire le cause ma i numeri parlano chiaro: la stazione di rilevamento dell’Arpav presente in quota nelle ore precedenti al collasso del saracco dice che sabato si erano toccati i 9 gradi, durante la notte la minima era stata di 5 gradi e già alle 11 di domenica mattina la rilevazione aveva superato i 10°.

La tragedia della Marmolada ha però dato nuovo fiato ai complottisti e ai negazionisti che anche sul clima trovano terreno fertile per concimare le proprie strampalate teorie. Come sempre si tratta di complotti che, anche grazie alla rete, si propagano velocemente in tutto il mondo. Nel novembre dell’anno scorso The Denial File di Bbc World Service segnalava che “diverse pagine di Wikipedia in lingua straniera (non in inglese, ndr) viste da Bbc News stanno promuovendo teorie del complotto e facendo affermazioni fuorvianti sul cambiamento climatico”.

Il gioco è sempre lo stesso: suggerire che gli scienziati siano divisi sulle cause del riscaldamento globale mentre il consenso scientifico sul fatto che sia causato dall’uomo è enorme: 99,9%. Altre teorie ampiamente smentite includono affermazioni infondate sull’emergere di un governo mondiale totalitario e collegano le richieste dei giovani di Friday For Future di una maggiore azione climatica a interessi finanziari segreti, facendo con questa ipotesi strampalata il gioco delle multinazionali petrolifere e delle petro-monarchie e dittature i cui interessi non sono affatto segreti.

Su Facebook, com’è facile immaginare, il terreno è ancora più fertile. In occasione della Cop 26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, gli influencer e gruppi complottisti sul clima hanno superato per popolarità e capacità di coinvolgimento la comunità scientifica. Una ricerca dell’Institute for strategic dialogue ha monitorato come durante i giorni della Cop 26 i post degli influencer anti-scientisti siano riusciti a silenziare quelli del Climate Science Center di Facebook, ovvero un insieme di organizzazioni che promuovono informazioni affidabili sui cambiamenti climatici.

Oltre a una maggiore popolarità i gruppi negazionisti su facebook dimostrano anche una maggiore capacità di coinvolgimento: i contenuti condivisi da queste pagine hanno generato un livello di interazione significativamente maggiore rispetto ai post prodotti da fonti autorevoli. La propaganda di disinformazione sul clima ha su facebook un livello di coinvolgimento 12 volte superiore a quello generato dalla cosiddetta scienza.

La strategia negazionista del resto si è mossa fin dagli anni ’70 e ’80 con lo slogan “la scienza non è definita” che aveva l’obiettivo di ritardare e impedire l’approvazione di leggi e politiche contro le emissioni di gas serra attraverso campagne di disinformazione e attività di lobbying. Come hanno scritto Stella Levantesi e Antonio Scalari per Valigia Blu “il negazionismo si adatta ai tempi e alle circostanze e sfrutta le occasioni che il dibattito pubblico offre […] il suo approccio continua a essere basato sulla strumentalizzazione, la manipolazione di dati e studi scientifici e l’uso di argomenti infondati e fallaci […] L’intento, piuttosto, è quello di far apparire le politiche per l’ambiente e il clima come un potenziale ostacolo alla crescita. Un fardello per le imprese, i consumatori e per l’intera collettività”.

E in Italia i disinformatori viaggiano anche su testate eccellenti, fingendo che il dibattito scientifico sull’esistenza del cambiamento climatico sia ancora in corso quando invece il cambiamento climatico non è più una “teoria” ma una realtà scientificamente fondata. Così si passa dal fisico Antonino Zichichi, che attribuisce il riscaldamento globale all’attività solare (una vecchia tesi, già smentita), Franco Battaglia (docente di chimica fisica dell’Universitа di Modena) che ospite a Cartabianca su Rai 3 ha ripetuto che le attività umane “non c’entrano niente con il cambiamento climatico” o Franco Prodi (spesso ospite de Il Foglio che del negazionismo del cambiamento climatico ne ha fatto una missione editoriale, mentre poi dispensa patenti di “competenza” agli altri) che vorrebbe convincerci che “il cambiamento è connaturato al clima”.

Che “i cambiamenti climatici sono la regola della Natura” l’ha scritto anche Umberto Minopoli, guarda caso presidente di Asso Nucleare. Eppure il 99,9% degli articoli scientifici pubblicati dal 2012 a oggi ritiene che le cause antropiche abbiano un ruolo nella crisi climatica. Solo 4 studi su 3000 lo mettono in dubbio. Laura Young ed Erin Fitz, ricercatori del Georgia Gwinnett College, negli Stati Uniti, hanno analizzato le pubblicazioni sul tema e hanno scoperto che quei pochi negazionisti tra l’altro non sono qualificati per esprimere una valutazione attendibile e fanno anche parte di organizzazioni e industrie che si oppongono al movimento contro il cambiamento climatico

Dopo i complottisti sul Covid ora ci ritroviamo i negazionisti del clima. C’è una sostanziale e pericolosissima differenza: questi hanno alle spalle interessi enormi. Non è ignoranza, è consapevolezza di chi si è scelto di servire.

Leggi anche: Le lacrime sintetiche dei nostri ecologisti alle vongole. L’editoriale del direttore Gaetano Pedullà

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Le gaffe di Sasso

Oltre a essere un politico è anche insegnante ed è perfino sottosegretario all’Istruzione. Il leghista Rossano Sasso è ospite della trasmissione Omnibus per sparare contro lo ius scholae e si trova di fronte l’avvocato Hilarry Sedu, uno degli autori del disegno di legge, per di più nero.

La scena è una fotografia del Paese. Sasso parte in quarta spiegando che in Italia esiste già lo ius soli spiegandoci che è previsto «dall’art. 9, comma 1, lettera F, della legge 92 del 1991». Ovviamente lo ius soli non esiste ma, particolare non da poco, la legge a cui avrebbe voluto fare riferimento Sasso è la legge 91 del 1992. Qualcuno può pensare che si tratti di un errore veniale, una distrazione.

Continuiamo. Sasso spiega che lo ius scholae sarebbe uno “scudo” per impedire l’espulsione in caso di un reato. La spiegazione è la solita propaganda leghista: «Se un bambino di 8 anni ha un papà che delinque, e i dati dimostrano che sono tantissimi i reati compiuti dagli immigrati, quel papà non viene espulso. Ecco che allora si realizza il disegno della sinistra di estendere con questo ius soli mascherato la cittadinanza a tutti». Dall’altra parte il pacato avvocato Sede gli fa notare che «se il genitore del minore delinque e costituisce una minaccia per lo Stato e per l’ordine pubblico, viene comunque espulso», e siamo alla seconda figuraccia nel giro di pochi minuti.

Hilarry Sedu fa notare anche che etnicizzare un reato ha un nome preciso: razzismo. Il sottosegretario, come accade a tutti i leghisti, si indigna. Il finale è da brividi. «Macché razzista, come si permette?», urla Sasso. Sedu risponde: «Glielo dico perché sta facendo una serie di confusioni arrivando a dire addirittura agli italiani che in questo momento esiste lo ius soli. Per favore, quando si va in televisione, bisogna essere preparati, altrimenti si fa altro». Sasso non ci sta: «Avvocato, si ripassi l’art. 9 della legge», dice. Sedu sorride sconsolato: «Veramente sarebbe l’art. 4 e anche in questo lei è impreparato».

Sipario. Parliamo di un sottosegretario. Un sottosegretario del governo dei migliori.

Buon martedì.

Nella foto: Rossano Sasso, frame della trasmissione Omnibus, 3 luglio 2022

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Il Rinascimento saudita sta già imparando l’impunità

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Un giudice statunitense ha chiesto all’amministrazione Biden di valutare la possibilità che a Mohammed bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, possa essere concessa l’immunità sovrana in una causa civile intentata contro di lui negli Stati Uniti da Hatice Cengiz, la fidanzata di Jamal Khashoggi, giornalista ucciso da agenti sauditi nel 2018.

Un giudice Usa ha chiesto all’amministrazione Biden di valutare la possibilità che a Mohammed bin Salman possa essere concessa l’immunità sovrana

John Bates, un giudice del tribunale distrettuale, ha concesso al governo degli Stati Uniti tempo fino al 1° agosto per dichiarare i propri interessi nella causa civile o per notificare al tribunale di non avere alcuna opinione in merito.

Il presidente degli Stati Uniti incontrerà l’erede al trono saudita alla fine di questo mese, quando farà il suo primo viaggio a Riyadh da quando è entrato alla Casa Bianca. La denuncia civile contro il principe Mohammed bin Salman, presentata da Cengiz presso il tribunale distrettuale federale di Washington DC nell’ottobre 2020, sostiene che lui e altri funzionari sauditi abbiano agito in una “cospirazione e premeditazione” quando agenti sauditi hanno rapito, legato, drogato, torturato e ha ucciso Khashoggi all’interno del consolato saudita a Istanbul nel 2018. La stessa tesi è sostenuta da rapporto dell’intelligence USA pubblicato nel 2021 che definisce “probabile” che proprio bin Salman abbia ordinato l’omicidio di Kashoggi.

Già un processo, quello in contumacia contro gli assassini di Khashoggi, si è arenato per volere di Erdogan che ha voluto così migliorare i suoi rapporti con i sauditi. Qualsiasi mossa del governo degli Stati Uniti per chiedere al principe ereditario l’immunità sovrana nel caso rappresenterebbe un tradimento della promessa di Biden di ritenere l’Arabia Saudita responsabile «Sarebbe assurdo e senza precedenti per l’amministrazione proteggerlo.

Sarebbe l’ultimo chiodo nella bara per i tentativi di ritenere responsabili gli assassini di Khashoggi», ha affermato Abdullah Alaoudh, il direttore della ricerca di Dawn, un’organizzazione no-profit che promuove la democrazia in Medio Oriente fondata da Khashoggi e co-querelante su il caso contro il principe ereditario.

Agnès Callamard, a capo di Amnesty International, che ha indagato sull’omicidio di Khashoggi nel suo precedente ruolo di relatore speciale delle Nazioni Unite sugli omicidi extragiudiziali, ha affermato che è “risibile” che il principe Mohammed bin Salman, che ha definito “un quasi sovrano”, possa beneficiare dell’immunità da capo di Stato dopo che gli stessi Stati Uniti avevano concluso pubblicamente che molto probabilmente aveva approvato l’operazione per uccidere Khashoggi.

Chissà che ne dicono, certi nostri politici italiani che di questi tempi sono così sensibili per le ragioni dei giornalisti oppressi dagli altri e non vedono i giornalisti oppressi (o come in questo caso uccisi) dai loro amici.

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Come un Minniti qualsiasi

Un gruppo di 20 persone è morto dopo essersi perso nel deserto libico nella zona di confine con il Ciad. Da due settimane non si aveva nessuna notizia. I dispersi sono stati ritrovati mercoledì 29 giugno dal servizio di emergenza libico che, con un comunicato, ha riferito che tutti e venti sono stati rinvenuti morti di sete nel deserto.

Come racconta Melting Pot nel suo report di giugno sono «almeno 770 le persone decedute ad oggi nel Mediterraneo centrale a cui si aggiungono le vittime dell’ultimo naufragio, avvenuto alla fine del mese, il 30 giugno, in Tunisia al largo di Djerba. In 17, tutti di nazionalità tunisina, viaggiavano a bordo di piccola imbarcazione: verranno rinvenuti 3 corpi mentre, altre 3 persone risultano disperse. Molte altre vite, scomparse in ignoti naufragi, resteranno senza un nome e, su di loro, non vi sarà neanche un lenzuolo a coprire tutte le speranze negate da una solidarietà e da una volontà politica europea arbitraria e discriminante. Nel mese di giugno 2022, 7.843 persone hanno raggiunto l’Europa attraversando il Mediterraneo centrale, approdando con imbarcazioni sempre più fatiscenti sulle coste siciliane e calabresi o, salvati miracolosamente in mare dagli operatori delle navi umanitarie presenti in area di ricerca e soccorso. Nel mese di giugno 2021 ne arrivarono 5.840».

Salvini e Meloni, con le elezioni che si avvicinano (e con lo ius scholae in discussione) stanno ripartendo con la propaganda dell’invasione. La Libia intanto è la solita polveriera, senza nessuna possibilità per ora di tornare una sua stabilità politica (anche questo tutto merito dell’Occidente che ha “esportato la sua democrazia”). A questo si aggiunge la povertà che sta attanagliando l’Africa, per la crisi climatica e per l’aumento di prezzi dei beni essenziali a causa della guerra.

In tutto questo il ministro della Guerra Lorenzo Guerini riesce a rilasciare un’intervista a Repubblica che ci ricorda, per l’ennesima volta, perché lo sentiamo e lo vediamo così poco in giro. Mentre discetta di guerre in giro per il mondo non riesce a trattenersi e ci fa sapere che sul Sahel «senza sviluppo non può esserci sicurezza. C’è il rischio di fenomeni migratori mai visti prima». Un ministro che parla di guerre e che riesce a ipotizzare la possibilità che portino “sviluppo” e che infine sventola le migrazioni come tema di “sicurezza”. Una roba indecente, così. Come un Minniti qualsiasi, semplicemente con più capelli e più profumo di incenso.

Buon lunedì.

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Turci e Pascale oggi spose. E l’omofobia come regalo

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Eccoli gli odiatori omofobi. Sono quelli che probabilmente hanno applaudito quando hanno seppellito il Ddl Zan perché no, perché non serviva. Perché, dicono, qui da noi nessuno ce l’ha con nessuno. Eccoli da ieri che si sono scatenati appena saputa la notizia che Paola Turci e Francesca Pascale hanno deciso di celebrare la loro unione civile oggi a Montalcino.

Paola Turci e Francesca Pascale annunciano la loro unione civile e sui social si scatenano gli insulti omofobi

Del resto gli omofobi che sono convinti di non esserlo di solito riescono a sbavare il loro odio nel piccole quotidianità (casa-ufficio-bar) in cui trovano qualcuno con cui darsi di gomito mentre in questo caso la popolarità delle due li ha spinti a uscire dal recinto della loro piccola vergogna da cortile. Non è niente di nuovo. 

Oggi ce ne accorgiamo perché Paola Turci e Francesca Pascale sono finite sui giornali e sono diventate notizia, nei casi peggiori, quelli che si limitano a essere uno scandalo di quartiere, lo stesso odio, sicuramente con meno freni, si riversa tutti i giorni senza emergere dall’ambito breve. Del resto mentre scrivo questo articolo in giro per l’Italia c’è qualcuno e qualcuna che si sente dare del frocio, della lesbica e che ha infilzate nella schiena le risate dei passanti.

Verrebbe da dire ben venga la notizia, ben vengano i titoli su un problema fisiologico di questo tempo, se servono ancora una volta a tastare il polso di un Paese bigotto e omofobo che sculetta da moderno ma è incagliato nel secolo scorso. Ben vengano le denunce di chi ha voce e di chi ha luce per dipanare il buio che troppi ancora insistono a negare.

Paola Turci e Francesca Pascale fanno paura perché sono felici. Per questo sono una spina nel maschilismo.

Paola Turci e Francesca Pascale fanno paura perché sono felici. Paola e Francesca (mi perdoneranno la familiarità ma ne abbiamo scritti così tanti di articoli solo con il nome per dover proteggere le vittime) sono la dimostrazione che l’amore irrompe fregandosene dei tempi, dei modi, delle storie e degli schemi. Tutte e due, tra l’altro, sono una spina nel maschilismo.

Paola Turci è la donna elegantissima e bellissima che i fallocrati si pentono di avere ammirato, come se il suo amore fosse un tradimento al modello che qualcuno vorrebbe imporre. Nell’epoca in cui dei personaggi pubblici si vorrebbe conoscere tutto, anche il più insignificante particolare della loro vita privata, ci arroghiamo il diritto di gridare allo scandalo se non amano come vorremmo noi. I benpensanti, si sa, sono tiranni che vorrebbero il mondo a loro misura perché hanno paura del mondo.

Francesca Pascale vive l’esperienza di essere odiata dagli stessi che l’hanno venerata come donna del capo. Per i suoi detrattori il danno è doppio: tocca le corde dei loro pregiudizi e contemporaneamente “sporca” la fedina sentimentale del loro idolo.

Anche in questo caso la lezione è sempre la stessa: per gli omofobi, accade sempre, le persone non esistono: esistono solo i ruoli che vanno rispettate. Non hanno occhi per la persona nella sua natura libera ed è anche per quello che non riescono a vedere gli innamorati, i poveri, i disperati. Ed è per questo che hanno una vita buia che vorrebbero riempire inondando di buio anche tutti gli altri.

Loro, Paola e Francesca, in questo marasma di bile sul pavimento, intanto veleggiano felici. Non si sposano, anche se i giornali distratti non se ne sono accorti: nell’Italia è concesso un istituto di serie b che non ha niente a che vedere con il matrimonio egualitario. Sarebbe stata una buona occasione per parlarne e invece siamo ancora all’odio.

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Ius scholae, a Salvini e Meloni non resta che prendersela con i bambini

Sono talmente “forti”, talmente “uomini al comando” che hanno deciso di prendersela con i bambini. Anche il dibattito politico sullo Ius scholae mostra la natura di Salvini e Meloni, sempre balbettanti di fronte a un Draghi o davanti alla comunità internazionale e poi improvvisamente belligeranti contro bambini già italiani nei fatti (molti di loro nati in Italia) che diventano una roncola da agitare per mettere in piazza i soliti stolti fantasiosi pregiudizi che non trovano riscontro nella realtà.

Salvini e Meloni alzano polvere sulla legge perché incapaci di contrastarla nel merito

Ci ricorderemo, tra qualche anno, che nel 2022 è accaduto che bastonando i bambini Salvini e Meloni sono riusciti a parlare di immigrati e droga (dimenticando che la criminalità organizzata italiana,‘Ndrangheta in testa, è la regina della cocaina nel mondo), sono riusciti a parlare dei 30 euro agli immigrati (dimenticando che i 30 euro al giorno sono una bufala ma gli italiani che lucrano sull’accoglienza invece sono verissimi), sono riusciti parlare degli sbarchi (che non hanno nessun collegamento con lo Ius scholae ma sono saldamenti collegati alle guerre che Salvini e Meloni propugnano e alla crisi climatica che continuano a negare), sono riusciti ancora una volta ad alzare la polvere intorno a una legge perché non riescono a contrastarla nel merito.

Ius scholae, a Salvini e Meloni non resta che prendersela con i bambini
Lo ius scholae introduce la possibilità di richiedere la cittadinanza per un minore straniero dopo il compimento di un ciclo scolastico di 5 anni.

I benefici portati dall’acquisizione della cittadinanza

Si parla invece di una legge che interessa il 10 per cento della popolazione scolastica. Il 65 per cento degli interessati sono già nati in Italia. Si possono immaginare invece i benefici. Come scrive Giulia Bettina per lavoce.info «la letteratura economica ha spesso messo in luce i benefici significativi dell’acquisizione della cittadinanza, che agisce da catalizzatore per l’integrazione socio-economica dei migranti, focalizzandosi soprattutto sulla partecipazione degli stranieri già adulti al mercato del lavoro. Vi sono anche ricerche che si sono concentrate specificamente sull’impatto delle naturalizzazioni dei più giovani. Per esempio, in Germania la riforma che nel 2001 ha introdotto lo ius soli (ossia la concessione della cittadinanza per il solo fatto di essere nati in territorio tedesco) al posto del precedente ius sanguinis ha offerto l’opportunità di un interessante caso di studio. I risultati sul caso tedesco, così come per altri Paesi europei, mostrano che l’acquisizione della cittadinanza esercita un effetto positivo sulle performance scolastiche dei minori stranieri, riduce il loro tasso di abbandono e accresce le probabilità di intraprendere percorsi di istruzione propedeutici alla frequenza universitaria».

Lucrare sui più deboli per una manciata di voti

Si tratta di una legge che servirebbe a togliere a cittadini già italiani la spiacevole sensazione di essere ospiti, anche poco desiderati, in un Paese in cui sono già impiantati per costruirsi il proprio futuro. Come racconta Marwa Mahmoud, attivista del Movimento Italiani senza cittadinanza e consigliera comunale a Reggio Emilia, a Eleonora Camilli su Valigia Blu «è l’ultima chiamata in stazione, se non passa questo treno sarà difficile ricominciare la battaglia da capo. Sono anni che disperdiamo energie, sempre più persone stanno andando in altri Paesi, perché si sentono figli illegittimi, a volte del tutto orfani, di un Paese che non li riconosce. Ci sono oltre un milione e mezzo di ragazzi che  aspettano da troppo tempo, c’è grande disillusione e stanchezza anche nei movimenti». Se non se ne farà nulla potremmo raccontare ai compagni di classe dei nostri figli che gli “uomini forti” Meloni e Salvini (a Giorgia non dispiacerà essere chiamata così) hanno lucrato sulla loro schiena per una manciata di voti. Pronti a lucrare su qualcun altro al prossimo giro.

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Tomaso Montanari: “Chi insegue la vittoria non vuole la pace”

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«Vi sosterremo, saremo al vostro fianco lungo il percorso per entrare nell’Unione, apprezziamo la vostra tenacia, ora sta a voi avanzare con le riforme necessarie». Questa la sintesi del discorso della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen in videocollegamento col parlamento ucraino questo venerdì.

Von der Leyen ha anche ripetuto che l’obiettivo dell’Ue è la «vittoria dell’Ucraina», senza mezzi termini. Sulla piega che sta prendendo il quadro internazionale (anche dopo le parole belligeranti della NATO) ne abbiamo parlato con Tomaso Montanari, storico dell’arte, accademico e saggista italiano, rettore dell’Università per stranieri di Siena.

Professor Montanari, cosa pensa delle ultime dichiarazioni della presidente della Commissione europea

È la solita retorica di guerra, invece della pace si vuole la vittoria. Ma pace e vittoria non sono sinonimi e volere la vittoria è una condanna per gli ucraini. Mi chiedo come non si possa distinguere tra governo e popolo: per il popolo arrivare fino alla sconfitta dei russi non è una buona cosa. L’ha detto bene Caracciolo: così è una “guerra fino all’ultimo ucraino”. Bisognerebbe distinguere tra l’interesse dei governi e quello dei popoli. Ci sarebbe l’interesse del popolo, ovvero una pace più veloce possibile poiché ogni giorno perdiamo vite ucraine (e russe, che non valgono meno). Invece vige questa posizione bellicista, guerrafondaia, direi quasi sanguinaria che è il  contrario dello spirito europeo che sancisce come la persona umana sia un valore. Dall’altra parte si continua a abbaiare alle porte della Russia (come ha detto il Papa) e, poiché anche il trattato europeo prevede una clausola di difesa, la Russia è circondata da un’alleanza militare. Io avrei preferito una soluzione di neutralità. Mi pare tra l’altro che non facciamo i conti con un allargamento dell’Ue che c’è già stato con Ungheria e Polonia e non mi paiono ingressi che abbiano aiutato l’Unione. Così facendo si rinvia ancora la creazione di una UE politica se entrano Paesi che non hanno fatto i conti con la democrazia. E l’Ucraina ha molti passi ancora da compiere.

In tutto questo come vede l’Italia

La vedo totalmente sdraiata su una posizione atlantista, quella che di Maio esprime in modo caricaturale. È una posizione incompatibile con la nostra Costituzione in cui c’è scritto che dobbiamo stare nella NATO in posizione di “parità e reciprocità” e noi no, non lo siamo. Non siamo pari e reciproci a USA o Germani e Francia. E dall’altra non mi pare che questa Nato sia un’alleanza difensiva. In un bel libro di Mazzolari, c’è scritto che quando si parla di blocchi difensivi è spesso un punto di vista relativo: diciamo di difendere il bene ma non diciamo che il nostro bene. La Nato se fosse difensiva sarebbe stata chiusa dopo la caduta del muro di Berlino. È invece il braccio armato degli interessi occidentali, che tra l’altro sono una minoranza nel mondo. La maggioranza del mondo infatti non sta contro la Russia e questo non vuole dire che il resto del mondo riconosca in Putin un leader ma che preferisce stare nel mezzo. L’Italia ha avuto una tradizione multilaterlista nella storia, per molti motivi, per il Mediterraneo, per il Papa, per il PCI. Pensare che perfino Andreotti e Craxi erano multilaterali e invece oggi siamo sdraiati al soglio americano.

La stupiscono le posizioni del PD?

Non mi ha stupito. Il PD è protagonista dello smontaggio della Costituzione. È un partito ultraliberista che ha introiettato il “non c’è alternativa” di Margaret Thatcher. E mi pare che il sistema capitalista nella sua fase attuale abbia bisogno di guerre perché sono funzionali all’economia e alla supremazia dell’economia occidentale. Anzi a ben vedere il PD è il partito più draghiano di tutti. La loro preoccupazione è difendere Draghi che è economia, finanza e non politica. In Grecia qualcuno se lo ricorda bene.

Cosa pensa delle liste di prescrizione che spuntano contro chi la pensa diversamente?

Non mi stupisce. Fratelli d’Italia ha chiesto le mie dimissioni (ma anche Italia Viva). È la solita storia del potere contro gli intellettuali. C’è un’allergia alla cultura che parte da Mussolini e Scelba («culturame», lo chiamavano loro) che è tutt’uno con la lotta al dissenso. Durante la pandemia abbiamo avuto un’accelerazione e infatti c’era retorica di guerra, c’era il generale Figliuolo, si parlava unità nazionale. Chi la pensa diversamente è un nemico della patria. Che il nemico sia virus o Putin poco cambia. Nel momento in cui non si riesce a conquistare il consenso (il 60% non ha votato alle ultime amministrative) la politica è paralizzata e la sua prima reazione è di demonizzare il dissenso. Questo è sintomo anche di una debolezza estrema della politica. Del resto non si vota da troppo tempo, non c’è un chiaro mandato popolare da troppo tempo. C’è quella che Zagrebelsky chiama “democrazia dall’alto” che ha paura perché è carente di legittimazione.

Secondo lei anche questa guerra durerà a lungo e sarà dimenticata

Durerà, sarà l’Afghanistan europeo, a intensità medio alta. Sarà un cratere in cui si continuerà a combattere senza futuro. Nei primi giorni a noi che chiedevamo di smettere subito ci dicevano che l’Ucraina avrebbe potuto vincere e che bisognava indebolire Putin. L’Ucraina potrebbe vincere solo se si scatenasse una terza guerra mondiale. Non accadrà. Durerà a lungo con Putin che se la prenderà a pezzi e sarà uno stillicidio. E infatti NATO e gli USA parlano di seconda fase e di guerra con la Cina. L’Ucraina è già scalata a terza, quarta notizia.

Ma con le prossime elezioni sarà possibile un cambio dello scenario politico?

Non vedremo nei prossimi mesi una sinistra. Non ci sono le condizioni. Mi chiedo se il M5S morirà rimanendo nel governo Draghi sparirà o se farà l’unica scelta possibile di uscire dal governo e recuperare le sue ragioni. Magari rivendicando il Reddito di cittadinanza che è l’unica cosa di sinistra negli ultimi anni. Servirebbe una piattaforma politica non antiatlantica ma almeno critica verso l’Occidente. Se il M5S riesce a fare questo si potrebbe trovare consistenza elettorale, almeno ci sarebbe un’alternativa, altrimenti vedo grande astensione. Probabilmente anche la mia astensione. E lo dico con grande dolore.

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In Libia il sangue cola e il mondo resta a guardare

La Missione conoscitiva indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia ha pubblicato un nuovo rapporto in cui riafferma i rapporti precedenti che evidenziavano gravi crimini contro l’umanità perpetrati nella Libia dilaniata dalla guerra. Ha specificato che le donne migranti sono spesso costrette a subire alcuni degli abusi più gravi.

Il rapporto afferma che “la missione ha ragionevoli motivi per ritenere che i crimini contro l’umanità di omicidio, tortura, detenzione, stupro, sparizione forzata e altri atti disumani siano stati commessi in diversi luoghi di detenzione in Libia dal 2016”.

Autorità, trafficanti di esseri umani e altri agenti trattengono regolarmente i migranti in Libia, che è diventato un importante punto di partenza per decine di migliaia di persone – che provengono principalmente dall’Africa subsahariana – che tentano di raggiungere l’Europa. I funzionari, tuttavia, continuano a negare davanti al mondo.

Il generale senso di anarchia che regna nel Paese da quando il sovrano libico Moammar Gheddhafi è stato rovesciato e ucciso nel 2011 è diventato una fonte di opportunità e profitto per i trafficanti di esseri umani organizzati.

Secondo il rapporto della missione conoscitiva, in Libia ci sono prove sostanziali che dimostrano che migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti a “detenzioni arbitrarie prolungate”. Ciò include l’ abuso sessuale e la tortura dei bambini .

Gli inquirenti che hanno redatto il rapporto dopo aver compiuto numerosi viaggi in Libia, hanno dettagliato “atti di omicidio, tortura, stupro e altri atti disumani”, a cui sono sottoposti i migranti tenuti in cattività. Il rapporto sottolinea tra l’altro l’uso comune della “violenza sessuale per mano di trafficanti e trafficanti, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie”.

“La missione ha anche documentato casi di stupro in luoghi di detenzione o prigionia in cui le donne migranti sono costrette a fare sesso per sopravvivere, in cambio di cibo o altri beni essenziali”, afferma il documento.

Il rapporto aggiunge che molte ragazze e donne migranti sono persino consapevoli del rischio di essere esposte a violenze sessuali, tanto che “alcune donne e ragazze migranti si mettono un impianto contraccettivo prima di recarsi lì per evitare gravidanze indesiderate a causa di tali violenza.”

Gli investigatori citano esempi di violenti abusi sui migranti in Libia nel loro rapporto; questi vanno da una donna che descrive in dettaglio come “i suoi rapitori hanno chiesto sesso in cambio dell’accesso all’acqua” a esecuzioni sommarie di persone scaricate in dozzine di fosse comuni.

La missione conoscitiva delle Nazioni Unite in Libia, creata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Ohchr) nel giugno 2020, vedrà scadere il suo mandato tra pochi giorni.

Tuttavia, diversi Paesi africani hanno presentato al consiglio una bozza di risoluzione per consentirle di continuare per altri nove mesi, poiché la situazione in Libia continua ad essere instabile e altamente pericolosa.

Mohammad Aujjar, presidente della Missione conoscitiva in Libia, afferma che “la Missione ha denunciato gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, alcune delle quali equivalgono a crimini contro l’umanità e crimini di guerra”.

La missione ha anche redatto un elenco di individui e gruppi ritenuti responsabili di alcuni di questi crimini, ma per il momento lo mantiene riservato.

“L’obiettivo è porre fine all’impunità prevalente di fronte a schemi chiari e persistenti di gravi violazioni dei diritti umani, in molti casi perpetrati da gruppi di milizie”, ha aggiunto Aujjar.

“Ora più che mai, il popolo libico ha bisogno di un forte impegno per aiutarlo a portare pace e giustizia durature nel suo Paese e per stabilire uno stato basato sullo stato di diritto e sui diritti umani”.

Buon venerdì.

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Con le chiamate a Grillo Draghi ha scelto la politica

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L’errore sta nel peccato originale di avere creduto, ancora una volta, che possano esistere governi “non politici”. Li chiamano “tecnici”, “di responsabilità”, di “unità nazionale” ma non sono altro che governi che nessuno avrebbe il coraggio di proporre alle elezioni.

Mario Draghi è il maggior esponente dei liberisti di casa nostra. In incognito, ancora per poco

Come si potesse pensare che il governo dei migliori non facesse “politica” gestendo i miliardi del Pnrr è il segreto di Pulcinella: è l’irrefrenabile desiderio dei servi di servire a creare l’uomo forte. Così continuiamo a legger che Mario Draghi sarebbe un compitissimo amministratore delegato che non si sgualcisce i polsini della camicia occupandosi di quella cosa brutta, sporca e cattiva che è la politica. Curioso che quelli che raccontano questa fanfaronata poi siano gli stessi che lamentano il declino della politica, proprio loro che ne sono i principali artefici.

Il governo Draghi è un governo politico, politicissimo, mago nel tirare i fili della partitocrazia e prima ce ne accorgiamo meglio è per tutti, anche per Mario Draghi che finalmente può svestirsi da questo abito talare laico che lo ingessa in un personaggio poco credibile. Del resto cosa c’è di più politico del decidere dove riversare i soldi che arrivano dall’Europa, quale capitolo di bilancio preferire e quale capitolo svuotare, cosa c’è di più politico di improntare una comunicazione, più o meno chiara ed efficiente, sulle azioni del governo e sui rapporti con il Parlamento.

Cosa c’è di più politico di rappresentare l’Italia in un momento in cui l’Occidente si ritrova ad affrontare una guerra alle porte con il rischio quotidiano che divampi, una crisi climatica che chiede soluzioni urgenti e dispendiose, una crisi energetica che costringe a prendere scelte avendo in testa il Paese nei prossimi 30 anni.

Mario Draghi non è un amministratore delegato rinchiuso nel suo ufficio polveroso a firmare carte (e anche quello a ben vedere è l’apice di una politica aziendale, tanto per dire) ma è l’uomo che a capo del governo nelle scorse settimane ha assistito senza un battito di ciglio allo sfaldamento del primo partito in Parlamento con l’inquietante tranquillità di chi aveva già in mano il copione e conosceva le scene successive.

Davvero c’è qualcuno disposto a credere che le mosse del ministro Di Maio non fossero concordate e condivise con il presidente del Consiglio? Nella migliore delle ipotesi, immaginando che Draghi abbia semplicemente svolto il ruolo di confidente non consigliere, c’è qualcuno che non ha notato come la mossa di Di Maio abbia blindato i numeri del governo poco prima di mettere mano al Superbonus e probabilmente al Reddito di cittadinanza

Mario Draghi negli ultimi giorni si è seduto nei più importanti tavoli del mondo per decidere le sorti energetiche del Paese, ha accettato che la Nato rinforzasse la propria presenza nel nostro Paese, ha accolto la richiesta della Lega di rimandare (che in politichese significa “provare ad affossare”) due progetti di legge su cannabis e cittadinanza.

Fortissimo sulle materie economiche (gestite a senso unico convergendo sui desiderata di Confindustria) Mario Draghi ogni volta che si è trattato di decidere su diritti, povertà, ambiente e fragilità si è finto un commissario di passaggio; quando si tratta di gestire soldi (molti soldi) e rapporti internazionali invece sfoggia il piglio del grande leader. Comodo così: il banchiere Draghi scarica la bad company sul Parlamento e si tiene la good company in tasca, come uno squalo qualsiasi intorno a un’Alitalia qualsiasi.

Intanto la Lega ha annunciato il deposito di 1500 emendamenti alla proposta di legge sullo ius scholae incassando la replica del segretario del Pd Letta: “Rimango senza parole”, ha detto nell’intervento in direzione Pd, “se si pensa di fare cadere un governo se non si vogliono dare diritti. Sullo Ius scholae non arretriamo di un millimetro.

Il metodo della Lega e di Salvini è incomprensibile: è un tema parlamentare non di governo. Cosa avremmo dovuto fare noi quando cadde il ddl Zan? Non subiremo ricatti sulla testa di queste famiglie, di questi ragazzi”. Il Movimento 5 Stelle parla attraverso Giuseppe Brescia che condivide le perplessità dei democratici: “è surreale chiedere lo stop dello ius scholae dopo aver occupato i lavori della commissione per circa 30 ore.

La verità è che questo testo può essere approvato e la Lega non ha argomenti validi. Il governo ha dato in commissione e darà in aula solo pareri tecnici. Non ha senso metterlo in mezzo”, spiega. Ma questo è solo un piccolo scontro dei moltissimi scontri che Draghi prova a risolvere rimandando.

Del resto Mario Draghi che vorrebbe essere apolitico è lo stesso che alza il telefono per sentire Beppe Grillo, figura non istituzionale di un partito della sua maggioranza. Anche su questo non servono troppi giri di parole: che abbia parlato o meno di Conte un presidente del Consiglio che fa riferimento a figure politiche al di fuori del Parlamento ha già deciso di fare politica. Quale sia la sua politica è sotto gli occhi di tutti: Draghi è il maggior esponente dei liberisti di casa nostra. In incognito, ancora per poco.

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