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In Italia armi e soldati dalla Nato. Draghi esegue

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Sì, è vero, essere membri della Nato comporta evidentemente l’accettazione delle decisioni degli altri. È altresì vero che “gli altri”, all’interno della Nato, siano quasi sempre le labbra del presidente Usa del momento e mica per niente ieri Joe Biden ha dichiarato di voler rafforzare la presenza militare Nato in Europa («in ogni ambito: terra, aria e mare»).

In arrivo in Italia soldati Usa e un sistema di difesa antiaerea. Draghi rassicura: “Un assestamento già programmato”

Apprendiamo anche che – sempre a proposito del non alimentare il rischio di un’escalation – «8 mila soldati sono di stanza in Italia, pronti, eventualmente fosse necessario» a cui verranno aggiunti «70 soldati americani» e «un sistema di difesa antiaerea», come ha spiegato Mario Draghi ai giornalisti.

Nel tentativo di rassicurarci Draghi specifica anche che il ministro della Difesa (quel Lorenzo Guerini che dall’Afghanistan in poi s’è preso il lusso di non spiccicare una parola con tutto quello che sta accadendo, come se lui fosse lì per caso al Ministero con un ruolo impiegatizio di firmare le carte, senza mai dover aprire bocca) gli ha spiegato che sarebbe «un assestamento già programmato» e poco più.

Del resto il nuovo sistema contraereo IM-SHORAD che giungerà in Italia con 70 militari del 5th Battalion di US Army di stanza ad Ansbach, in Germania, farà la gioia dei signori della guerra – Leonardo in primis – e godrà di un’ottima vetrina internazionale.

Draghi ha spiegato che è un momento importante per la Nato: L’Alleanza atlantica si allarga e la presenza dell’Europa aumenta

Draghi ha spiegato che «è un momento importante per la Nato perché l’Alleanza si allarga e la presenza dell’Europa aumenta, si arriva – dice il presidente del Consiglio –  a una corrispondenza tra Ue e Nato, quindi anche su molte divergenze di opinioni sulla costruzione della difesa europea e di una sua complementarietà con la Nato vengono superate». 

Ora Draghi ha accontentato i suoi alleati Nato ma forse sarebbe il caso che delle fresche novità parlasse non solo ai microfoni presenti al vertice di Madrid ma anche al Parlamento, almeno per capire (e dire chiaramente agli elettori) quale sarebbe “l’assestamento programmato) di cui il presidente del Consiglio e il ministro alla Difesa hanno parlato dandosi di gomito. Va bene prendere ordini ma almeno raccontateceli. 

Leggi anche: Biden invia nuove truppe in Europa. Difese antiaeree in Italia e Germania.

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La qualità secondo Fuortes? Bisogna cercarla fuori dalla Rai

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Comprereste un prodotto, un prodotto qualsiasi, da un’azienda che manda in onda uno spot con il suo amministratore delegato che elogia i materiali che non usa nella sua azienda, i processi costruttivi che non si adottano nei suoi capannoni o la rete di vendita di qualche altro marchio? No, sicuro.

Anzi probabilmente vi chiederete come possa accadere che un amministratore delegato possa rimanere ancora lì al suo posto, come possa piacere al suo consiglio di amministrazione e come possa godere della fiducia dei clienti e dei dipendenti.

Davanti ai giornalisti l’Ad della Rai Carlo Fuortes spiega che “la qualità” bisogna cercarla fuori dalla Rai

A proposito di dipendenti, immaginate di partecipare alla conferenza stampa di inizio stagione del vostro capo e immaginate di ascoltarlo mentre spiega alla stampa che poiché ha deciso di puntare “al meglio” ha scelto di prendersi “il meglio” fuori dall’azienda. Immaginate un’azienda con 1.858 dipendenti e il capo di quell’azienda mentre spiega che ha dovuto cercarne uno esterno all’azienda, uno che ha lo stesso titolo e la stessa mansione, per inseguire la qualità.

È quello che è accaduto in Rai, con l’amministratore delegato Carlo Fuortes che ha testualmente detto «Marco Damilano lo conosciamo, un professionista straordinario. Certo, non è un interno, ma quando si fa una tv di servizio pubblico bisogna puntare alla qualità». Il sottotesto implicito ovviamente è che in Rai per cercare la qualità bisogna aprire la porta di ingresso e farsi un giro fuori nel mondo. Non male come tutela dell’immagine e della qualità dell’azienda.

Presentando il giornalista Marco Damilano Fuortes spiega: «Certo, non è un interno, ma quando si fa una tv di servizio pubblico bisogna puntare alla qualità»

Del resto questo è il primo problema di questa Rai impestata di politica: riuscire immancabilmente ogni volta a svendersi e svalutarsi senza avere bisogno che siano i suoi concorrenti a farlo. Così Fuortes ci ha spiegato che nessuno di quei 1.858 giornalisti potrebbe portare un apporto di qualità alla testata, come se loro (e tutti i 12.711 dipendenti) fossero solo un fardello di cui doversi fare carico per accontentare tutti i partiti. 

Qualcuno, anticipiamo già la possibile giustificazione, potrebbe dirci che Fuortes avrebbe voluto dire che esiste qualità “anche” fuori dalla Rai. Ma il dubbio è lo stesso: chi si prende la responsabilità di valorizzare la Rai se è pagato per quello?

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Draghi fugge dalla Nato per salvare il suo governo in bilico

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“Con le vostre storielle coprite la verità”. Così Beppe Grillo ha liquidato le domande sulle rivelazioni del sociologo Domenico De Masi riprese dal Fatto Quotidiano, secondo cui Draghi avrebbe chiesto al garante M5S di rimuovere Giuseppe Conte. Un’ingerenza che il premier minimizza, spiegando dal vertice della Nato che ha già sentito Conte e si vedranno presto per chiarire.

Il Governo si scopre pericolosamente traballante. Ormai dal M5S alla Lega nessuno è pronto a sostenere ancora Draghi

Ma la pezza non copre il buco, e se a questa si aggiunge il regalo del Pd, che vuole portare al voto in Parlamento lo Ius Scholae e la liberalizzazione della cannabis, facendo inevitabilmente insorgere Salvini, ecco che il Governo si scopre pericolosamente traballante. Al punto che in serata Draghi deve lasciare in anticipo i lavori della Nato e precipitarsi a Roma per provare a mettere in sicurezza l’Esecutivo.

Una situazione che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha definito imbarazzante per il nostro Paese, tirando acqua al mulino di chi sostiene che indebolire Palazzo Chigi adesso equivale ad indebolire l’Italia.

Ma per quanto Grillo e Conte (che ieri è salito al Quirinale per un colloquio di un’ora con Mattarella) ce la mettano tutta per apparire uniti, le visioni sull’utilità di rimanere nel Governo non convergono. Grillo insiste sulla necessità di uno strappo chiaramente leggibile con Draghi: “Il Governo va avanti con l’appoggio del Movimento 5 Stelle”, finché le sue battaglie vengono prese in considerazione, “dal Superbonus al Reddito di cittadinanza al salario minimo”, ripete. “Se Draghi”, ha detto Grillo ai suoi, “pensa che il Movimento è quello del guaglione di Pomigliano d’Arco allora noi non ci stiamo al governo…”.

Nel frattempo un post subito rimosso della senatrice e vicepresidente del Movimento Paola Taverna agitava di nuovo le acque: “Succedono cose inverosimili”, si leggeva nel post. “Succedono cose inimmaginabili e spesso senza un perché. Beppe insieme a Gianroberto ci hanno regalato un sogno, un’alternativa valida ad un sistema politico marcio. Ora ci si chiede il perché… perché sta succedendo questo Beppe? Perché stai delegittimando il nostro capo politico. Il Movimento non è di tua proprietà, il Movimento lo abbiamo costruito tutti insieme mettendoci tempo, fatica e denaro. Questa volta Beppe ci devi dare delle spiegazioni valide a tutto questo. Noi siamo con Conte”.

Contattata dall’agenzia Adnkronos la Taverna ha preso le distanze parlando di un errore del suo social media manager che sarebbe stato “allontanato”. Ma sul fatto che i contenuti del post convergano con l’opinione di molti all’interno del M5S ci sono pochi dubbi. “Beppe ci sta trollando”, dice un parlamentare grillino, e in effetti leggendo le agenzie di stampa si passa dall’appoggio “certo” al governo Draghi alla “possibilità” di un appoggio esterno al Governo ritirando ministri e sottosegretari, in una girandola di dichiarazioni che coinvolgono anche Conte che si limita a dire che l’appoggio al governo deve essere “costruttivo”.

Al netto della girandola di dichiarazioni e delle polemiche interne il futuro del Movimento 5 Stelle, inutile girarci troppo intorno, sta tutto nella scelta o meno di fare parte del Governo dei Migliori. Restare dentro il Governo esattamente per cosa Il Movimento ha perso in questa legislatura ben 60 parlamentari e una grossa fetta di elettori. Gli ex elettori si sono già spostati su altri partiti e difficilmente se ne potrà recuperare una parte consistente.

Appoggiare il Governo Draghi non fa altro che mostrare il M5S che avrebbe voluto aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno” a braccetto con partiti, da Salvini a Berlusconi passando per Renzi e Calenda, che poco hanno a che vedere con lo spirito originario del Movimento.

A questo si aggiunga che le scelte di Draghi sono lontane dall’avere come priorità la giustizia sociale e attenzione per i lavoratori e per i salari (com’è nella natura di qualsiasi Governo a forte impronta liberista). Stare dentro il Governo potrebbe avere senso solo per un certo timore di rompere il cosiddetto “fronte progressista” di cui Enrico Letta parla da mesi. Ma quanto potrebbe pesare all’interno di quel fronte un partito ormai ridotto agli sgoccioli nei voti?

Quanto sarebbe molto più facile per gli anti-grillini all’interno del Pd e tra i dirigenti di Azione e Italia Viva (e quel che sarà di Di Maio) scrollarseli di dosso? Uscire dal Governo, d’altro canto, potrebbe dare ragione a chi considera i 5S inaffidabili e metterebbe seriamente a rischio i rapporti tra Conte e Letta – che al momento sembra volere insistere su un’alleanza per le prossime elezioni – ma porrebbe il M5S nelle condizione di dover essere pronto a correre da solo per le prossime politiche senza poter contare su una considerevole base di attivisti e di elettori. Conte è a un bivio e entrambe le strade sembrano perdenti.

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Un assaggio del governo che sarebbe con Giorgia Meloni

Se volete un antipasto del mondo che sarebbe con Fratelli d’Italia al governo vi basta fare un salto a Rieti dove il neo sindaco di Rieti, Daniele Sinibaldi (FdI), eletto al primo turno lo scorso 12 giugno, ha ufficializzato ieri mattina i nomi degli assessori che formeranno la nuova giunta comunale del capoluogo reatino, a trazione centrodestra. Della giunta fanno parte anche assessori della Lega, oltre che di Fratelli d’Italia e di liste che hanno sostenuto la candidatura di Sinibaldi.

Tra loro come assessora alla Cultura e scuola è stata nominata Letizia Rosati, una che si è meritata uno spicchio di cronache nazionali nel 2019 scrivendo in un post su Facebook, a proposito a proposito della candidatura della città per il Lazio Pride: «Il mondo Lgbt è contro i miei valori perché nega il dato biologico da cui deriva l’identità delle persone e soprattutto i diritti dei bambini che vengono strumentalizzati a scopi di cui non si parla mai a sufficienza. Utero in affitto, sdoganamento della pedofilia, poliamore sono gli obiettivi da raggiungere. Rassicuro pertanto che tale candidatura non è stata promossa dal Comune».

«Riteniamo inaccettabile la sua nomina a qualsiasi incarico istituzionale – spiega il portavoce del partito Gay LGBT+, Solidale, Ambientalista, Liberale di Rieti Fabrizio Marrazzo – è come se oggi per la comunità nera o ebraica nominassero un assessore antisemita o razzista. Peraltro è assurdo che una candidata non eletta che ha preso 200 voti contro i 330 di Domenico Di Cesare, nostro referente di Partito Gay LGBT+ , capolista di SiAmo Rieti, Ambiente, Diritti, Solidarietà, che è stato il più votato del polo progressista, possa imporre nelle istituzioni le sue idee medievali».

Fratelli d’Italia ha scelto come assessora Rosati non per meriti politici ma perché con certa destra accade così, mettere al comando le persone per marcare ostilità contro i diritti di qualcuno. Altro che progressisti, il gioco sta nell’intestarsi una regressione in nome della Patria e dei valori (che non lo sono) giocando sempre sul filo dell’odio. Poi accade inevitabilmente, come negli Usa, che un diritto dato per assodato improvvisamente si perda.

Buon giovedì.

 

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In Lombardia la destra è messa male. Ma il Centrosinistra non sta meglio

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Siamo in quel momento dell’anno in cui si butta l’occhio sulla fine legislatura in Regione Lombardia e viene spontaneo dirsi che perdere contro un centrodestra ridotto così – e una Lombardia ridotta così – dovrebbe essere praticamente impossibile e invece – è andata così in tutte le ultime legislature – probabilmente accadrà di nuovo.

Dopo i disastri di Fontana in Lombardia non dovrebbe esserci partita. Ma il Pd ce la sta mettendo tutta per perdere di nuovo.

Nonostante la grande campagna di narcotizzazione per fare dimenticare in fretta gli ultimi anni la Regione Lombardia rimane quel covo di pericolosi improvvisatori che in tempo di Covid sono riusciti a farsi ridere dietro dal resto del mondo. Il ricordo del fu assessore Gallera da queste parti è uno spettro che si aggira per i corridoi con il sottofondo di grottesca comicità che ha accompagnato le sue antiche conferenze stampa in compagnia del presidente Attilio Fontana.

Giulio Gallera è stato sacrificato dal centrodestra, con il solito approccio della politica come se fosse tutta marketing e comunicazione, e a rifare il trucco al Pirellone è arrivata Letizia Moratti, assessora e vicepresidente che vanta un onorevole curriculum di sconfitte politiche che sembrano non scalfire comunque la sua credibilità.

Ora Letizia Moratti si candida proprio contro il suo presidente Attilio Fontana e nello scontro tra quelli che dovrebbero essere alleati s’odono tutti i cigolii di un centrodestra “unito” solo nelle intenzioni e nei comunicati stampa. Il presidente leghista è stato accarezzato nei giorni scorsi da Matteo Salvini e il suo tutore Giancarlo Giorgetti, consapevoli che farsi scippare la candidatura del presidente in Lombardia (per di più di un presidente uscente) sarebbe l’ennesimo smacco di una Lega in declino. Il segretario regionale della Lega Fabrizio Cecchetti conferma che “Fontana è il candidato naturale” dimenticandosi di specificare “per chi” e aggiunge che il presidente “ha svolto un ottimo lavoro”.

Tanto per dimostrare lo sprezzo del ridicolo. Da parte sua Letizia Moratti, come se non fosse mai stata una fallimentare ministra all’Istruzione e una sindaca sconfitta di Milano, punta su una qualità politica che in Lombardia conta parecchio: i soldi. Moratti del resto gode anche della stima di Carlo Calenda (che l’ha definita “un’ottima candidata”, con il suo abituale strabismo politico) e, si dice, dei renziani di Italia Viva e perfino del nuovo gruppo di Luigi Di Maio.

Che una vicepresidente si candidi contro il suo presidente facendo parte, almeno sulla carta, della stessa coalizione è già una scena da tipica commedia italiana. Se a questo aggiungete che Fratelli d’Italia precisa di essere il partito con più voti e di non essere mai stato coinvolto nella discussione il tutto diventa una tragicommedia.

Fontana ha definito la candidatura di Moratti “strana” (con il suo solito ampio vocabolario) ma intanto anche dalle parti del Pd sembrano decisi a boicottarsi da soli. Al di là dei soliti tavoli tematici appena lanciati (in cui si propone di mantenere lo stesso modello che fu di Formigoni semplicemente mettendo sé stessi come dirigenti) i nomi di Cottarelli, Tabacci, Del Bono e Tinagli non scaldano nessuno.

In più continua a mancare il perimetro dell’alleanza (il M5S che fa) ma soprattutto il punto politico: come hanno intenzione di sfaldare la melassa privatistica che tiene in piedi la Regione? Anzi, la domanda terrificante è un’altra: hanno davvero intenzione di rovesciare il modello? Ne hanno il coraggio?

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L’ex M5S Francesca Troiano aderisce a Italia Viva: ora è redenta

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I renziani di Italia Viva lo annunciano con squillo di trombe: «Diamo il nostro benvenuto a Francesca Troiano che da oggi entra a far parte del gruppo Italia Viva alla Camera. La comunità riformista cresce ogni giorno di più!». L’ultimo acquisto di una “comunità riformista” che ha più eletti che elettori è Francesca Troiano da San Giovanni Rotondo, classe ’85, professione psicologa, primo ingresso in Parlamento nel 2018 (curiosamente al secondo mandato), che lo scorso aprile aveva lasciato il gruppo del M5S definendo Giuseppe Conte «una brava persona» e Mario Draghi «un baluardo».

«Uno non vale uno», disse molto prima del mea culpa di Di Maio, «no all’odio per la ricchezza», «il reddito di cittadinanza è stato gestito male». Una sorta di ripensamento generale, e globale, sui temi cardini e identitari dei grillini. «Le imprese, il lavoro, la ricchezza hanno un nome e cognome: imprenditori», raccontò in un’intervista lo scorso aprile, indicando la necessità di «riforme ispirate dal popolassimo liberale ed europe». Non stupisce quindi che l’ex grillina abbia trovato un posto al caldo sotto il tetto di Italia Viva. 

L’ex M5S Francesca Troiano aderisce a Italia Viva e i renziani non la prendono bene

Il suo arrivo però ha tutt’altro che scaldato i cuori degli elettori renziani che sotto il post festante del partito non hanno mancato di scrivere tutto il loro disappunto: «E da dove arriva (Mica dagli innominabili, vero?)», chiede retoricamente un elettore, mentre un altro fa notare a Troiano che «Italia Viva, il suo nuovo partito, la considerava una scappata di casa».

«Gli altri sono scappati di casa e questa è una riformista», chiede Luca Tinucci mentre si sprecano le battute sulla «grillina redenta» che oggi è diventata «una cima a livello superiore». «Prosegue l incessante opera di salvataggio dei parlamentari 5 stelle. Dopo il salvataggio unico con la formazione del Conte2 si passa alla fase due. Si arruolano uno x uno. Due facce della stessa medaglia. Rottamatatore = scatoletta di tonno», si legge tra i commenti.

Su Facebook il post colleziona, insieme a commenti entusiasti sul tenore di «hai scelto il gruppo dei vivaci e veri riformisti, buon lavoro!», qualcuno, come Nicola Ferranti, ha il coraggio di scrivere «Giorno dopo giorno cresce la qualità», come se la provenienza politica della nuova deputata fosse un elemento che passa in second’ordine.

Nicoletta Mauri invece non ha dubbi: «Benvenuta, mica tanto, di una dei 5* io non mi fiderei. Ne sa poco di polita se era entrata in quel partito. Lo fa x la cadrega». Ma il tifo, si sa, gioca brutti scherzi, e quindi la deputata che da grillina era sporca e cattiva ora è perdonata: «Due cose importanti: donna,Giovane Poi spero,non conoscendola ,con tanta voglia d’impegnarsi», scrive Nazzareno Meschieri. E tutti felici e contenti.

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Tutti i casi di soffocamento. Altro che taxi (di terra e del mare)

La scoperta di 46 migranti morti all’intento di camion a San Antonio, negli USA, ha riacceso flebilmente la luce sulle condizioni di viaggio dei migranti che cercano la salvezza con tutti i mezzi possibili. È una bella lezione per tutti coloro che continuano a cianciare di “taxi del mare” o di “africani in vacanza”.

Ora, passata l’emozione dell’indignazione da social potremmo ricordare tutti gli altri episodi, tanto per avere il polso del dramma:

Inghilterra, 23 ottobre 2019: 39 migranti vietnamiti morti per soffocamento e ipertermia sono stati trovati in una roulotte fuori Londra. Quattro uomini sono stati incarcerati per omicidio colposo; uno di loro, un uomo vietnamita, è stato condannato a 15 anni di carcere a febbraio dopo essere stato condannato per essere il capobanda.

USA, 23 luglio 2017: otto immigrati sono stati trovati morti in una soffocante roulotte in un parcheggio di San Antonio Walmart nella calura estiva del Texas. Altri due sono morti in seguito negli ospedali, l’autista è stato condannato all’ergastolo. Le autorità hanno descritto l’incidente come un tentativo di traffico di immigrati andato storto.

Libia, 20 febbraio 2017: 13 migranti africani soffocati all’interno di un container mentre venivano trasportati tra due città della Libia. Secondo la filiale locale della Mezzaluna Rossa, un totale di 69 migranti per lo più maliani sono stati stipati nel container. Secondo quanto riferito, erano rimasti intrappolati nel container per quattro giorni.

Austria, 27 agosto 2015: la polizia austriaca ha scoperto un camion abbandonato contenente i corpi di 71 migranti iracheni, siriani e afgani. Tra le vittime soffocate c’erano otto bambini. Il camion, trovato parcheggiato lungo un’autostrada, era entrato in Austria dall’Ungheria.

Pakistan, 4 aprile 2009: 35 migranti afgani soffocati all’interno di un container abbandonato nel Pakistan sudoccidentale. Le autorità hanno affermato che più di 100 persone sono state stipate all’interno del container, che avrebbe dovuto essere portato al confine iraniano.

Thailandia, 9 aprile 2008: 54 migranti birmani soffocati nella parte posteriore di un camion frigorifero ermetico nella città meridionale di Ranong. Il camion portacontainer a 10 ruote, solitamente utilizzato per il trasporto di pesce congelato, era in viaggio verso l’isola turistica di Phuket. I morti includevano 37 donne e 17 uomini. Altri 21 sono stati ricoverati in ospedale e i restanti 46 sono stati arrestati dalla polizia per essere entrati illegalmente in Thailandia.

USA, 14 maggio 2003: 19 migranti sono morti all’interno di un soffocante rimorchio di un trattore mentre viaggiavano dal sud del Texas a Houston.

Inghilterra, 18 giugno 2000: 58 immigrati cinesi sono stati trovati morti all’interno di un camion nella città portuale inglese di Dover. Il camion olandese aveva trasportato gli immigrati attraverso la Manica dal Belgio.

Il traffico di migranti è un crimine orrendo che si poggia su due pilastri fondamentali: l’incuria verso persone che sono viste come “altro” da noi e l’ignoranza di credere che l’ultimo dramma di cui sappiamo sia un caso isolato. Poi ci sono i fiancheggiatori morali, sono quelli che parlano con superficialità di “taxi” senza essere capaci di rispettare l’odore della morte.

Buon mercoledì.

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Matteo Salvini pronto a farsi commissariare da Giorgetti, Zaia e Fedriga

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Matteo Salvini non è già più capitano. Manca l’ufficialità e sarà un percorso lungo, sicuramente fino alle elezioni politiche del 2023, ma il segretario della Lega nelle prossime ore tenderà la mano all’ala governista del suo partito (Giorgetti e Fedriga in primis) chiedendo di tirarlo fuori dalle sabbie mobili in cui si è incagliato dall’estate del Papeete. 

Salvini non è più l’uomo solo al comando. Ora chiede aiuto a Giorgetti, Zaia e Fedriga

L’uomo solo al comando, quello che per mesi ha tenuto al guinzaglio il centrodestra rivendicando il ruolo del padrone, già da mesi ha cominciato a cercare una sponda tornando scodinzolante da Silvio Berlusconi, chiedendogli di difenderlo dall’assalto di Giorgia Meloni che ogni giorno draga voti dalle sue insicurezze. Passata l’idea di “federarsi” con Forza Italia (un modo dolce per definire un’alleanza contro la nemica interna Meloni) Salvini ora tenta di blindarsi anche all’interno della Lega: nelle prossime settimane potrebbe nascere un “ufficio politico” in cui troverebbero posto Zaia, Giorgetti e Fedriga, che prenda in mano la gestione della Lega – commissariando di fatto il segretario – e traghetti il partito alle prossime elezioni politiche.

Le due fronde sono entrambe convinte di avere in mano la carta vincente: la fazione governista guidata Giorgetti aspira allo spostamento della Lega su posizioni più moderate (quasi draghiane) e a incassare un folto malloppo di candidati per il prossimo giro mentre Salvini e i suoi pensano di avere trovato qualcuno a cui dare la colpa in caso di ulteriori fallimenti, iniziando da un risultato che potrebbe essere non entusiasmante alle elezioni politiche.

Intanto a entrare in gamba tesa è l’ex segretario della Lega Roberto Maroni che con un intervento su Il Foglio scrive che “il centrodestra ha perso quasi dappertutto” e lancia una domanda provocatoria: “riusciranno – scrive Maroni – i nostri eroi (si fa per dire) a rimediare a questa pesante sconfitta elettorale che il centrodestra ha subito e ricompattarsi in vista delle elezioni politiche del prossimo anno?”.

Salvini non è già più capitano. Ha perso il suo atteggiamento fanfarone e ha annacquato la sua sicumera. Ora come un moderato qualunque accetta consapevolmente di farsi logorare pur di stare in piedi. Parigi val bene un Giorgetti.

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Il governo Draghi si è rafforzato con le amministrative?

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Salvini e Meloni – quelli che avrebbero dovuto prendersi tutto – hanno perso Verona, Parma, Lodi, Piacenza, Catanzaro, Alessandria e Monza. Solo per citare i comuni più importanti, quelli che possono indicare una tendenza.

Altro che Governo più forte. Draghi è sempre più in bilico

Verona è un caso mostruoso, la città veneta per anni è stata il simbolo della persuasione di una cultura destrorsa, xenofoba, patriarcale e violenta che ha impunemente professato valori incompatibili con la Costituzione. Damiano Tommasi ha messo in pratica una campagna elettorale costruita sulle proposte, senza cedere mai allo sberleffo e alla bile, e godendo della popolarità della sua carriera nel mondo del calcio in cui si è sempre distinto per serietà e correttezza.

Nonostante ogni elezione (soprattutto per le amministrative) abbia dei numeri che vengono usati e abusati il centrodestra in queste elezioni ha ottenuto molto meno del previsto e il centrosinistra a guida del Partito Democratico ha messo a segno una tornata che non speravano nel meno i più ottimisti. Ci sono molte buone notizie nei risultati di queste elezioni amministrative per chi teme Meloni e Salvini al governo ma è difficile non ricordare “la gioia macchina da guerra” del centrosinistra che poi si rivelò un’armata Brancaleone alle elezioni politiche del 1994.

Dice qualcuno, Di Maio in primis, che i risultati delle amministrative rafforzano il governo Draghi. Ci vuole davvero molta fantasia e molto coraggio, quel coraggio che profuma dell’impunità dei millantatori. Proviamo a vedere. Il primo partito in Parlamento che sostiene Mario Draghi, la Lega di Salvini, è nel mezzo di una crisi di cui non si intravede la via d’uscita. Si capisce che faccia comodo a molti fingere di non governare con Salvini ma la realtà è lì, granitica, da osservare.

Oggi il primo sostenitore del governo dei migliori guida un partito che in molte sue parti non lo segue più, con i suoi dirigenti che non vedono l’ora di impallinarlo e che rimangono in vigile attesa solo per il terrore di perdere lo scranno al prossimo giro.

Salvini è l’asticella impazzita di un centrodestra in cui Giorgia Meloni sta correndo per conto suo, consapevole di avere tra le mani un’occasione che non le ricapiterà mai più, e un Silvio Berlusconi che funge da tappo in una forza Italia che è un ritrovo di scalpitanti parlamentari pronti ad accasarsi al prossimo miglior offerente.

Il secondo gruppo del Parlamento, il Movimento 5 Stelle, si agita confuso mentre prende coscienza dell’ultima consistente scissione. Giuseppe Conte – che ne ha sbagliate parecchie da capo del partito – tenta di rimettere in piedi un progetto che nemmeno Beppe Grillo sembra più difendere a spada tratta. Non è improbabile che il M5S come colpo di coda prima di presentarsi alle prossime elezioni politiche possa pensare di togliere la fiducia al governo.

Immaginare il governo dei migliori rafforzato con i suo primi due gruppi parlamentari messi così è davvero sconnesso dalla realtà. Ci sono, è vero, i fervidi sostenitori di Draghi fuori dal parlamento (o comunque con un nugolo di parlamentari): Renzi e Calenda.

I due hanno collezionato risultati minimi quando si sono presentati con il logo dei loro partiti oppure si sono confusi – come amano fare – nel mare largo delle coalizioni, quando non hanno addirittura sostenuto candidati sindaci di destra. La chiamano meritocrazia ma finora sembra una mediocrazia: una mediocrità generale al potere.

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Su Melilla fate schifo

Venerdì 24 giugno a Melilla c’è stata una carneficina. «Tutto era sangue, tutto sangue», ha raccontato a El Pais un testimone, «sangue sulla testa, pelle lacerata, piedi rotti, mani rotte… Chi non è morto finirà per morire, perché è stato picchiato molto». Il confine tra Spagna e Marocco (chiuso nel 2020 approfittando della pandemia) ha registrato il più grande tentativo di ingresso degli ultimi anni. Una strage alle porte dell’Europa.

Ho voluto aspettare di leggere i giornali di ieri, che era lunedì, di spulciare tra le dichiarazioni dei politici italiani e europei augurandomi che un carnaio del genere non potesse passare sotto silenzio. La portavoce della Commissione europea Nabila Massrali ha rilasciato un comunicato che ha la temperatura di un annuncio in un supermercato: «Le violenze e le vittime» che si sono registrate alla frontiera di Melilla «sono oggetto di seria preoccupazione» da parte dell’Ue. «La sicurezza dei migranti e l’astenersi dall’eccessivo uso della forza e il rispetto dei diritti umani restano prioritari».

I politici italiani erano troppo impegnati per celebrare il consigliere comunale conquistato nel piatto sperduto borgo sventolandolo come una vittoria nazionale. Il governo spagnolo si è «rammaricato per la perdita di vite umane di persone disperate che cercavano una vita migliore», sebbene abbia mantenuto il suo sostegno all’azione del Marocco, che «combatte e subisce anche quella violenza» degli assalti, secondo loro. Ovviamente non è mancata una generica accusa alle mafie che sono sempre dappertutto quando si tratta di immigrazione mentre non si notano mai mentre gestiscono gli esercizi commerciali e riforniscono i nasi della classe dirigente.

In compenso i migranti morti sono già pronti per essere seppelliti.  L’Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh) ha pubblicato sui social una foto scattata alla periferia del cimitero dove ha bollato come “scandalo” la decisione che le autorità si preparano a seppellire «una parte degli emigranti morti» solo due giorni dopo i corpi arrivarono all’obitorio in una forma totalmente opaca. «Senza indagini, senza autopsia, senza identificazione, le autorità cercano di nascondere il disastro», si legge nella nota.

I membri dell’Amdh chiedono che si indaghi sulle circostanze della morte e se si sarebbe potuto evitare la tragedia. Omar Naji, capo dell’Amdh a Nador, afferma di aver assistito venerdì alla scena di subsahariani rannicchiati a terra mentre venivano identificati dalla polizia, immagini scioccanti che la sua organizzazione ha diffuso attraverso vari video. Naji afferma di aver visitato l’obitorio dell’ospedale Hassani venerdì, dove vengono trovati i corpi di emigranti subsahariani, e assicura di aver contato almeno 15 morti. «Erano a terra. Ciò significa che l’obitorio è stato sopraffatto. E c’erano solo due persone che lavoravano lì». Lo stesso venerdì, l’Amdh aveva già avvertito della possibilità che i morti venissero spediti rapidamente e ha chiesto che i defunti non fossero seppelliti in fretta e che si aprisse «un’indagine globale, rapida e seria per determinare responsabilità e conseguenze».

Un numero delle vittime preciso non c’è ancora. Di sicuro ci sono tutti i contorni che servono per chiamarla strage. E il silenzio intorno fa schifo.

Buon martedì.

 

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