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Anche da noi l’aborto è diventato un mero argomento amministrativo

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Da noi non è servita nemmeno una Corte suprema per consentire alle Regioni di costruire condizioni che non permettano di accedere alla legge 194. Mentre ci indigniamo – giustamente – per ciò che accade negli Usa sembriamo non voler vedere che anche da noi l’aborto è diventato un mero argomento amministrativo, un diritto talmente labile che alla Regione Umbria è bastato obbligare le donne a un ricovero di 3 giorni per l’aborto farmacologico con RU-486 per sradicare il riserbo e la cautela e quindi rendere tutto più difficoltoso.

Aborto, in Italia non è servita nemmeno una Corte suprema per consentire alle Regioni di costruire condizioni che non permettano di accedere alla legge 194

Quelli che – giustamente- raccontano dei viaggi che le donne statunitensi si ritroveranno a compiere per valicare il confine del diritto di abortire sembrano non sapere che sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%. Lo dice chiaramente l’indagine aggiornata “Mai Dati!” di Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e di Sonia Montegiove, informatica e giornalista, resa nota con l’Associazione Luca Coscioni.

Nel momento in cui un diritto diventa relativo è già iniziata la fase in cui lo si sta disinnescando e non capire che il vento antiabortista americano arriverà presto qui da noi come un tornado – come avviene dagli USA per le trovate peggiori subito adottate dalla destra peggiore – significa non avere una reale percezione della realtà. La percezione della realtà dovrebbe essere il prerequisito fondamentale di chi fa politica ma da noi è una virtù che scarseggia, soprattutto nel cosiddetto campo progressista, lo stesso che in queste ore sta fabbricando quintali di comunicati stampa contro la decisione della Corte suprema Usa provando a trovare un solo colpevole (in questo caso Trump) ignorante del fatto che la demolizione dei diritti è un lavoro di squadra fatto da tanti piccoli sbriciolamenti che concorrono al crollo finale.

Quando si tratta di difendere i diritti si è sempre all’anno zero. Dare per scontati diritti conquistati dalle generazioni precedenti convinti miopamente che quelle battaglie siano ormai assodate è il modo migliore per facilitare le azioni di coloro che i diritti li usano per attaccarli perché sono incapaci di immaginarne di nuovi.

Parlare di diritti non significa “non occuparsi dei temi che contano” come ripetono a pappagallo coloro che dell’arretramento sui diritti costruiscono la propria propaganda: tenere al centro i diritti significa lubrificare gli ingranaggi della democrazia. La sentenza Usa ci invita a non caricaturizzare gli avversari dei diritti (e qui da noi ne girano parecchi): il sistema spesso ha delle falle – accade così negli USA – che permettono vittorie politiche (oltre che giuridiche) anche senza il consenso della maggioranza.

Per questo delle buone leggi e il rispetto della Costituzione contano enormemente di più di qualsiasi maggioranza di governo. La prossima volta che sentite un Pillon, un Salvini o una Meloni farneticare sulla cancellazione dei diritti non sorridete. Non sono macchiette, sono nemici.

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Carlo Calenda entra in Azione a Lucca. E fa perdere il Centrosinistra. Ecco a che serve il suo micropartito

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Carlo Calenda entra in Azione a Lucca. E il suo candidato fa perdere il Centrosinistra la ballottaggio. Già perché la fotografia delle elezioni amministrative di Carlo Calenda e della cosiddetta “serietà” che il leader di Azione sventola in continuazione potrebbe essere Lucca.

Il 9 giugno scorso, dopo la visita di Matteo Richetti, Calenda confeziona un bel video dal Parlamento europeo dove presenta il suo candidato Alberto Veronesi come “unica alternativa seria”, esibendo il suo abituale assolutismo dell’Io so’ io e voi non siete un cazzo.

“A Lucca – dice sornione Calenda – abbiamo voluto essere alternativa al bi-populismo di destra e di sinistra che ha caratterizzato la storia amministrativa di Lucca negli ultimi 15 anni. Abbiamo creato un Terzo Polo, pragmatico, concreto e alternativo sia alla destra che alla sinistra con la lista Lucca Sul serio”.

E aggiunge: “Hanno aderito a questo progetto di centro riformista, persone competenti, preparate che rappresentano di fatto tutte le anime della città. Non solo quello che abbiamo costruito dialogando con i cittadini rappresenta l’unica vera alternativa a quello che c’è stato, ma è anche una novità assoluta sullo scenario nazionale”.

Il candidato di Calenda vira a destra

È il solito schema narrativo del leader di Azione, teso a dimostrare che destra e sinistra pari sono, che la politica è una folta schiera di incapaci, tutti incapace tranne ovviamente Calenda.

Arriviamo al 21 giugno. Alberto Veronesi, il candidato di Carlo Calenda, se ne esce dal primo turno con un micro 3,65%, somma dell’appoggio del partito di Calenda (Azione) e dei renziani di Italia Viva.

Alberto Veronesi (che nel curriculum ha come talento principale quello di essere figlio dell’oncologo Umberto – sempre a proposito del merito tanto decantata dai calendiani – oltre che essere direttore del Festival Puccini – sceglie di sostenere al secondo turno Mario Pardini

L’uomo di Calenda con Casapound

L’aspirante sindaco del centrodestra che al primo turno ha collezionato il 34,3% dei voti e poi ha deciso di apparentarsi ai neofascisti di Casapound che sostenevano Fabio Barsanti (9,5% al primo turno) e perfino i No Vax e No Green Pass del candidato sindaco Andrea Colonnini (4,2%).

Calenda contesta la scelta del suo candidato di sostenere il candidato sindaco di centrodestra Raspini e Veronesi risponde: “Calenda dice che sono un incapace. Parla uno che ha dimostrato il minimo storico di credibilità: in campagna elettorale ha cancellato il comizio di Lucca e gli incontri con il mondo produttivo lucchese mezz’ora prima dell’orario previsto. Parla uno che ha utilizzato Alberto Veronesi per prendere il 3,7 per cento del consenso e poi voleva mettere un suo uomo in giunta con Raspini, come al mercato dei capponi”, dice Veronesi.

Che aggiunge: “Calenda ha fatto la corte a Mario Pardini come candidato di Azione e oggi dice che lo stesso Pardini è il peggiore fascista. Mi spiace avergli rovinato la festa”.

Calenda vale in media il 3,22%

Il centrodestra ha vinto a Lucca, al ballottaggio. Quando Calenda ha corso da solo è finita così. La media di Azione è del 3,5% correndo con +Europa (Palermo: 8,14%, Gorizia: 2,7%, Asti: 1,21%, Alessandria: 5,67%, Monza: 2,16%, Piacenza: 1,56%, Frosinone: 1,58%, L’Aquila: 4,80%).

Se però consideriamo anche Pistoia dove Pistoia Davvero ha preso il 3,08% e La Spezia, dove La Spezia sul Serio si è fermata allo 0,98%, tutte liste queste ufficiali ma senza il simbolo, la media per Azione allora scenderebbe al 3,2%.

Difficile sapere quanto Calenda pesi nella lista Agenda Como 2030, visto che è stata presentata insieme a Italia Viva e altre forze politiche. Il risultato comunque è stato del 3,22%. Calenda ha il diritto di ritenersi elemento fondante della politica italiana ma piegare la realtà alla narrazione è trucco che funziona poco e, sopratutto, populista.

È davvero indispensabile Calenda in coalizione?

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Israele ha ucciso la giornalista Shireen Abu Akleh. E ora che fate?

«Lo choc per l’uccisione a #Jenin in un raid di una giornalista di #AlJazeera. Chiediamo #veritàegiustizia per #ShireenAbuAkla», scriveva il segretario del Partito democratico Enrico Letta lo scorso 11 maggio. La verità è arrivata. Si è conclusa venerdì 24 giugno l’indagine indipendente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) sull’omicidio di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese uccisa a Jenin, in Cisgiordania, l’11 maggio 2022, mentre stava svolgendo il suo lavoro per l’agenzia stampa Al Jazeera. Secondo l’Onu, non ci sarebbero più dubbi in merito alla responsabilità dell’uccisione della professionista: il proiettile letale sarebbe stato sparato dai soldati delle Forze armate Israeliane (Idf), colpendola alla testa e uccidendola sul colpo. Non c’entrano nulla i «palestinesi armati» di cui aveva parlato il governo israeliano, non esistono.

Scrivono le Nazioni Unite: «Secondo i nostri risultati, l’11 maggio 2022, poco dopo le 06:00, sette giornalisti, tra cui Shireen Abu Akleh, sono arrivati all’ingresso occidentale del campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata settentrionale per coprire un’operazione di arresto in corso da parte delle forze di sicurezza israeliane e gli scontri che ne sono seguiti. I giornalisti hanno detto di aver scelto una strada laterale per avvicinarsi onde evitare la posizione dei palestinesi armati all’interno del campo e che hanno proceduto lentamente al fine di rendere visibile la loro presenza alle forze israeliane schierate lungo la strada. I nostri risultati indicano che non erano stati lanciati avvertimenti e che non si erano veroficati spari  in quel momento e in quel luogo.

Intorno alle 06:30, mentre quattro dei giornalisti imboccavano la strada che porta al campo, indossando caschi antiproiettile e giubbotti antiproiettile con scritto “Press”, sono stati sparati contro di loro diversi proiettili singoli, apparentemente ben mirati, dalla direzione delle forze di sicurezza israeliane. Un singolo proiettile ha ferito Ali Sammoudi alla spalla, un altro singolo proiettile ha colpito Abu Akleh alla testa e l’ha uccisa all’istante. Diversi altri proiettili singoli sono stati sparati mentre un uomo disarmato tentava di avvicinarsi al corpo di Abu Akleh e un altro giornalista illeso che si rifugiava dietro un albero. I colpi hanno continuato a essere sparati mentre questo individuo alla fine è riuscito a portare via il corpo di Abu Akleh».

«L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet continua a sollecitare le autorità israeliane ad aprire un’indagine penale sull’uccisione di Abu Akleh e su tutte le altre uccisioni e gravi ferite da parte delle forze israeliane in Cisgiordania e nel contesto delle operazioni di applicazione della legge a Gaza. Dall’inizio dell’anno, il nostro Ufficio ha verificato che le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso 58 palestinesi in Cisgiordania, tra cui 13 bambini».

Quindi ora c’è la verità ma manca la giustizia. Che fanno ora Enrico Letta e tutti gli altri?

Buon lunedì.

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Con l’avvicinarsi delle Politiche torna l’attrazione per il grande centro

Va a sempre finire così, ogni tornata elettorale, qualche mese prima delle elezioni politiche. Si candidano tutti incendiari, pronti a rovesciare gli equilibri e i poteri e mentre passano i mesi i due poli che si erano promessi lotta dura senza paura cominciano a sanguinare profughi attratti dal centro. Accade ai partiti di destra, a quelli di sinistra e orta accade anche a quelli che non erano «né di destra né di sinistra».

Lo chiamano centro ma non è che terrore di affrontare le elezioni

Luigi di Maio non ha avuto un’idea originale, intravedere nel placido stagno del centro – che in Italia è diventato il luogo politico dei conservatori – la garanzia della propria autopreservazione, del mantenimento delle proprie posizioni e del proprio effimero potere è quasi naturale per i parlamentari di casa nostra. Lo chiamano centro ma in fondo altro non è che il terrore quasi fanciullesco di attraversare nuove elezioni, viste come un terremoto delle proprie abitudini e approcciate con il terrore di chi quei cinque anni li ha vissuti sotto una campana di vetro dove sviluppare una crescente idiosincrasia vero gli elettori.

M5S, tensioni sul doppio mandato. Per Di Maio si «rischia di diventare forza politica dell'odio». E sulla questione interviene Beppe Grillo
Luigi Di Maio (Getty Images).

I cantori delo status quo

Accade sempre così: qualche mese prime delle elezioni, come grilli cominciano a cantare gli intellettuali del grande centro, soluzione a tutti i mali. Il loro sogno recondito, che non possono permettersi di svelare genuinamente, è tagliare i “lati” del Parlamento per non incorrere nel rischio di ribaltamenti troppo repentini che non sarebbero capaci di sopportare. A ogni elezione ci sono i soliti noti – sono sempre gli stessi – che si improvvisano spin doctor dello status quo, che si chiami Mario Monti o che si chiami Mario Draghi non porta: l’importante per loro è raccontare quanto sarebbe bello rendere le prossime elezioni omeopatiche come goccine utili a fingere di “avere fatto” con la rassicurante certezza di risvegliarsi l’indomani esattamente come ieri.

Il centro è sempre grande nonostante i sondaggi

Il centro, se ci fate caso, è sempre ‘grande’ nella narrazione. Non è raccontato come grande per le aspirazioni (legittime): il centro è grande nonostante i sondaggi lo indichino come una pozzanghera che bagna le suole di quegli altri che grandi lo sono davvero nei numeri. Gli editorialisti del centro sono quelli che dicono che se saremmo in grado di evitare scossoni i problemi ci sembreranno più morbidi. Non propongono soluzioni, aspirano a un mondo che non crei problemi. Sono gli stessi che vergano articoli focosi che dicono tutti la stessa cosa: «Non c’è alternativa», «non vorrete mica rischiare di finire peggio di così» e «guardate com’è bella la politica quando diventa impolitica, senza idealismi che sfociano in lotte che sgualciscono il colletto, una politica fatta solo di spartizione senza troppi sussulti». Per questo amano i governi tecnici: un presidente del Consiglio che ha come promessa elettorale quella di essere una persona autorevole (senza nemmeno decidere “autorevole” per chi?) È il sogno di tutti. In fondo non è diverso dal «buon senso» che reclama Salvini: scegli una linea politica più rarefatta possibile e ti sarà facile non risultare mai incoerente.

Con l'avvicinarsi delle Politiche torna l'attrazione per il grande centro
Enrico Letta, segretario del Pd.

Il Pd e la sindrome della grande madre

Accade sempre così, qualche mese prima delle elezioni politiche. Il centro si riempie di generali senza eserciti, ognuno con il proprio partito che è poco più di un marchio pronto a sciogliersi sognando l’acquisizione della vita. Partiti senza voti che hanno più parlamentari che elettori, truppe raccolte tra chi non sa dove sbattere la testa per ritagliarsi almeno una ricandidatura e bussa al brefotrofio dei partiti, il “grande centro”. Sullo sfondo, anche questo ormai è un classico, c’è il Partito democratico che ogni volta viene colto dallo spirito della “grande madre” e vorrebbe adottarli tutti, gli orfani che giocano nel recinto del grande cerchio. Li approccia paternalistico chiedendo loro di smettere di litigare, li alletta con la prospettiva di una famiglia larghissima in cui non mancherà mai il pane in tavola. Li lusinga concimando il loro narcisismo. Poi arriva come sempre la realtà. Quelli scoprono di essere tutt’altro che rivoluzionari e, sconsolati e malinconici, se ne vanno con il loro misero bottino elettorale. Solo che il periodo di derealizzazione è stato talmente bello che sono pronti a rifare tutto al prossimo giro.

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Gli altri 546 milioni di studenti

Secondo l’Unicef e l’Oms, nonostante il costante calo della percentuale di scuole prive di servizi di base per l’acqua e di servizi igienici nel mondo, persistono profonde disuguaglianze tra i Paesi e all’interno degli stessi. Gli scolari dei Paesi meno sviluppati e dei contesti fragili sono i più colpiti e i dati che emergono mostrano che poche scuole dispongono di servizi idrici e igienici accessibili alle persone con disabilità.

Le scuole svolgono un ruolo cruciale nel promuovere la formazione di abitudini e comportamenti sani, ma nel 2021 molte non disponevano ancora di servizi idrici e igienici di base. Secondo gli ultimi dati del Programma di monitoraggio congiunto Oms/Unicef (Jmp):

  • A livello globale, il 29% delle scuole non dispone ancora di servizi di base per l’acqua potabile, con un impatto su 546 milioni di studenti; il 28% delle scuole non dispone ancora di impianti igienici (bagni) di base, con un impatto su 539 milioni di studenti; il 42% delle scuole non dispone ancora di impianti idrici (strutture per lavarsi le mani) di base, con 802 milioni di studenti.
  • Un terzo dei bambini privi di servizi di base nelle loro scuole vive nei Paesi meno sviluppati e oltre la metà vive in contesti fragili.
  • L’Africa subsahariana e l’Oceania sono le uniche due regioni in cui la copertura dei servizi igienici di base nelle scuole rimane inferiore al 50%; l’Africa subsahariana è l’unica regione in cui la copertura dei servizi di base per l’acqua potabile nelle scuole rimane inferiore al 50%.
  • Per raggiungere la copertura universale nelle scuole entro il 2030 è necessario aumentare di 14 volte gli attuali tassi di progresso per l’acqua potabile di base, di tre volte i tassi di progresso per gli impianti igienici di base e di cinque volte per gli impianti idrici di base.
  • Nei Paesi meno sviluppati e nei contesti fragili, il raggiungimento della copertura universale degli impianti igienici di base nelle scuole entro il 2030 richiederebbe un aumento di oltre 100 e 50 volte dei rispettivi tassi di progresso attuali.
  • Il miglioramento della preparazione e della risposta alle pandemie richiederà un monitoraggio più frequente dei servizi idrici e igienici e di altri elementi di prevenzione e controllo dei contagi nelle scuole, tra cui la pulizia, la disinfezione e la gestione dei rifiuti solidi.

«Troppi bambini vanno a scuola senza acqua potabile, bagni puliti e sapone per lavarsi le mani, rendendo difficile l’apprendimento», dichiara Kelly Ann Naylor, direttore Unicef per l’Acqua e i servizi igienici e il clima, l’ambiente, l’energia e la riduzione del rischio di disastri. «La pandemia da Covid-19 ha sottolineato l’importanza di fornire ambienti di apprendimento sani e inclusivi – aggiunge -. Per proteggere l’istruzione dei bambini, la strada verso la ripresa deve includere la fornitura alle scuole dei servizi più basilari per combattere le malattie infettive oggi e in futuro».

«L’accesso all’acqua e ai servizi igienici non solo è essenziale per un’efficace prevenzione e controllo dei contagi, ma è anche un prerequisito per la salute, lo sviluppo e il benessere dei bambino», spiega Maria Neira, direttore del dipartimento per l’Ambiente, il cambiamento climatico e la salute dell’Oms. «Le scuole dovrebbero essere ambienti in cui i bambini prosperano e non sono sottoposti a difficoltà o infezioni a causa della mancanza o della scarsa manutenzione delle infrastrutture di base».

Fornire servizi idrici e igienici accessibili alle persone con disabilità nelle scuole è fondamentale per raggiungere un apprendimento inclusivo per tutti i bambini. Tuttavia, solo un numero limitato di Paesi fornisce informazioni su questo indicatore e le definizioni nazionali variano, e un numero molto inferiore fornisce servizi idrici e igienici accessibili ai disabili.

I dati nazionali emersi mostrano che la copertura dei servizi idrici e igienici accessibile ai disabili è bassa e varia ampiamente tra i livelli scolastici e le località urbane e rurali, e le scuole hanno maggiori probabilità di avere acqua potabile accessibile rispetto a servizi igienici accessibili. Nella metà dei Paesi con dati disponibili, meno di un quarto delle scuole dispone di bagni accessibili ai disabili. Ad esempio, nello Yemen, 8 scuole su 10 avevano bagni, ma solo 1 scuola su 50 era dotata di bagni accessibili ai disabili.

Nella maggior parte dei Paesi con dati, è più probabile che le scuole abbiano infrastrutture e materiali adattati – come rampe, tecnologie assistive, materiali didattici – che bagni accessibili ai disabili. Ad esempio, in El Salvador, 2 scuole su 5 hanno infrastrutture e materiali adattati, ma solo 1 su 20 ha bagni accessibili ai disabili.

Buon venerdì.


In foto, due alunne di una scuola di Nairobi (Kenya) a lezione durante la pandemia da Covid

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Ci è voluto un terremoto per ricordarsi dell’Afghanistan

Era il 30 agosto quando gli esponenti del governo italiano (e di tutti i governi europei) insieme alla grancassa dei media promettevano all’Afghanistan che non si sarebbero dimenticati di loro. Se ne sono ricordati ieri, sono bastati più di un migliaio di morti (numeri definitivi non ce ne sono) e 1.500 feriti per un terremoto che ha aggiunto dolore al dolore.

Il terremoto ha colpito poco dopo le 01:30 (21:00 GMT martedì) mentre la gente dormiva. Centinaia di case sono state distrutte dall’evento di magnitudo 6.1, che si è verificato a una profondità di 51 km (32 miglia). È il terremoto più letale che ha colpito l’Afghanistan in due decenni e una grande sfida per i talebani, il movimento islamista che ha ripreso il potere l’anno scorso dopo il crollo del governo sostenuto dall’Occidente. Il terremoto ha colpito a circa 44 km dalla città di Khost e si sono sentite scosse fino al Pakistan e all’India. Testimoni hanno riferito di aver sentito il terremoto sia nella capitale dell’Afghanistan, Kabul, che nella capitale del Pakistan, Islamabad. Funzionari talebani hanno chiesto alle Nazioni Unite di «sostenerli in termini di valutazione dei bisogni e risposta alle persone colpite», ha detto Sam Mort dell’unità Kabul dell’Unicef alla Bbc.

Parlando con l’agenzia di stampa Reuters, la gente del posto ha descritto orribili scene di morte e distruzione. «Io e i bambini abbiamo urlato», racconta Fatima. «Una delle nostre camere è stata distrutta. I nostri vicini hanno urlato e abbiamo visto le stanze di tutti». «Ha distrutto le case dei nostri vicini», ha detto Faisal. «Quando siamo arrivati c’erano molti morti e feriti. Ci hanno mandato in ospedale. Ho visto anche molti cadaveri». «Ogni strada che vai, senti persone piangere la morte dei loro cari», ha detto un giornalista nella provincia di Paktika alla Bbc. L’agricoltore locale Alem Wafa ha pianto mentre diceva alla Bbc che le squadre di soccorso ufficiali dovevano ancora raggiungere il remoto villaggio di Gyan – uno dei più colpiti. «Non ci sono operatori umanitari ufficiali, ma persone provenienti da città e villaggi vicini sono venute qui per salvare le persone», ha detto. «Sono arrivato stamattina e io stesso ho trovato 40 cadaveri». La maggior parte dei morti, ha detto, erano «bambini molto piccoli». L’ospedale locale semplicemente non aveva la capacità di affrontare un tale disastro, ha aggiunto l’agricoltore.

Intanto sono ancora bloccati i corridoi umanitari dall’Afghanistan. Persone in pericolo di vita per cavilli burocratici. Un’assurda vicenda che coinvolge 1.200 persone in attesa di partire: nelle ambasciate italiane mancano le macchinette per prendere le impronte digitali e si posticipano le partenze. Miraglia (Arci): «Aspettano da mesi, i visti stanno per scadere non possono tornare in mano ai talebani».

“Non vi dimenticheremo”, dicevamo.

Buon giovedì.

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Blaterano di meritocrazia e poi risparmiano sulla formazione

Sembra una notizia locale e invece è il termometro della deriva di questo Paese. In Lombardia, grazie a Letizia Moratti, dopo il super-infermiere sta per arrivare il vice-infermiere: Oss con 300 ore di corso post base potranno sostituire il professionista infermiere e a basso costo. Ciò che conta è avere manodopera poco formata che viva ogni occasione di lavoro come un privilegio, disposta a essere pagata sempre il meno possibile.

Lo scrive bene Assocarenews: «L’idea è dell’assessore al ramo Letizia Moratti, che già qualche settimana fa aveva introdotto la figura del super-infermiere o vice-medico, il professionista sanitario capace di sostituire il medico nelle cure primarie e di base. Insomma una confusione di ruoli e di responsabilità legate a presunte carenze da una parte di medici, dall’altra di infermieri. In realtà si cerca di risparmiare il più possibile attribuendo a figure come infermieri od Oss compiti di professioni più elevate. Pertanto il super-infermiere e il super-Oss servono a sostituire da una parte i medici di famiglia, dall’altra gli infermieri in Rsa e case di riposo e farlo a bassissimi costi. Da mesi si polemizza sul super-Oss in Veneto, ora la polemica si sposta in Lombardia dove anche la Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) ha ribadito più volte che “un infermiere non potrà mai sostituire un medico”. Di contro la Federazione nazionale degli infermieri (Fnopi), ad oggi, non si è mai espressa direttamente contro la nascita del super-Oss. Eppure gli Infermieri restano insostituibili. Vedremo cosa accadrà, il rammarico resta e resta la sensazione che nel nome del dio denaro tutto è possibile, anche chiamare infermiere un operatore socio sanitario (senza laurea e con lo stipendio da Oss) o medico un infermiere (con laurea triennale, ma con stipendio da fame)».

Intanto sulla presunta “ripresa del mercato del lavoro” la Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal ci dice che un terzo dei 2,1 milioni di contratti a termine (mai così tanti, osservando le serie storiche) attivati tra gennaio e marzo era per incarichi di meno di 30 giorni, il 9,2% un solo giorno. Solo il 27,5% da due a sei mesi e un piccolo 1% scavalla l’anno. Ma c’è di più: dalle Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro si rileva una crescita dell’incidenza dei contratti di brevissima durata sul totale delle attivazioni. Quelli fino a una settimana sfiorano il 20%, ossia il 2,9% in più rispetto al primo trimestre del 2021. E sono in aumento anche i lavoratori somministrati e quelli a chiamata. Insomma il precariato impazza e questi la chiamano occupazione.

Quando ci si renderà conto della piega che ha preso questo Paese diventeranno minuscole le beghe di partito con fuoriusciti e nuovi fondatori. Siamo un Paese che non ha speranza nei numeri e che continua a non accorgersene.

Buon mercoledì.

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A Verona si sostiene la destra nel nome di dio

Immancabile, a Verona, scende in campo il vescovo. Che accada in una delle città più neofasciste d’Italia (dove associazioni come Circolo Pink Lgbte Verona, Sat Pink Aps, Pianeta Milk Verona, Non una di Meno Verona, Yanez, Udu Verona, Rete degli Studenti Medi Verona, Eimì sono al fronte per difendere i diritti) non è un caso. Monsignor Giuseppe Zenti lo scorso 18 giugno ha preso in mano la penna per vergare una lettera ispirata da uno spirito tutt’altro che santo per ricordare a sé stesso «e ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender, al tema dell’aborto e dell’eutanasia».

Al netto di questa spiritualità meschina l’invito è quello di votare al prossimo ballottaggio per le elezioni amministrative in città il sindaco uscente Federico Sboarina, candidato di Lega e Fratelli d’Italia, preferendolo all’ex calciatore Damiano Tommasi (sostenuto dal Pd, M5s e liste civiche). Del resto parliamo dello stesso vescovo che nel 2015 scrisse agli insegnanti di religione per condividere il programma elettorale di una candidata della Lega alle elezioni regionali. È lo stesso personaggio che sul ddl Zan disse che «l’omosessualità praticata non è un valore agli occhi di Dio» scrivendo, dimostrando di avere poca capacità di comprensione delle leggi, «auspichiamo che si possa continuare a dire, che non resti traccia nel ddl di bavagli o di possibili carceri. Sarebbero residuati da Gestapo».
Essere gretti nel nome di dio dovrebbe essere peccato, nel mondo dei comandamenti giusti. Il vescovo Zenti mostra tutto il suo buio nelle lettere che scrive e nei modi in cui le scrive.

Per avere idea di come sia più arioso e libero il mondo basta buttare l’occhio sul documento politico del Comitato Verona Pride 2022: «La nostra Verona sta reagendo, stiamo costruendo una comunità democratica forte e coesa, le cui discussioni infervorano sempre di più gli spazi di confronto. Solo attraverso questo movimento politico possiamo aprirci a tutte le soggettività con le quali percorrere questo cammino.  “Casa nostra” è dove siamo. I nostri corpi sono “case nostre”. Tutto il mondo è “casa nostra”.  Ma se tutto il mondo è casa nostra, allora, anche la piazza lo è, e non possiamo più farci marginalizzare né accettare le violenze che ci infliggono. Dobbiamo continuare a ripopolare le piazze, a farle nostre, ed è compito di tuttз tenere il passo per vivere la città in una forma nuova. Plasmiamo la società che desideriamo, cominciando con l’educare chi – in buona o in malafede – non conosce l’Abc del vivere insieme. Ecco quindi che le nostre rivendicazioni devono essere intersezionaliste e vigili sulle esigenze collettive. Facciamo di Verona una grande piazza in cui insegnare a chi la vive come rispettare il diritto di tuttз all’autodeterminazione».
Il personale è politico, sempre. Se la Chiesa si butta in politica trascinata dalle idee mediocri di un monsignore non resta che combatterla.

Buon martedì.

Nella foto: Monsignor Zenti al Congresso delle famiglie, Verona, 29 marzo 2019

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A proposito di salari da fame (e delle notizie curiosamente taciute)

La Cgil è tornata in piazza. L’avete letto? Poco, sicuro. Figurarsi se ci si può permettere di rovinare la festa e la narrazione. Il sindacato di Landini è tornato in piazza del Popolo a Roma ma questi sono tempi in cui i sindacati non tornano utili per bastonare qualche nemico per cui non sono nemmeno attaccati, semplicemente si nascondono.

In piazza si sono ascoltate storie che dovrebbero finire sui giornali. E invece niente. Si è ascoltato Dario Salvetti, delegato Gkn della Fiom che ha raccontato che la lotta è gioia e cura. Perché sarebbe ora di educarci al conflitto, da sempre mezzo per ottenere diritti.

Ci sono stati gli studenti che hanno raccontato storie come quelle di «Nadia che lavora dai 16 anni ma sempre in nero o tirocinio e dopo 10 anni ha 3 mesi di contributi pensionistici». «Non siamo più disposti a farci calpestare: non abbiamo nulla da perdere e per questo che non potranno fermarci», dice uno studente universitario.

Auli ha raccontato la precarietà di Stato: «Noi 700 somministrati che lavoriamo per il ministero dell’Interno al servizio immigrazione: primo contratto 6 mesi, secondo 3 mesi, terzo 40 giorni. Poi grazie alla lotta con Nidil Cgil ora 9 mesi. La precarietà è soprattutto donna e io sono dovuta tornare a lavorare 48 ore dopo aver perso mio figlio in grembo».

Poi c’è Maurizio Landini che chiede alla politica di «cancellare le leggi folli sulla precarietà» che sono la «prima causa dei bassi salari dopo 20 anni di competizione giocata solo sulla loro compressione da parte degli imprenditori». E infine, sul salario minimo, un argomento tabù che qui da noi non accenna nessuno: l’estensione del Trattamento economico complessivo con diritti, ferie e tredicesima anche per le partite Iva.

Sarà un autunno caldo.

Buon lunedì.

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A proposito di Banca Etruria, ricordiamo anche le lacrime delle vittime

A proposito di lacrime e Banca Etruria forse è il caso di ricordare le lacrime di Luigino D’Angelo, suicida nel novembre del 2015. D’Angelo aveva perso 110 mila dei suoi risparmi e ha deciso di impiccarsi alla scala della sua villetta in via La Malfa a Civitavecchia. Quei 110 mila euro li aveva messi da parte con una vita fatta di lavoro e sacrifici e li ha persi a seguito dell’entrata in vigore del decreto salvabanche. «Chiedo scusa a tutti, il mio gesto non è per i soldi che abbiamo perso, ma per lo smacco subìto…», si leggeva nella lettera che aveva scritto 20 munti prima di suicidarsi. E poi ancora rivolgendosi alla moglie Lidia «denuncia il direttore e gli addetti ai titoli per comportamento scorretto, anzi, direi criminale».

Il profilo di rischio dietro cui i funzionari si sono nascosti

A febbraio del 2020 la moglie Lidia Di Marcantonio in aula per l’udienza del crac Etruria ha raccontato quei giorni ed è una storia che merita di non essere dimenticata: «Mio marito diceva sempre al suo consulente di custodire il ‘gruzzoletto’ per la nostra pensione. Un giorno ci propose di investire tutto in un buon prodotto e noi ci fidammo. A luglio 2015 arrivò una lettera che ci diceva che il nostro investimento non era adeguato al nostro profilo. Siamo tornati in banca e un altro impiegato ci ha detto che era una lettera che mandavano di routine. Siamo andati via tranquilli. A settembre è arrivata un’altra lettera simile. Siamo tornati in banca e siamo stati tranquillizzati un’altra volta. Luigino disse di voler disinvestire. Parlò con il direttore e lui ci tranquillizzò che aveva investito anche lui così. Mio marito iniziò a informarsi fino a quando sentimmo a Canale 5 che il presidente del Consiglio Renzi aveva firmato il decreto salvabanche. Mio marito è rimasto con le fettuccine in mano dicendo abbiamo perso tutto». A proposito del “profilo di rischio” dietro cui i funzionari della banca si sono nascosti Lidia ha detto al giudice: «Non sapevamo neppure cosa fossero i profili di rischio, forse eravamo ignoranti noi. Alla fine abbiamo capito che il nostro profilo di rischio era stato modificato».

A proposito di Banca Etruria, ricordiamo le lacrime delle vittime
Protesta contro il crack di Banca delle Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti nel 2015 (Getty Images).

I dipendenti in uno slalom di bugie, rassicurazioni e risposte evasive

Forse sarebbe il caso di ricordare le parole di Marcello De Benedetti, l’ex impiegato della banca Etruria di Civitavecchia ora finito a montare caldaie che a Repubblica disse: «Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore». Racconta De Benedetti: «Eravamo tutti in una sorta di sudditanza psicologica. Dal 2007 al 2014 le azioni sono crollate da 17 euro e rotti a 1 euro e 50 e questo era indicativo del fatto che dovevamo dirottare le entrate su altri prodotti e che dovevamo fare acquistare la qualunque, anche le subordinate. Avendo ingolfato i creditori medio-piccoli tutti noi convincevamo i più danarosi assicurandogli che sarebbe stato un bene per loro, un affare seguendo i nostri consigli. E poi via con lo slalom di bugie, rassicurazioni e risposte evasive».

Dietro la vicenda giudiziaria di Banca Etruria c’è stata un’utile carne da macello

Dietro alla vicenda giudiziaria su Banca Etruria c’è un’umanità che di finanza e economia non ne sa e non è interessata a saperne eppure è l’utile carne da macello. Al di là della vicenda giudiziaria e dei suoi strascichi politici ci sono le lacrime che non finiscono sui giornali. I risparmi di Banca Etruria sono andati in fumo – era già accaduto e accadrà ancora – e noi siamo anestetizzati sulle ricadute che la finanza poco etica ha sull’ordinarietà delle persone. Sembriamo non avere nemmeno le parole per scrivere dei fallimenti affettivi che stanno dietro ai decreti. Forse conviene riportarle in superficie, le lacrime di Luigino.

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