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Scapperanno in 100 milioni

L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha dichiarato che 100 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette ad abbandonare le proprie case nell’ultimo anno. Questo è il numero più alto di sfollati registrato dalla seconda guerra mondiale.

L’Ucraina ha vissuto la crisi dei rifugiati più grande e in più rapida crescita da quando l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è stato istituito nel 1951, ha affermato l’organismo nel suo Global Trends Report. Insieme all’invasione russa dell’Ucraina, la crisi in Afghanistan è stata anche uno dei maggiori eventi che hanno contribuito al “drammatico traguardo” di 100 milioni. Il rapporto scrive che nell’ultimo decennio c’è stata una tendenza al rialzo ogni anno.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha affermato che questa tendenza continuerà, fino a quando la comunità internazionale non si sarà attivata per risolvere i conflitti e trovare soluzioni. La guerra in Ucraina ha creato una crisi di sicurezza alimentare, che costringerà più persone a fuggire dalle loro case nei paesi più poveri, ha affermato l’UNHCR. «Se hai una crisi alimentare oltre a tutto ciò che ho descritto – guerra, diritti umani, clima – questa accelererà la tendenza», ha detto ai giornalisti Filippo Grandi, descrivendo le cifre come «sbalorditive». Ha anche affermato che le risorse si stanno concentrando in Ucraina, mentre altri programmi in tutto il mondo sono rimasti sotto finanziati. «L’Ucraina non dovrebbe farci dimenticare altre crisi», ha detto, ricordando il conflitto in Etiopia e la siccità nel Corno d’Africa.

Grandi ha affermato che la risposta dell’Unione europea alle crisi dei rifugiati è stata “disuguale”. Questo sullo sfondo della generosità con cui sono stati accolti i profughi ucraini, qualcosa che Grandi vorrebbe che fosse concesso a tutti coloro che cercano rifugio. “Certamente si rivela un punto importante: rispondere agli afflussi di profughi, all’arrivo di disperati sulle coste o ai confini dei Paesi ricchi non è ingestibile”, ha affermato. Grandi ha detto che sempre più persone stavano fuggendo dalla regione africana del Sahel per sfuggire a aumenti di carburante, crisi climatiche e violenze. Questi sfollati potrebbero dirigersi a nord verso l’Europa per sfuggire alla crisi. Ha affermato che la regione ha già affrontato anni di siccità e inondazioni, disparità di reddito, scarsa assistenza sanitaria e malgoverno. La crescente crisi della sicurezza alimentare ha aggravato i problemi. “Sono molto preoccupato per il Sahel. E non penso che si parli abbastanza di questa regione che è, tra l’altro, così vicina all’Europa. E penso che l’Europa dovrebbe essere molto più preoccupata”, ha detto.

100 milioni di persone costrette a spostarsi per sopravvivere saranno il carburante per il prossimo sovranismo. E mai una volta che si abbia il coraggio di affrontare la questione alla radice.

Buon venerdì.

Per approfondire, Left del 10 giugno 2022 

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SOMMARIO

 

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A Gaza un’intera generazione in trappola, da 15 anni

A 15 anni dall’inizio del blocco israeliano su Gaza, ancora 2,1 milioni di persone vivono recluse, in quella che di fatto è una prigione a cielo aperto. Un’intera generazione di giovani palestinesi, oltre 800mila, hanno trascorso la loro intera vita in questa situazione, senza conoscere nient’altro.

È la denuncia lanciata da Oxfam alla vigilia del quindicesimo anniversario dall’inizio delle restrizioni imposte sulla Striscia, di fronte ad una situazione di cui non si intravede nessuna soluzione negoziata tra le parti, nonostante gli sforzi umanitari sostenuti dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite, che fino ad oggi hanno stanziato 5,7 miliardi di dollari in aiuti.

«Siamo di fronte ad una crisi divenuta cronica, che costringe organizzazioni come Oxfam,  da anni operativa sul campo, a lavorare per garantire la mera sopravvivenza di una popolazione sfinita, eppure straordinariamente resistente  – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam per le emergenze umanitarie – In questo momento 7 persone su 10 a Gaza dipendono dagli aiuti umanitari per far fronte ai bisogni essenziali di ogni giorno. Il controllo di Israele sulla Striscia è pressoché totale e si spinge a livelli paradossali e punitivi nei confronti della popolazione. Pensiamo alle regole sull’esportazione di pomodori, che di fatto impediscono ai produttori di vendere ciò che hanno coltivato. Rivolgiamo un appello al Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, affinché una revoca immediata del blocco su Gaza divenga prioritaria nell’agenda internazionale».

«Molte restrizioni israeliane hanno ragioni politiche, non certo di sicurezza. Le famiglie palestinesi di Gaza subiscono collettivamente una punizione illegale – ha aggiunto Pezzati – Israele impedisce l’esportazione di pasta di datteri, biscotti e patatine fritte, ha interdetto l’uso del 3G e del 4G sui cellullari, non c’è PayPal. Certamente questo non è un Paese per giovani».

Non sarebbe ora di consegnare alla storia questi 15 anni di blocco? Ora che sono diventati tutti esperti di invasi e di invasori non è il momento di volgere lo sguardo anche qui?

Buon giovedì.

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Giorgia Meloni ovvero la normalizzazione dei reazionari

Giorgia Meloni vola in Andalusia per sostenere la candidata di Vox. Impugna il microfono e comincia a strillare: «Non ci sono mediazioni possibili, o si dice sì o si dice no. Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte». Poi continua a modo suo: «Sì all’universalità della croce, no alla violenza islamista. Sì ai confini sicuri e no all’immigrazione di massa. Sì al lavoro dei nostri cittadini, no alla grande finanza internazionale. Sì alla sovranità del popolo, no ai burocrati di Bruxelles. Sì alla nostra civiltà e no a coloro che vogliono distruggerla».

Il pubblico bela qualche olé a tempo, una televendita dal vivo solo che al posto delle pentole e la bicicletta in omaggio qui si celebrano i “patrioti d’Europa”. Scandalo dalle nostre parti. È comprensibile, a forza di normalizzare Giorgia Meloni per inginocchiarsi al prossimo probabile potentato d’Italia molte penne italiane ce l’hanno rivenduta come una simpatica canaglia che sembra cattiva ma in fondo non è pericolosa.

Giorgia Meloni è pericolosa, eccome. Nelle sue parole, nel suo programma, tra le sue idee si trovano pericolosi ritorni. Ha ragione Lia Quartapelle (Pd) quando dice che «nel deserto che sta diventando la destra, la Meloni sembra quella con le idee chiare, quella meno peggio degli altri. Ma la realtà è che, sotto sotto, lei è sempre la stessa cosa: parole d’ordine fasciste e un passato che non è mai passato». Quartapelle prosegue: «Quando la Meloni parla di lobby Lgbtq, di trame della finanza, di famiglia naturale come se ci fossero famiglie innaturali, quando definisce “l’abisso della morte” i legittimi diritti delle donne ad abortire, sta usando le parole d’ordine della destra estrema. Inoltre, si rifà a una politica dell’identità come se ci fosse un attacco alla tradizione. Ma io di attacchi non ne vedo da nessuna parte. La politica dell’identità si fa quando non sai cosa fare sulle politiche sociali o del lavoro».

Giorgia Meloni se l’è presa per le parole dell’esponente Pd. Sapete cosa ha negato? Di aver preso soldi dalla Russia. Sul resto, evidentemente è d’accordo, se non fiera. Se poi Meloni riuscirà a prendersi in mano il Paese e mostrerà i suoi lati neri vedrete che gli stessi che oggi contribuiscono alla sua potabilità lanceranno l’allarme.

Che danni procura il giornalismo al servizio del potente. Che Paese sempre pronto allo sbando è quello in cui il potere è una virtù.

Buon mercoledì.

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In Francia ha vinto Mélenchon

La Nuova unione popolare ecologista e sociale guidata da Mélenchon è la vera vincitrice del primo turno delle elezioni francesi. Ha ottenuto gli stessi voti di Macron (il 25,7%) e ha distanziato di 8 punti Marine Le Pen. Il risultato è straordinario e se dalle nostre parti ci fosse anche solo una goccia di sinistra nel sedicente partito di centrosinistra ieri avremmo dovuto assistere almeno a qualche timido assaggio. Dal Pd invece si scorge addirittura una certa preoccupazione. È comprensibile: Mélenchon è la dimostrazione plastica che qualsiasi timidezza nell’attuare pratiche realmente di sinistra non sia una “mediazione” ma sia una calcolata ricerca del compromesso.

Mélenchon ha costruito uno schieramento che non si limita a proclamarsi di sinistra ma si oppone nettamente anche al liberismo fintamente progressista. È andato oltre all’idea di “partito” tenendo insieme movimenti, sindacati, malesseri organizzati e organizzazioni. Ha interpretato i conflitti, piuttosto che negarli, facendosene carico anche nel renderli pubblici parlandone ovunque. Non si è messo in testa una fantomatica “unità della sinistra” che avrebbe inglobato storie inconciliabili con i valori di cui si fa portatore: è fiero della propria radicalità. Una parola che da noi suona come una bestemmia.

Quello che qui in Italia qualche penna definisce «exploit del populismo gauchiste di Mélenchon» (che teneri i nostri editorialisti spaventati da chi smodatamente vorrebbe rovesciare i soliti poteri) è semplicemente un programma che non consente smussature. Potrebbe funzionare qui? Resta ovviamente tutta da vedere la declinazione italiana di un’esperienza politica francese. Siamo fin troppo abituati al giochetto deludente del papa straniero. Ma come osserva Nicola Fratoianni la scelta di Mélenchon «ha consentito alla sinistra e agli ambientalisti francesi di bucare il tetto di cristallo del voto utile, che li aveva sempre penalizzati in precedenza». Se leggete il programma elettorale di Mélenchon vi accorgerete che esiste una visione del mondo che non rimane imbucata nella cassetta degli idealisti e ottiene enorme consenso popolare. Ognuno tiri le somme.

Buon martedì.

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Non vediamo l’ora di assistere al referendum sul Reddito di cittadinanza

In un Paese normale, dove questi presunti leader politici avrebbero un buon amico che gli direbbe di smettere di vivere nella loro bolla, oggi dovremmo avere tutti i leader di partito nelle piazze per un tour di comizi al contrario. Ascoltare invece di parlare, tastare il polso di un Paese che mentre questi discutono delle loro alleanze vere, finte e presunte è pieno di persone che guardano con enorme preoccupazione il proprio futuro.

Saprebbero, ad esempio, che l’unica lista che interessa davvero non è quella dei presunti amici di Putin buoni per giornali che – come i referendum – hanno più opinionisti che lettori ma la lista della spesa che soffre negli ultimi giorni del mese, in attesa spesso del salario da fame del mese successivo.

Saprebbero, i nostri politici, che esistono preoccupazioni che riguardano il domani, subito qui, e che con l’autorevolezza (vera o presunta) del presidente del Consiglio non riescono a impolpare il proprio conto corrente. Saprebbero anche che mentre si discute di diritti con la frivolezza di influencer con stipendi da senatori c’è gente che è nata in Italia e non riesce a ottenere la cittadinanza, scoprirebbero che la comunità LGBTQ+ continua a contare feriti nel bollettino quotidiano, scoprirebbero che la precarizzazione del lavoro ha precarizzato anche le speranze, scoprirebbero che la povertà aumenta mentre certa imprenditoria ingrassa, scoprirebbero che in Italia si riesce a essere poveri anche lavorando.

Ma non lo capiranno, vedrete, e faranno peggio. Anzi, non vediamo l’ora di assistere al referendum sul Reddito di cittadinanza.

Buon lunedì.

 

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La bambina nata in nessun luogo

Un tribunale spagnolo ha concesso la cittadinanza a una bambina nata su una barca di migranti in viaggio verso la Spagna nel maggio 2018.

Dalla sua nascita da madre camerunese, la bambina ha vissuto solo in Spagna. Tuttavia, essere nati in (o vicino) alla Spagna, non è sufficiente per conferire la nazionalità a un bambino. Come molti altri paesi la Spagna richiede che un bambino nasca da almeno un genitore con la nazionalità spagnola, o che sia figlio di qualcuno che vive in Spagna da più di dieci anni, o che sia figlio di qualcuno che è sposato con un cittadino spagnolo,

Ma, secondo l’agenzia di stampa francese Agence France Presse (AFP), le autorità giudiziarie della provincia di Guipuzcoa nei Paesi Baschi, hanno affermato di aver preso la decisione di concedere al bambino la cittadinanza spagnola in base all’interesse superiore del bambino, che hanno descritto come un “obiettivo costituzionalmente legittimo”.

La corte ha sostenuto che lasciare la bambina apolide l’avrebbe “messa in una situazione di disuguaglianza rispetto ad altri bambini” e sarebbe stata una “negazione significativa dei suoi diritti fondamentali, incluso il diritto all’istruzione”.

Negli anni successivi, la madre della ragazza è stata registrata dalle autorità spagnole, ma la figlia è rimasta apolide, il che le ha impedito di accedere all’assistenza sanitaria o all’istruzione.

La sentenza, ha riferito Euronews, è una conferma di una precedente decisione del tribunale risalente al novembre 2021 che il governo spagnolo aveva contestato. Tuttavia, la Corte Suprema spagnola potrebbe ancora ribaltare quest’ultima decisione.

L’agenzia di stampa AP, ha affermato che l’ufficio stampa della corte e la Commissione spagnola per i rifugiati hanno dichiarato che questa decisione è stata la prima del suo genere per un Paese dell’Unione europea.

Buon venerdì.

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Ambientalisti à la carte

Hanno deciso che dal 2035 saranno proibite le auto a benzina e diesel nell’Unione europea. Fin qui una buona notizia. Ma a Strasburgo si è consumata l’ennesima puntata della finzione ecologista dei governi bravi a sventolare buoni propositi e poco altro.

Sul piano Fit for 55, il testo base del Green Deal europeo, su 3 capitoli degli 8 al voto in questa plenaria sui 14 totali del «pacchetto clima» (che impegna la Ue a diminuire del 55% le emissioni di Co2 entro il 2030 per arrivare alla neutralità Co2 nel 2050) l’Europarlamento ha bocciato – e rimandato in commissione Ambiente (Envi) per un nuovo negoziato – la riforma del mercato delle emissioni di Co2, con la conseguenza della sospensione del voto che doveva approvare la carbon tax alle frontiere esterne – la contropartita per far passare la riforma del permesso a inquinare – e il punto sull’istituzione del Fondo sociale per il clima, che dovrebbe compensare le difficoltà della transizione climatica per i meno abbienti.

Ora non se ne parla almeno fino a settembre. Ci sono consistenti segnalazioni delle pressioni delle lobby sui parlamentari europei avvenute nelle ultime settimane. Vista la bocciatura in Aula della riforma dell’Ets (Emissions trading system), la maggioranza ha deciso di rimandare altri due voti previsti per oggi sul pacchetto Fit for 55, quello sul fondo sociale per il clima e anche il voto finale sul Carbon Border Adjustment Mechanism, il “dazio climatico”. Entrambi sono stati rinviati in attesa che si raggiunga un accordo sulla riforma dell’Ets.

Dentro c’è anche un dato politico importante tutto italiano: della maggioranza (finta) che sostiene il governo Draghi la Lega ha votato contro, Fi a favore, M5s si è astenuto e 4 del Pd (che si è in maggioranza astenuto) hanno votato contro. Continuiamo a immaginare coalizioni future e maggioranze di governo senza tenere conto delle posizioni sul clima, come se fosse un aspetto secondario. Siamo immaturi su tutto: il fatto stesso che non ci interroghiamo sulle posizioni ambientali di un’eventuale alleanza politica dimostra che risparmio energetico, clima e cambiamento climatico siano considerati temi semplicemente emergenziali mentre pretendono visione e armonizzazione di tutte le politiche connesse (che sono quasi tutte).

Siamo ancora all’ambientalismo come vezzo, un punto da aggiungere al programma elettorale con distrazione. Stiamo messi così.

Buon giovedì.

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Chi paga i costi della guerra

«Se il mondo non allarga il suo sguardo dalla guerra in Ucraina e non agisce immediatamente, nel Corno d’Africa si verificherà un vertiginoso aumento di morti di bambini». Sono le parole di Rania Dagash, Vice direttore regionale Unicef per l’Africa orientale e meridionale.

Poi ci sono i numeri: «Circa 386mila bambini in Somalia – spiega Rania Dagash – adesso hanno bisogno disperato di cure salvavita per la malnutrizione acuta grave, che mette a rischio la loro vita – superando i 340mila bambini che avevano bisogno di cure al tempo della carestia del 2011. Il numero di bambini che stanno affrontando la forma più letale di malnutrizione è incrementato di oltre il 15% in 5 mesi. In Etiopia, Kenya e Somalia, oltre 1,7 milioni di bambini adesso hanno urgente bisogno di cure per la malnutrizione acuta grave».

Nel corso di due anni sono mancate quattro stagioni delle piogge, distruggendo i raccolti e il bestiame e prosciugando le fonti d’acqua. Le previsioni indicano che anche le prossime piogge di ottobre-dicembre potrebbero non verificarsi. Tutti e tre i Paesi – Etiopia, Kenya e Somalia – hanno registrato un numero significativamente più alto di bambini gravemente malnutriti ammessi a cure nei primi tre mesi del 2022, rispetto allo stesso periodo nel 2021: in Etiopia il tasso è stato più alto del 27%; in Somalia del 48%; in Kenya del 71%.

Anche i tassi di mortalità sono preoccupanti. «Quest’anno – torna a dire Dagash – in diverse delle aree più duramente colpite del Corno d’Africa, il numero di bambini morti per malnutrizione acuta grave con complicazioni mediche nei centri di trattamento ospedaliero è triplicato rispetto all’anno precedente. Tra febbraio e maggio, il numero di famiglie senza un accesso affidabile all’acqua pulita e sicura è quasi raddoppiato, passando da 5,6 milioni a 10,5 milioni».

«Le vite dei bambini nel Corno d’Africa – spiega ancora la vice direttrice – sono esposte a maggiori rischi a causa della guerra in Ucraina. Solo la Somalia importava il 92% del grano da Russia e Ucraina, ma le linee di approvvigionamento sono bloccate. La guerra sta acuendo l’aumento vertiginoso dei prezzi globali di cibo e carburante, il che significa che molte persone in Etiopia, Kenya e Somalia non possono più permettersi i generi alimentari di base di cui hanno bisogno per sopravvivere».

Funziona così il mondo: i potenti si dichiarano guerra, i figli dei poveri vengono mandati sul campo a morire e i poverissimi del mondo ne pagano i costi.

Buon mercoledì.

 

In foto, alcuni bambini camminano nel campo profughi di Kakuma, in Kenya

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L’Africa come posacenere del mondo

Cento milioni di morti nel 20° secolo. 1.500 miliardi di dollari di costi sanitari. Secondo un rapporto dell’organizzazione di politica sanitaria globale Vital Strategies e dell’Università dell’Illinois Chicago nell’ultima edizione del Tobacco Atlas , l’era del grande tabacco sta volgendo al termine: c’è un calo inequivocabile dei tassi di fumo globali, a 19,6 % nel 2019 dal 22,6% nel 2007.

Ma tra le righe c’è anche la strategia per garantire profitti alle industrie del tabacco: il nuovo mondo da conquistare sarà l’Africa. Come delineato in una ricerca dell’Università di Bath, un partner del watchdog dell’industria del tabacco, Stopping tobacco organizations and products (Stop): «Per proteggere i propri profitti, le società transnazionali del tabacco (Ttc) hanno iniziato a spostare la propria attività verso mercati relativamente non sfruttati in alcune parti del il mondo in cui le opportunità di crescita sono in gran parte illimitate … In nessun luogo questa prospettiva sottosfruttata è matura per la raccolta come l’Africa. I Ttc si stanno espandendo nei Paesi africani, dove, escluso il Sudafrica, il mercato del tabacco è cresciuto di quasi il 70% negli anni 90 e nel primo decennio del 21° secolo». Mentre i profitti vengono soffocati in occidente, il grande tabacco ha preso di mira le comunità africane, e in particolare i loro giovani, come incubatori di nuove iniziative mortali. L’ Africa Center for Tobacco ha riferito nel 2016 di come negozi e carretti a mano che vendevano sigarette insieme a dolci operavano vicino alle scuole in Camerun e Burkina Faso. L’Atlante del tabacco fornisce dati concreti sull’attenzione globale ai giovani del settore, rilevando che i tassi di fumo tra i 13 ei 15 anni sono in aumento in 63 Paesi.

Le economie africane continuano a essere vulnerabili: il colonialismo ora passa attraverso i prodotti come il tabacco, già certificati pericolosi e limitati in Europa eppure pronti per ritrovare una seconda vita in Africa. Così abbiamo un mondo in cui i Paesi ad alto reddito costruiscono un futuro senza tabacco mentre i poveri, come sempre, diventano il sacchetto dell’umido. In questo caso sono pronti a farsi anche posacenere pur di non spegnere il sorriso alle multinazionali. Noi, come sempre, qui fermi a guardare.

Buon martedì.

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«Non siamo animali»

I Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) sono uno dei tanti buchi neri in un sistema che gode di impunita disattenzione dalla stragrande maggioranza dei media. Nel Cpr di Gradisca d’Isonzo accade che in virtù degli accordi tra Italia e Tunisia (una corsia preferenziale per i rimpatri con più di qualche lacuna dal punto di vista dei diritti) il rimpatrio venga utilizzato addirittura come minaccia contro famiglie con figli che sono in Italia e lavorano in Italia da anni.

La situazione la spiega bene Francesca Mazzuzi, della campagna LasciateCIEntrare:

«Tutto grazie agli accordi tra i due Paesi che consentono di eseguire rapidamente rimpatri collettivi, contrari alle norme internazionali. Anche il parlamentare tunisino Majdi Karbai ha recentemente mostrato le condizioni del Centro di Gradisca d’Isonzo in un video pubblicato sul suo profilo Facebook. I tunisini appena sbarcati nelle coste siciliane continuano a trovarsi in un vortice di privazione della libertà e di impossibilità di ricevere un’adeguata informativa legale per fare valere i propri diritti. Tanti sono trovati senza documenti in seguito a controlli di polizia, altri sono costretti a una nuova reclusione dopo avere già concluso la pena in un carcere. Tutti hanno una cosa in comune: nessuno è nel Cpr per avere commesso un reato, ma per un illecito amministrativo, violazione che solo per gli stranieri significa privazione della libertà personale. “Qui non funziona niente” raccontano dall’interno, “ci trattano come animali”, “non abbiamo diritti, non ci ascoltano”. “Ma è normale che qui non ci sia un assistente sociale o un operatore legale a cui rivolgersi?”. No, non dovrebbe essere così. Queste figure sono previste anche dai capitolati di appalto che regolano i servizi che l’ente gestore deve garantire, anche se il monte ore previsto è ridicolo rispetto al tempo che dovrebbe essere dedicato a ciascuna delle persone detenute nei Cpr. Alcuni non ricevono una terapia adeguata perché la visita con lo psichiatra avviene dopo oltre un mese dall’ingresso nel Cpr e solo dopo accese proteste si ha la possibilità di essere ascoltati. Succede di tutto: tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, materassi incendiati, solo per ricevere cure ed essere trattati come “persone”. Solo per avere accesso ai diritti basilari. Se ingoi lamette e bevi candeggina non vieni portato immediatamente in ospedale, ma nell’infermeria del centro ti danno “uno sciroppo”.  In questo indegno gioco psicologico in cui si è continuamente minacciati di venire rimpatriati tutti e in qualsiasi momento, c’è chi non dorme da giorni… perché vengono a prenderti la mattina molto presto. Qualche giorno fa ci sono state “grandi pulizie”, pare fosse imminente l’ingresso di una qualche associazione per i diritti umani, ma finora non si è visto nessuno. Nessuno che possa raccogliere le testimonianze e le storie di chi chiede solo di essere ascoltato e di essere trattato con dignità.
A un certo punto pare aprirsi una breccia dalla quale scorgere un briciolo di umanità. La scorsa settimana sono stati messi a disposizione un pallone e delle carte da gioco. Una grande conquista, giocare aiuta a passare il tempo e a distrarsi dal chiodo fisso del rimpatrio, ma ecco che, alcuni giorni fa, insieme a un pallone arriva anche uno scontrino di euro 8.90 a carico delle persone recluse nel Cpr. Un altro misero modo di lucrare sulla pelle di chi è privato della libertà. …  Al momento è in corso la gara di appalto per la nuova gestione del Centro di Gradisca, per 150 posti, per un importo di circa due milioni e mezzo di euro per un periodo di dodici mesi, rinnovabile di altri dodici. Le offerte sarebbero dovute essere presentate entro il 31 marzo 2022 per l’avvio di gestione previsto al 16 giugno, ma per ora non è stata pubblicata alcuna notizia sui partecipanti alla gara e tantomeno del suo esito».

Continuando a tollerare sacche di illegalità prima o poi, la storia ce lo insegna, capita di finirci dentro.

Buon lunedì.

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