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Cambi casacca: il caso scuola di Michela Rostan, dal Pd a Forza Italia

Che siamo ormai già in campagna elettorale lo capisci da diversi indizi, uno su tutti il riposizionamento di chi deve trovare un approdo per le prossime elezioni. Accade a chi è caduto in disgrazia nel proprio partito, a chi è in un partito caduto in disgrazia: la transumanza è l’unica salvezza. Poiché diventerà un genere letterario (è vero, i cambi di casacca in questa legislatura sono già record ma come nel calciomercato sono decisive solo le fasi finali) possiamo dire che a spiccare per ora è Michela Rostan, 40enne deputata già alla seconda legislatura, che è stata accolta a braccia aperte da Antonio Tajani in Forza Italia che l’ha definita una «parlamentare molto radicata sul territorio». Sul territorio non ci è dato saperlo, ma che il radicamento sia una delle caratteristiche inconfutabili della deputata lo mostra la sua storia politica che è interessante conoscere perché si tratta di una caso scuola.

Rostan, piddina pro Renzi che lascia il partito per entrare in Articolo 1

Michela Rostan viene eletta in Parlamento nel 2013, nelle liste del Partito Democratico nella circoscrizione Campania 1. La sua storia con il Pd però inizia già nel 2007, quando prese parte alle primarie. L’attuale ministro Andrea Orlando (allora commissario del Pd di Napoli) la nomina responsabile del Forum provinciale dell’immigrazione. Alle primarie per le elezioni del 2013 risulta la terza donna più votata «nella provincia di Napoli» (lo scrive lei nella sua bio). Nel Partito Democratico appoggia convintamente Matteo Renzi. Proprio l’appoggio a Renzi stona con il suo abbandono il 14 marzo del 2017 del Pd per aderire ad Articolo 1, il partito di Bersani, D’Alema e Speranza. A prima vista però si potrebbe pensare che, come molti altri, sentisse l’esigenza di più “sinistra” rispetto alla svolta centrista dell’ex premier. Fatto sta che con Articolo 1 Mdp viene rieletta alle Politiche del 2018 nella lista di Liberi e Uguali (che comprendeva anche Articolo 1).

Cambi casacca: il caso scuola di Michela Rostan dal Pd a Forza Italia
Michela Rostan (da Facebook).

L’addio ad Articolo 1 per aderire a Italia Viva che lascia per entrare nel Misto

Ora arriva il capolavoro: a febbraio del 2020 Michela Rostan decide di abbandonare Articolo 1 – Mdp. Nella sua lettera d’addio parla di «difficoltà ormai manifesta di affrontare battaglie politiche che considero importanti, in totale solitudine». Rostan lamenta di non avere avuto aiuto nemmeno dal ministro della Salute Roberto Speranza (suo compagno di partito) per mantenere i farmaci che combattono l’epatite C nel Fondo per gli innovativi che era in scadenza. Chiarisce però di voler continuare a votare la fiducia al governo Conte (siamo nel Conte 2). Dove si accasa Rostan? In Italia Viva di Matteo Renzi. Sì, lo so, sembra fantascienza. Solo che nemmeno un anno dopo Rostan vota la fiducia al governo Conte in disaccordo con Renzi: «Ho deciso di votare la fiducia al governo Conte. Lo faccio perché tra la critica al governo e la crisi di governo c’è una grande differenza, e la differenza si chiama politica, cioè ricerca delle soluzioni, tentativo di intesa». Inevitabile l’uscita da Italia Viva e l’adesione al Gruppo Misto.

Cambi casacca: il caso scuola di Michela Rostan dal Pd a Forza Italia
La Camera dei deputati (Getty Images).

I contatti falliti con il M5s e con la Lega e l’approdo a Forza Italia

Siamo alle battute finali della storia. Su Stylo24, giornale fondato da Simone De Meo, si legge che la deputata «avrebbe tenuto diversi contatti con ambienti grillini per potersi presentare alle elezioni sotto il simbolo del Movimento 5 stelle». Nell’articolo, a firma di Mauro Della Corte, si riporta anche di alcune trattative avute con esponenti dalla Lega. L’operazione non è andata a buon fine, evidentemente, ma Rostan si può ora accomodare tra le fila di Forza Italia. Preparatevi perché da qui alle prossime elezioni sarà una fiera di giravolte per provare a tenersi uno scranno. Un teatro dell’assurdo con in contorni della commedia che fotografa perfettamente il momento. Non servono nemmeno studi o convegni per comprendere le ragioni della “disaffezione alla politica” da parte dei cittadini. O no?

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La guerra liquida nel Mediterraneo

Sono almeno 600 i morti della guerra che non interessa a nessuno e che fatica a fare notizia. Del resto i morti di questa guerra non entrano negli zoom dei cronisti di guerra, stanno sott’acqua impigliati in qualche pezzo di barca oppure si frollano prima di essere mangiati dai pesci. Nella guerra liquida del Mediterraneo (una delle trentatré guerre in corso nel mondo in questo momento) nel mese di maggio appena concluso 8.655 nuovi arrivi contro i 5.679 del 2021. Da inizio anno 19.416 contro i 14.692 del 2021. Oltre 600 persone scomparse e decedute nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale (138 corpi ritrovati e 462 dispersi), a fronte di 7.067 persone violentemente respinte in Libia e riportate in detenzione illegale.

La situazione la riporta Meeting Pot Europa che ripercorre gli avvenimenti del mese appena passato, dei naufragi che hanno ottenuto ancora meno spazio del solito e che ancora una volta sono il risultato della criminale omissione di soccorso degli stessi Paesi così celeri quando c’è da chiudere lo scatolone delle armi. Ci sono i 76 morti del 25 maggio che non hanno nemmeno avuto un tweet dai politici, perfino quelli che si definiscono più democratici e progressisti. Ci sono i salvataggi in mare grazie alle navi di quelle Ong che nonostante il fango da cui sono state ricoperte continuano a svolgere il proprio lavoro, quello che dovrebbe fare l’Europa. Delle Ong non se ne parla più perché altrimenti bisognerebbe dare conto dei processi che erano solo accanimento politico senza nessuna base giudiziaria (e infatti sono finiti in niente) e perché effettivamente fa paura a una certa politica che questi nonostante tutto siano lì, tutti i giorni, a salvare vite: sono professionisti nel senso più alto del termine, professano i propri valori nel proprio mestiere.

A proposito di guerre: in un appello del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (C.I.S.D.A.) si scopre la situazione degli afghani. «Dopo tante risorse spese per spostarsi al di fuori del proprio Paese – si legge nell’appello -, i loro visti sono in scadenza, o scaduti,  e le spese di mantenimento diventano insostenibili. Per molte e molti, la permanenza in questi Paesi confinanti è un ulteriore fattore di rischio per la presenza di organizzazioni fondamentaliste legate, o meno, al governo talebano, o per la prassi sempre più diffusa dei rimpatri. Si tratta in gran parte di persone che si sono esposte pubblicamente durante il periodo dell’occupazione militare Nato a guida Usa, e che anche la clandestinità non può proteggere. La vergogna per le incresciose modalità con cui si è svolto il ritiro delle truppe occidentali, non è cancellata dal nuovo dossier ucraino perché le ragioni che sono all’origine del disastro a cui abbiamo assistito a metà agosto sono ben presenti alla nostra memoria e sono parte delle lezioni afghane che dovrebbero essere patrimonio anche della politica. Sale anche lo scandalo per l’incomprensibile blocco dei corridoi umanitari che avrebbero dovuto portare in salvo in Italia almeno un primo gruppo di 1.200 persone a rischio di vita e di persecuzione in Afghanistan, dopo il ponte aereo dell’agosto scorso».

Anche la guerra in Afghanistan alla fine è finita sott’acqua.

Buon venerdì.

 

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La fine della vergogna delle navi quarantena, finalmente

L’avevamo scritto qui che le navi quarantena erano un’illegalità di Stato in mezzo al mare. E infatti il governo italiano ha deciso di abbandonare l’uso delle navi da quarantena adottate durante la pandemia per isolare i migranti in mare dopo il loro arrivo in Italia.

Al culmine della pandemia di Covid-19, cinque navi erano in servizio per isolare irregolarmente i migranti appena arrivati in Italia. Ne rimangono solo due, ma tra pochi giorni il sistema di quarantena offshore finirà e le navi saranno riportate alla loro “missione” originale: il trasporto di turisti.

Le navi di quarantena sono state attivate nel bel mezzo dell’emergenza Covid nell’estate del 2020. I migranti sono stati isolati offshore al loro arrivo per alleviare la pressione sul sistema sanitario.

Martedì 31 maggio, è stata ordinata una proroga ordinata dal ministero della salute che ne ha permesso la scadenza dell’uso e non sono previsti ulteriori rinvii. Ciò significa che, una volta terminato il periodo di quarantena per le persone attualmente a bordo delle navi Azzurra e Aurelia (rispettivamente a Lampedusa e Pozzallo), il servizio terminerà.

Le misure sanitarie per i nuovi arrivati – poiché si prevede che i flussi migratori aumenteranno in modo significativo in estate – si svolgeranno a terra.

Venerdì 27 maggio, il Garante per i diritti delle persone detenute, Mauro Palma, ha chiesto la loro abolizione il prima possibile. Le navi da quarantena, ha detto, erano «una soluzione transitoria ed eccezionale connessa allo stato di emergenza sanitaria». «Lo stato di emergenza tuttavia è terminato il 31 marzo (quasi due mesi fa!) e non sono ancora state dismesse», ha osservato.

Due decreti emessi dal ministero della Salute avevano esteso l’uso del sistema di quarantena offshore per i nuovi arrivi sul territorio nazionale. Ora le prefetture in prima linea negli arrivi, in particolare quelle sull’isola di Sicilia e nella regione meridionale della Calabria, gestiranno gli arrivi quest’estate – con il coordinamento del ministero dell’Interno – utilizzando centri di accoglienza e hotspot sulla terraferma.

Nel frattempo le partenze dal Nord Africa sono in aumento: 18.841 sbarchi sono già stati registrati nei primi cinque mesi dell’anno, in aumento di 4.500 rispetto allo stesso periodo del 2021. Le navi di soccorso per migranti gestite da Ong sono in piena attività: lunedì mattina (30 maggio) l’Ocean Viking gestito da Sos Mediterranee ha portato 294 migranti al porto di Pozzallo. Altri 80 sono stati salvati nel pomeriggio lo stesso giorno dalla Aurora, la nuova nave dell’organizzazione di soccorso tedesca Sea-Watch. Secondo quanto riferito, una barca con 280 persone a bordo è arrivata a Reggio Calabria; e si dice che l’hotspot di Lampedusa sia ancora una volta sovraffollato.

Buon giovedì.

Nella foto: migranti si imbarcano nella nave quarantena Azzurra a Lampedusa, 13 maggio 2021

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Il capitano faccendiere

Il quotidiano Domani svela che Matteo Salvini (e il suo nuovo consulente, l’ex deputato di Forza Italia Antonio Capuano) l’1 marzo hanno incontrato in gran segreto l’ambasciatore russo Sergej Razov a Roma, in una bella cenetta intima come ai bei tempi quando il leader della Lega sognava di essere il nuovo Putin all’amatriciana. È stato il primo di una serie di incontri (in tutto sarebbero 4) in cui un esponente di uno dei principali partiti di governo ha intavolato una trattativa parallela con la Russia (sulla base di rapporti che non abbiamo mai conosciuto nella loro interezza) senza informare il governo di cui fa parte, senza informare la classe dirigente del suo partito e senza informare il ministero italiano.

Il viaggio in Russia di Salvini (che faceva schifo anche prima di conoscere tutti i retroscena) era solo la nuova puntata di una saga che si consumava sotto traccia (sembra anche con l’aiuto di alcuni esponenti del Vaticano) e. che avrebbe dovuto (nell’idea di Salvini e Capuano) rendere il leader della Lega “salvatore del mondo” con una pace firmata in tasca dopo una gita a Mosca.

Ci sono diversi profili in tutta questa storia che sono piuttosto imbarazzanti. C’è innanzitutto l’abituale scollegamento di Salvini con la realtà, convinto davvero di poter essere il Sancho Panza che con il suo poco peso politico, le sue poche competenze e la sua scarsa credibilità avrebbe potuto risolvere un conflitto. Poi c’è lo stato dell’arte del centrodestra italiano che sostanzialmente non esiste ma è semplicemente un recinto elettorale in cui tutti pascolano a modo loro, senza rinunciare al boicottaggio dei loro stessi alleati. Infine c’è un governo, questo che ci ritroviamo in Italia, che incomprensibilmente si tiene insieme su convergenze difficili da individuare.

L’ennesima figura barbina, ancora.

Buon mercoledì.

Nella foto: Matteo Salvini a Porta a porta, 24 maggio 2022

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Confindustria rea confessa

Ieri all’Assemblea di Assolombarda il ministro Colao non ci è andato leggero: «I costi del Pnrr sono debito – ha detto il ministro – , non sono regali ma impegni presi. Per questo ci dobbiamo ricordare dei ragazzi: assumete di più, pagateli di più senza differenze di genere. Le risorse umane sono l’asset più importante che avete e c’è anche una legislazione favorevole. E poi c’è la formazione, rinunciarci è autolesionista».

Ti saresti aspettato che dopo un invito (o forse un monito) del genere gli imprenditori avrebbero risposto cogliendo l’opportunità ma qui in Italia certi imprenditori hanno visioni lunghe al massimo dal loro ufficio fino alla macchinetta del caffè e così accade che il solito Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, confessi: «Quando cerchiamo i giovani per dargli lavoro abbiamo un grande competitor che è il reddito di cittadinanza». «È vero – ha aggiunto – che il reddito di cittadinanza esiste anche in altri Paesi europei. Ma è anche vero che quando rinunci ad un posto di lavoro ti tolgono il reddito. Si sono trovati i soldi per rifinanziare il reddito di cittadinanza ma senza riformarlo, nonostante non abbia nessun valore dal punto di vista di politiche attive del lavoro».

Finalmente ha confessato, finalmente abbiamo le carte in tavola. Il presidente di Confindustria ritiene il Reddito di cittadinanza, quei pochi spicci che sono ossigeno per persone che spesso risultano inoccupabili come certifica l’Inps, un “competitor” dell’industria italiana. E poiché gli imprenditori quando giocano a fare gli imprenditori splendenti ripetono spesso “dimmi chi sono i tuoi competitor e ti dirò chi sei” possiamo tranquillamente dedurre che un pezzo dell’industria italiana ha in testa di competere con un sussidio di dignità e sopravvivenza considerandolo un vero e proprio salario.

Sia quindi benvenuto questo tempo in cui i cittadini hanno le forze e lo spirito per rifiutare l’essere schiavi di una classe imprenditoriale inetta che ha come unico talento quello di lucrare sulla povertà mentre finge di puntare sulla qualità del lavoro. Ben venga la confessione di Bonomi che certifica, più di qualsiasi marchio e certificazione, lo spessore di certa imprenditoria italiana. Di quel mondo industriale ne facciamo volentieri a meno.

Buon martedì.

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Balneari, la ricreazione è finita

Ciò che sta accadendo sulle concessioni balneari è una fotografia interessante dello stato del Paese. Su twitter l’utente @portakittepare la spiega semplice semplice: «Cos’è una concessione amministrativa di beni pubblici? La premessa di fondo è che le spiagge sono beni che appartengono al demanio necessario. Cioè sono PER FORZA DELLO STATO, cioè sono PER FORZA DI TUTTI. Come si spiega che ci si fa soldi sopra E n’attimo, mo vi dico. Essendo le spiagge roba di tutti, il loro sfruttamento economico è subordinato ad una condizione fondamentale: deve soddisfare l’interesse pubblico (in questo caso) ad una migliore fruizione della spiaggia. Badate: sta cosa vale per TUTTE LE CONCESSIONI. Prendete ad esempio, cazzo ne so, le concessioni per la telefonia: l’etere è di tutti, ma per sfruttarlo per telefonare e per internet servono competenze specifiche e infrastrutture costose, e si ricorre al mercato. Si ricorre alla CONCESSIONE, in generale, se la risorsa pubblica sia limitata.

2. La direttiva Bolkestein. Si tratta di una normativa europea, recepita in Italia, che vincola gli stati membri a garantire che, laddove le risorse da attribuire in sfruttamento ai privati siano per loro natura limitate, deve essere garantita la concorrenza. Come si garantisce la concorrenza Attraverso il rispetto di alcuni principi, fra i quali la TEMPORANEITÀ della concessione; la PARITÀ DI ACCESSO, tipicamente attraverso lo svolgimento di una gara. In sostanza, si vuole evitare il consolidamento di posizioni dominanti nel mercato. In altre parole, è VIETATO costituire concessioni perpetue o irragionevolmente lunghe.

3. Il simpatico Stato italiano. Il punto è che in Italia, apparentemente, amiamo fare promesse agli imprenditori che poi ci regalano cose. Le nostre concessioni sono state storicamente lunghissime, poco costose e la gente ci ha mangiato assai. Solo che poi è arrivata Bolkestein. Il diritto europeo funziona così: se una norma nazionale contrasta con una norma europea, la norma nazionale è un uomo morto. Cioè si disapplica. Cioè il giudice la prende e dice: “Oh tu non esisti più” e quella muore, come GM Volonté contro C Eastwood in un film di S. Leone. Il tenacissimo legislatore se ne è storicamente catafottuto e ha disposto proroghe su proroghe. Il Consiglio di Stato è intervenuto, da ultimo, con una pronuncia della Adunanza Plenaria. La Plenaria è importante perché vincola il giudice amministrativo quasi come il Common Law.

4. Il Consiglio di Stato. Le pronunce della Plenaria sono in effetti due, la 17 e la 18 del 2021, e le trovate qui. La Plenaria dice una cosa pazzesca: non solo la proroga è illegittima, ma QUALSIASI PROROGA, anche futura, è illegittima e va disapplicata NON SOLO DAL GIUDICE, MA ANCHE DAI FUNZIONARI AMMINISTRATIVI. La Plenaria dice “Legislato’, hai voglia a fare, sto giro non passi. Se pure la legge dicesse “proroga”, la pubblica amministrazione stessa sarebbe comunque TENUTA a ignorare l’esistenza della proroga e dovrebbe fare i bandi nuovi e le gare”. Gli indennizzi. Permettetemi una premessa: che significa indennizzo? L’indennizzo, diciamo in questo caso, va pensato come una contropartita rispetto a qualcosa di spiacevole ma tutto sommato lecito. Più in generale “indennizzo” si differenzia dal “risarcimento” per questa ragione: il risarcimento presuppone un illecito (un danno ingiusto, un inadempimento contrattuale). Un indennizzo è un aglietto, diciamo. Nel caso delle concessioni, si legge che l’indennizzo dovrebbe mitigare il pregiudizio subito da chi ha investito, presupponendo di ammortizzate i costi per tempi lunghissimo, e poi si è ritrovato all’improvviso con uno Stato che decide che guarda un po’? La concorrenza. Il problema, di natura politica, è quindi: 1) se accordare un indennizzo a chi esce e non riesce ad aggiudicarsi una gara nuova; 2) quanti soldi dargli. La regola (ve la semplifico ma il concetto è questo) è che la PA non può pagare soldi a chi non è in regola col pagamento di tasse e contributi, per valori superiori a 5000 euro. Cioè se hai buffi con fisco, INAIL, INPS ecc. per oltre 5000 euro non puoi essere pagato. Sembra una regola di buon senso, vero? È una cazzata, in realtà, almeno in generale: pensate che la PA è spesso in ritardo coi pagamenti. L’appaltatore che non viene pagato ritarda a pagare tasse o contributi e quindi non può essere pagato. Al posto del pagamento si attiva un bizantino procedimento di pignoramento dei debiti fiscali e nel frattempo si va incontro a tutta una serie di altri cazzi potenziali, che vi risparmio. Si risolverebbe facile con un sistema di compensazione automatica dei debiti e dei crediti, tanto va tutto sulla stessa piattaforma elettonica del MEF, ma le cose facili non ci piacciono, preferiamo avere evasori che falliscono, that’s how we do it, deal with it. Insomma, lo scherzo: alcuni imprenditori della balneazione, diciamo, si troveranno a chiedere l’indennizzo e a sentirsi rispondere: “Eh no, tu hai i buffi”. La quantificazione dell’indennizzo poi andrebbe commisurata al tempo (magari indefinito) della concessione interrotta oppure al valore effettivo degli investimenti effettuati? Dovrebbe tenersi conto dell’eventuale valore irrisorio, rispetto a quello di mercato, del canone concessorio che si pagava prima Si tratta di una questione “politica”, rispetto alla quale contano i voti che le forze politiche vanno cercando. Non andrebbe trascurato un elemento, che ora vi dico. Alcune vecchie concessioni, rinnovate in automatico, furono rilasciate da amministrazioni di cui non si può dire che fossero infiltrate dalla mafia, ma erano infiltrate dalla mafia. Oppure se ne è fatto merce di voto di scambio, molto semplicemente, facendo regali ad amici e ad amici di amici. Sono storture aberranti su cui è impossibile indagare con qualche obiettivo concreto, a distanza di anni. Il sistema delle gare dovrebbe in teoria limitare, se non eliminare, proprio questo tipo di cose. La temporaneità della concessione dovrebbe poi consentire un ricambio. Qual è il problema allora Ce n’è uno semplice. Il contesto di mercato. Il mercato dei servizi balneari a me pare piuttosto chiuso. Cioè uno che ne esce avrà difficoltà a rientrarvi a distanza di anni. Questo porterà ad un fenomeno simile a quello che sta succedendo, per ragioni diverse, in un altro mercato pure contingentato, che è quello delle farmacie. Il mercato, cioè, sarà via via occupato da operatori molto grossi che potranno fare investimenti maggiori, su zone diverse d’Italia, correre il rischio di perdere alcuni lotti compensando con altri, ed espellere dal mercato le imprese più piccole. Per le farmacie è stato lo stesso: oggi molte piccole farmacie di paese sono entrate in crisi (anche a causa, guarda un po’, della lentezza dei pagamenti delle ASL) e sono state fagocitate da grosse società con grossi capitali, che se le comprano a pacchi. In questo modo, la “liberalizzazione” ammazza la concorrenza in un modo diverso, tendendo all’oligopolio e all’accentramento dei capitali. Senza che questo offra alcuna garanzia di rispetto delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, va aggiunto».

Come osserva giustamente Mario Tozzi la media dichiarata su 12mila balneari è di 20mila euro/anno (Il Sole 24 ore). Mettiamo 5-6 mesi/anno, lettini+ombrellone, fate voi quanti clienti e quanti mq. Sembra, ma dico sembra, ci sia qualcosa che non torni. Dice che chiudono: sempre troppo tardi. Allora perché si lamentano? Dovrebbero essere ben felici di liberarsi di un business così poco vantaggioso. Pagheranno di più? Ognuno valuterà poi cosa fare. I balneari se adeguare i prezzi e perdere parte della clientela oppure rinunciare a parte del profitto e mantenere stessi prezzi. Dall’altra parte la clientela sceglierà se farsi salassare, premiare chi non ha aumentato i prezzi o spiaggia libera. È il mercato, bellezza. Quello che idolatrano i liberisti che ora si lamentano.

Buon lunedì.

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Il tramonto di Salvini e la malsana idea di un viaggio in Russia

Non è tutta colpa di Salvini se gli è balenata la malsana idea di andare a farsi un viaggetto in Russia, annunciandolo prima di valutare se farlo per davvero: a Salvini l’esperienza e qualche pessimo consigliere hanno insegnato che l’importante è essere sempre “al centro” della notizia per non scomparire dai radar dell’attenzione pubblica. Lui, basico, deve avere ragionato che se c’è una guerra tra Ucraina e Russia (e se in Ucraina di certo non lo vorrebbero per la sua amicizia passata con Putin) non c’è niente di meglio che volare fino a Mosca, scattarsi un bel selfie con un buon filtro e concimare così l’idea che sia sempre lui l’uomo “del fare” che compie gesti più riconoscibili della complicata democrazia tra Stati.

Salvini funziona solo quando la politica è succedanea al campionato di calcio

Solo che Salvini ormai è fuori fuoco da mesi, incastrato tra l’essere di lotta e di governo, soffocato da un pezzo del suo partito che l’ha mollato da un bel po’ poiché gli si riconosceva come unica qualità il saper riempire le piazze e ora le piazze lentamente si svuotano. Salvini senza claque risulta per quello che è, annacquato in una malinconica solitudine che ne sottolinea i difetti strutturali che prima rimanevano nascosti dalla montagna di like e di retweet: propone come unica soluzione, sempre, la sua manifesta volontà di trovare una soluzione. Funzionava Sì, certo. Funzionava quando gli italiani avevano da parte ancora un po’ di speranza, quando non c’era di mezzo una pandemia (con la conseguente paura di morire), quando non c’era poi il disastro economico causato dalla pandemia e quando non c’era alle porte dell’Europa una guerra mai sentita così vicina. La politica di Salvini funziona nelle epoche senza preoccupazioni, quando la politica è succedanea al campionato di calcio, semplicemente un altro campo in cui esercitare il proprio tifo e mimare qualche scontro.

salvini in crisi e la malsana idea di un viaggio in Russia
Matteo Salvini, segretario della Lega (Getty Images).

Pure Di Maio ora di fronte a Salvini pare un lucido statista

Ora a Salvini non resta che immolarsi nella causa delle concessione balneari, si ritrova a elemosinare un’amicizia salda a Berlusconi che tiene per niente saldamente insieme il suo partito. È un Salvini che dopo anni in cui si è rivenduto come cavaliere senza macchia e senza paura balbetta ogni volta che si ritrova di fronte Giorgia Meloni e che sospetta le sue idi per mano dei maggiorenti della Lega. Perfino nel pieno dei festeggiamenti per lo scudetto del Milan non è riuscito a schivare gli sfottò per strada. Ha la malinconia del cantante neomelodico che in giovinezza riempiva le balere e ora deve fare i conti con la scomparsa del suo genere musicale. Per questo il Pierrot della politica italiana spulcia convulsamente la cronaca e i social per scovare un pertugio in cui infilarsi e il viaggio a Mosca gli deve essere apparso un’occasione intelligentissima. Peccato che nel giro di qualche ora sia riuscito a essere deriso praticamente da tutti, non abbia fatto tesoro della figura barbina mondiale del suo precedente viaggio in Polonia e sia riuscito a prendere lezioni di politica da quel Di Maio che di fronte a lui appare un lucido statista.

Il segretario della Lega è un influencer che non esercita più alcuna influenza

Così l’influencer che ormai non esercita più alcuna influenza ora non può che piagnucolare di avere tutti contro (in politica è l’avvisaglia della fine) e rispondere infantilmente piccato che «allora me ne starò con i miei genitori e con i miei figli», certificando la sua incapacità di uscire dalla dimensione del proprio ego e, al massimo, del suo piccolo cortile. Intanto le elezioni si avvicinano e non saranno foriere di buon notizie.

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Dove sono i garantisti per i ragazzi in cella dopo aver manifestato?

La vicenda la sta seguendo da giorni Selvaggia Lucarelli per Domani:

«Negli ultimi dieci giorni, – scrive Lucarelli – decine di ragazzi in tutta Italia hanno subito perquisizioni e perfino arresti. I fatti contestati sono diversi, apparentemente neppure tutti in correlazione tra loro, se la correlazione non si chiamasse dissenso. A Roma, dove la manifestazione contro l’alternanza scuola-lavoro era stata tra le più pacifiche, diversi ragazzi sono stati perquisiti e denunciati per reati bizzarri che vanno dal travisamento all’istigazione su minore. A Milano sono stati denunciati e perquisiti ragazzi per i fatti già descritti (compreso mio figlio) ma anche tre attivisti di Fridays for future, rei di aver scritto con una bomboletta “Il gas fossile uccide” e “Basta affari con i dittatori” il 19 marzo fuori dalla sede di Centrex, una controllata dell’azienda russa Gazprom. Insomma, da una parte inviamo armi all’Ucraina, dall’altra trattiamo come delinquenti ragazzi che chiedono di smettere di fare affari con la Russia e di inquinare il pianeta. Ragazzi a cui, durante le perquisizioni, è stato chiesto di spogliarsi e fare flessioni, per umiliarli. E poi c’è Torino, dove la situazione è più complicata, perché sono state perquisite le case di numerosi studenti (anche di una ragazza che, per le manganellate, era stata ricoverata in ospedale), è ai domiciliari una neo-diciottenne che aveva parlato al megafono, ci sono tre neo-maggiorenni incensurati in carcere da una settimana accusati di aver colpito degli agenti davanti alla sede di Confindustria con le aste delle bandiere».

Nicola Fratoianni ha annunciato la sua intenzione di entrare nel carcere Lorusso e Cotugno (Vallette) per incontrare Emiliano, Francesco e Jacopo, incensurati, agli arresti cautelari all’interno della struttura per le proteste studentesche del 18 febbraio contro l’alternanza scuola-lavoro: «Trovo incredibili – ha detto Fratoianni – e sproporzionate le misure cautelari. Questo prescinde completamente da un giudizio sui procedimenti giudiziari in corso. C’è un uso della misura cautelare che va proporzionato, mandare in un carcere qualcuno che è incensurato, a molte settimane, a molti mesi dai fatti, dal mio punto di vista è sbagliato, pericoloso anche dal punto di vista delle politiche pubbliche. Credo che quei provvedimenti vadano rapidamente ripensati».

Ragazzi in carcere, in attesa del Riesame, per una manifestazione. Noi che siamo sempre attenti (per fortuna) alla libertà degli altri quando si tratta di cose nostre, qui in Italia, diventiamo tutti timidi. Dove sono i garantisti?

Buon venerdì.

Nella foto: manifestazione contro l’alternanza scuola-lavoro, Milano, 18 febbraio 2022

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Illegalità di Stato in alto mare: le navi quarantena

La guerra ha sotterrato la discussione sulla pandemia. Eppure in Italia continuano a essere in vigore comportamenti (illegali) di cui nessuno sembra avere voglia di occuparsene. Con un decreto del 7 aprile 2020 il governo ha chiuso i porti italiani a tutte le imbarcazioni straniere che soccorrono persone in mare al di fuori della zona Sar (Search and Rescue) italiana indicando l’Italia come porto non sicuro. A seguito di quella decisione vennero istituite le cosiddette “navi quarantena” come strutture dove imporre una sorveglianza sanitaria obbligatoria. Le navi quarantena, manco a dirlo, sono state un’esperienza disastrosa: dalla mancanza di assistenza sanitaria (nel silenzio generale sono morti due minorenni) alla mancata assistenza legale per ottenere lo status di rifugiato, quelle navi sono diventate l’ennesimo esempio della criminale gestione dell’immigrazione.

Come racconta Annapaola Maritati del progetto “in limine” di Asgi «introdotta come misura eccezionale, quella delle navi quarantena è sicuramente una misura che si pone in continuità con tutta una serie di politiche e pratiche di gestione dei flussi migratori. È una misura che esaspera gli approcci che mirano a limitare i diritti dei migranti attraverso detenzioni arbitrarie, restrizioni al diritto di asilo, al diritto di accesso al territorio e semplicemente alle informazioni. Quindi si tratta di una misura che si pone in continuità con le politiche migratorie ma che, allo stesso tempo, rappresenta un precedente pericoloso, nel senso che rischia di comportare ulteriori deroghe a quelle che sono le libertà garantite a livello costituzionale e internazionale. Un precedente su cui bisogna fare particolare attenzione affinché non diventi una procedura ordinaria o comunque rappresenti l’apripista per ulteriori dispositivi di contenimento dei flussi in senso restrittivo e securitario come è accaduto già con l’approccio hotspot».

A partire dal 30 aprile però sono venute meno le disposizioni che regolano gli ingressi in Italia (certificazione verde, obbligo di quarantena preventiva) e conseguentemente anche le disposizioni che obbligano i migranti ad essere sottoposti a quarantena al loro ingresso nel territorio nazionale, ovviamente salvo che risultino positivi. Le navi quarantena però continuano a esistere e sono (ancora più) illegali. Irene di Valvasone, addetta ufficio per il processo presso la Corte di Cassazione ed esperta in diritti umani, lo scrive chiaramente: «Senza oltre indugiare su equivocabili paragoni, quello che preme sottolineare con forza è che dall’analisi delle previsioni normative in materia di quarantena per la prevenzione del contagio da Covid-19 sono venute meno tutte le premesse logico-giuridiche che hanno accompagnato l’adozione della misura della quarantena in nave per i migranti soccorsi in mare o sbarcati in Italia autonomamente, quantomeno a partire dal 30 aprile 2022. Ne deriva che l’utilizzo delle cd. navi quarantena appare del tutto illegale e arbitrario, con la conseguenza che le persone ad oggi sottoposte a tale misura si trovano in stato di detenzione arbitraria e devono essere immediatamente liberate».

Diritti in alto mare. Al solito.

Buon giovedì.

Nella foto: l’imbarco di alcuni migranti in una nave quarantena, Lampedusa 13 maggio 2021

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L’aporofobia come programma

Se vi ha sempre infastidito che Matteo Salvini utilizzasse i poveri, i fragili, i disperati come carne da cannone per la sua propaganda politica sappiate che l’aporofobia (ossia la paura, l’avversione per i poveri, ndr) ha un nuovo illustre interprete che ha ripreso gli stessi concetti della Lega peggiore (fin dai tempi di Bossi), li ha travestiti da concetti eleganti e liberali e li sta versando sul dibattito politico (ma sopratutto sulle persone) con lo stesso astio, seppur simulato meglio.

Non c’è differenza tra un leghista che disegna l’Italia assillata dai terroni fannulloni o dai giovani indolenti (mica per niente vorrebbe il militare per “metterli in riga”) e Matteo Renzi che usa il Reddito di cittadinanza come clava per cavalcare gli stessi sentimenti. Che poi Renzi decida di usare il referendum per cavalcare l’onda è qualcosa al limite del sadismo. Per noi e per lui. Anche perché è lo stesso Renzi che il 2 settembre scorso al Tg4 (!) aveva presentato il quesito referendario che sventolava da un po’ e che poi ha dimenticato fino a ieri. Usare il referendum come ultimatum è già triste, che lo usi chi da un referendum è stato seppellito è parossistico. Anche perché lo stesso Renzi si diceva “soddisfatto per avere aperto una discussione”.

Ora, in mancanza di argomenti, il padrone di Italia viva ci riprova. E annuncia via social che «dal 15 giugno partirà la raccolta ufficiale di firme» per «abolire il reddito di cittadinanza».

La sua battaglia contro questa misura è il leitmotiv di chi non ha molto altro da dire, come Salvini con i “clandestini”, come Berlusconi con i giudici, come Adinolfi con i gay. Macchiette, personaggi di una Commedia dell’arte che non fa nemmeno ridere e che si trascina seguendo sempre lo stesso canovaccio.

Ma odiare i poveri in fondo è il modo migliore per dichiarare il proprio amore ai ricchi senza doverli nominare.

Buon mercoledì.

 

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