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Perfetto, Delmastro

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha ancora addosso la macchia d quella Capodanno passato con il suo amico e collega di partito Emanuele Pozzolo che, secondo la Procura, avrebbe sparato al suo caposcorta. Sparito per un po’ dai radar ha deciso di riemergere nei giorni ferragostani per visitare il carcere di Taranto. 

In una situazione di insopportabili suicidi all’interno delle carceri e di caos politico su una riforma che non arriverà mai Delmastro ci ha tenuto a farci sapere di “non essersi inginocchiato alla Mecca dei detenuti”. Per lui era importante dirci che ha visitato solo gli agenti di polizia penitenziaria. Come nelle peggiori distopie Delmastro ritiene il carcere il luogo dove si affrontano i buoni contro i cattivi, il terreno di scontro tra agenti penitenziari che rappresentano la mano dura dello Stato e quegli sciagurati di detenuti che si meritano tutte le angherie. In questo filone si inserisce la scelta di inaugurare il plotone speciale di militari che dovranno occuparsi delle rivolte carcerarie, con buona pace dei 60 suicidi dall’inizio dell’anno.

Non contento il sottosegretario si è fatto anche fotografare mentre fumava beatamente una sigaretta sotto un cartello di divieto di fumo stampato in bella vista. Foto rimossa dai suoi social troppo tardi, quando tutti noi abbiamo potuto gustare un sottosegretario alla Giustizia che entrato in un carcere senza accorgersi che ci sono dei detenuti e violando la legge nel luogo che dovrebbe rieducare alla legge. Perfetto. 

Buon venerdì. 

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Arianna Meloni, mai nel merito

Gira insistentemente voce che la famiglia Meloni – ancora di più del partito Fratelli d’Italia – abbia intenzione di sfruttare il momento di difficoltà delle Ferrovie per sostituire l’amministratore delegato Luigi Corradi con Sabrina De Filippis che è amministratrice delegata di Mercitalia logistics ma soprattutto è molto amica di Arianna, sorella di Giorgia e quindi d’Italia. 

La senatrice Raffaella Paita, di Italia viva, ha chiesto conto al governo con un post su X. “Arianna Meloni era sui giornali per l’influenza sulle nomine in Rai, oggi per FS. Non potrebbero farla direttamente ministra dell’attuazione del programma”, ha scritto Paita, facendo riferimento a una preoccupante “parentocrazia”. 

L’opposizione fa l’opposizione: domanda, pressa, riprende i retroscena per renderne conto. La maggioranza avrebbe il compito di rispondere nel merito. In questo caso avrebbero potuto spiegarci i talenti di De Filippis che la rendono importante per quel ruolo. Avrebbero potuto semplicemente negare. 

La senatrice di Fratelli d’Italia Domenica Spinelli invece risponde parlando di una «patetica Paita» che “si presta, sotto dettatura del padre padrone Renzi, a muovere accuse infondate ad Arianna, colpevole solo di essere una donna libera». La senatrice meloniana Paola Mancini dice del «capo branco Renzi, dopo aver dettato alla sua sottoposta Paita gli attacchi contro Arianna Meloni, ora scatena la sua muta di cani contro la senatrice Spinelli. I suoi metodi da boss fallito di provincia non intimidiranno la senatrice Spinelli e nessuno di Fratelli d’Italia». 

In serata risponde Arianna con il solito vittimismo contro quelli che vogliono «dipingere mia sorella come traffichina e melmosa». 

Risposte nel merito? Nessuna. Avanziamo una timida proposta: sostituite il ministro dei Trasporti, siate coraggiosi. 

Buon giovedì. 

Foto da Wikipedia

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Ius Soli, altro fronte nella maggioranza: nuovo scontro tra Lega e Forza Italia

Nuovo scontro nella maggioranza tra Forza Italia e la Lega di Salvini. Questa volta il motivo del contendere è lo Ius soli proposto dal Partito democratico su cui nei giorni scorsi il partito guidato da Antonio Tajani aveva mostrato di essere disponibile a trattare. 

Il deputato forzista Alessandro Cattaneo aveva invitato la sinistra “a non presentare proposte estreme” e ad aprire un confronto su “Ius scholae e Ius culturae”, ovvero l’ottenimento della cittadinanza dopo un ciclo di studi. 

“La legge sulla cittadinanza va benissimo così, – recita una nota della Lega – e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230 mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di Ius Soli o scorciatoie”. 

Poco dopo arriva la reazione di Forza Italia attraverso il suo portavoce nazionale Raffaele Nevi: “Innanzitutto dispiace che un alleato di coalizione ci attacchi. Noi abbiamo ribadito quella che è la nostra linea da sempre, ma non fa parte del programma di governo ovviamente. Ognuno ha le sue sensibilità e impostazioni. Noi siamo contrari allo Ius soli – spiegano da Forza Italia – ma siamo invece aperti allo Ius Scholae. Come disse Berlusconi, noi siamo per favorire l’integrazione. E la scuola è il motore di questa integrazione”. 

A Forza Italia non sono piaciuti soprattutto i modi. “Molti moderati sono interessati a Fi proprio per la nostra posizione liberale e moderata. Dalla Lega invece di ringraziarci, troviamo dei post che non ci piacciono. La nostra strategia è colpire avversari, non gli alleati”. 

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Francia, Castets contro tutti: la nuova leader che punta al governo e mette in crisi l’Eliseo

Dopo l’entusiasmo delle Olimpiadi, la Francia si trova di fronte a una delle sfide politiche più complesse degli ultimi anni: la formazione del nuovo governo. Con un panorama politico frammentato e un elettorato diviso, Emmanuel Macron è chiamato a un delicato esercizio di bilanciamento che potrebbe segnare il destino del suo mandato e del Paese. Le elezioni legislative anticipate di questa estate hanno consegnato alla sinistra un risultato sorprendente, portando alla ribalta una figura fino a poco tempo fa sconosciuta al grande pubblico: Lucie Castets.

Castets, 37 anni, è un’alta funzionaria del Comune di Parigi, con un passato da attivista e una formazione presso l’École nationale d’administration, la stessa prestigiosa scuola che ha formato anche Macron. Nonostante il suo profilo tecnico, Castets è stata scelta dal Nuovo Fronte Popolare (NFP) come candidata alla carica di Primo Ministro, dopo settimane di trattative all’interno della coalizione di sinistra. La sua candidatura rappresenta un tentativo di unire la sinistra attorno a un progetto comune dopo anni di frammentazione e lotte intestine.

La sfida di Lucie Castets: una leader emergente alla prova del fuoco

Tuttavia, la strada verso Matignon si preannuncia irta di ostacoli. Macron ha già respinto la candidatura di Castets sostenendo che il NFP, pur essendo la coalizione più numerosa in Parlamento con 193 seggi, non dispone della maggioranza assoluta necessaria per governare. Il presidente ha infatti sottolineato che “nessuno” ha realmente vinto queste elezioni e ha insistito sulla necessità di una coalizione ampia e pluralista per garantire la stabilità del governo. Castets, da parte sua, non si è lasciata scoraggiare e nelle ultime settimane ha lanciato una campagna mediatica aggressiva, cercando di aumentare la pressione su Macron affinché le conferisca l’incarico.

Le opzioni sul tavolo: Bertrand e Cazeneuve, alternative per Macron

In campo ci sono anche altre soluzioni. Bernard Cazeneuve, ex Primo Ministro socialista, potrebbe essere un’opzione di compromesso per Macron. Cazeneuve, che ha ricoperto l’incarico di capo del governo alla fine della presidenza di François Hollande, è visto come una figura capace di attrarre i moderati all’interno del NFP e di garantire una certa continuità istituzionale. Tuttavia, la sua recente rottura con il Partito Socialista e la fondazione di un nuovo movimento, La Convention, che ha ottenuto scarso successo, rendono incerto il suo potenziale per unire la sinistra dietro di sé.

Dall’altro lato dello spettro politico, Xavier Bertrand, leader della regione Hauts-de-France, emerge come il candidato più probabile per una coalizione di centrodestra. Bertrand, con un passato da Ministro della Salute e del Lavoro sotto Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, ha dimostrato di saper gestire situazioni politiche difficili, come la crescita dell’estrema destra nella sua regione. La sua nomina potrebbe rappresentare una scelta pragmatica per Macron, che tuttavia rischierebbe di accentuare le divisioni con l’elettorato di sinistra e di alienare parte della sua base elettorale.

Per Macron la scelta del Primo Ministro sarà cruciale per navigare in un Parlamento frammentato e per cercare di attuare un programma di governo che possa ottenere il consenso necessario.La “pausa olimpica” è ormai finita.  Lucie Castets, dal canto suo, continua a rappresentare una sfida diretta all’autorità di Macron. La sua campagna per il ruolo di Primo Ministro, sebbene considerata da alcuni come un gesto simbolico, potrebbe consolidare la sua posizione come leader emergente della sinistra francese soprattutto se riuscirà a mantenere l’attenzione mediatica e a mobilitare il sostegno popolare. D’altro canto, la possibilità di un governo di compromesso, con Cazeneuve o Bertrand, potrebbe offrire a Macron una via d’uscita per evitare un confronto diretto con una sinistra rafforzata e determinata.

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Meloni e i numeri a intermittenza sui redditi: la propaganda fatta di cifre buone solo se crescono

C’è chi con i numeri ci gioca al Lotto e chi li usa per fare magie. Giorgia Meloni, invece, li usa per fare propaganda. Li estrae dal cilindro quando le servono, li fa sparire quando non tornano. Una vera prestigiatrice dei dati economici.

L’ultimo numero magico l’ha estratto il 12 agosto, annunciando trionfante sui social che “i dati economici del primo trimestre 2024 ci regalano una buona notizia per l’Italia”. La manna dal cielo, secondo la presidente del Consiglio, sarebbe che “il reddito reale delle famiglie italiane è cresciuto del 3,4 per cento, segnando l’aumento più forte tra tutte le economie del G7”.

Redditi: il Fact Checking di Pagella Politica

Peccato che, come ci ricorda Pagella politica, fonte preziosa per smascherare i trucchi di magia della politica, Meloni abbia l’abitudine di citare i dati Ocse solo quando le fanno comodo. Un trimestre positivo? Evviva, festeggiamo! Un trimestre negativo? Silenzio di tomba.

Facciamo un piccolo viaggio a ritroso. Nel quarto trimestre 2023, il reddito delle famiglie italiane era calato dello 0,4%, mentre la media del G7 cresceva dello 0,3%. Meloni? Muta come un pesce. Nel secondo trimestre 2023? Altro calo dello 0,4%. E la nostra premier? Zitta come una tomba.

Il valzer dei dati: un passo avanti, due indietro

Il gioco si fa ancora più interessante se guardiamo all’intero 2023. Il reddito reale delle famiglie italiane è sceso dello 0,4% rispetto al 2022, mentre la media dei Paesi G7 cresceva dell’1,5%. Numeri mai pronunciati dalle parti di Palazzo Chigi. 

Il capolavoro arriva l’8 febbraio, quando l’Ocse pubblica i dati del terzo trimestre 2023. Qui il reddito delle famiglie italiane cresce dell’1,4% rispetto al trimestre precedente. Ed ecco che Meloni cambia copione, gridando ai quattro venti che i redditi delle famiglie italiane sono cresciuti “sei volte” più degli altri Paesi. Peccato si sia “dimenticata” di specificare che si trattava di un confronto trimestrale, non dall’inizio del suo governo.

E ora arriviamo al presente, con questo fantastico +3,4% del primo trimestre 2024. Un dato positivo, certo, ma che rischia di dare un quadro distorto se non lo si inserisce in un contesto più ampio. Come ci ricorda ancora Pagella politica, nonostante questo miglioramento, il reddito reale delle famiglie italiane resta più basso di quello registrato nella seconda metà del 2021. E se allarghiamo ancora lo sguardo, non ha ancora superato il livello del 2007, pre-crisi economica.

Ma questi sono dettagli che la premier preferisce non raccontare. I numeri sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Ma la Meloni preferisce fare la raccolta selettiva, prendendo solo quelli maturi e lasciando gli altri a marcire sull’albero. E così, mentre la premier si vanta di aver reso le famiglie italiane “più ricche”, la realtà ci racconta una storia diversa. Una storia fatta di alti e bassi, di trimestri positivi e negativi, di una ripresa ancora fragile e incerta.

La magia dei numeri: ora li vedi, ora non li vedi

La propaganda si nutre di slogan, non di analisi complesse. E allora ecco che un singolo dato positivo diventa la prova del successo delle politiche del governo, mentre i dati negativi vengono comodamente ignorati. È questo il gioco delle tre carte alla Meloni: mostra quello che vuole si veda, nasconde quello che non le fa comodo. E intanto, le famiglie italiane continuano a fare i conti con una realtà economica ben più complessa di quella raccontata nei tweet trionfalistici della premier.

La prossima puntata dello show “I numeri magici di Giorgia” è dietro l’angolo. Basta aspettare il prossimo dato positivo e… voilà! La magia si ripeterà. Peccato che, come in ogni trucco di magia che si rispetti, la realtà sia ben diversa dall’illusione. E a pagare il prezzo del biglietto, come sempre, saranno gli italiani.

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Bambini esposti al caldo estremo, l’Unicef: l’Italia tra i Paesi più colpiti

Il cambiamento climatico sta rimodellando la vita di milioni di bambini in tutto il mondo, e i suoi effetti sono particolarmente evidenti anche in Italia. Secondo un’analisi dell’Unicef, ben 466 milioni di bambini vivono oggi in aree dove il numero di giorni estremamente caldi – definiti come giornate con temperature superiori ai 35 gradi Celsius – è almeno raddoppiato rispetto a sessant’anni fa. Questo fenomeno globale, che colpisce in maniera diseguale diverse regioni del pianeta, trova un riscontro significativo anche nel nostro Paese.

Ben 466 milioni di bambini vivono oggi in aree dove il numero di giorni estremamente caldi è almeno raddoppiato

In Italia, gli ultimi sessant’anni hanno visto un incremento allarmante dei giorni di caldo estremo, con una crescita di quasi sei volte rispetto al passato. Negli anni Sessanta, il numero medio di giorni con temperature oltre i 35 gradi era inferiore a uno, mentre oggi si attesta a 4,72 giorni all’anno. Parallelamente, la frequenza delle ondate di calore è quasi triplicata, passando da 4,97 eventi all’anno a 13,49, con un allungamento della loro durata media da 4,44 giorni a 5,90. Questo significa che 7,6 milioni di bambini italiani, pari al 90% della popolazione infantile, vivono in aree dove le ondate di calore sono diventate un fenomeno sempre più comune e preoccupante.

Questi dati italiani si inseriscono in un quadro globale altrettanto preoccupante. In Africa occidentale e centrale, 123 milioni di bambini – il 39% della popolazione infantile della regione – affrontano più di un terzo dell’anno con temperature superiori ai 35 gradi. In paesi come Mali, Niger e Sudan, i giorni estremamente caldi superano i 200 all’anno, rendendo queste aree tra le più colpite al mondo. In Sud Sudan, ad esempio, i bambini vivono in media 165 giorni di caldo estremo ogni anno, rispetto ai 110 giorni degli anni Sessanta. Anche in America Latina e nei Caraibi, quasi 48 milioni di bambini vivono in aree dove il numero di giorni estremamente caldi è raddoppiato.

Le conseguenze di questo aumento delle temperature non si limitano al disagio fisico. Il caldo estremo rappresenta un serio rischio per la salute, specialmente per i bambini e le donne in gravidanza. In Italia, così come altrove, l’esposizione prolungata a temperature elevate è associata a complicanze della gravidanza, malnutrizione e un aumento della vulnerabilità a malattie infettive come la malaria e la dengue. Inoltre, il caldo può influenzare negativamente lo sviluppo neurologico e la salute mentale dei bambini, con effetti a lungo termine che non possono essere ignorati.

Mentre il cambiamento climatico è un fenomeno globale, le sue ripercussioni variano a seconda delle regioni e delle infrastrutture disponibili per affrontarlo. Nei paesi più poveri e nelle aree più vulnerabili, come in alcune parti dell’Africa e dell’America Latina, l’impatto è particolarmente grave perché le risorse per adattarsi sono limitate. Tuttavia, anche in Italia, l’infrastruttura attuale non è sempre adeguata a fronteggiare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico, soprattutto nelle città dove l’effetto isola di calore può amplificare ulteriormente le temperature elevate.

Nei prossimi mesi i Paesi aderenti all’Accordo di Parigi dovranno presentare i loro nuovi piani climatici nazionali

L’analisi dell’Unicef sottolinea l’importanza di una risposta coordinata e globale. Nei prossimi mesi, tutti i Paesi aderenti all’Accordo di Parigi, inclusa l’Italia, dovranno presentare i loro nuovi piani climatici nazionali. Questi piani rappresentano un’opportunità cruciale per definire azioni concrete che non solo mirino a ridurre le emissioni di gas serra, ma che proteggano in modo specifico i gruppi più vulnerabili, come i bambini. 

Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef, ha dichiarato: “I bambini sono molto più vulnerabili al caldo estremo. I loro corpi si riscaldano più velocemente e si raffreddano più lentamente. I Governi devono agire ora per tenere sotto controllo l’aumento delle temperature, perché i bambini di oggi e le generazioni future vivranno nel mondo che lasceremo loro.”

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Rimettere ogni giorni i colori a posto

Giornate olimpiche passate ad ascoltare giornalisti, politici e presunti intellettuali della destra che ci spiegavano di non essere razzisti, di voler parlare di integrazioni. Quintali di carta sprecata per intervistare quel pessimo generale (poi diventato personaggetto e infine arrivato all’Europarlamento) su qualsiasi argomento dello scibile umano e doverselo sorbire mentre ci spiegava che “non sono razzista ma”. 

Ore perse in dibattiti che fingevano di occuparsi di integrazione quando semplicemente volevano solleticare gli istinti bassi dei razzisti che votano. Una simulazione di benpensantesimo per coprire l’anima xenofoba di un Paese in cui essere razzisti da vergogna è diventato vanto. 

È durato lo spazio di una giornata il murale dedicato a Paola Egonu, pallavolista della nazionale italiana e neo campionessa olimpica. Ieri è stato vandalizzato il murale ‘Italianità’ dedicato alla campionessa azzurra avanti alla sede del Coni, oscurando il volto della pallavolista e colorando il colore della sua pelle di rosa. “Il razzismo è un cancro brutto da cui l’Italia deve guarire”, ha scritto la street-artist Laika che ha condiviso sul suo account Instagram un’immagine dell’opera deturpata. 

Noi siamo questo Paese qui, in cui perfino un disegno diventa caso da tempi dell’apartheid. Siamo il Paese dove una passante nel pomeriggio ha deciso di prendere un pennarello per ripristinare i colori originali. Un Paese dove ogni giorno ai passanti è richiesto di restaurare le basi di convivenza civile.  

Buon mercoledì. 

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Il Sud muore di sete e i soldi del Pnrr latitano

Il Sud Italia muore di sete, e non è una metafora. Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Basilicata: un rosario di regioni arse dal sole e dalla negligenza. In Basilicata, il 90% del raccolto di grano è perduto. In Puglia, i raccolti sono dimezzati. E noi? Ci stupiamo, come se questa apocalisse idrica fosse imprevedibile e non il risultato di decenni di miopia. I cambiamenti climatici sono qui, ora. Dal 1951, la disponibilità idrica è in costante calo.

Il Sud Italia muore di sete, e non è una metafora. Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Basilicata: un rosario di regioni arse dal sole e dalla negligenza

Nel 2022, abbiamo toccato il minimo storico: 67 miliardi di metri cubi, il 50% in meno rispetto alla media trentennale. Ma tranquilli, abbiamo il Pnrr! Peccato che dei 4,8 miliardi stanziati per la tutela del territorio e delle risorse idriche, al 19 luglio fossero stati spesi solo 671 mila euro. Il resto? Probabilmente finirà per irrigare i giardini di qualche villa ministeriale. E le infrastrutture? Ah sì, quelle reti idriche che perdono il 42,4% dell’acqua. Un colabrodo nazionale che sperpera abbastanza acqua da dissetare 43,4 milioni di persone per un anno.

Ma chissà, forse è una strategia: se l’acqua si perde, almeno non dobbiamo preoccuparci di gestirla, no? Quattro miliardi di euro bruciati nell’agricoltura del Sud, 33.000 posti di lavoro evaporati nel primo trimestre 2024. E mentre la Sicilia boccheggia, dei 31 progetti presentati per l’agro-sistema irriguo, tutti sono stati considerati inammissibili dal Mipaaf. Il vero dramma è che sappiamo cosa fare. Gli esperti indicano soluzioni che richiedono una visione, coraggio e la volontà di guardare oltre il prossimo sondaggio elettorale. La politica agisce con la velocità di chi non può tradire la sua propaganda. E mentre loro discutono, il Sud soffoca, l’agricoltura muore e il futuro si fa sempre più arido.

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Stupisce lo stupore

Lo stupore di alcuni commentatori italiani per i piani nucleari russi in Europa è rivelatore. Rivela l’illusione di una guerra confinata a Est, lontana da noi, da poter gestire per procura e da poter controllare come spinta innocua del fatturato bellico. I fatti raccontano altro. Il Financial Times svela documenti della marina russa: 32 obiettivi in Europa da colpire con testate nucleari. Francia, Gran Bretagna, Germania, Norvegia. Un piano di guerra totale, non circoscritta.

La realtà è questa: la Russia si prepara a colpire l’Europa. La Nato ammette di avere “meno del 5% delle capacità di difesa aerea necessarie” sul fronte est. E la nostra reazione è lo stupore. Questo stupore è pericoloso. Manifesta l’illusione che la guerra non ci riguardi. Ma una guerra nucleare non fa distinzioni. Non risparmia nessuno. I piani russi esistono dal 2008. Quindici anni di preparativi, mentre guardavamo altrove. E ora, di fronte all’evidenza, ci sorprendiamo. È tempo di svegliarsi. La guerra non è un film da mettere in pausa. È una minaccia concreta alle porte dell’Europa. Lo stupore non è più un’opzione.

Serve consapevolezza, preparazione, azione. La prossima volta che sentiremo “la guerra è lontana”, ricordiamo questi 32 obiettivi. Sono più vicini di quanto pensiamo. Il lusso dell’ignoranza è finito. Il gioco alla guerra non è questione di tifo da esercitare da lontano. Ora serve lucidità per affrontare una realtà che non possiamo più fingere di non vedere: appoggiare la guerra significa esserci dentro. Come per la la pace.

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Guerra di potere tra Lega e Forza Italia. La sfida decisiva è la presidenza Rai

Dietro le quinte della Rai, al di là delle controversie legate a TeleMeloni, si sta consumando una guerra intestina alla maggioranza che riflette chiaramente il momento convulso all’interno del governo. Lega e Forza Italia sono impegnate in un acceso confronto per trovare un accordo sul nome del prossimo presidente, mentre Giorgia Meloni osserva preoccupata questa battaglia tutta interna alla coalizione che fa fibrillare il Centrodestra.

Non c’è intesa sul nome di Agnes proposto da Fi. Sulla nuova governance Rai è stallo totale

Fino a poco tempo fa nei piani alti della Rai circolava una sola voce: il direttore generale Giampaolo Rossi sarebbe diventato il nuovo amministratore delegato mentre l’attuale Ad Roberto Sergio avrebbe assunto il ruolo di direttore generale. Uno scambio di ruoli apparentemente semplice. Recentemente, Sergio ha anche assunto temporaneamente la carica di presidente, in seguito alle dimissioni di Marinella Soldi, in qualità di membro più anziano del Consiglio di amministrazione.

Ma il nodo cruciale resta la futura presidenza. È su questo punto Matteo Salvini e Antonio Tajani sono arrivati allo scontro. I berlusconiani propendono per Simona Agnes, figlia dello storico direttore generale di Viale Mazzini. Agnes però non piace alla Lega e qui si crea la situazione di stallo. Fratelli d’Italia, che ha sostenuto la promozione di Rossi, chiede agli alleati di trovare un accordo su un nome da proporre alle opposizioni, dato che sulla presidenza è richiesto il gradimento a maggioranza qualificata (4 in più rispetto a quelli in possesso del centrodestra) in Commissione di Vigilanza. Contrariamente a quanto sostiene la narrazione governativa, non sono le opposizioni a bloccare il processo. Fonti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle confermano che ad oggi non è iniziato alcun dialogo con la maggioranza riguardo al rinnovo della governance Rai. In sostanza Lega e Forza Italia non riescono a trovare un’intesa e non hanno ancora una proposta concreta da presentare al Parlamento e ai colleghi delle opposizioni.

Per Forza Italia le nomine rappresentano una partita delicata

Per Forza Italia le nomine Rai rappresentano una partita delicata. Antonio Tajani è stato pubblicamente criticato dalla famiglia Berlusconi, principale creditore del partito. Se il vice premier dovesse apparire ininfluente anche sulle sorti della governance delle reti pubbliche la sua posizione potrebbe essere messa in discussione. Per questo motivo la nomina di Agnes alla presidenza assume un’importanza strategica. La maggioranza avrebbe finora avuto un’interlocuzione solo con Italia Viva, ma i soli due voti a disposizione dei renziani in Vigilanza non bastano comunque a garantire il via libera al prossimo presidente della Rai.

Gli altri partiti di opposizione osservano le tensioni nella maggioranza e rilanciano una proposta: sfruttare questa impasse per organizzare gli Stati generali del servizio pubblico e pensare a una riforma che soddisfi le richieste dell’Unione Europea, come suggerito da Barbara Floridia, presidente della commissione di Vigilanza Rai in quota Cinque Stelle. Il Senato ha fissato per il 12 settembre la votazione dei 2 membri del CdA di sua competenza, mentre la Camera, a guida leghista, non ha ancora provveduto ad ulteriore dimostrazione dell’impasse in atto. Così nella partita della Rai all’opposizione non resta che osservare le difficoltà della maggioranza.

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