Aziende italiane in Russia per la fiere delle calzature: il portafoglio vince sul furore bellico
A parole non c’è un italiano che non sia d’accordo sulle sanzioni contro la Russia. Qualcuno esagera e addirittura concima un po’ di russofobia, cadendo nel solito errore di confondere un popolo con il suo pessimo leader (in questo caso Putin) e senza rendersi conto di aumentare la conflittualità che già esplode per la guerra.
Nel privato però evidentemente il portafoglio vince sul furore bellico e così accade che le aziende italiane di pelli e calzature abbiano silenziosamente preparato i bagagli (senza armi) per andare alla corte di Putin, più precisamente all’Obuv Mir Kohzi di Mosca, una delle fiere più importanti del settore.
Gli imprenditori sono arrivati a Mosca con un volo dalla Serbia e dopo 3 ore di attesa nello scalo russo per sottoporsi a un certosino controllo dei documenti e dei telefoni hanno pensato che la guerra è brutta e sporca ma i soldi dei russi vanno benissimo.
Aziende italiane in Russia per la fiere delle calzature
Da Assocalzaturifici fanno sapere che le loro scarpe “sono il frutto del lavoro quotidiano di centinaia di dipendenti dietro a cui ci sono famiglie”, come se in tutti gli altri mestieri che stanno pagando pegno per questa guerra non ci siano le medesime condizioni.
Poi ci hanno spiegato che se non fossero andati i nostri italiani ne avrebbero approfittato i produttori turchi e cinesi. Siamo insomma alla solidarietà all’Ucraina decantata ma non praticata, un’abitudine in cui noi italiani (e alcune delle nostre imprese) siamo sempre fortissimi.
Il trucco è sempre lo stesso: mettere sul piatto dell’opinione pubblica “le difficoltà dei lavoratori” per innescare un populista sovranismo delle difficoltà in cui noi dovremmo parteggiare per i nostri connazionali.
Se a qualcuno viene il dubbio che andare a Mosca a stringere le mani degli oligarchi russi innamorati del nostro pellame sia fuori legge può mettersi il cuore in pace: i produttori di scarpe ci fanno sapere che le sanzioni non valgono per gli “articoli che costano meno di 300 euro”(quindi potremmo comprare il gas in barattoli, per sentirci tutti a posto con la coscienza) e anzi lamentano che “l’esclusione del sistema bancario russo da Swift sta rendendo complicato, al limite dell’impossibile, il pagamento della merce regolarmente venduta”, dimenticando che la decisione è stata presa proprio per avere questa conseguenza.
Aziende italiane in Russia con il supporto delle istituzioni
Il vice presidente di Assocalzaturifici intervistato da un giornale del settore ci fa sapere anche che la Regione Marche e la Camera di Commercio delle Marche “hanno confermato quanto deciso molti mesi fa, ben prima dello scoppio della guerra: un sostegno economico, di massimo quattromila euro, per partecipare all’Obuv”.
Insomma, la campagna di Russia dei nostri calzaturieri ha anche degli sponsor istituzionali, tanto per non farsi mancare nulla in questa fiera (tutta italiana) dell’ipocrisia applicata alla guerra.
E quando a Valentino Fenni, vicepresidente di Assocalzaturifici, gli hanno chiesto se tutto ciò fosse opportuno la risposta è qualcosa da incorniciare: “Forse no. Ma era tutto già programmato”.
Quindi è colpa della guerra arrivata senza preavviso. Tra gli ospiti anche BolognaFiere, la stessa che un mese fa ha messo al bando i libri russi in una sua esposizione. Loro sono sporchi e cattivi ma con i loro soldi siamo già pronti per fare la pace.
(da La Notizia)