Vai al contenuto

Italia bloccata sui binari, un’estate nera anche per l’Alta velocità

L’estate 2024 verrà ricordata come quella in cui l’Italia ha vissuto un paradosso ferroviario: la “metropolitana d’Italia”, quell’alta velocità che doveva unire il Paese da Nord a Sud, si è rivelata un colabrodo di inefficienze, disservizi e cantieri infiniti. I viaggiatori, spesso lasciati in balia di ritardi e guasti, si trovano sempre più spesso a vivere vere e proprie odissee tra treni soppressi, soste interminabili e coincidenze mancate. Eppure, di fronte a questa debacle, il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sembra non trovare né il tempo né la voglia di rispondere ai disagi che stanno affliggendo milioni di italiani.

Italia bloccata: il calvario dei trasporti a rotaia

Da Milano a Roma, il viaggio si è trasformato in una roulette russa: a ogni biglietto staccato, il passeggero si domanda se arriverà a destinazione nei tempi previsti o se dovrà armarsi di pazienza e rassegnazione. I cantieri programmati, certamente necessari per rimettere in sesto una rete logora, hanno allungato i tempi di percorrenza di 80-120 minuti, quando va bene. Ma non sono solo i lavori a creare problemi: incendi, guasti e allarmi bomba hanno reso il viaggio ferroviario un vero calvario.

In Puglia, per esempio, tra marzo e luglio, i ritardi hanno raggiunto punte di 400 minuti, un lasso di tempo che suona come una beffa, una presa in giro per chi aveva pianificato una vacanza o un impegno lavorativo. Il segretario generale della Uiltrasporti, Marco Verzari, ha lanciato l’allarme sulle aggressioni al personale ferroviario, causate dall’esasperazione dei viaggiatori. Una tensione sociale che, però, sembra non destare l’attenzione del ministro Salvini, che preferisce concentrarsi su temi di facciata, trascurando il malcontento crescente tra la popolazione.

Italia bloccata: non si salva nemmeno il Nord

La situazione al Nord non è migliore. A Torino, la frana del Frejus ha bloccato la linea per Parigi fino a marzo 2025. A Milano, lo scorso giugno, un guasto ha portato alla cancellazione di 200 treni in un solo giorno. E ora, tra il 17 e il 30 agosto, ci sarà da fare i conti con la chiusura della linea Torino-Genova, che costringerà i passeggeri a sopportare due ore di viaggio in più. La Liguria e il Veneto, come molte altre regioni italiane, sono diventati veri e propri campi di battaglia, dove i treni si muovono a passo di lumaca tra un cantiere e l’altro.

Negli ultimi mesi, sono stati attivati 1.400 cantieri lungo 165 chilometri di linee ferroviarie in tutto il Paese, un numero record che testimonia l’urgenza di interventi su una rete ormai obsoleta. Tuttavia, questi lavori, pur necessari, hanno finito per aggravare una situazione già critica, con conseguenze pesanti per i passeggeri. Le cronache degli ultimi mesi parlano di un continuo aumento dei disservizi: i ritardi e le cancellazioni si moltiplicano, e le soluzioni alternative, come i bus sostitutivi, si rivelano spesso inadeguate e fonte di ulteriori disagi.

Italia bloccata: il purgatorio dei passeggeri

Nel frattempo, i passeggeri si trovano a fare i conti con una realtà sempre più difficile da accettare. Il viaggio in treno, che un tempo era sinonimo di comodità e velocità, è diventato un’incognita, con un numero crescente di persone costrette a rivedere i propri piani a causa di ritardi e cancellazioni. Eppure, mentre i problemi si accumulano e i cantieri continuano a crescere, il ministro Salvini non ha ancora fornito risposte concrete ai milioni di italiani che ogni giorno si trovano a fare i conti con un servizio sempre più inefficiente.

Il leader della Lega negli ultimi giorni ha parlato di sesso dei pugili, del razzismo degli antirazzisti, della Vespa che va salvata dal Green deal, di un aereo caduto in Brasile. Di ritardi ne ha parlato solo in un’occasione, a proposito del traghetto per la Calabria per dirci che serve il Ponte sullo Stretto. 

L’articolo Italia bloccata sui binari, un’estate nera anche per l’Alta velocità sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Musk e Trump si incontrano: il trionfo del nulla nell’intervista su X

Elon Musk e Donald Trump: due ego smisurati a confronto in un’intervista che passerà alla storia come il trionfo del nulla. Poteva essere il momento della verità, invece è stato solo un lungo monologo trumpiano condito da qualche timido tentativo di Musk di sembrare un intervistatore.

Il ritardo tecnico: un presagio del vuoto a venire

Partiamo dall’inizio, o meglio, dal non-inizio. Quaranta minuti di ritardo per problemi tecnici. Il magnate della tecnologia che non riesce a far funzionare un collegamento video. Già questo la dice lunga sul livello dell’incontro. Ma il bello doveva ancora venire.

Trump, sopravvissuto miracolosamente a un tentativo di assassinio il mese scorso, parte subito in quarta con un fiume di parole su tutto ma soprattuto sul niente. Immigrazione, inflazione, ordine pubblico, agricoltura, dittatori vari ed eventuali, minaccia nucleare. Un potpourri di argomenti trattati con la profondità di un cucchiaino da caffè.

Musk prova timidamente a portare l’attenzione su temi scottanti come la censura, citando la lettera aperta di Thierry Breton, il “poliziotto digitale” dell’Ue. Ma Trump non abbocca. Preferisce lanciarsi in una tirata sul deficit commerciale con l’Europa. “Ci sfruttano”, tuona l’ex presidente, “non sono duri come la Cina, ma sono cattivi”. Insomma, la solita solfa.

E sull’Ucraina? Qui Trump si supera. Parte con il suo cavallo di battaglia sugli aiuti sproporzionati degli USA rispetto all’Europa. Ma invece di minacciare tagli, sembra quasi chiedere all’UE di aumentare il proprio contributo.

Ma il colpo di scena arriva quando Trump, dopo aver flirtato con l’idea di tagliare gli aiuti a Kiev, si lancia in un elogio di Zelensky. Lo stesso Zelensky che Trump aveva cercato di ricattare nel famigerato caso “Ucrainagate”. Ora è diventato “molto onorevole”. 

E Putin? Trump ci tiene a far sapere che lo aveva avvertito di non invadere l’Ucraina. “Gli ho detto: non puoi farlo, Vladimir. Sarà una brutta giornata”. Peccato che Putin non l’abbia ascoltato. Ma Trump è convinto che con lui alla Casa Bianca, l’invasione non sarebbe mai avvenuta. Impossibile sapere perché. 

Il monologo di Trump: parole senza sostanza

Il gran finale è degno di un film di serie B. Trump, in un impeto di galanteria fuori tempo massimo, paragona Kamala Harris a Melania Trump, definendola “bellissima come la più grande attrice di sempre”. Un complimento che sa di paternalismo e sessismo ma che nell’universo trumpiano passa per un gesto di magnanimità.

In tutto questo, Musk dov’era Seduto di fronte a Trump, in un ruolo che oscillava tra lo spettatore passivo e il timido suggeritore. Il magnate di X, autoproclamatosi paladino della libertà di espressione, si è dimostrato incapace di porre domande incisive o di mettere in difficoltà il suo interlocutore.

Un confronto tra titani? No, un monologo autocelebrativo

Quello che doveva essere un confronto tra due titani dell’ego si è rivelato un monologo autocelebrativo di Trump, con Musk relegato al ruolo di comparsa. Un’occasione mancata per fare vera informazione, per mettere alle strette un candidato presidenziale su temi cruciali come la democrazia, i diritti civili, il cambiamento climatico. Invece abbiamo assistito a due ore di autopromozione, di retorica vuota, di affermazioni non verificate. Un trionfo della post-verità, dove i fatti sono optional e le sensazioni contano più della realtà.

E Musk? Ha dimostrato ancora una volta di essere più interessato al clamore che alla sostanza. La sua piattaforma, X, si conferma un megafono per voci estremiste e disinformazione, mascherato da baluardo della libertà di espressione. Trump e Musk, due giganti con i piedi d’argilla, hanno offerto uno spettacolo deprimente. Ma forse, in fondo, è proprio questo che volevano: far parlare di loro, a qualsiasi costo. In questo, almeno, sono riusciti perfettamente.

L’articolo Musk e Trump si incontrano: il trionfo del nulla nell’intervista su X sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Morti sul lavoro, un paese che non impara: vittime in aumento, ma nessuna reazione

I numeri non mentono e hanno la virtù di non poter essere piegati. Il 9 agosto il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha commentato su X i due incidenti sul lavoro che il giorno prima hanno causato la morte di due operai, una in provincia di Nuoro e l’altra in provincia di Salerno. “Siamo a quasi tre morti al giorno sul lavoro nei primi sei mesi del 2024, in aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”, ha scritto Conte, che ha criticato le misure adottate finora dal governo Meloni per contrastare il fenomeno.

L’allarme lanciato da Giuseppe Conte

Secondo i recenti dati dell’Inail, analizzati da Pagella Politica, nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un aumento delle morti sul lavoro in Italia. Dal 1° gennaio al 30 giugno 2024 sono state presentate all’Inail 469 denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale, con una media di 2,6 morti al giorno.

Questo dato rappresenta un incremento rispetto allo stesso periodo del 2023, quando le morti sul lavoro registrate erano state 450. Si tratta di un aumento del 4%, con 19 morti in più rispetto all’anno precedente. Il numero di morti nella prima metà del 2024 è anche leggermente superiore a quello registrato nello stesso periodo del 2022 (463 morti), ma rimane inferiore al dato del 2019 (482 morti).

L’Inail sottolinea che questi dati sono provvisori e che il confronto con i numeri del passato richiede cautela, in particolare per quanto riguarda gli infortuni mortali. Questi ultimi possono essere soggetti a variazioni dovute a picchi occasionali e ai tempi di trattazione delle pratiche.

Un’analisi più approfondita rivela che alla fine di giugno 2024 risultavano cinque denunce di incidenti plurimi sul lavoro, per un totale di 21 morti, di cui solo quattro avvenute per incidente stradale. Nello stesso periodo del 2023, le denunce per incidenti plurimi erano state sei, ma con un numero totale di morti inferiore, pari a 12, di cui la metà in incidenti stradali.

Analisi dei dati: un aumento preoccupante

Per avere un quadro più preciso del fenomeno, che includa anche i casi accertati positivamente dall’istituto, sarà necessario attendere il consolidamento dei dati dell’intero 2024, al termine dell’iter amministrativo e sanitario relativo a ogni denuncia.

Un altro aspetto importante da considerare è il rapporto tra il numero di morti e il numero di occupati. Anche in questo caso, i dati provvisori dell’Inail mostrano un leggero aumento. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati denunciati 1,96 decessi di lavoratori ogni centomila occupati, contro l’1,91 dello stesso periodo del 2023, con un incremento del 2,6%.

Nonostante questo recente aumento, è importante notare che rispetto ai decenni passati si è registrato un forte calo dei morti sul lavoro in Italia. Nel 1963, l’anno con il valore più alto, si contarono oltre 4.600 morti sul lavoro, mentre nel 2022 (ultimo anno con dati consolidati) il numero è sceso a poco più di 1.200.

Per quanto riguarda il confronto con l’Unione Europea, l’Italia si posiziona all’ottavo posto per numero di morti sul lavoro tra i Paesi UE. Secondo i dati Eurostat del 2021 (i più recenti disponibili), l’Italia ha registrato un tasso standardizzato di incidenza pari a 3,17 morti ogni centomila lavoratori, contro una media europea di 2,23. Tra i grandi Paesi UE, la Francia ha un dato più alto (4,45), mentre Germania (1,08) e Spagna (2,49) presentano numeri più bassi.

Il tasso standardizzato di incidenza calcolato da Eurostat tiene conto non solo del numero di morti in rapporto ai lavoratori, ma anche delle dimensioni dei singoli settori economici e della loro pericolosità, permettendo così un confronto più omogeneo tra i diversi Paesi.

L’articolo Morti sul lavoro, un paese che non impara: vittime in aumento, ma nessuna reazione sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Meglio che non siano andati a Sant’Anna di Stazzema

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri ha detto che le radici della Repubblica sono piantati a Sant’Anna di Stazzema, dove ottant’anni fa furono trucidati dalle SS 560 civili, quasi tutti donne, anziani e anche molti bambini. I nazisti, con l’aiuto di membri delle Rsi, voluto sterminare una comunità.

Sarà per questo che nessuno del governo, Giorgia Meloni in testa, ha ritenuto di dover essere presente alla celebrazione, nonostante gli inviti formali del sindaco, nonostante il dovere della memoria in questi tempi di guerra come risoluzioni delle controversie. Anche questo l’ha ricordato Mattarella.

Per l’anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema dobbiamo accontentarci dello stringato comunicato stampa del presidente del Senato Ignazio Mario Benito La Russa che si riferisce a una “ferita indelebile” senza nessun cenno alle responsabilità e alle parole del presidente della Camera Lorenzo Fontana che invece fa riferimento ai “uno dei crimini più brutali commessi dai nazifascisti in Italia”. 

Forse è meglio che i membri del governo non ci siano andati. Almeno la presidente del Consiglio ci ha evitato di polemizzare con i parenti delle vittime come accaduto per i famigliari mai risarciti della Strage di Bologna. Almeno Salvini ci ha evitato le sue invocazioni al Signore per coprire la sua ignoranza sulla storia della Repubblica. Almeno Tajani ci ha evitato la scenetta logora del poliziotto buono in mezzo ai cattivi. Meglio così. 

Questa maggioranza non ha nulla a che vedere con “le radici della nostra Repubblica” evocate da Mattarella, oppure hanno a che vedere con la parte sbagliata. 

Buon martedì. 

Foto del corteo del 12 luglio a Sant’Anna di Stazzema scattata dalla Cgil Toscana.presente con il segretario Rossano Rossi

L’articolo proviene da Left.it qui

Gasparri contro Vannacci, è iniziata la guerra a Salvini

“Ci vuole l’innegabile talento di Vannacci per criticare Paola Egonu nel giorno del trionfo olimpico delle nostre atlete di pallavolo. L’ex, per fortuna, generale, si atteggia a De Gobineau ‘de noantri’ (se lo ignora può consultare Wikipedia, fonte di apprendimento alla sua portata) parlando di ‘tratti somatici. Lessi su un giornale che si vantava di fingere di perdere l’equilibrio in metropolitana per toccare le mani, cito, ‘di persone di colore per capire al tatto se la loro pelle fosse più rugosa della nostra. lo invece ho incontrato un signore che si è qualificato come barbiere di Vannacci, meno noto di quello di Siviglia reso celebre da Rossini (rinvio Vannacci a fonti Internet anche in questo caso), dal quale ho appreso che al momento dello shampoo, con l’inevitabile contatto delle mani con il celebre cranio, ‘a tatto’ il barbiere ebbe il sospetto di un vuoto all’interno della ‘scatola’ Ma come dicono nella celebre opera ‘la calunnia è un venticello’ e il barbiere avrà mentito. Per Vannacci vale il noto detto: Tanto nomini nullum par elogium. O no?”.

Vi stupirà sapere che il forbito commento qui sopra è firmato dal senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, folgorato sulla via di Damasco da una luce di rispetto e di integrazione. La stessa sospetta conversione del ministro Lollobrigida qualche giorno prima, quando ha scritto che non esistono colori tra gli atleti ma sono “tutti azzurri”. Quella che potrebbe essere un’angosciante buona notizia (essere d’accordo per una volta con Gasparri) in realtà nasconde la vera notizia: nella destra è cominciata la guerra contro Salvini e compari. Dipingerli come estremisti è il primo passo.

L’articolo Gasparri contro Vannacci, è iniziata la guerra a Salvini sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La tentazione di Forza Italia

Al momento è solo un’ipotesi al limite della provocazione ma se fosse proprio Forza Italia il partito che potrebbe far cadere il governo Meloni? Non è solo il confuso attivismo di Matteo Salvini e il prevedibile congresso della Lega a preoccupare l’inquilina di Palazzo Chigi.

Mettiamo in fila fatti. Ieri in un’intervista a a Repubblica l’ex viceré di Silvio Berlusconi in Sicilia, Gianfranco Miccichè, ha annunciato l’abbandono di Forza Italia. “Oggi, all’interno della coalizione di centrodestra, non si può più neppure parlare di diritti civili – dice -. Quella di Meloni è una destra che sta rimuovendo i valori del congresso di Fiuggi. Sta facendo repressione. È ovvio che la maggior parte degli esponenti di Forza Italia che hanno una concezione riformista e liberale della vita stia male”.

Al di là degli interessi personali dell’ex sottosegretario di Berlusconi i suoi lamenti sono diffusi nel partito e tra gli elettori molto di più di quello che sembra. Secondo indizio: qualche giorno fa il forzista Giorgio Mulè in un’intervista a Il Foglio ha detto che “non serve stare al governo” se Forza Italia non incide. La mancata incidenza di Forza Italia sul governo è anche una delle insoddisfazioni della famiglia Berlusconi.

Terzo indizio. Come nota Daniela Preziosi su Domani le prossime elezioni tedesche potrebbero vedere la Cdu allearsi con Spd, tenendo fuori i sovranisti. A quel punto nel Ppe europeo FI rimarrebbe l’unico partito ancorato (se non addirittura dipendente) a forze politiche che sono state escluse dall’asse di comando europeo. Da perno del Ppe in Ue, Forza Italia finirebbe per essere un’irrilevante appendice.

L’articolo La tentazione di Forza Italia sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Condotta antisindacale, la Rai costretta a pubblicare il dispositivo di condanna emesso dal giudice

Prima la condanna, poi la pubblicazione. La condanna inflitta dal Tribunale di Roma alla Rai per condotta antisindacale, in relazione allo sciopero di 24 ore indetto dall’Usigrai dalle 5:30 del 6 maggio alle 5:30 del 7 maggio 2024, è apparsa ieri in bella vista su diverse testate nazionali. Così come imposto a Viale Mazzini dalla sentenza.

Secondo la quale, la Rai ha violato l’art. 34 del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico, l’art. 21 del contratto integrativo Rai-Usigrai e il punto 6 dell’Intesa del 4/12/2000 sulla regolamentazione del diritto di sciopero non consentendo la lettura del comunicato sindacale sulle ragioni dell’astensione dal lavoro in diversi telegiornali.

Oltre quindi a disporne la lettura, il tribunale ha ordinato inoltre la pubblicazione del suo dispositivo, a spese della RAI, per due giorni consecutivi sui quotidiani “La Repubblica”, “Il Corriere della Sera” e “La Stampa”, sia in versione cartacea che online. Il testo dovrà apparire anche sulle home page dei siti web www.rai.it e www.rainews.it.

Le spese legali sono state compensate per metà, con la RAI condannata a rimborsare all’Associazione Stampa Romana, promotrice del procedimento, la restante metà pari a 2.500 euro, oltre a rimborsi forfettari, IVA e CPA come previsto dalla legge.

La sentenza, emessa dalla dott.ssa Laura Cerroni, si basa sull’art. 28 della legge 300/1970 e rappresenta un significativo pronunciamento sulle pratiche sindacali all’interno dell’emittente pubblica nazionale.

L’articolo Condotta antisindacale, la Rai costretta a pubblicare il dispositivo di condanna emesso dal giudice sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

“Post indegno del servizio pubblico”. Pure l’Usigrai contro Vespa per il commento su Egonu e Sylla

Non si placano le polemiche su Bruno Vespa. Il conduttore di Porta a Porta, è finito nel mirino dell’Usigrai dopo il controverso commento sui social network a proposito delle pallavoliste azzurre Egonu e Sylla. L’occasione, che avrebbe dovuto essere di pura celebrazione per la vittoria della nazionale femminile di volley alle Olimpiadi di Parigi 2024, si è trasformata in un caso di studio su come non congratularsi con degli atleti nel XXI secolo.

Vespa ha scritto sul suo profilo X: “Straordinaria la nazionale pallavolista femminile. Complimenti a Paola Enogu (sic) e Myriam Sylla: brave, nere, italiane. Esempio di integrazione vincente”. Un tweet apparentemente innocuo che ha scatenato una tempesta di critiche. Comprese quelle dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai.

Il post di Vespa e la reazione del sindacato: un caso di razzismo latente?

In un comunicato ufficiale, l’Usigrai non ha usato mezzi termini: “Il post su X di Bruno Vespa è indegno del servizio pubblico. Vespa, oltre a ignorare totalmente la storia delle due giocatrici, che sono nate in Italia dove si sono formate sportivamente, sottolinea senza alcun motivo il colore della loro pelle, dimostrando un razzismo latente e una mentalità retrograda”.

Ma non è tutto. Il sindacato ha colto l’occasione per ricordare altri recenti episodi discutibili che hanno visto protagonista il conduttore: “Che Vespa sia ormai totalmente inadeguato per il servizio pubblico lo dimostra ogni volta, non ultima la puntata sull’interruzione volontaria di gravidanza con ospiti soli uomini”.

La domanda che sorge spontanea e che l’Usigrai non manca di porre è: “Ci chiediamo cosa aspetti la Rai a intervenire, considerata anche l’onerosa collaborazione dell’artista, escamotage usato per aggirare il tetto dei 240mila euro di retribuzione nella pubblica amministrazione”.

A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato Rai Sport, che ha evidenziato l’errore di Vespa nel cognome di Paola Egonu, scritto “Enogu”. Un dettaglio che, seppur minore rispetto alla sostanza del messaggio, non fa che sottolineare una certa superficialità nel trattare l’argomento.

Di fronte alle critiche, Vespa ha tentato di difendersi con un altro tweet: “Sapevo benissimo che Egonu e Sylla sono nate in Italia. Ma anche loro purtroppo debbono integrarsi in un mondo più razzista di quanto s’immagini. E le due campionesse ci sono riuscite benissimo”. Una precisazione che, anziché placare gli animi, ha sollevato ulteriori perplessità sulla percezione del conduttore riguardo temi delicati come l’integrazione e il razzismo.

È doveroso chiedersi: in un paese dove le seconde generazioni sono una realtà consolidata, è ancora accettabile parlare di “integrazione” riferendosi a cittadini italiani nati e cresciuti nel nostro paese? E soprattutto, è ammissibile che una figura di spicco del servizio pubblico continui a perpetuare stereotipi e visioni anacronistiche della società italiana

Il caso Vespa solleva questioni più ampie sul ruolo e la responsabilità dei media pubblici nella formazione di una coscienza civica moderna e inclusiva. In un’Italia sempre più multietnica e multiculturale, c’è ancora spazio per visioni che, seppur non intenzionalmente, rischiano di alimentare divisioni e pregiudizi?

Il ruolo dei media pubblici nell’italia multietnica

I vertici Rai, finora, hanno mantenuto un silenzio imbarazzante sulla vicenda. Resta da vedere se e come l’azienda deciderà di affrontare questa ennesima controversia legata a uno dei suoi volti più noti. Nel frattempo, Paola Egonu e Myriam Sylla continuano a far parlare di sé per i loro meriti sportivi.

L’articolo “Post indegno del servizio pubblico”. Pure l’Usigrai contro Vespa per il commento su Egonu e Sylla sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Spose bambine a soli nove anni, la legge-vergogna proposta in Iraq

La recente proposta di legge in Iraq che permetterebbe di abbassare l’età legale per il matrimonio a 9 anni sta suscitando una forte ondata di indignazione sia a livello nazionale che internazionale. Il disegno di legge è stato avanzato dal Comitato per i Diritti Umani del Parlamento iracheno e ha immediatamente provocato reazioni contrarie da parte di attivisti, organizzazioni per i diritti umani e figure religiose.

Un attacco ai diritti delle bambine: le reazioni degli attivisti

Hanaa Edwar, una delle principali attiviste per i diritti delle donne in Iraq, ha definito la proposta come “un attacco diretto ai diritti delle bambine”, sottolineando come essa rappresenti un ritorno al passato, minando decenni di progressi ottenuti a fatica nel campo dei diritti delle donne. Edwar ha inoltre avvertito che la legge potrebbe portare a un aumento dei matrimoni forzati, esponendo le bambine a gravidanze precoci e mettendo a rischio la loro salute fisica e mentale.

L’organizzazione Human Rights Watch ha fatto eco a queste preoccupazioni, denunciando il rischio che la legge possa normalizzare e legalizzare pratiche che violano i diritti umani fondamentali. Belkis Wille, ricercatrice senior per Human Rights Watch, ha dichiarato che il disegno di legge “sfrutta la religione per giustificare una pratica disumana”, evidenziando come esso contrasti con le convenzioni internazionali sui diritti dell’infanzia, alle quali l’Iraq ha aderito.

La proposta di legge si inserisce in un contesto più ampio di discussioni sull’interpretazione della Sharia nel diritto iracheno. I sostenitori della legge affermano che essa è conforme alla legge islamica, che permetterebbe il matrimonio una volta raggiunta la pubertà. Tuttavia, questa interpretazione è altamente contestata e ritenuta anacronistica da molti esperti, che sottolineano la necessità di adeguare le leggi alle esigenze moderne e di proteggere i minori.

Amnesty International ha emesso una dichiarazione in cui esprime “profonda preoccupazione” per la proposta di legge, avvertendo che, se approvata, potrebbe avere effetti devastanti sui diritti delle bambine in Iraq. L’organizzazione ha inoltre fatto appello alla comunità internazionale affinché faccia pressione sul governo iracheno per ritirare il disegno di legge.

Le implicazioni globali di una legge controversa

Le implicazioni della proposta sono profonde e potrebbero estendersi ben oltre i confini dell’Iraq. Se la legge dovesse passare, potrebbe costituire un pericoloso precedente per altri paesi della regione, dove i diritti delle donne e dei bambini sono spesso subordinati a interpretazioni rigide della legge islamica. I critici temono che questo possa portare a una regressione nei diritti delle donne in tutto il Medio Oriente.

Il dibattito sta portando alla luce le profonde divisioni all’interno della società irachena, tra coloro che sostengono un’interpretazione conservatrice della legge islamica e coloro che lottano per un Iraq più progressista, che rispetti i diritti umani e l’uguaglianza di genere. Si tratta di un banco di prova cruciale per il futuro del paese e per il ruolo che la religione giocherà nella sua legislazione.

Per questo in molti confidano sulla pressione internazionale che potrebbe giocare un ruolo determinante nel bloccare questa legge. Il sostegno della comunità globale alle organizzazioni irachene che si oppongono alla proposta potrebbe essere decisivo nel determinare l’esito di questa battaglia legislativa.

A differenza della vicina Arabia Saudita, l’Iraq non ha un sistema di tutela maschile che richiede alle donne di avere il permesso di un marito, padre o tutore maschio per fare scelte di vita cruciali come il matrimonio. Tuttavia, una nuova proposta, che ha superato la sua prima lettura nel parlamento iracheno questa settimana, darebbe alle autorità religiose il potere di decidere sugli affari familiari, tra cui il matrimonio, il divorzio e la cura dei figli. 

L’articolo Spose bambine a soli nove anni, la legge-vergogna proposta in Iraq sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Dopo Parigi partono le Olimpiadi della poltrona a Roma: pure il Coni nel mirino del governo

Olimpiadi come simbolo di sportività e pacificazione? Ma va. Anche il terreno olimpico per il governo Meloni è territorio di conquista. La strategia è sempre la stessa, sostituire con il principale intento di occupare. Non importa che l’Italia sportiva da poche ore si possa godere lo straordinario successo nel medagliere che le consegna il nono posto. 

La poltrona del Coni più ambita di una medaglia

Mentre gli atleti si sfidavano nelle ultime gare la prima preoccupazione del ministro dello Sport Andrea Abodi è stata quella di chiarire il futuro delle poltrone, molto più succulente di qualsiasi medaglia di qualsiasi metallo. “Dalle poltrone ci si deve anche alzare”, aveva detto il ministro qualche giorno fa, facendo riferimento al futuro cambio ai vertici del Coni. Come specificato dalla legge, infatti, l’attuale presidente non potrà ricandidarsi per un nuovo mandato. “Da Andrea non me lo aspettavo”, ha commentato Giovanni Malagò.

Così ieri il presidente del Coni durante la conferenza stampa in Casa Italia ha deciso di tirare la stoccata: “Abodi ha parlato di fine ciclo? Penso che oggi è un giorno di festa, la cosa meno bella è che sia stato molto fuori luogo il ministro dello Sport. A cinque giorni dalla fine delle Olimpiadi, sapendo quanto ci ho messo la faccia e quanto mi sia speso, ha sottolineato questa cosa. Non è solo un problema di stile – ha commentato Malagò -. Mi ha fatto però piacere perché la politica deve occuparsi di sport, che Abodi sia partito e sia venuto oggi a vedersi la pallavolo, era in vacanza a Cagliari. Noi ne abbiamo bisogno”.

Le regole del Comitato olimpico italiano dicono che il presidente non può ricandidarsi per più di tre volte ma le regole, si sa, possono essere usate, osate e perfino cambiate. Nelle federazioni sportive, ad esempio, il limite dei mandati è superabile se il candidato presidente raccoglie due terzi dei voti a scrutinio segreto. Malagò da mesi chiede che il Coni si allinei alle federazioni che rappresenta senza ottenere risposta dal governo.

La strategia politica dietro il cambio ai vertici

Dalle parti di Palazzo Chigi, come rivela anche Repubblica, si ha fretta di sostituire l’attuale presidente del Coni con un volto da presentare in occasione delle prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina nel 2026. Il nome individuato dai partiti di maggioranza è quello di Luca Zaia, attuale presidente della Regione Veneto che non potrà ricandidarsi, nonostante le promesse vacue del suo segretario Matteo Salvini. 

Il governatore veneto non ha corso alle ultime elezioni europee perché disturbato dalla candidatura del generale Vannacci nelle liste del suo partito. La presidenza del Coni gli permetterebbe di ottenere una prestigiosa collocazione politica che gli garantirebbe visibilità e che gli permetterebbe di continuare a essere un “simbolo” veneto. L’offerta della poltrona del Coni consentirebbe anche a Meloni di saldare il suo rapporto con un uomo di punta della Lega in rotta da tempo con il suo segretario. 

Repubblica racconta di un lasciapassare di Stefano Bonaccini, ex collega presidente di Regione, a un’ipotesi sportiva. E di una mossa di Giorgia Meloni concordata con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, entrambi interessati a far arrivare a Roma l’unico leghista in grado di scontrarsi con Salvini. Malagò non rimarrà comunque a piedi. Per lui sarebbe già calda la poltrona della Figc. Mentre a Parigi si smontano le Olimpiadi e gli atleti si imbarcano verso casa in Italia infuria già il valzer intorno alla pratica sportiva più interessante per la politica: la rincorsa alla poltrona. Perché anche lo sport, per Meloni e compagnia, è un pezzo di quell’egemonia culturale che ossessiona il governo. 

L’articolo Dopo Parigi partono le Olimpiadi della poltrona a Roma: pure il Coni nel mirino del governo sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui