Per motivi misteriosi alcuni quotidiani italiani che si definiscono progressisti ogni mattina hanno l’ossessione di riportare l’opinioni di personaggi minori se non addirittura naïf della politica italiana. Così è stato irrorato il generale Vannacci, figura mitologica atterrata al Parlamento europeo sul soffio di chi per mesi l’ha intervistato su tutto lo scibile umano dall’alto della sua esperienza di militare nell’esercito italiano. Ma il pleonastico più appassionante per certo giornalismo nostrano da anni è l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, da giovanotto salito alla ribalta in scia del ben altro spessore di Pippo Civati e poi sempre più su fino alla scrivania di Palazzo Chigi.
Non si sa perché un ex presidente del Consiglio ora consulente di pericolose autocrazie in giro per il mondo debba essere così interessante. Guida, questo è vero, un partito personale – quelli che odiava quando era segretario del Partito democratico – che sul solco della tradizione dei piccoli partiti si è fatto notare per la democristianissima politica dei due forni, concedendosi di volta in volta al migliore offerente del bipolarismo italiano. Matteo Renzi dovrebbe rendere il suo partito Italia Viva un organo democratico come stabilito dalla Costituzione. Alcuni suoi compagni di partito da mesi chiedono che si possa convocare un’assemblea, meglio ancora un congresso, per decidere la linea politica che ora è affidata ai guizzi del capo e alla sua news letter (personale) che arriva agli iscritti.
Luigi Marattin con fermezza e garbo ha fatto notare al suo segretario che non “basta un gol ad una partita di beneficienza e una bella foto per cambiare una linea politica che era stata già concordata con la propria comunità politica”. Renzi da qualche settimana ha deciso che Italia Viva deve (deve!) entrare nel cosiddetto campo largo del centrosinistra. “Pensavo che il cambio repentino di opinioni fosse prerogativa di Calenda”, ha spiegato Marattin in un’intervista a Il Foglio. Sì, perché c’è anche Carlo Calenda, dopo ci arriviamo.
Peccato che i desiderata di Renzi non piacciano non solo a certi suoi influenti compagni di banco ma anche a coloro che dovrebbero accoglierlo. No a Renzi l’hanno detto il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra oltre a una nutrita truppa di dirigenti anche del Partito democratico. “Ci fa perdere più voti di quanti ne porta”, dicono in coro. Lo certificano anche i sondaggi, del resto. Ieri un pezzo del giornalismo nostrano ci ha tenuto a dirci che Renzi è convinto che se gli “sbarreranno la strada” quelli che non lo vogliono “dovranno rendere conto”. L’affermazione apocalittica rende bene la sconnessione del personaggio con la sua reale dimensione.
Nel frattempo mentre Renzi fa gli schizzi in acqua per attirare l’attenzione nell’area liberale italiana c’è chi con molta più coerenza sta faticando per provare a rimettere insieme i cocci. I dissidi tra Renzi e Calenda hanno divertito da morire certi giornalisti ma hanno lasciato macerie al centro. E poiché il centro – come la destra, come la sinistra – non è i suoi leader (soprattutto se fallimentari) ma è i suoi elettori forse sarebbe giornalisticamente più interessante conoscere il loro parere.
Nel frattempo il campo largo è tornato per l’ennesima volta a essere un argomento di costume politico, più che un laboratorio di proposte politiche. Come fu ai tempi della famosa foto di Vasto (ve li ricordate Vendola, Bersani e Di Pietro?) la potenziale coalizione diventa un feticcio utile nelle redazioni quando si hanno pagine da riempire. Il governo Meloni umilia i poveri, impoverisce i lavoratori, sbaglia tutto nella politica estera, arranca e mente sul Pnrr, imbavaglia i giornalisti, balbetta di fronte al disastro carcerario, si svende a qualche lobby, spia nelle mutande delle atlete.
Nel fronte avverso si discute di quali debbano essere i confini del campo largo raccogliendo i bisbiglii e i lamenti degli astiosi ex amici. Non è una buona strategia, se possiamo permetterci, per costruire un’alternativa. Si potrebbe decidere, ad esempio, se sia possibile immaginare una maggioranza che voti senza troppi indugi un salario minimo dignitoso (Renzi non è d’accordo) oppure se sia possibile non allearsi per il dopo Toti con chi appoggia a Genova Bucci (Renzi), oppure se sia possibile dire in coro che lo scudo per i governatori (proposto dal calendiano Costa) sia irricevibile.
Per battere l’attuale maggioranza bisogna dire chiaramente ai poveri come si intende salvarli, bisognerebbe dire ai libici e ai tunisini che sono proprio loro a lucrare sui migranti, bisognerebbe dire a tassisti e balneari di rispettare le regole come gli operai e gli impiegati, bisognerebbe dire a certi garantisti che è incivile l’impunità dei colletti bianchi, bisognerebbe dire a Confindustria che il Pil non è l’unico metro per misurare la felicità di una nazione. Poi magari si potrebbe trovare anche il coraggio di dire, va bene anche sottovoce, che le guerre “giuste” si stanno rivelando tutte sbagliate per risultati sul campo e per il sangue tutto intorno. Coltivarlo il campo, prima di appassionarsi ai confini.
L’articolo Lite sui confini del campo che non c’è sembra essere il primo su LA NOTIZIA.
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