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L’Italia di Meloni: da potenza mondiale a barzelletta olimpica

L’autorevolezza dell’Italia nel mondo promessa da Giorgia Meloni fin dalla campagna elettorale nei due anni di governo è una chimera che si sgretola ogni volta che l’Italia mette la faccia fuori da Palazzo Chigi.

Il tonfo in Europa era stata l’ultima caduta, con la presidente del Consiglio che per mesi ha indugiato tra Ursula von der Leyen e sovranisti d’ogni solfa per rimanere poi incagliata nell’irrilevanza. 

Le Olimpiadi di Parigi sono state l’ultimo puntata di un esecutivo mai all’altezza, provinciale nelle intenzioni e nelle elaborazioni. 

Solo in Italia gli esponenti di governo e della maggioranza hanno trasformato una cerimonia in un caso politico. Il vice presidente del Consiglio (nonché ministro di trasporti che quest’estate trasportano poco e male) si è esposto definendola «disgustosa». Nemmeno nell’Ungheria di Orbàn la censura alla cerimonia olimpica è diventata una priorità politica. 

La fiumana di offese di ministri e parlamentari della maggioranza verso la pugile Imane Khelif è stata una peculiarità solo italiana e solo russa. La stampa internazionale e il Cio sono rimasti basiti dall’oscurantismo italiano. Una capa di governo che incontra il Comitato olimpico per chiedere delucidazioni sull’organo sessuale di un’atleta è una barzelletta internazionale. 

È molto russa anche la battaglia interna per la presidenza della Federazione del nuoto italiana. In corsa ci sono il parlamentare di Forza Italia Paolo Barelli e il meloniano Fabio Rampelli. Immagine nitida dell’occupazione della politica di maggioranza, come negli altri campi. 

Voci di corridoio dicono che Meloni si sia proposta come referente affidabile del Cio per calmare le acque. Chissà come se la ridono, quelli. 

Buon lunedì. 

Olimpiadi 2024, il match fra Khalif e Carini, foto di Chabe01 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=151157588

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Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno – Lettera43

Controllo dei corpi, discriminazione delle minoranze, restrizione delle libertà personali: tutto ciò che la scrittrice aveva paventato sull’avvento di una strisciante autocrazia culturale si sta verificando. Per onorarla, bisogna denunciare e resistere come avrebbe fatto lei. Sta a noi decidere se essere oppositori o complici di quest’epoca cupa.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno

Un anno dopo che non c’è più Michela forse i precipitati siamo noi. Siamo noi che ci siamo spesi a difenderla e avremmo potuto ascoltarla di più, siamo noi che già al primo anno dalla sua scomparsa ci ritroviamo a commemorarla con quel misto di vergogna che accompagna certe celebrazioni che danno le vertigini per l’indolenza. Io li ricordo bene quelli che la dileggiavano quando parlava di fascismo di ritorno. Non dico tanto i fascisti, gli accoliti o i compari di questo governo Meloni, per quelli Michela Murgia è la criptonite per Superman, vomitano bile perché non riescono a trovare le parole. Ricordo bene però quelli che sono considerati progressisti, che oggi la piangeranno e allora pensavano che l’allarme fosse ingiustificato.

Qualcuno aveva liquidato le sue parole come eccessivo allarmismo

Michela ci aveva avvertito. Con lucidità chirurgica aveva diagnosticato i sintomi di un fascismo strisciante, un’autocrazia culturale che si insinuava nelle pieghe della nostra democrazia. Qualcuno ha fatto spallucce. Abbiamo liquidato le sue parole come allarmismo, come iperbole retorica di un’intellettuale troppo sensibile. Oggi, a un anno dalla sua scomparsa, ci ritroviamo a fare i conti con una realtà che sembra uscita dalle sue più cupe previsioni. Il controllo dei corpi, la discriminazione delle minoranze, la restrizione delle libertà personali: tutto ciò che Michela aveva paventato si sta materializzando sotto i nostri occhi, con la nonchalance di chi pensa di agire per il bene comune.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno
Michela Murgia (Getty).

Hanno trasformato la paura in politica, l’ignoranza in virtù, l’intolleranza in patriottismo

Non è arrivato con stivali e manganelli, questo nuovo fascismo. È arrivato in giacca e cravatta, con il sorriso sulle labbra e la retorica del “prima gli italiani“. Si è infiltrato nei media, nelle istituzioni, persino nel linguaggio quotidiano. Ha trasformato la paura in politica, l’ignoranza in virtù, l’intolleranza in patriottismo. E noi, che facciamo? La commemoriamo, Michela, perché è così facile, mica come raccogliere il testimone della sua lotta. Ci culliamo nell’illusione che basti un post sui social, una fiaccolata, un minuto di silenzio. Ma il fascismo, quello vero, quello che Michela ci ha insegnato a riconoscere, non si combatte con i like o con le candele accese. Si combatte con l’azione quotidiana, con la resistenza culturale, con il rifiuto di normalizzare l’inaccettabile.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno
Un cartello di ringraziamento durante il funerale di Michela Murgia (Imagoeconomica).

Il fascismo si nutre dell’indifferenza e della rassegnazione

Michela ci ha lasciato gli strumenti per decifrare questa deriva autoritaria. Ci ha mostrato come il fascismo si nutra dell’indifferenza, della rassegnazione, della convinzione che «tanto non cambierà mai nulla». Ci ha insegnato che il fascismo non è solo un sistema politico, ma un metodo, un modo di pensare e di agire che può infiltrarsi anche nelle democrazie più consolidate. E allora nell’anniversario, invece di piangerla, onoriamola davvero. Facciamo nostre le sue battaglie, la sua intransigenza morale, la sua capacità di chiamare le cose con il loro nome. Non lasciamo che il suo pensiero diventi un’icona inoffensiva, un santino da esporre nelle librerie dei salotti buoni.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno
Un’illustrazione dello street artist Claudiano.jpeg, “Michela Murgia Bonaparte”, a Milano (Getty).

Cosa farebbe Michela Murgia se fosse qui? Alzerebbe la voce

Ricordiamoci delle sue parole: «Voi vi aspettate che il fascismo vi bussi a casa con il fez e la camicia nera e vi dica: “Salve, sono il fascismo, questo è l’olio di ricino“? Non accadrà così». No, non è accaduto così. È accaduto in modo subdolo, graduale, quasi impercettibile. Ma non per questo meno pericoloso. Oggi, mentre i tributi si sprecano, chiediamoci: cosa farebbe Michela Murgia se fosse qui? Sicuramente non si accontenterebbe di parole di circostanza. Alzerebbe la voce, denuncerebbe, lotterebbe. E soprattutto, ci spingerebbe a fare altrettanto.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno
Una donna con un cartello per Michela Murgia durante la manifestazione dell’8 marzo (Getty).

Serve un futuro di libertà, di uguaglianza, di diritti per tutti

Perché il vero omaggio a Michela Murgia non è celebrare il suo passato, ma costruire il futuro che lei ha immaginato. Un futuro di libertà, di uguaglianza, di diritti per tutti. Un futuro in cui il fascismo, in tutte le sue forme, sia relegato nei libri di storia e non nelle cronache quotidiane. Questo è il compito che ci ha lasciato. Questa è l’eredità che dobbiamo raccogliere. Non possiamo permetterci il lusso dell’indifferenza o della rassegnazione. Un anno dopo, il modo migliore per ricordare Michela è essere Michela. Alzare la voce, denunciare, resistere. Perché, come ci ha insegnato, ogni epoca ha il suo fascismo. Sta a noi decidere se esserne oppositori o complici.

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Il bluff di Meloni si scioglie sotto il sole: balneari al capolinea

Forse sarebbe meglio chiarire subito che lo “sciopero dei balneari” non era uno sciopero. Si trattato di due ore di serrata dalle 7 e 30 del mattino, quindi in spiaggia ci sono solo i gabbiani che non affittano lettini e ombrelloni. Il Sindacato Italiano Balneari e Fiba-Confesercenti esulta parlando di “successo strepitoso”. 

Lo sciopero-farsa degli ombrelloni: una protesta senza pubblico

“Abbiamo registrato una massiccia partecipazione in tutta Italia allo sciopero degli ombrelloni, oltre ogni aspettativa”, hanno affermato Antonio Capacchione, presidente del Sindacato Italiano Balneari aderente a Fipe/Confcommercio e Maurizio Rustignoli, presidente Fiba-Confesercenti. Capacchione non le manda a dire alla presidente del Consiglio: “Il mio non è uno stabilimento vip, – dice – è un lido nazional popolare di Margherita di Savoia frequentato da contadini e operai, ma visto che la premier Meloni sta in Puglia, la sfido a venire da me a parlare qui, sotto l’ombrellone, per chiarirci. Ma sono certo che non avrà il coraggio, preferisce il resort nel Salento”. Per Capacchione era addirittura “meglio la legge Draghi” perché “il far west fa male a tutti”. 

Il successo definito strepitoso è invece solo “una sceneggiata” per Massimo Dona presidente dell’Unione Nazionale Consumatori perché “lo sciopero dei balneari si chiude a tarallucci e vino, o forse dovremmo dire a pane e pomodoro, considerato che alcuni gestori hanno optato per fare banchetti e brindisi con i loro clienti”. Il Codacons parla di “adesioni al di sotto delle attese e organizzazioni totalmente divise sulla serrata”.

Il silenzio di Meloni e l’ombra dell’Europa: un governo in fuga dalle responsabilità

Di certo c’è il silenzio della presidente del Consiglio che lascia l’imbarazzo ai suoi ministri e la maggioranza. Il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ripete la solita manfrina del “trovare una posizione di mediazione tra le giuste esigenze degli imprenditori e le regole europee”. Solo che mediare sulle regole significherebbe riscriverle e dalle parti di Bruxelles e dei balneari la pazienza è esaurita da tempo. 

Il cerino rimane in mano al ministro Raffele Fitto che continua a trattare con l’Europa dentro margini ridottissimi. Il manico del coltello è nelle mani dell’Unione europea che tra due mesi aspetterà il verdetto della Corte di giustizia europea quando l’infrazione sarà scritta nero su bianco. A quel punto la melina del governo costerà per ogni giorni di ritardo, rischiando di diventare un clamoroso autogol politico con i balneari, con l’Europa e per il bilancio dello Stato. 

La soluzione sul tavolo è sempre e solo una: dare il via subito alle gare come scritto nel ddl Draghi senza concedere nessun vantaggio e nessun indennizzo agli attuali gestori. La Corte di giustizia Ue ha già specificato che non esiste nessuna possibilità di indennizzo per “le opere non amovibili realizzate nell’area concessa”. Della stessa idea è anche il Consiglio di Stato che ha confermato l’impostazione europea nelle sue recenti sentenze. 

Che andrà a finire male lo sanno bene dalle parti del governo. Modificare l’ineluttabile è impossibile. Ora tocca trovare una narrazione compiacente per andare di fronte alla lobby accarezzata in campagna elettorale e dirle che quelle promesse erano vane. La presidente del Consiglio che voleva “cambiare l’Europa” a quel punto dovrà ammettere la sua sconfitta politica e l’ipocrisia elettorale. 

In Romagna l’ex amico di Salvini ed ex europarlamentare nella scorsa legislatura, Massimo Casanova, ha aderito alla protesta contro il governo. “Se non ci crede nemmeno lui allora è finita davvero”, dicono i suoi colleghi. La festa è finita, i balneari tornano a essere una categoria dentro le regole. Il tradimento è già consumato, manca solo la carta bollata. 

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Ben svegliato, ministro

Ben svegliato ministro. “Nessun Paese deve invadere un altro Paese e dobbiamo mantenere questa linea anche in questo caso.”. Ha parlato così ieri il ministro della Difesa mentre l’Ucraina continua la sua contro invasione nella regione russa di Kursk. Mosca reagisce colpendo un supermercato nel Donetsk e provocando undici morti. 

È la guerra, bellezza. O meglio, è la maschera che cade di fronte alla guerra “solo difensiva” che l’Italia e l’Europa propagano da tempo nel tentativo di illuderci che esistano forme di guerra educate, buone, addirittura giuste. Una “guerra difensiva”, hanno ripetuto all’infinito. E invece le armi fanno le armi, i soldati fanno i soldati e se ne fregano del fondotinta che la politica spalma a chili fingendo che sia tutto sotto controllo. 

“Il nostro tentativo è di dire che deve cessare l’attacco russo e ripristinare le regole del diritto internazionale, – ha detto Crosetto – non quello di vedere un conflitto che diventa ancora più duro, che si sposta sul territorio russo. Questo prevedrà un ulteriore peggioramento della Russia sul fronte ucraino e quindi allontanerà sempre di più la possibilità di un cessate il fuoco, che è la precondizione per un percorso di pace”. 

Quelli che hanno pronunciato le stesse parole mesi fa erano “pacifinti”, “desistenti” o amici della Russia. I bellicisti invece da ieri ci spiegano che Kiev ha bisogno di territori per trattare più agevolmente e quindi va bene così. Intanto ci sarebbe anche un’altra guerra che si è già spostata su altri territori, quella di Israele. Ben svegliato, ministro. 

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Acrobati della legge: come il governo ha inventato il decreto-preveggente

Il circo della politica italiana non smette mai di stupire. L’ultimo numero in cartellone? Un capolavoro di acrobazia legislativa che lascia a bocca aperta persino i più cinici osservatori.

Come ci racconta la brillante giurista Vitalba Azzollini in un tweet che grida allo scandalo, siamo di fronte all’ennesimo “mostro normativo”. Il governo, nella sua infinita saggezza, ha partorito un decreto-legge per correggere un disegno di legge non ancora approvato. Avete capito bene: hanno usato una toppa d’emergenza per rattoppare un buco che ancora non c’era.

Il ddl Nordio, bloccato sulla scrivania di Mattarella come un pacco sospetto, prevedeva l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Un colpo di spugna che avrebbe lasciato impuniti i pubblici ufficiali che usano denaro pubblico come fosse il proprio portafogli. Piccolo dettaglio: questa genialata cozzava contro una direttiva UE del 2017.

Cosa fare? Semplice! Si vara in fretta e furia un decreto per introdurre una norma che copra il vuoto legislativo creato da una legge non ancora in vigore. Un capolavoro di preveggenza giuridica, degno dei migliori indovini.

Oggi, finalmente, il Quirinale ha potuto firmare la conversione del decreto-tampone, aprendo la strada all’approvazione della legge originale. In pratica, hanno costruito un ponte per attraversare un fiume che loro stessi avevano deciso di scavare.

Azzollini conclude il suo tweet con parole che non lasciano spazio a interpretazioni: “Credo di aver visto raramente schifezze come questa”. E come darle torto? In questo teatrino dell’assurdo ormai abbiamo smesso di ridere da un bel po’, tra l’incredulo e il rassegnato. 

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Il Bestiario della settimana – Vannacci si abbassa i pantaloni, Mentana blastato e Salvini parla di tutto tranne quello che serve

Mentana blastato

Enrico Mentana è celebre, tra le altre cose, per il pugnace spirito con cui risponde arguto a certi suoi commentatori sui social (tecnicamente: blastare). Durante queste Olimpiadi tiene traccia delle vittorie degli sportivi italiani e fieramente riposta il medagliere. Solo che qualcuno non l’ha presa bene. “Puoi smetterla di rubare il nostro lavoro e di non ritagliare il nostro logo? Sarebbe bello”, è comparso tra i suoi commenti. E così il blastatore finì blastato. 

Ha stato il social media manager

Della figuraccia del ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano sui social dove ha convertito in due secoli e mezzo i 2.500 anni di Napoli se n’è parlato molto questa settimana. Il ministro ha “accettato le dimissioni” del suo collaboratore e ritiene la questione chiusa. Solo che poco dopo  Ivana Jelinic, l’amministratrice delegata dell’Agenzia Nazionale del Turismo e grande amica della ministra Santanché ha pubblicato una sua foto sofferente in ufficio scrivendo: “Ancora in ufficio… almeno ce l aria condizionata”. Viene il dubbio che abbia assunto il smm di Sangiuliano. 

Quando c’era LVI

Giovedì il giornalista de Il Foglio Pietro Salvatori ci informava che i treni tra Roma e Napoli avevano 180 minuti di ritardo e in quegli stessi minuti il ministro dei Trasporti Matteo Salvini stava in Versilia a parlare di “puntualità dei treni all’83% (giuro), Repubblicani Usa che ci regaleranno la pace nel mondo, Toti sequestrato dai magistrati, quanto è un problema il potere giudiziario, flat tax per le partite Iva, Vannacci e il suo partito, quanto è brutta e cattiva Ursula von der Leyen, pace fiscale”. Un ministro leggendario. 

Nuovi intellettuali di destra

L’ex velina Maddalena Corvaglia contro Imane Khelif, il video shock: “Se un uomo si identifica in una donna”. Un reel postato su Instagram con paragoni assurdi e associazioni tematiche senza alcun senso: “In che direzione stiamo andando?”, interroga la showgirl, “te lo sei chiesto? Se una bambina si identifica in un Labrador, ha il diritto di andare al parchetto dei cani e non a scuola Se un uomo si identifica in una coccinella e ha il diritto di essere identificato come coccinella, può venire a vivere nel tuo giardino?”. Ora è pronta per un programma in Rai.

Avanti così

L’insostituibile Nonleggerlo riporta uno scambio avvenuto su X a proposito della polemica della pugile Imane Khelif. Simone Pillon, ex parlamentare della Lega: “Scienza facilitata per sinistrati”, “Ci sono solo 2 generi: LUI va dall’UROLOGO. LEI va dal GINECOLOGO. TUTTI GLI ALTRI VANNO DALLO PSICHIATRA”
Replica @Cartabellotta, presidente Gimbe: “Lasci perdere la scienza @SimoPillon. Se non conosce la differenza tra urologo e andrologo, pensa davvero di avventurarsi nella complessa distinzione tra sesso biologico e identità di genere?”. Avanti così. 

Guerra e pace

Matteo Salvini: ”Spero che in Usa vincano i repubblicani perché avere i repubblicani vuol dire avere pace nel mondo. Ovviamente chiunque vincerà avrà l’amicizia dell’Italia”. Infatti è proprio il repubblicano Graham che ha presentato una risoluzione per attaccare l’Iran.

Errare è umano

Scarpa (PD): “Errare è umano, perseverare è Sangiuliano”. Non servono commenti. 

Giù i pantaloni

L’eurodeputato della Lega nonché generale Vannacci ospite di Zona bianca su Rete4: “Mi slaccerei i pantaloni senza problemi per dimostrare che sono uomo, e la signora in studio potrebbe rimanere stupita”. Come all’asilo, che vinceva chi aveva il coraggio di mostrare il pistolino. 

Ambientalisti brutta razza

Il sindaco di Gallarate Andrea Cassani passando in auto ha mostrato il dito medio a un gruppo di ambientalisti che protestavano contro l’abbattimento di alcuni alberi. Sono i politici che dicono che bisogna protestare “educatamente”. 

Comunisti!

Scontro per la guida della Federazione Italiana Nuoto, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (FdI) escluso dalla corsa alla presidenza attacca l’attuale presidente Barelli (Forza Italia): “Elezioni come in Corea del Nord”. Fanno tutto da soli. 

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Le bugie ai balneari costano

Va sempre a finire così quando si cercano voti in cambio di promesse irrealizzabili. La destra “anti Bolkestein” che prometteva ai balneari di poter agire al di fuori dalle regole si schianta contro la realtà. 

L’Unione europea ha perso la pazienza e dopo la melina del ministro Fitto ha deciso che è arrivata l’ora che l’Italia si allinei all’Europa ma che soprattutto i gestori di lidi non sono una casta a disposizione del partito di turno. 

Così stamattina sulle spiagge italiane va in scena lo “sciopero degli ombrelloni” che fa molto sorridere se si tiene conto che quelli ombrelloni stizziti e chiusi sono illegali da mesi, quando le concessioni sono scadute. Gli abusivi in sciopero sono il risultato politico dell’inettitudine. 

Giorgia Meloni aveva chiesto al ministro Fitto un risultato anche piccolo, quel poco che bastava per fingere di non avere perso, qualcosa per mascherare il dietrofront. Missione fallita. 

Il governo Meloni sarà il primo governo che bandirà le gare come stabilito dalle regole. Il ministro Salvini s’arrabatta per promettere prelazioni, risarcimenti e “buonsenso”. Tutto inutile. Il suo caro ex amico del Papeete che il leghista aveva portato in Europa nella scorsa legislatura stamattina chiude le sdraio e i ben informati dicono che non risponda al telefono da mesi al suo ex segretario. 

Il negoziato con l’Ue si è arenato per un motivo semplice: le regole. E le regole si rispettano nonostante le bugie dette in campagna elettorale. Nella maggioranza cannoneggiano contro “i burocrati dell’Ue”. E anche questa non è una mossa furba per riattivare qualsiasi trattativa. 

Buon venerdì. 

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Da Capitano a mozzo. Effetto Vannacci su Salvini

Poco fa, alla fine di maggio, il leader della Lega Matteo Salvini ha espulso il consigliere regionale ed ex assessore a Padova. La sua colpa è stata quella di avere sostenuto a Mestrino, un comune di circa 10 mila anime, il suo ex vice sindaco e non il candidato del partito. A luglio Salvini ha espulso Paolo Grimoldi, storico militante della Lega colpevole di avere criticato la linea del segretario e avere chiesto a gran voce i congressi. Erano tre i consiglieri regionali espulsi in Lombardia a fine 2022. Il consiglio dei saggi della Lega (ai tempi composto da Calderoli, Giorgetti, Bosatra, Centemero) parlò addirittura di “tradimento”.

In questi giorni l’europarlamentare Roberto Vannacci ha annunciato di avere fondato il suo movimento politico

A marzo di quest’anno è stato espulso l’ex segretario regionale della Liga, ex sindaco di Vittorio Veneto e al tempo europarlamentare Gianantonio Da Re. Aveva contestato le scelte di Salvini sulle candidature alle elezioni europee, in primis il generale Roberto Vannacci. A casa. A giugno Salvini ha espulso il consigliere regionale veneto Gabriele Michieletto accusato di “polemiche strumentali, inutili e dannose contro la Lega”. Erano i giorni in cui il fondatore del partito Umberto Bossi aveva annunciato che alle elezioni europee avrebbe votato Forza Italia.

Bossi non è stato espulso, ovviamente. In questi giorni l’europarlamentare Roberto Vannacci ha annunciato di avere fondato il suo movimento politico. I suoi accoliti dicono che potrebbe anche diventare un partito, chissà. Si chiama “noi con Vannacci”, così simile a quel “Noi con Salvini”. Ovviamente tutto accade senza congressi, senza nulla. Vannacci l’ha fatta più grossa degli espulsi ma Salvini tace, è mansueto. Il capitano in certe occasione diventa mozzo.

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Lite sui confini del campo che non c’è

Per motivi misteriosi alcuni quotidiani italiani che si definiscono progressisti ogni mattina hanno l’ossessione di riportare l’opinioni di personaggi minori se non addirittura naïf della politica italiana. Così è stato irrorato il generale Vannacci, figura mitologica atterrata al Parlamento europeo sul soffio di chi per mesi l’ha intervistato su tutto lo scibile umano dall’alto della sua esperienza di militare nell’esercito italiano. Ma il pleonastico più appassionante per certo giornalismo nostrano da anni è l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, da giovanotto salito alla ribalta in scia del ben altro spessore di Pippo Civati e poi sempre più su fino alla scrivania di Palazzo Chigi.

Non si sa perché un ex presidente del Consiglio ora consulente di pericolose autocrazie in giro per il mondo debba essere così interessante. Guida, questo è vero, un partito personale – quelli che odiava quando era segretario del Partito democratico – che sul solco della tradizione dei piccoli partiti si è fatto notare per la democristianissima politica dei due forni, concedendosi di volta in volta al migliore offerente del bipolarismo italiano. Matteo Renzi dovrebbe rendere il suo partito Italia Viva un organo democratico come stabilito dalla Costituzione. Alcuni suoi compagni di partito da mesi chiedono che si possa convocare un’assemblea, meglio ancora un congresso, per decidere la linea politica che ora è affidata ai guizzi del capo e alla sua news letter (personale) che arriva agli iscritti.

Luigi Marattin con fermezza e garbo ha fatto notare al suo segretario che non “basta un gol ad una partita di beneficienza e una bella foto per cambiare una linea politica che era stata già concordata con la propria comunità politica”. Renzi da qualche settimana ha deciso che Italia Viva deve (deve!) entrare nel cosiddetto campo largo del centrosinistra. “Pensavo che il cambio repentino di opinioni fosse prerogativa di Calenda”, ha spiegato Marattin in un’intervista a Il Foglio. Sì, perché c’è anche Carlo Calenda, dopo ci arriviamo.

Peccato che i desiderata di Renzi non piacciano non solo a certi suoi influenti compagni di banco ma anche a coloro che dovrebbero accoglierlo. No a Renzi l’hanno detto il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra oltre a una nutrita truppa di dirigenti anche del Partito democratico. “Ci fa perdere più voti di quanti ne porta”, dicono in coro. Lo certificano anche i sondaggi, del resto. Ieri un pezzo del giornalismo nostrano ci ha tenuto a dirci che Renzi è convinto che se gli “sbarreranno la strada” quelli che non lo vogliono “dovranno rendere conto”. L’affermazione apocalittica rende bene la sconnessione del personaggio con la sua reale dimensione.

Nel frattempo mentre Renzi fa gli schizzi in acqua per attirare l’attenzione nell’area liberale italiana c’è chi con molta più coerenza sta faticando per provare a rimettere insieme i cocci. I dissidi tra Renzi e Calenda hanno divertito da morire certi giornalisti ma hanno lasciato macerie al centro. E poiché il centro – come la destra, come la sinistra – non è i suoi leader (soprattutto se fallimentari) ma è i suoi elettori forse sarebbe giornalisticamente più interessante conoscere il loro parere.

Nel frattempo il campo largo è tornato per l’ennesima volta a essere un argomento di costume politico, più che un laboratorio di proposte politiche. Come fu ai tempi della famosa foto di Vasto (ve li ricordate Vendola, Bersani e Di Pietro?) la potenziale coalizione diventa un feticcio utile nelle redazioni quando si hanno pagine da riempire. Il governo Meloni umilia i poveri, impoverisce i lavoratori, sbaglia tutto nella politica estera, arranca e mente sul Pnrr, imbavaglia i giornalisti, balbetta di fronte al disastro carcerario, si svende a qualche lobby, spia nelle mutande delle atlete.

Nel fronte avverso si discute di quali debbano essere i confini del campo largo raccogliendo i bisbiglii e i lamenti degli astiosi ex amici. Non è una buona strategia, se possiamo permetterci, per costruire un’alternativa. Si potrebbe decidere, ad esempio, se sia possibile immaginare una maggioranza che voti senza troppi indugi un salario minimo dignitoso (Renzi non è d’accordo) oppure se sia possibile non allearsi per il dopo Toti con chi appoggia a Genova Bucci (Renzi), oppure se sia possibile dire in coro che lo scudo per i governatori (proposto dal calendiano Costa) sia irricevibile.

Per battere l’attuale maggioranza bisogna dire chiaramente ai poveri come si intende salvarli, bisognerebbe dire ai libici e ai tunisini che sono proprio loro a lucrare sui migranti, bisognerebbe dire a tassisti e balneari di rispettare le regole come gli operai e gli impiegati, bisognerebbe dire a certi garantisti che è incivile l’impunità dei colletti bianchi, bisognerebbe dire a Confindustria che il Pil non è l’unico metro per misurare la felicità di una nazione. Poi magari si potrebbe trovare anche il coraggio di dire, va bene anche sottovoce, che le guerre “giuste” si stanno rivelando tutte sbagliate per risultati sul campo e per il sangue tutto intorno. Coltivarlo il campo, prima di appassionarsi ai confini.

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Il nuovo hobby di Musk: avvelenare i pozzi per piacere a Trump

Elon Musk, il “genio visionario” fondatore di Tesla e Space X ha rivelato il suo passatempo preferito: avvelenare i pozzi a suon di fake news. La sua recente acquisizione di Twitter, ora rinominato X, ha dimostrato come il miliardario non sia solo un imprenditore tecnologico. La sua nuova identità è emersa in modo lampante nelle ultime settimane, durante le quali Musk ha usato la piattaforma per diffondere post incendiari e divisivi, scatenando un dibattito globale sulla libertà di parola e la responsabilità dei social media.

Musk: il “genio visionario” e il lato oscuro della libertà di parola

Da quando ha preso il controllo di Twitter, Musk ha pubblicato una serie di post che hanno alimentato le tensioni politiche in diversi paesi. In Gran Bretagna i suoi commenti hanno esacerbato le peggiori rivolte anti-immigrazione degli ultimi decenni mentre negli Stati Uniti ha diffuso video manipolati e affermazioni infondate contro l’amministrazione Biden-Harris. Ha condiviso, ad esempio, un video falsificato del vicepresidente Kamala Harris e ha affermato senza prove che l’amministrazione stava “importando un gran numero” di immigrati illegali per influenzare le elezioni di novembre.

Le reazioni da parte dei governi non si sono fatte attendere. In Gran Bretagna, alcuni parlamentari hanno chiesto che Musk venga interrogato per i suoi post provocatori durante le rivolte. “Elon sta armando la piattaforma in un modo mai visto prima,” ha detto lo stratega democratico Adam Parkhomenko. Negli Stati Uniti, vari stati hanno avviato indagini sulle attività di un Super PAC creato da Musk, accusato di abusi di dati personali. Cinque funzionari elettorali statali hanno persino inviato una lettera a Musk, esortandolo a correggere lo strumento di intelligenza artificiale su X che nelle risposte diffonde falsità su Kamala Harris.

Le conseguenze globali delle azioni di Musk su X

Gli sforzi però hanno impatto limitato. Come sottolinea da Sarah T. Roberts, ex ricercatrice di Twitter e ora professoressa all’UCLA, la società sembra essere sempre più vulnerabile alla mancanza di responsabilità. Anche se i governi tentano di frenare l’influenza di Musk la portata e l’impatto delle sue azioni rimangono vasti e preoccupanti. Le autorità britanniche hanno mobilitato circa 6.000 ufficiali di polizia in risposta alle rivolte istigate dai post di Musk.

Mentre la situazione evolve Musk continua a difendere il suo approccio come un “assolutista della libertà di parola”. Il miliardario ha persino lanciato una causa federale antitrust contro gli inserzionisti che hanno sospeso le loro campagne su X, accusandoli di minare il “mercato delle idee”. Quanta idea di libertà ci sia nell’obbligare gli inserzionisti a spendere sulla sua piattaforma rimane un mistero.

La destra americana, inclusi figure come Donald Trump e Ron DeSantis, ha abbracciato Musk come un paladino della libertà di parola. La sinergia tra Musk e i repubblicani rappresenta un cambiamento significativo per l’ex donatore democratico,che ora si schiera apertamente con il movimento MAGA. Martedì, l’ex presidente Donald Trump ha annunciato che farà “UN’INTERVISTA IMPORTANTE CON ELON MUSK” la prossima settimana. 

Elon Musk non è più solo un visionario tecnologico ma un potente inquinatore di pozzi. La sua capacità di diffondere disinformazione e di influenzare l’opinione pubblica rappresenta una sfida per i governi di tutto il mondo. Il punto è come i governi riusciranno a bilanciare la libertà di parola con la necessità di proteggere le società dalla disinformazione e dalla divisione. David Becker, direttore esecutivo e fondatore del Centro per l’Innovazione e la Ricerca Elettorale, ha espresso preoccupazione per l’influenza di Musk: “Oggi la sua capacità di diffondere disinformazione come superspreader non ha eguali”. E il problema ha a che fare con la democrazia. 

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