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Allevamenti intensivi, scatta la stretta verde in Europa. Ma l’Italia è pronta ad adeguarsi alla nuova direttiva Ue?

È entrata in vigore il 4 agosto la nuova direttiva dell’Unione europea con l’obiettivo di ridurre le emissioni nocive provenienti dagli allevamenti intensivi. La revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED) mira a migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo.

Questa normativa si concentra sui grandi allevamenti di suini e pollame, escludendo le piccole e medie imprese agricole e quelle biologiche. Gli allevamenti interessati dovranno registrarsi e riportare le loro emissioni, semplificando così il processo di gestione ambientale rispetto alle grandi installazioni industriali. Le nuove regole vengono considerate da molti un passo significativo per affrontare l’inquinamento derivante dagli allevamenti, responsabile di una grande fetta delle emissioni di ammoniaca e metano nell’Unione Europea.

Gli impatti degli allevamenti intensivi in Italia 

In Italia, il problema degli allevamenti intensivi è particolarmente rilevante. Secondo Greenpeace, nel nostro paese ci sono oltre 50 milioni di animali allevati in modo intensivo. Questi allevamenti sono responsabili del 79% delle emissioni di ammoniaca del settore agricolo italiano, contribuendo significativamente all’inquinamento dell’aria. Gli allevamenti intensivi producono grandi quantità di rifiuti e gas serra, che hanno un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana.

Le emissioni di ammoniaca dagli allevamenti intensivi italiani sono stimate in circa 420.000 tonnellate all’anno e sono una delle principali cause di inquinamento atmosferico, contribuendo alla formazione di particolato fine (PM2.5) nocivo per la salute umana. Inoltre i nitrati provenienti dai rifiuti animali contaminano le riserve idriche, causando problemi come l’eutrofizzazione e la proliferazione di alghe tossiche.

Il settore degli allevamenti intensivi è anche un importante contributore alle emissioni di gas serra. Gli allevamenti emettono grandi quantità di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), gas con un elevato potenziale di riscaldamento globale. In Italia, il settore agricolo rappresenta circa il 7% delle emissioni totali di gas serra, con una quota significativa proveniente dagli allevamenti intensivi.

Nonostante l’alto impatto ambientale, gli allevamenti intensivi in Italia hanno ricevuto ingenti sovvenzioni pubbliche. Le associazioni ambientaliste hanno ripetutamente denunciato che molte di queste aziende beneficiavano di fondi europei destinati all’agricoltura, senza adeguati controlli sull’impatto ambientale delle loro attività.

La nuova direttiva e il futuro 

La nuova direttiva Ue introduce un sistema semplificato per la registrazione e la reportistica delle emissioni, riducendo il carico burocratico per gli allevatori. Le nuove regole saranno definite entro due anni dall’entrata in vigore della direttiva e coinvolgeranno esperti del settore, Stati membri e organizzazioni non governative. Questo processo mira a garantire che le misure adottate siano efficaci e sostenibili.

Gli allevatori avranno un lungo periodo di transizione per adattarsi alle nuove regole, con l’obbligo di conformità che scatterà tra il 2030 e il 2032, a seconda delle dimensioni dell’allevamento. Entro il 2026, la Commissione europea pubblicherà un rapporto con soluzioni per affrontare in modo più completo le emissioni degli allevamenti bovini.

In Italia il ministro Francesco Lollobrigida a maggio di quest’anno aveva pubblicato una sua foto faccia a faccia con una mucca. “Un modo per verificare il benessere animale in una azienda agricola – scriveva il ministro –  è “chiederlo” direttamente a loro. Se si avvicinano all’uomo senza timore significa che lo considerano un loro amico“. A Bruxelles non la pensano così. 

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Una sola ossessione: fare bella figura in Albania

La prima preoccupazione del governo a proposito degli illegali centri di detenzione per migranti che l’Italia sta costruendo in Albania Fare bella figura, l’ossessione della propaganda.
Questa mattina su Repubblica Alessandra Ziniti sfodera il vademecum per gli agenti della polizia penitenziaria che avranno il privilegio di lavorare in trasferta, nell’isola ecologica che il governo Meloni ha voluto impiantare nel Paese di Edi Rama. Scorrere le istruzioni è un safari nel sottovuoto spinto della stagione politica che stiamo vivendo.
Si parte da “evitare di corteggiare le donne albanesi. L’uomo che vede la propria donna corteggiata da un altro uomo può reagire in malo modo”. Gli albanesi come novelli uomini d’onore da non provocare, insomma.
Poi si sottolinea che gli albanesi sono “un popolo pudico” e quindi “nudità o vestiario poco sobrio in pubblico non sono graditi”. Nessuna raccomandazione per il rispetto dei calpestati diritti umani stracciati troppo spesso dall’Italia e dall’Unione europea. Ciò che interessa al nostro governo è che “la consumazione del caffè” non avvenga “al bancone” ma “seduti” e che nei ristoranti ci si attenga a menu per non irritare il personale di cucina e di sala.
I poliziotti penitenziari trattati come scolaretti in gita hanno irritato anche il segretario generale della UIlpa Polizia penitenziaria Gennarino De Fazio, già nervoso per l’opacità con cui sono stati scelti i 45 agenti che dovranno andare in scena per uno degli spot più costosi degli ultimi anni.
E loro, i migranti? Loro niente, loro sono solo le disperate comparse della messinscena.
Buon martedì.

Nella foto: Giorgia Meloni visita la base di Gjadar in Albania, 5 giugno 2024

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Premierato incostituzionale? Basta cambiare i giudici

Sembra che se ne siano accorti in pochi di cosa è accaduto lo scorso martedì durante le audizioni in Commissione Affari costituzionali della Camera a proposito della riforma del premierato e della legge elettorale che inevitabilmente dovrà cambiare.

Premierato incostituzionale? Basta cambiare i giudici della Consulta. Il piano delle destre per aggirare il problema

Nella sfilata di brillanti costituzionalisti favorevoli alla riforma fortemente voluta dal governo che la maggioranza sta facendo sfilare nel tentativo di corroborare le proprie tesi è stato il turno del professore Tommaso Edoardo Frosini, docente di diritto pubblico comparato presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che ha affrontato l’ipotesi di una formula elettorale a turno unico, come già anticipato nei mesi scorsi dalla ministra per le Riforme Maria Elisabetta Casellati.

Frosini ha parlato di un “75% dei seggi assegnati in collegi uninominali con recupero dei migliori perdenti” e un “restante 25% che il Mattarellum prevedeva di distribuire in via proporzionale, può essere assegnato come quota di premio per la maggioranza. Ma una quota mobile, non fissa, fino al 25%”. Si tratterebbe sostanzialmente di un sistema elettorale misto che tiene insieme due maggioritari, con evidenti problemi di incostituzionalità.

E perché questa volta la Consulta non dovrebbe bocciarlo di nuovo? La risposta del professore Frosini è da brividi: “Il collegio che giudicherà, ammesso e non concesso che arrivi alla Corte, sarà completamente diverso da quello che si è già pronunciato”, dice. In pratica ci si affida alla possibilità di avere giudici più accondiscendenti. Non male come risposta se si tiene conto che la Corte costituzionale è incagliata da tempo per una nomina mancante da parte della maggioranza.

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Per cosa si esulta oggi?

Nel meraviglioso mondo di Giorgia Meloni lei ieri 5 agosto ha esultato annunciando una vittoria. Succede dal giorno di insediamento del suo governo: ogni giorno l’Italia primeggia, lei spicca, l’Italia “finalmente” torna sulla cima del mondo, il Paese va a gonfie vele, l’Europa cambia, il mondo ci ama e altre decine di autocelebrazioni farciscono i comunicati stampa, i giornali e le televisioni amiche.

Ieri la presidente del Consiglio ha esultato perché “siamo stati i primi a richiedere il pagamento della quinta rata e siamo i primi ad aver richiesto il pagamento della sesta” del Pnrr e quindi “l’Italia è al primo posto in Europa per numero di obiettivi raggiunti e importo complessivo ricevuto”. Non importa che da mesi i migliori analisti sottolineino come il Pnrr italico sia pagato prima degli altri per una mera questione di calendarizzazione. A Meloni non interessa nemmeno che il Pnrr sia stato modificato dal suo governo giocando al ribasso e sia ancora lontano da una messa a terra credibile.

Figurarsi poi quanto possa preoccuparsi del fatto che manchi la dovuta trasparenza che consentirebbe ai giornalisti di smentire la sua tesi. Ieri per tutto il giorno l’opposizione ha contraddetto la propaganda sorridente della premier con dati e numeri che non entreranno nell’impermeabile propaganda di Stato. Per Meloni essere presidente del Consiglio significa essere quotidianamente testimonial di una vittoria che i suoi cittadini non riscontrano mai nella realtà. Felice e sconnessa confeziona spot mentre la verità le scoppia in faccia. Quindi, per cosa esultiamo oggi?

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Campo largo con Renzi e Calenda: la fusione a freddo che gela gli elettori

Forse non serviva un sondaggio per sapere che gli elettori del Partito democratico, di Alleanza Verdi e Sinistra e del Movimento 5 stelle non impazziscano all’idra di aprire le porte del cosiddetto campo largo anche a Matteo Renzi e Carlo Calenda. I risultati dell’analisi dell’istituto Noto certificano comunque la sensazione. 

Secondo i dati raccolti, infatti, solo il 29% degli elettori del Pd e il 19% dei sostenitori del M5S vedrebbero di buon occhio un’alleanza con Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. Generalmente meno aperti a qualsiasi tipo di alleanza, gli elettori del Movimento 5 stelle vedrebbero di buon occhio solo un accordo con il Pd (60%) e Avs (54%). E anche Carlo Calenda non scalda certo gli animi: solo il 43% degli elettori del Pd e il 20% di quelli del M5S sarebbero favorevoli.

Ad aumentare lo scetticismo per un’operazione di fusione a freddo che l’ex presidente del Consiglio leader di Italia viva sembra volere a tutti i costi sono anche le posizioni dei suoi stessi elettori: solo il 16% dei sostenitori di Renzi sarebbero disposti ad accettare un accordo con il partito di Conte. Il calendiano Costa in un’intervista al Corriere della sera ha ricordato, del resto, che il partito Azione sarebbe nato proprio in contrapposizione al Movimento 5 stelle in occasione del secondo governo Conte. 

Allo stesso modo in casa Italia Viva il deputato Marattin ha duramente contestato la decisione di Matteo Renzi di cambiare la linea politica del partito senza consultare gli eletti e la base, con un regolare congresso. “Basta partiti padronali”, dice Marattin insieme alla sua truppa di rivoltosi, risvegliatisi improvvisamente dal lungo sonno. I renziano più accaniti intanto da giorni rimangono appostati sui social per ogni uscita del parlamentare ritenuto “un Giuda”, “un traditore”: “Affondi il coltello nella schiena di Renzi”, gli scrive qualcuno con poco senso del ridicolo. 

Alla tiepida passione per il campo largo con le macerie del Terzo polo si contrappone la truppa riformista del Partito democratico che invece insiste per svoltare al centro, meglio ancora se liberandosi degli odiati grillini. C’è solo un piccolo particolare: la matematica. Aprire a Renzi e soci farebbe perdere più voti di quanti se ne potrebbero guadagnare. La matematica del resto è crudele e se ne frega delle strettissime amicizie personali ormai passate. 

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Piano estate per la scuola, il ministro parla di successo. Ma il nodo resta la trasparenza

Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha recentemente dichiarato con orgoglio che il Piano estate è stato un successo, coinvolgendo circa 950mila studenti e oltre 4.500 scuole. Tuttavia, uno sguardo più attento ai dati disponibili suggerisce un’affermazione più cauta.

Il Piano estate mira a fornire attività educative estive per contrastare la perdita di apprendimento durante le vacanze, un problema noto e ben documentato. Iniziative come Arcipelago Educativo, promosse da Save the Children con la Fondazione Agnelli, hanno dimostrato l’efficacia di tali interventi nel supportare gli studenti, soprattutto quelli in situazioni di fragilità. Tuttavia, per affermare che il Piano estate sia stato un successo, è necessario avere una base dati solida e trasparente, qualcosa che attualmente manca.

L’11 aprile 2024, il ministero dell’Istruzione e del merito ha lanciato un avviso pubblico per il Piano estate 2023-2024 e 2024-2025, con un importo complessivo stanziato di 400 milioni di euro provenienti dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+). Questi fondi sono stati suddivisi in 131 milioni per le regioni “più sviluppate”, 32 milioni per le regioni “in transizione” e 237 milioni per le regioni “meno sviluppate”. A queste risorse si aggiungono fondi dal Pnrr e Pon 2014-2020, ampliando notevolmente il budget disponibile. Tuttavia, secondo lo studio di Barbara Romano per lavoce.info, la partecipazione è stata modesta, coinvolgendo circa la metà delle scuole e mostrando una significativa disparità tra regioni. Le risorse sono state utilizzate solo al 59%, e il ministero non ha fornito dettagli sufficienti per una valutazione precisa.

Mancanza di trasparenza nei dati del Piano estate

Il punto cruciale sarebbe la mancanza di trasparenza. Il ministero ha pubblicato solo i dati complessivi, senza specificare l’allocazione dei fondi tra le diverse fonti. Non sappiamo quanti studenti vulnerabili siano stati effettivamente coinvolti o come siano state strutturate le attività. Questo rende impossibile valutare l’efficacia reale del piano. Ad esempio, secondo Romano, il totale richiesto dalle scuole è di soli 237 milioni, rappresentando il 59% delle risorse destinate. Inoltre, il ministro ha parlato di oltre 40mila studenti coinvolti in percorsi Pcto e 110mila studenti in formazione in vari percorsi Pnrr, il che suggerisce che le percentuali di utilizzo siano sovrastimate. Un calcolo preciso del tasso di utilizzo non è al momento possibile, perché il ministero ha pubblicato le graduatorie con gli importi totali senza spacchettarli per fondo di afferenza.

Secondo Romano la letteratura evidenzia l’importanza di attività estive ben strutturate per prevenire la perdita di apprendimento e migliorare le competenze non cognitive. Tuttavia, senza dati dettagliati, è difficile stabilire se il Piano estate stia effettivamente raggiungendo questi obiettivi. Il Piano estate è progettato per mantenere aperte le scuole durante l’estate, offrendo attività a bambini e ragazzi che altrimenti non avrebbero accesso a esperienze educative e ricreative. I criteri di selezione favoriscono le scuole con alti tassi di abbandono scolastico e basso status socioeconomico. Ma non è chiaro e non è verificabile se effettivamente queste scuole abbiano realmente raggiunto gli studenti più bisognosi.

Suggerimenti per migliorare il Piano estate

Di fronte a queste criticità lo studio di Romano suggerisce un bando integrativo per l’estate 2024-2025 che consenta una pianificazione più anticipata e mirata. Magari ripensando la formula del bando stesso, utilizzando strumenti di valutazione che forniscano evidenze utili per capire le ragioni della bassa partecipazione e per identificare interventi più adeguati. 

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Lavoro, l’Italia dei contratti scaduti: quasi cinque milioni di italiani in attesa del rinnovo

In Italia, terra di paradossi e contraddizioni, c’è una storia che si ripete con regolarità quasi matematica: quella dei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) scaduti. Un fenomeno che, lungi dall’essere marginale, coinvolge milioni di lavoratori in attesa di un rinnovo che tarda ad arrivare.

I numeri, forniti dall’Istat e riportati da Pagella Politica, parlano chiaro: a giugno 2024, il 36% dei Ccnl risultava scaduto. Tradotto in termini umani, significa che quasi 5 milioni di lavoratori dipendenti aspettano un rinnovo contrattuale. Un’attesa che, in alcuni casi, si protrae da anni. Il dato più allarmante riguarda la pubblica amministrazione, dove il 100% dei contratti è scaduto. Un record negativo che fa impallidire persino il settore giornalistico, dove i contratti attendono un rinnovo da otto anni, precisamente da dicembre 2016.

Il caso dei dipendenti Rai

Il caso dei dipendenti Rai è emblematico. Quasi 10mila lavoratori stanno trattando con l’azienda per rinnovare il loro Ccnl, scaduto alla fine del 2022. Un’intesa iniziale, raggiunta il 17 luglio, è stata bocciata dieci giorni dopo da un referendum dei dipendenti stessi.

Il professor Lucio Imberti dell’Università di Bergamo, intervistato da Pagella Politica, spiega che i contratti collettivi sono espressione diretta delle condizioni del mercato del lavoro. L’inflazione gioca un ruolo chiave: quando cresce poco, la pressione per il rinnovo è bassa. Ma quando l’inflazione aumenta, come sta accadendo ora, la questione retributiva torna al centro del dibattito.

Disparità tra settori e contratti “pirata”

Non tutti i settori, però, vivono lo stesso dramma. Il contratto dei bancari, per esempio, è stato rinnovato a novembre 2023 dopo essere scaduto alla fine del 2022. Il nuovo accordo prevede aumenti medi di 435 euro mensili e una riduzione dell’orario lavorativo di mezz’ora a settimana.

Il professor Marco Leonardi dell’Università di Milano, ex capo del Dipartimento per la programmazione economica della Presidenza del Consiglio, evidenzia come i ritardi nei rinnovi siano meno frequenti in settori produttivi come l’industria. Qui, gli aumenti tendono a essere in linea con l’inflazione, almeno nei contratti stipulati dai grandi sindacati. I contratti “pirata” invece, che sono molto più diffusi in settori come i servizi, spesso non garantiscono aumenti adeguati. 

Contratti pirata e salario minimo

I cosiddetti “contratti pirata” vengono sottoscritti da organizzazioni poco rappresentative dei lavoratori e che spesso prevedono condizioni economiche e tutele inferiori rispetto a quelli siglati dai sindacati principali. Questi contratti, proliferati negli ultimi anni a causa della mancanza di regole chiare, rappresentano una sfida ulteriore nel già complesso panorama dei Ccnl.

In questo contesto, il dibattito sul salario minimo assume una rilevanza particolare. Nonostante l’Italia abbia una copertura dei contratti nazionali pari a circa l’80% dei lavoratori, esiste una fascia di lavoratori – stimata intorno al 6-7% della forza lavoro – caratterizzata da forte marginalità e precarietà, per cui l’introduzione di un salario minimo potrebbe rappresentare una tutela importante. Come spiega a Pagella Politica Leonardi il salario minimo riguarda tutti quei lavoratori per cui il contratto collettivo ha valore puramente formale, come per esempio chi fa le consegne, chi lavora nei bar, i giovani che lavorano la sera nel settore della ristorazione.

Già oggi tanti lavoratori, nonostante siano coperti da qualche tipo di Ccnl, guadagnano meno delle 9 euro l’ora proposte dal salario minimo. Forse l’ipocrisia sul mondo del lavoro sta proprio qui: chi non vuole il salario minimo si appoggia a contratti collettivi che comunque sono al palo. I lavoratori intanto si impoveriscono. 

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La destra al potere e l’allergia alla verità storica

Un soffio c’era già nelle parole del presidente del Senato Ignazio Maria Benito La Russa: “vile attentato da sentenze attribuito a matrice neofascista” aveva detto in occasione dell’anniversario della strage di Bologna. Delimitare una verità storica e di coscienza collettiva a un mero risultato giudiziario è un modo sottile e furbo per sminuire.

Che la strage di Bologna del 1980 fu un vile attentato dei neofascisti è scritto nelle sentenze ma anche nel tortuoso percorso giudiziario

Che la strage di Bologna del 2 agosto del 1980 fu un vile attentato dei neofascisti che ammazzarono 85 persone e ne ferirono più di 200 è scritto nelle sentenze ma è scritto anche nel tortuoso percorso giudiziario, sempre intralciato da depistaggi di Stato (di matrice neofascista). Per questo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, nel suo discorso durante la commemorazione ha ricordato che “le radici di quell’attentato figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo”.

Nella sentenza si legge chiaro e tondo che il condannato Paolo Bellini ha dichiarato di essere stato “infiltrato per conto di Almirante”. E il partito di Giorgia Meloni fieramente ha le radici in quell’Msi. L’atto finale dello smascheramento è l’intervista di ieri in cui Federico Mollicone, deputato di FdI e presidente della Commissione cultura alla Camera, dichiara che la sentenza sulla strage di Bologna è frutto di “un teorema politico per colpire la destra”.

Sono le stesse parole dell’ex portavoce del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. Marcello De Angelis fu costretto alle dimissioni. Mollicone lo salveranno. Ma lo spirito è quello lì. Le radici sono quelle lì. Non c’è nemmeno bisogno di inchieste. Basta chiedere.

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Le parole di Kimia Yousofi sono per noi

Kimia Yousofi, una dei sei atleti in gara alle Olimpiadi di Parigi per l’Afghanistan, ha corso i 100 metri con due secondi di distacco dalla vincitrice. 

Sul suo pettorale, insieme al numero assegnato dall’organizzazione olimpica, ha scritto “educazione” e “i nostri diritti” perché il mondo fosse costretto a ricordare. Il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan è avvenuto ormai tre anni fa. Tre anni in cui l’occidente, Europa inclusa, continua a ripetere che non lascerà sole le donne che sono lasciate sole. 

«Penso di sentirmi responsabile per le ragazze afghane perché non possono parlare», ha sottolineato Yousofi dopo la gara. «Non sono una persona politica, faccio solo ciò che ritengo che sia vero e giusto. Posso parlare con i media. Posso essere la voce delle ragazze afgane. Posso dire alle persone cosa vogliono: vogliono diritti fondamentali, istruzione e sport». 

Ha ragione Yousofi: il primato dei diritti è una questione prepositiva, viene prima di qualsiasi analisi su governo e governati. Dovrebbe stare prima nelle pagine dei giornali. 

Prima della sua nascita i genitori di Yousofi erano scappati dall’Afghanistan per andare in Iran. Nel 2016, quando i talebani erano esclusi dal governo, lei è tornata per allenarsi in patria. Quando i talebani con l’enorme aiuto del nostro disinteresse sono tornati al governo Yousofi è fuggita in Australia. Alle Olimpiadi insieme alle gambe ha portato le parole che vanno dette ma lì non si possono dire. E nonostante la distrazione della cronaca sportiva quelle parole sono rivolte a noi. 

Buon lunedì. 

Nella foto: Kimia Yousofi (dal suo profilo facebook)

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Il Bestiario della settimana – Gli spaghetti col brodo di Meloni. E il Cruciverbone dei patrioti di Donzelli che scalda l’estate FdI

Vacanze albanesi

Nonostante a giugno Giorgia Meloni avesse indicato il 1° agosto come il giorno dell’entrata in funzione delle strutture, slitta ancora l’apertura dei centri italiani per migranti in Albania: i lavori edili procedono a rilento. Alfredo Mantovano comunica che ci vorrà qualche settimana. Probabilmente hanno preso i treni coordinati dal loro collega ministro Salvini. 

Il cruciverbone

Giovanni Donzelli ha presentato due giorni fa il “Cruciverba dei patrioti” che, come lo scorso anno, viene distribuito ai bagnanti in spiaggia. Le definizioni sono quasi tutte politiche, tra attacchi alle opposizioni e argomentazioni a favore delle riforme del premierato e dell’autonomia. Un esempio? “Non conviene lasciarle le chiavi quando vai in vacanza se ce l’hai come vicina”. Qualcuno tra il pubblico risponde: Salis! E Donzelli ride e si complimenta. Balneari abusivi. 

Il lollobrigidismo virale

Dopo la vittoria dello schermidore Cheung Ka-long sull’italiano Filippo Macchi alle Olimpiadi di Parigi i sostenitori di Cheung hanno salutato il suo successo con post sulle pizze all’ananas. “Mangeremo molte pizze all’ananas per celebrare questa vittoria”, hanno scritto su Instagram. Pizza Hut a Hong Kong ha offerto condimenti gratuiti all’ananas su qualsiasi pizza quando si cenava nelle sue filiali martedì e mercoledì per celebrare la vittoria. Com’era la storia del ministro Lollobrigida Che con il cibo non si fanno le guerre? 

Mannaggia, Vannacci

Come fa notare su X Nonleggerlo il parlamentare europeo della Lega Roberto Vannacci ha rilanciato “immagini fake (pure ammuffite, oramai – consiglio un viaggio dell’orrore tra i commenti). Ad un giornalista diceva, “per fare il suo lavoro occorre prima informarsi”. Corretto. Per fare l’eurodeputato (!), ecco qua”. C’è una nuova piccola differenza: ora Vannacci guadagna un sacco di soldi a Bruxelles e comincia già a non stare più così simpatico ai suoi: troppi soldi per fare il social manager del disagio. 

Medaglia di errori

Medaglia d’odio a Hoara Borselli che sul caso della pugile Khelif prima scrive “Alle olimpiadi francesi succede che un uomo viene ammesso alle gare di pugilato delle donne. Perché? Perché ha detto: mi sento donna. Ah, ok. lo mi sento presidente della Francia. Macron, levati di mezzo……”. Poi le fanno notare che ha scritto una boiata e corregge: “Che le atlete donne debbano gareggiare con uomini trans è una follia. Ci sono differenze biologiche sostanziali che già in passato hanno portato a escludere questo tipo di competizioni. Non è discriminazione, è giustizia!”. Ma è sbagliato anche questo. 

“So che non mollerai”

“So che non mollerai”, scrive una travagliata Giorgia Meloni alla pugile italiana Carini. Passano poche ore (ma proprio poche) e la pugile annuncia l’addio alla boxe. Impegni futuri? Volendo essere maligni c’è quel bel nuovo centro sportivo a Caivano e le prossime elezioni regionali in Campania. Ma solo a volere essere cattivi, eh. Intanto ritagliamo questo paragrafo e teniamolo da parte. 

Amiche degli amici

Titolo di Repubblica: “Italia oro nella spada a squadre, francesi battute in casa. Le 4 regine: l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa, e la mamma”. Ovviamente qualcuno si incazza. Le scuse del quotidiano sono ancora peggio: “Può succedere di sbagliare e dunque ci scusiamo con quante e quanti tra le nostre lettrici e lettori si sono sentiti offese e offesi”. E le scuse alle atlete? Insomma, non offendetevi, e che c….!

Spaghetti… col brodo

“Ho fatto almeno due cene, una con Xi Jinping e l’altra col primo ministro. Oltre a un salmone buonissimo, posso dire che ho gradito molto gli spaghetti in brodo”. Così la premier Giorgia Meloni in Cina facendo anche il gesto degli spaghetti risponde alla domanda sul cibo cinese provato durante la visita di Stato da Xi Jinping. E’ la stessa che vorrebbe fare credere al mondo di avere redarguito Xi. Sì come no, cor brodo. 

Sempre a proposito di cibo

Il presidente brasiliano Lula in un’intervista a Globo si è lamentato che le porzioni di cibo durante la visita ufficiale in Italia erano “troppo piccole, mi serve quantità”. Come direbbe un vecchio detto “se so’ magnati già tutto gli artri”. 

Linguisti al governo

Un post da incorniciare scritto da GianLink su X: “E’ incredibile, prima riconoscono solo 2 generi (uomo e donna) poi chiamano “trans algerino” una nata donna, e infine Storace ha inaugurato i pronomi utilizzando il termine “pugilessa” per definire la pugile italiana”. A voi la linea. 

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