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Il Bestiario della settimana – Moviolone di Iezzi alla Camera. Biden, Scholz, Sunak & C.: i leader G7 con i giorni contati

Questione di falli

Per comprendere quanto prendano sul serio il proprio ruolo parlamentare alcuni eletti del popolo si può ripescare il post del deputato leghista Igor Iezzi pubblicato poco dopo l’aggressione subita dal collega del Movimento 5 stelle Leonardo Donno. “E pensare che il parlamentare grillino non era neanche in area”, ha scritto il leghista condividendo un video dal titolo “Le simulazioni più assurde e epiche nel calcio”. A ruota anche il suo collega leghista, il senatore Claudio Borghi, che su X ha scritto: “Capite perché preferivo la Camera al Senato? Aria sempre frizzantina ci fosse stato anche Fiano…”. È la terza Camera: l’asilo.

Vannacci con stelle

Il giornalista di Dagospia Giuseppe Candela a proposito del generale Vannacci che sulla televisione pubblica inneggia alla X Mas, simbolo di torture e rappresaglie, tira fuori dal cilindro ciò che successe a Enrico Montesano. Durante le prove di un balletto per la trasmissione “Ballando con le stelle” Montesano indossava una maglietta con il logo della Decima. Venne (giustamente) squalificato. Avrebbe dovuto candidarsi in Europa. Dieci pesi e dieci misure.

Ciao Silvio

Il sito EscortAdvisor è una sorta di catalogo delle sex worker che ricevono a domicilio, con tanto di pagelle degli utenti. Il 12 giugno, anniversario della morte di Silvio Berlusconi, l’home page del sito si apriva con una scritta bianca su sfondo nero di sole due parole: “Ciao Silvio”.

La hit di Fedez

A Fedez è riuscito un mezzo miracolo: farci dare ragione al ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini. Immerso nella sua adolescenza di ritorno il rapper in diretta con alcuni amici su Twitch ha deciso di fare uno scherzo telefonico al ministro. Con risatine isteriche da discolo ha chiamato Salvini, è scoppiato a ridere, poi ha interrotto la telefonata per richiamare di nuovo. Salvini giustamente ha fatto notare che perfino uno come lui ha smesso a 13 anni di fare certi scherzi. E ci tocca dargli ragione. Rimane un dubbio, come giustamente si chiede Luca Bizzarri, “perché ha il numero di Salvini?”. Strani gradi di separazione.

Morti che camminano

A proposito del G7 che si tiene in Puglia il Guardian decide di andarci leggero: “La Meloni in rosa mentre consola il corteo di morti che camminano. Il Primo Ministro italiano era tutto sorridente all’inizio del vertice del G7 mentre incontrava la sfilata di statisti dall’aspetto tormentato, la maggior parte di loro ha il potere con i giorni contati”. Bene, dai.

Tracollo climatico

Luca Mercalli, climatologo e comunicatore scientifico, volto noto della tv grazie alle sue apparizioni alla trasmissione Che Tempo Che Fa, si candida a sindaco di Usseaux (in Piemonte, 180 abitanti) e ottiene zero voti. Tracollo climatico.

Il politologo Bocchino

“Chi non va a votare ha scelto di non andare a votare e l’ha fatto o perché non si sente rappresentato o perché sa che è ininfluente visto che la democrazia è solida”. Queste le parole di Italo Bocchino, ospite dell’ultima puntata di stagione di Accordi&Disaccordi (Nove). In effetti non è male l’idea di scrollarsi di dosso il problema dell’astensionismo convincendosi che i cittadini non votino perché sono tutti d’accordo con te. Interviene l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. “Hai mai provato a parlare con qualcuno per strada chiedendogli perché non va a votare?”. “Tutti i giorni”, ha risposto il direttore editoriale del Secolo d’Italia appellando il professore come “Maestro Cacciari”. “E qualcuno ti ha risposto che non va a votare perché la democrazia è forte? Ma cosa dici?”, ha domandato ancora il filosofo prima di lasciarsi andare in un “ma vaff….”, togliersi il microfono e abbandonare lo studio. Cacciari vero punto di riferimento dei progressisti.

Sindaco per caso

Sandro Gerardi, ex bancario, è stato eletto primo cittadino di Cibiana di Cadore (Belluno). La sua era una lista civetta per abbassare il quorum e favorire l’amministratore uscente, ma il voto ha riservato una sorpresa a entrambi. Poi si dice che la politica è noiosa.

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Gender Gap, l’Italia sprofonda nella classifica mondiale: siamo messi peggio di Turchia, Kazakistan e Vietnam

Un nuovo schiaffo all’Italia che affonda nelle retrovie del panorama europeo in materia di parità di genere. Il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum dipinge un quadro desolante, confermando la nostra Nazione come fanalino di coda tra i Paesi del Vecchio Continente. Un declino preoccupante che evidenzia la necessità di un cambio di rotta radicale per colmare il divario abissale che separa le donne dagli uomini nel nostro Paese.

L’Italia scivola al 63esimo posto su 146 nazioni, perdendo ben 5 posizioni rispetto all’anno precedente. Un passo indietro inaspettato e inaccettabile, che ci colloca dietro a Paesi come la Turchia, il Kazakistan e persino il Vietnam. Un sorpasso umiliante che riflette le profonde disuguaglianze che ancora persistono nella nostra società, a dispetto delle promesse e degli impegni assunti.

Il Gender Gap italiano: un fallimento nazionale annunciato

Il report del Wef evidenzia un divario preoccupante in tutti gli ambiti analizzati: partecipazione economica, istruzione, salute e potere politico. Nel campo della partecipazione economica, l’Italia si posiziona al 70esimo posto. Le donne italiane sono ancora fortemente penalizzate nel mercato del lavoro, con tassi di occupazione e retribuzioni inferiori rispetto agli uomini. A ciò si aggiunge la scarsa rappresentanza femminile nei ruoli dirigenziali, sia nel settore pubblico che privato.

Anche in materia di istruzione, l’Italia non brilla. Le donne italiane raggiungono livelli di istruzione più alti rispetto agli uomini, ma questo non si traduce in migliori opportunità lavorative. Un paradosso che evidenzia la necessità di superare gli stereotipi di genere e di valorizzare le competenze femminili in tutti i campi.

Non va meglio neanche per quanto riguarda la salute. Le donne italiane hanno un’aspettativa di vita più alta rispetto agli uomini, ma sono più soggette a malattie croniche e a problemi di salute mentale. A ciò si aggiunge la carenza di servizi sanitari adeguati alle loro esigenze specifiche, come la salute materna e infantile.

Infine, il potere politico rimane una roccaforte maschile. Le donne italiane sono ancora sottorappresentate nei parlamenti e nei governi, con una quota di seggi che si attesta al 34%, ben al di sotto della media europea. Un dato che riflette la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica e la difficoltà a scalare i vertici del potere.

Una donna presidente del Consiglio non basta a colmare il Gender Gap

Oltre all’analisi della situazione italiana, il report del WEF offre anche un quadro completo delle performance degli altri Paesi. Tra le nazioni europee, l’Islanda si conferma in testa alla classifica per la parità di genere per il 15° anno consecutivo grazie alle sue politiche avanzate in materia di congedo parentale e uguaglianza salariale seguita da Finlandia, Norvegia e Svezia. Fanalino di coda in Europa, dopo l’Italia, troviamo la Turchia al 120esimo posto, seguita da Ucraina (123esimo) e Azerbaigian (125esimo). Le ultime posizioni della classifica sono occupate da Yemen, Pakistan, Iraq e Afghanistan.

I dati del Global Gender Gap Report 2024 smantellano la propaganda di Giorgia Meloni. “Uno dei famosi soffitti di cristallo è stato rotto proprio con questo Governo ed è un fondamentale soffitto di cristallo rotto con il primo Governo a guida femminile nella storia d’Italia. È un’altra fotografia di Giorgia Meloni che possiamo aggiungere al corridoio delle fotografie delle presenze femminili nelle istituzioni”, aveva detto l’8 marzo in Parlamento la ministra Roccella. Le cose non stanno esattamente così. Per rompere il tetto di cristallo non serve una presidente donna (che si fa chiamare con l’articolo maschile): servono opportunità per tutte. Il gender gap non è una questione personale. 

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La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti – Lettera43

Gli agenti che accusarono le Ong di collusioni con gli scafisti parlottavano con esponenti della Lega e con il futuro ministro all’Interno. Informavano di eventuali illeciti (mai provati) cercando, secondo la procura, favori politici. Solo che poi su quelle operazioni di soccorso sono cadute tutte le illazioni. Mentre il Capitano ha sguazzato per anni su una proiezione mendace della realtà.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti

Tecnicamente si potrebbe definire un presunto golpe umanitario. I tre agenti di polizia che accusarono le Ong Medici senza frontiere, Jugend Rettet e Save the children di collusioni con gli scafisti parlottavano con esponenti della Lega e con il futuro ministro all’Interno Matteo Salvini. Parliamo di due persone cacciate dalla polizia di Stato e di uno in pensione. I tre ufficialmente lavoravano come security privata per conto della Imi security service. La polizia e i pubblici ministeri siciliani hanno intercettato i telefoni di almeno 40 persone come parte delle loro indagini, compresi i dipendenti di Jugend Rettet, Msf e Save the children, nonché gli appaltatori di sicurezza a bordo della nave Vos Hestia, la maggior parte dei quali non è mai stata ufficialmente sotto inchiesta o sospettata di aver commesso alcun crimine.

Intercettati anche avvocati per i diritti umani e giornalisti

Un ufficio di Msf in Sicilia è stato intercettato, e microfoni nascosti sono stati collocati a bordo di tre navi: appunto la già citata Vos Hestia, la Vos Prudence di Msf e la Iuventa. La polizia ha anche intercettato avvocati per i diritti umani e giornalisti che lavorano su questioni migratorie: conversazioni con clienti e fonti che dovrebbero essere protette dal controllo della polizia, secondo la legge italiana. Secondo i documenti del tribunale, la polizia di Trapani ha anche assunto una società di Milano, Rcs Lab, per hackerare a distanza i telefoni cellulari di due dipendenti di Msf, utilizzando tecniche di phishing per installare software in grado di estrarre dati dai loro dispositivi e monitorarli in tempo reale tramite i microfoni dei loro telefoni.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti
Sbarchi di migranti a Lampedusa (Getty).

La presunta complicità delle Ong con i trafficanti di uomini? Tutto finito con il proscioglimento

Il 13 giugno 2024 i pm della procura di Palermo hanno chiesto di sentire come testimoni nel processo a carico di Salvini i tre ex poliziotti Floriana Balestra, Pietro Gallo e Lucio Montanino perché riferiscano del procedimento aperto a Trapani e conclusosi con il proscioglimento di tutti gli imputati relativo a presunte complicità con i trafficanti di uomini delle ong Save the children, Msf e Jugend Rettet. I tre, assoldati dalla security privata, in realtà sarebbero stati degli infiltrati: «Dalla sentenza di proscioglimento del gup di Trapani», ha spiegato la procuratrice aggiunta Marzia Sabella, «si evince chiaramente che registravano quanto accadeva a bordo per riferire e che in cambio delle informazioni chiedevano posti di lavoro». Insomma secondo la procuratrice «invece di informare degli eventuali illeciti (mai provati) chi di dovere, contattarono la Lega e direttamente Salvini a cui fornivano documenti, filmati e registrazioni per avere vantaggi. Tutti questi elementi risultano dalle intercettazioni».

Le telefonate in cui si piegava la realtà per convenienza politica

«Eh, noi abbiamo alzato ‘sto polverone, qualcosa in cambio ci deve dare, perché insomma…», diceva Floriana Balestra non sapendo di essere intercettata. «Cioè, tutte ‘ste informazioni, e la campagna elettorale piena, può fare un bordello che non finisce mai», rispondeva Gallo. E ancora. «Sono stato bravo, vero?», diceva Pietro Gallo. «Beh, hai fermato tutti i migranti», ha risposto suo fratello. «Ora non vengono più». «L’Unione europea non ci è riuscita, il governo italiano non ci è riuscito», ha risposto Gallo, «poi alcuni idioti sono venuti e hanno fermato tutto». Piegare la realtà alla convenienza politica.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti
Manifesti elettorali di Salvini sull’immigrazione (Getty).

Una narrazione elettorale che ha fatto fare il boom a Salvini negli anni d’oro del consenso

Alcune persone tra le forze dell’ordine per ottenere favori dalla politica avrebbero dunque brigato per costruire una tesi crollata di fronte alla verità. Ma qual è il punto politico? Proviamo a riavvolgere il nastro. L’esplosione di Matteo Salvini che l’ha portato al governo e al boom delle elezioni europee 2019 si basava su una proiezione mendace della realtà. Una narrazione elettorale apparecchiata anche con l’aiuto di quegli agenti, secondo quanto emerge dalle indagini. La sentenza del Tribunale di Trapani dopo sette anni di accuse infamanti ha confermato che le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo sono sempre state lecite e coordinate con le autorità. I fatti oggetto di quell’accusa non esistono. Salvini (e quella propaganda) sì.

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Disobbedire a Bruxelles costa caro: la Corte Ue multa l’Ungheria

Eccolo qui in purezza Viktor Orbán, una carriera politica basata su scontri, provocazioni e resistenze che sfidano apertamente l’Unione Europea. L’ultima sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (ECJ) è solo un altro capitolo di questa saga: Budapest dovrà pagare 200 milioni di euro per non aver rispettato una decisione del 2020 riguardante il diritto d’asilo.

La sanzione aumenta di un milione di euro al giorno per ogni giorno di inadempienza. Una multa salatissima, ma anche un simbolo della tensione crescente tra il nazionalismo ungherese e il cuore pulsante dell’Europa unita.

La sentenza contro Orbán: l’Ungheria condannata a pagare 200 milioni dalla Corte Ue

Nel 2015, l’Ungheria ha eretto barriere fisiche e legali contro i migranti che cercavano rifugio attraversando la rotta balcanica. Le “zone di transito” al confine con la Serbia, descritte dalla Corte come prigioni, rappresentano uno dei punti più controversi. Qui, la richiesta d’asilo era più una chimera che una possibilità reale.

La politica di Orbán ha costruito un muro non solo di filo spinato, ma di norme draconiane, che respingono sommariamente chi cerca una speranza di protezione. La sentenza del 2020 della Corte di giustizia ha condannato queste pratiche, dichiarandole contrarie ai trattati europei. Eppure, Budapest ha scelto la strada dell’ostruzionismo, rifiutandosi di adeguarsi.

Orbán, fedele alla sua retorica nazionalista, ha bollato la decisione della Corte come “oltraggiosa e inaccettabile”, sostenendo che proteggere i confini dell’Europa giustifica ogni azione. Per lui, i “burocrati di Bruxelles” sono distanti e insensibili alle preoccupazioni dei cittadini europei, più preoccupati dei diritti dei migranti che della sicurezza interna.

La sentenza: l’Ungheria si è sottratta all’applicazione di una politica comune dell’Ue

L’Unione Europea ha reagito con fermezza. La nuova sanzione rappresenta non solo un tentativo di far rispettare le leggi comuni, ma anche un monito a tutti gli Stati membri che pensano di poter seguire percorsi unilaterali. “Sottrarsi deliberatamente all’applicazione di una politica comune dell’Unione europea costituisce una violazione di eccezionale gravità”, ha affermato la Corte, sottolineando come le azioni ungheresi minino il principio di solidarietà su cui si basa l’Unione.

Questa vicenda non è un’isola nel mare delle controversie tra Bruxelles e Budapest. L’Ungheria è stata più volte al centro di polemiche per l’indipendenza della magistratura, la libertà dei media e il rispetto dei diritti umani. Orbán ha costruito un sistema di governo che molti definiscono semi-autoritario, dove le voci critiche vengono sistematicamente silenziate e il potere concentrato nelle mani di pochi.

L’opposizione di Orbán al recente Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, che prevede un meccanismo di solidarietà obbligatorio tra gli Stati membri, è l’ennesimo atto di una politica di sfida. Budapest, insieme a Varsavia e Praga, ha già rifiutato di accogliere le quote di rifugiati previste dal programma europeo, attirandosi ulteriori condanne.

La politica di Budapest ha un costo anche politico: l’isolamento Ue dell’Ungheria

Ma il braccio di ferro ha un costo, e non solo economico. La posizione di Orbán rischia di isolare ulteriormente l’Ungheria all’interno dell’Unione, esacerbando le tensioni e riducendo la possibilità di dialogo costruttivo.

Mentre le sanzioni finanziarie si accumulano, la domanda che rimane sospesa è se il prezzo della disobbedienza, alla fine, sarà pagato dai cittadini ungheresi, intrappolati in un gioco di potere che li lascia sempre più distanti dall’Europa.

In questo clima di confronto, l’Ungheria di Orbán continua a rappresentare una sfida aperta al progetto europeo, un esperimento di sovranità che mette alla prova la capacità dell’Unione di mantenere coesione e solidarietà. E mentre le multe aumentano giorno dopo giorno, l’eco della disobbedienza ungherese risuona come un monito per il futuro dell’Europa stessa.

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La memoria è un valore anche su YouTube

“C’è in atto una volgare aggressione alla classe dirigente migliore della Democrazia cristiana in Sicilia. Il giornalismo mafioso che è stato fatto stasera fa più male alla Sicilia di dieci anni di delitti…”.

Il giovanotto urla tra il pubblico della puntata speciale di Samarcanda e del Maurizio Costanzo Show andata in onda il 26 settembre 1991 dal Teatro Parioli di Roma e dal Teatro Biondo di Palermo dopo il delitto di Libero Grassi. Sul palco, tra gli altri, ci sono anche il giudice Giovanni Falcone, Claudio Fava, Giovanni Impastato.

Lo spettatore è offeso perché la Democrazia cristiana sta uscendo molto male da quel dibattito su Cosa nostra in Sicilia. Non ci sarebbe niente di esclusivo se il protagonista non fosse Totò “vasa vasa” Cuffaro, presidente della Regione siciliana dal 17 luglio 2001 per il centrodestra e poi condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento personale verso persone appartenenti a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. A Cuffaro che quel video circoli ancora in rete non fa piacere. Qualche tempo fa per questo ha chiesto 250mila euro a YouTube colpevole a suo dire di non averlo rimosso.

Ieri il giudice della prima sezione civile del tribunale di Palermo Michele Guarnotta ha rigettato ogni richiesta dell’ex governatore siciliano sottolineando come la clip rimasta non abbia contenuti diffamatori e “non riporta alcuna affermazione offensiva limitandosi, invero, a riportare una circostanza oggettivamente reale quale la partecipazione del ricorrente alla celeberrima staffetta televisiva condotta da Santoro e Costanzo alla presenza del giudice Falcone”. La memoria del resto è un valore.

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Caporalato, Rosarno è… ancora alla frutta. Il rapporto Medici per i diritti umani tra irregolari e sfruttamento

Nella Piana di Gioia Tauro, un territorio fertile baciato dal sole della Calabria, di Rosarno, si consuma una realtà che stride con l’immagine bucolica di campi rigogliosi e contadini operosi. Dietro la facciata di un’agricoltura fiorente si nasconde una vergogna d’Italia: lo sfruttamento sistematico dei braccianti stranieri, uomini e donne che, provenienti da terre lontane in cerca di un futuro migliore, si ritrovano invischiati in una rete di caporalato e soprusi che li priva di ogni dignità.

Le giornate, scandite da un ritmo massacrante sotto il cielo cocente, sono dedicate alla raccolta di frutta e verdura per paghe irrisorie che oscillano tra i 3 e i 7 euro l’ora. Spesso senza contratto, senza tutele, senza diritti, lavorano sotto il sole cocente, piegati dalla fatica, esposti a pesticidi e prodotti chimici pericolosi senza adeguate misure di sicurezza.

Vittime di caporali senza scrupoli che lucrano sulla loro disperazione, pagandoli a cottimo e sfruttandoli senza pudore. Vivono in baracche fatiscenti, ammassati in condizioni igienico-sanitarie precarie, privi di acqua corrente e servizi igienici adeguati. L’isolamento sociale è pesante, accentuato dalla barriera linguistica e dalla diffidenza della popolazione locale.

Il razzismo e la discriminazione sono piaghe che avvelenano le loro vite, rendendoli ancora più vulnerabili allo sfruttamento. Le donne, ancora più esposte, subiscono spesso violenze e abusi, diventando vittime indifese di una doppia discriminazione.

Sfruttamento e caporalato: una piaga che non si estirpa

Eppure, tra tanta sofferenza, c’è anche un barlume di speranza. C’è chi lotta per la legalità e per il rispetto dei diritti umani, come le organizzazioni umanitarie che offrono assistenza ai braccianti, denunciano le ingiustizie e si battono per il loro riscatto.

C’è chi sogna un futuro migliore, chi cerca di integrarsi nella società italiana, chi vuole solo vivere dignitosamente del proprio lavoro. L’XI Rapporto dell’Osservatorio Rosarno di Medici per i Diritti Umani (MEDU), un’organizzazione umanitaria che opera nella Piana di Gioia Tauro dal 2008 fotografa una situazione di persistente precarietà per i braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro. I dati parlano di una realtà drammatica:

Oltre 2.500 braccianti, prevalentemente provenienti da Mali, Gambia e Ghana, lavorano nei campi della Piana. Solo il 15% ha un permesso di soggiorno regolare per lavoro subordinato o stagionale. Condizioni abitative fatiscenti: il 70% vive in baracche, il 20% in casolari abbandonati e il 10% in tende. Sfruttamento lavorativo diffuso: il 60% lavora senza contratto, il 35% è sottopagato e il 5% subisce minacce o violenze. Salute a rischio: il 40% soffre di malattie legate alle precarie condizioni di lavoro e di vita. Un’emergenza umanitaria che richiede un impegno concreto

A Rosarno condizioni di vita inumane e un isolamento sociale pesante

La Piana di Gioia Tauro è un abisso che non può essere più ignorato. Per MEDU le istituzioni devono fare di più per tutelare questi lavoratori invisibili, per estirpare il caporalato e garantire condizioni di vita e di lavoro decenti.

Per questo l’associazione chiede alle istituzioni di intervenire con misure concrete e decise per tutelare i diritti dei braccianti stranieri e garantire loro condizioni di vita e di lavoro dignitose: regolarizzare il lavoro e contrastare il caporalato con pene più severe e controlli più efficaci; migliorare le condizioni abitative, garantendo l’accesso ad acqua potabile, servizi igienici adeguati e alloggi sicuri; tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, fornendo loro adeguate misure di protezione e accesso alle cure mediche e infine promuovere l’integrazione sociale e contrastare la discriminazione attraverso percorsi di mediazione linguistica e culturale.

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I vestiti nuovi dei sette imperatori

Il 7 grandi del mondo, si fanno chiamare così, si sono ritrovati in Puglia. In rete circola l’inquietante video di un enorme elicottero che atterra nei pressi di un incrocio a Sevelletri, marina di Fasano. Si appoggia su uno degli eliporti dichiarati “pronti” nella smania di grandezza. È un piazzale di terra polverosa sollevata dalle pale c he si appiccica sui muri delle abitazioni lì di fianco sotto lo sguardo incredulo dei passanti.

Giorgia Meloni è arrivata con una 500 d’epoca decappottabile. Ha preparato uno sketch comico per ogni accoglienza di leader straniero. I giornali hanno dedicato un pezzo a ognuna. La scena della presidente del Consiglio che si fa un selfie con i fotografi e i cameraman in attesa del presidente Usa Joe Biden («vi taggo tutti?») è stata ritenuta primaria e quindi campeggia nelle pagine internet e cartacee. 

Viene facile pensare che i 7 grandi affrontino grandi temi, a giustificazione della magnificenza apparecchiata. Qualche ora s’è persa per sgridare Giorgia Meloni, quando le telecamere erano lontane, che ha voluto condire il summit dei grandi mentre infuria la terza guerra mondiale a pezzi con una spolverata antiabortista degna al massimo di una colazione con Orbàn. Meloni si è potuta esercitare quindi nella sua migliore virtù di governante, opporsi a qualcuno, in questo caso Macron, tanto per ridimensionare da subito il livello del dibattito. 

Nelle stesse ore l’Unicef scriveva che nelle prossime settimane altri tremila bambini moriranno di fame nel sud di Gaza. Per quello non si è trovato spazio in pagina. 

Buon venerdì. 

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Lo stalker finisce agli arresti. Ma solo dopo un articolo

Un quarantenne di Aprilia due anni fa si è mostrificato in stalker nei confronti di una donna che era la sua ex compagna e che è madre di quattro figli. La donna per provare a difendersi ha presentato trenta denunce, una in fila all’altra. Una sequela di foto, video, messaggi e testimonianze presentate alle forze dell’ordine. Trenta denunce che non hanno smosso un divieto di avvicinamento, un arresto per seriali, una messa in sicurezza per la donna e i suoi figli.

La donna per provare a difendersi ha presentato trenta denunce, una in fila all’altra

In un’intervista all’edizione romana del Corriere della sera la donna racconta delle volte in cui le aggressioni sono accadute in pubblico, perfino di fronte alle forze dell’ordine lui le ha gridato “infame ti ammazzo!”. Entrando da una finestra rotta e sfasciando ogni casa nell’abitazione di lei. “Erano le 9,30 di mattina e aveva bevuto. Accade spesso. Ho tentato di fronteggiare la situazione. Ma tutto questo ha un costo in termini psicologici”, racconta la donna alla giornalista Ilaria Sacchettoni. Le carte sono rimaste ferme per mesi.

Non si è pensato nemmeno di fare scattare il codice rosso, le misure studiate proprio per tutelare le vittime di stalking. La donna nell’intervista dice: “Non voglio pensare che in Italia la legge funzioni solo se si è potenti ma temo che ai comuni mortali resti solo la speranza di non essere uccisi dal proprio carnefice”. Del resto qui da noi di femminicidi si discute solo con la vittima per terra. L’articolo esce in edicola e poco dopo l’uomo viene arrestato, anche in considerazione dei suoi precedenti penali. Rimane un terribile dubbio: sarà solo una coincidenza

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Dalla rissa alla Camera al G7, Non c’è mai fine al peggio

Se avete ottimisticamente pensato che l’aggressione dell’altro ieri alla Camera nei confronti di un deputato a suon di pugni e calci fosse un isolato episodio provocato da un eccesso di nervosismo vi sbagliate. Ieri è andata in onda la seconda puntata.

Si è scoperto, ad esempio, che nei verbali di Montecitorio quell’indegna scena del giorno precedente era stata derubricata a semplici “disordini”, tra l’altro da una maggioranza che solitamente vede terroristi e violenti dappertutto tra giovani e attivisti e invece diventa docile quando si tratta di censurare gli amici degli amici.

Il vice del ministro Salvini, Andrea Crippa, ha spiegato ai giornalisti che cantare “Bella ciao” è un “gestaccio più che mostrare il gesto della XMas”, facendo confusione sulla storia prima ancora che sulla Costituzione. Nel frattempo in Senato la presidente di turno, la forzista Licia Ronzulli, ha dovuto sospendere per ben due volte la seduta perché i patrioti della maggioranza impazziscono di fronte alle bandiere tricolori esposte dall’opposizione.

Il presidente del Senato Ignazio Maria Benito La Russa si lamenta che mentre c’è il G7 “stiamo dando un’immagine peggiore di quella che diamo normalmente”. Non si preoccupi troppo. A livello internazionale a tenere basso il livello ci ha dato una mano la presidente del Consiglio con le sue faccine da sitcom mentre i grandi della terra la beccavano a nascondere i diritti delle donne sotto il tappeto.

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Il grido di dolore della sanità pubblica: appello dei medici di tutti gli operatori a difesa del Servizio sanitario nazionale

Una piazza gremita di camici bianchi ha riempito un grande teatro capitolino lo scorso fine settimana. Un esercito di donne e uomini appartenenti a tutte le categorie della sanità pubblica si è dato appuntamento per gridare la propria rabbia e rivendicare il diritto alla salute sancito dalla Carta Costituzionale.

Medici, veterinari, farmacisti, psicologi, biologi, chimici, infermieri, tecnici, amministrativi e operatori hanno sottoscritto una “piattaforma in difesa del Servizio Sanitario Nazionale”, un atto di accusa contro le politiche che negli ultimi 25 anni hanno depauperato il sistema pubblico a vantaggio dei privati.

Una piattaforma unitaria contro la svendita del patrimonio pubblico e le diseguaglianze

L’urlo è stato lanciato da Michele Vannini, segretario della Funzione Pubblica Cgil: “Un’iniziativa unica perché finalmente tutte le sigle sindacali si riuniscono, senza egoismi corporativi, per salvare la dimensione pubblica e universale del Ssn”. Andrea Filippi, responsabile medici Fp Cgil, ha rincarato la dose: “Solo rimanendo uniti e coinvolgendo i cittadini potremo rovesciare le scelte sbagliate che violano l’articolo 32”.

La piattaforma punta il dito contro due piaghe che rischiano di far deflagrare il sistema sanitario nazionale. La prima è il tentativo di svendere al privato il patrimonio di competenze e umanità che dovrebbe restare appannaggio dello Stato. L’altra è l’inaccettabile verità che in Italia 6 milioni di persone, pur avendo un lavoro, sono tagliate fuori dalle cure a causa della povertà e delle diseguaglianze territoriali acuite dal progetto di autonomia differenziata.

“Serve una riorganizzazione del Ssn universale e uniforme in tutto il Paese – tuona Vannini – L’autonomia differenziata è la miccia che rischia di far esplodere il sistema, una mina da disinnescare con tempestività”. Una riforma che poggi su quattro cardini: un sistema totalmente pubblico, integrato tra territorio e ospedali, multiprofessionale con team di diverse specialità, e soprattutto governato per porre fine alla frammentazione dei contratti atipici che genera inefficienze.

Il presupposto però è un adeguato finanziamento pubblico. Dicono i saggi che le nozze con i fichi secchi non si possono celebrare. Quella italiana è la sanità più povera d’Europa. La media dei paesi Ue, infatti, destina alla sanità pubblica il 7,5% del Pil, Francia e Germania molto di più, quasi il doppio dell’Italia che è al 6,5% ma che nel giro di due anni scenderà al 6,2%.

Ed allora la richiesta è netta: “finanziamento strutturale del Sns, a partire dal personale, contestando il principio strettamente economicistico e tendenzioso che il personale in sanità sia un costo invece che un investimento”. “Chiediamo al governo di ascoltare i lavoratori che chiedono solo servizi efficienti e stipendi dignitosi, non di risparmiare ancora sulla loro pelle”.

Un finanziamento adeguato è il pre-requisito per salvare la sanità pubblica

Gli obiettivi della piattaforma sono chiari: abolire davvero il tetto di spesa per il personale, stop ai gettonisti e alle cooperative, assunzioni stabili e dignitose, valorizzazione del lavoro con adeguati rinnovi contrattuali. “La sola strada – ammonisce Filippi – è chiedere ai cittadini di unirsi a noi per ricostruire una sanità di prossimità basata sulla solidarietà, non sui profitti dei privati che ci stanno privando del diritto alla salute”.

Un grido di dolore che si leva dalla maggiore azienda pubblica italiana, quel Servizio Sanitario Nazionale istituito 45 anni fa da una grande mobilitazione popolare e che ora rischia di essere smantellato dai profittatori della rottamazione dello Stato Sociale. Un appello pressante alla cittadinanza affinché si ricompatti attorno ai suoi angeli custodi per difendere il bene più prezioso: il diritto alle cure, un valore che non può avere un prezzo di mercato.

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