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Minori stranieri non accompagnati, l’Agenzia Onu per i rifugiati: il 40% dei profughi nel mondo ha meno di 18 anni

Sono oltre 21mila i minori stranieri non accompagnati (Msna) attualmente presenti in Italia: bambini e giovani che, proprio per la loro condizione di estrema vulnerabilità, necessitano di tutele specifiche nell’accoglienza e percorsi di integrazione rispettosi dei loro diritti fondamentali. Un numero elevato, che ha toccato picchi ancora più alti nei mesi scorsi, frutto delle crisi geopolitiche in corso e dei crescenti flussi migratori che coinvolgono un’ampia fetta della popolazione minorile globale.

Secondo l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, il 40% dei profughi nel mondo ha meno di 18 anni. Si tratta di milioni di minori costretti a fuggire dai propri paesi d’origine, spesso senza l’accompagnamento di figure genitoriali o di riferimento, condizione che li espone a rischi ulteriori nel percorso migratorio e nell’arrivo in terre straniere. Un fenomeno che richiede un approccio attento e capillare nell’accoglienza e nell’integrazione di questi giovanissimi migranti.

Il 40% dei profughi nel mondo ha meno di 18 anni. In Italia sono soprattutto egiziani e ucraini

In Italia, al 30 aprile 2024, i Msna censiti erano 21.255, con una prevalenza di minori egiziani (4.121, pari al 19,4%) e ucraini (3.920, il 18,4%). Rispetto all’anno precedente, si registra un calo di queste due nazionalità, a fronte di un aumento significativo di minori provenienti da Tunisia (+24%) e Gambia (+129%). Un trend in evoluzione, legato alle diverse crisi umanitarie che attraversano il pianeta.

L’accoglienza e l’integrazione dei Msna rappresentano una sfida cruciale per il nostro Paese, che richiede un modello diffuso e adeguate tutele. Come sottolineato dall’Unhcr in un’audizione al Comitato Schengen, l’accoglienza in strutture residenziali o istituti dovrebbe essere l’ultima risorsa, da limitare al minor tempo possibile, favorendo invece soluzioni alternative come l’accoglienza in famiglia. Attualmente, solo il 20% dei Msna in Italia è accolto presso soggetti privati, mentre l’80% si trova in strutture di accoglienza, di cui il 27% in centri di prima accoglienza e il 53% nella seconda accoglienza.

Un sistema carente

Il sistema di accoglienza e integrazione (Sai), diffuso sul territorio e gestito da comuni ed enti locali, rappresenta il modello preferibile per l’inserimento dei Msna, garantendo percorsi di crescita e di inclusione sociale ed economica. Eppure, alla fine del 2022, i posti disponibili nel Sai per i minori non accompagnati erano solo 6.347, un numero insufficiente rispetto al fabbisogno attuale e prospettico.

La distribuzione di questi posti sul territorio nazionale appare inoltre squilibrata, con una maggiore concentrazione al Centro-Sud rispetto al Centro-Nord. Tra i comuni con più posti Sai per Msna spiccano Milano (410), Bologna (350), Catania (267) e Palermo (200), seguite da Genova, Firenze, Torino, Marsala, Bari, Padula e Cremona, con meno di 200 posti ciascuna. Negli altri 196 comuni con progetti Sai per Msna, i posti disponibili sono inferiori a 100 per ognuno.

La situazione attuale evidenzia la necessità di un rafforzamento delle politiche di accoglienza e integrazione dei minori stranieri non accompagnati, ampliando la capienza del sistema Sai e favorendo una distribuzione più equa sul territorio nazionale. Allo stesso tempo, è fondamentale promuovere l’accoglienza in famiglia, soluzione preferibile per garantire ai Msna un percorso di crescita sano e tutelato, nel rispetto dei loro diritti e del loro superiore interesse.

Un impegno cruciale per un Paese come l’Italia, crocevia di flussi migratori sempre più consistenti e contraddistinti da una presenza massiccia di minori soli, costretti ad affrontare viaggi e percorsi di vita estremamente pericolosi. Un’emergenza umanitaria che richiede risposte concrete e un modello di accoglienza diffuso, in grado di offrire a questi giovanissimi migranti un futuro di integrazione e opportunità, nel pieno rispetto della loro dignità umana. Al di là della propaganda.

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Il costo climatico della guerra in Ucraina: pari alle emissioni di gas serra di 175 Paesi in un anno

L’invasione russa dell’Ucraina non si limita a seminare distruzione e morte. La devastazione causata ha un impatto climatico enorme, superiore alle emissioni annuali di gas serra di 175 paesi. Questa è la tragica conclusione del più completo studio mai condotto sugli effetti climatici di un conflitto, guidato da Iniziativa sulla Contabilità dei Gas Serra della Guerra (IGGAW).

In soli due anni, il conflitto ha generato almeno 175 milioni tonnellate di anidride carbonica equivalente (tCo2e), si legge sul Guardian. Questo comprende emissioni derivanti dalla guerra diretta, incendi paesaggistici, voli reindirizzati, migrazioni forzate e la distruzione di infrastrutture energetiche. L’impatto è comparabile alle emissioni annuali di paesi come Paesi Bassi, Venezuela e Kuwait. Il metano liberato nell’oceano dalla distruzione dei gasdotti Nord Stream 2 ha aggiunto 14 milioni di tCo2e, mentre l’esafluoruro di zolfo, un gas serra potentissimo, ha aumentato il conteggio di ulteriori 40 tonnellate.

L’impatto devastante delle emissioni di guerra in Ucraina

La ricostruzione, necessaria per riparare le infrastrutture distrutte, aggiungerà un ulteriore peso ambientale. Si prevede che il processo richiederà enormi quantità di acciaio e cemento, materiali ad alta intensità di carbonio, aggravando ulteriormente l’emergenza climatica. Alcune ricostruzioni sono già state avviate, ma in molti casi le strutture sostituite sono state nuovamente distrutte, rendendo il ciclo di ricostruzione una fonte continua di emissioni. L’analisi del IGGAW stima che la Russia debba affrontare un disegno di riparazione climatica da 32 miliardi di dollari per i primi 24 mesi di guerra. Questo calcolo si basa su un costo sociale del carbonio di 185 dollari per tonnellata di emissioni di gas serra. La Comunità internazionale, guidata dalle Nazioni Unite, preme affinché la Russia risarcisca l’Ucraina, includendo le emissioni climatiche nei registri dei danni.

Il conflitto ha anche esacerbato le emissioni globali con l’aumento dei voli deviati e la migrazione forzata di milioni di persone. Le miglia extra percorse dagli aerei commerciali e lo spostamento di 7 milioni di ucraini e russi hanno generato ulteriori 24 milioni di tCo2e. Le compagnie aeree europee e americane, bandite dallo spazio aereo russo, sono costrette a percorrere rotte più lunghe, aumentando significativamente il loro consumo di carburante. “La Russia non sta solo danneggiando l’Ucraina, ma anche il nostro clima”, ha affermato Lennard de Klerk di IGGAW. Le emissioni militari globali sono già considerevoli, rappresentando il 5,5% delle emissioni totali annue, una cifra superiore a quelle del settore dell’aviazione e della navigazione combinati. Tuttavia, la mancanza di trasparenza e dati accurati ostacola una piena comprensione dell’impatto.

Il debito climatico della Russia: 32 miliardi di dollari

Uno degli aspetti più allarmanti del rapporto è l’aumento degli incendi paesaggistici, che hanno devastato campi e foreste lungo il confine. Questi incendi, collegati direttamente alle attività militari, hanno rappresentato il 13% del costo totale del carbonio. La ridistribuzione di forestali, vigili del fuoco e attrezzature ha ulteriormente aggravato la situazione, con piccoli incendi che sono sfuggiti al controllo in tutto il paese. La Russia ha deliberatamente preso di mira le infrastrutture energetiche ucraine, generando enormi perdite di potenti gas serra. Il metano rilasciato nell’oceano dopo la distruzione dei gasdotti Nord Stream 2 ha avuto un impatto devastante, mentre si stima che altre 40 tonnellate di SF6 (equivalenti a circa 1 milione di tonnellate di CO2) siano state rilasciate nell’atmosfera a causa degli attacchi russi sulle strutture di rete ad alta tensione dell’Ucraina. L’SF6 è utilizzato per isolare le apparecchiature elettriche e ha un potenziale di riscaldamento quasi 23.000 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

Il movimento forzato di persone, sia per sfuggire agli orrori della guerra che alla coscrizione, ha generato ulteriori emissioni. Oltre 5 milioni di ucraini hanno cercato rifugio in Europa, mentre milioni di sfollati interni e russi in fuga dalla Russia hanno ulteriormente contribuito al bilancio di 3,3 milioni di tCo2e. “La nuova stima monetaria dei danni climatici evidenzia l’importante ruolo delle emissioni di gas a effetto serra che tengono conto dei conflitti”, ha affermato Linsey Cottrell, responsabile della politica ambientale presso l’Osservatorio sui conflitti e l’ambiente. “Abbiamo un fondamentale accordo internazionale su come vengono misurati e affrontati i conflitti e le emissioni militari”.

Il peso della ricostruzione dell’Ucraina sul clima

Il rapporto dell’IGGAW rappresenta un documento cruciale, fornendo una chiara istantanea delle conseguenze climatiche della guerra, sollevando il velo che oscura i costi ambientali del conflitto. “È un punto di riferimento essenziale per le riparazioni che stiamo costruendo contro la Russia”, ha dichiarato Ruslan Strilets, ministro della protezione ambientale dell’Ucraina.In sintesi, mentre i governi continuano a sottovalutare il costo climatico della guerra, il rapporto di IGGAW rappresenta un passo importante verso la consapevolezza e la responsabilizzazione globale per i danni ambientali causati dai conflitti. La sfida ora è tradurre questa consapevolezza in azioni concrete per mitigare l’impatto devastante sul nostro pianeta.

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Squadrismo parlamentare

Dunque ricapitolando ieri alla Camera dei deputati è accaduto che il presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, abbia espulso un suo compagno di partito, il deputato Domenico Furgiuele, che ha evocato la Decima Mas. “A X Factor facevano la X per dire no, posso fare quello che voglio?”, ha detto Furgiuele parlando con i giornalisti, a proposito di spessore politico. “Alla provocazione si è risposto con un gesto che non poteva non essere provocatorio, in un contesto nel quale la voce di chi cantava era più alta”, ha spiegato. La “provocazione” di cui parla il leghista erano le opposizioni che cantavano “Bella ciao”. Per dire. 

Poi è accaduto che il deputato di Fratelli d’Italia Marco Padovani sia intervenuto in Aula a ricordare la figura di Stefano Bertacco, “figura storica e significativa della destra veronese”, concludendo con la fascista formula “Stefano Bertacco presente!”. Seduta sospesa.

Poi è accaduto che un parlamentare dell’opposizione, Leonardo Donno del Movimento 5 stelle, sia stato assalito con pugni e calci da deputati della maggioranza. Il dem Andrea Orlando scrive che Donno è stato “aggredito e preso a pugni, e mentre è a terra colpito da calci dai deputati della Lega e di Fratelli d’Italia”. “Tutto è nato da un gesto provocatorio e oltraggioso di Donno”, spiega Federico Mollicone (Fratelli d’Italia). La provocazione? Dare al ministro Calderoli una bandiera dell’Italia che il ministro ha sdegnosamente rifiutato. “Squadrismo parlamentare”, dicono da Alleanza verdi sinistra. Sono 100 anni dall’omicidio fascista di Giacomo Matteotti. 

Buon giovedì. 

 

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La Lega verso il Congresso: nel partito tira aria di processo per Salvini

Non sarà uno “zero virgola uno in più” a salvare il leader della Lega Matteo Salvini. Non basta e non basterà nemmeno provare a insistere sul “tradimento” del fondatore Umberto Bossi che ha candidamente confessato di avere preferito Forza Italia alla Lega nell’urna delle ultime elezioni europee. Calerà anche l’onda di Vannacci, ora comodamente seduto a Strasburgo. Sul generale più di qualcuno in casa Lega sta già scommettendo quanto ci metterà a mettersi in proprio, con tanti saluti a Matteo che l’ha usato come salvagente. “Vannacci è un’importante operazione di marketing politico”, ha detto il capogruppo leghista in Senato Massimiliano Romeo. Una “grande intuizione di Salvini”, certo, ma secondo Romeo il sorpasso di Forza Italia deve indurre “a delle riflessioni” che vanno “fatte nelle sedi competenti” perché “occorre riguadagnare territorio, rafforzare la nostra base, stare più vicino ai nostri amministratori” senza dimenticare “la questione settentrionale”. Nelle parole del capogruppo brillano tutte imputazioni del segretario Salvini al prossimo congresso federale.

Alla Lega non si vede un congresso degno di questo nome dal 2017

Il congresso, appunto. Lo statuto finale della Lega per Salvini premier dice che il Congresso Federale è convocato dal Segretario Federale in via ordinaria ogni 3 (tre) anni. Le cose non sono andate proprio così. L’ultimo congresso degno di questo nome risale al 21 maggio 2017, ben sette ani fa. Matteo Salvini vinse con l’82,7% dei voti ma si tratta di un’era geologica fa. Con i big del partito c’era Roberto Maroni che fece il gesto dell’ombrello. Salvini prometteva “con il Pd né adesso né mai”, lo sfidante per la segreteria era l’allora assessore lombardo all’Agricoltura, Gianni Fava. Il congresso del 2019 è stato un passaggio formale per accentrare ancora più potere in mano al “Capitano” che in quei tempi pareva inarrestabile. In mezzo solo congressi locali, al massimo regionali, in cui le voci dissidenti si sono spente nelle cronache locali. 

Oggi il primo sfidante che si è esposto è Roberto Marcato, assessore regionale alle Attività produttive in Veneto. Non è un caso. “Abbiamo perso tutti gli eurodeputati veneti. – spiega Marcato – Il più votato, anche qui, è un signore che, sul tema dell’autonomia, sostiene che la riforma del Titolo V della Costituzione basti e avanzi. Rispetto alle ultime politiche, che già erano state un bagno di sangue, abbiamo perso ulteriori voti”. Il suo collega nella Giunta di Zaia, l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, parla di “Lega finita”, diventata “la brutta copia di Fratelli d’Italia” e la voce che circola è che sia pronto a traslocare armi e bagagli verso Forza Italia. 

C’è già uno sfidante, l’assessore regionale Roberto Marcato. E non è un caso che sia veneto

Lui, Salvini, aveva promesso il “congresso dopo le europee” e le europee sono passate. Ora ha annunciato il congresso in autunno. Lì non ci sarà nessuna “operazione di marketing” che tenga. Al congresso molto nervosi ci arriveranno i presidenti di Regione, dal veneto Zaia al lombardo Fontana passando per il friulano Fedriga. Salvini già nella prima conferenza stampa notturna dopo le elezioni europee ha confermato la sua candidatura. “Non cambia nulla”, continua a ripetere, spiegando da amici e giornalisti di “non avere mai pensato di lasciare”. 

“La strategia di un partito non si può costruire con i giochi di prestigio validi per un turno elettorale”, avvisa il consigliere regionale in Veneto Marzio Favero. “Facciamo il congresso per discutere di tutto”, assicura Salvini. In Francia gli stati generali con l’aristocrazia e con il clero vennero convocati dal Re dopo 170 anni passati senza consultare nessuno. Era troppo tardi.  

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La nuova Ue sembra quella vecchia: in pole von der Leyen, Metsola e Costa

L’aria che tira a Bruxelles sta tutta nelle parole che un diplomatico dell’Unione europea bisbiglia a Politico. “Più ottimismo sento, più divento nervoso”. Consolidati i risultati delle elezioni nei Paesi membri l’Ue che verrà potrebbe essere molto più veloce del previsto. L’avanzata della destra non basta a stravolgere gli equilibri e i nomi sono già sul tavolo: la tedesca Ursula von der Leyen per un secondo mandato come presidente della Commissione europea, il portoghese António Costa come presidente del Consiglio europeo, Roberta Metsola di Malta come capo del Parlamento europeo e l’estone Kaja Kallas come capo della politica estera.

Le sfide politiche dell’Ue

Lo schema di accordo verrà discusso per la prima volta il prossimo 17 giugno quando sull’agenda è fissata una cena informale con i leader in previsione dell’accordo formale e ufficiale che potrebbe arrivare il 27 o il 28 giugno. Chiudere in fretta la pratica è la priorità, sfruttando il momento di debolezza del presidente francese Macron per evitare di impantanarsi nella sua proverbiale capacità di sabotare gli accordi in sede europea. Il fattore tempo è fondamentale, secondo i funzionari e diplomatici europei, per non dare troppo vantaggio al Gruppo dei conservatori e riformisti europei (spinti dal successo di Giorgia Meloni) e il Gruppo identità e democrazia di Salvini e Le Pen che già annusa la possibilità prendersi il governo e poi puntare all’Eliseo. Rapidità è richiesta anche dalla guerra in Ucraina. I banchi vuoti nell’aula del Bundestag tedesco per il boicottaggio dei deputati sia dell’Alleanza Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia (Bsw) sia di Alternativa per la Germania (Afd) sono l’antipasto tedesco del menu europeo. Ursula von der Leyen, che parla già con il tono della presidente confermata alla Commissione europea, ripete che bisogna “aiutare l’Ucraina a governare da sola il suo futuro”. Anche perché l’economia di guerra è uno dei punti programmatici del Ppe che la sostiene e che si è confermato primo partito. Il potenziale ritorno alla Casa bianca di Donald Trump aggiunge sale sulla coda. 

I socialisti, secondo gruppo nel Parlamento europeo, puntano su Costa per sostituire l’attuale presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Nei corridoi Ue i diplomatici stanno già speculando su chi sarà il capo del suo staff. All’inizio di questa settimana l’attuale primo ministro di centro-destra del Portogallo, Luís Montenegro, ha confermato che Lisbona potrebbe sostenere Costa per quel ruolo. L’unico ostacolo all’operazione è l’indagine a carico dell’ex primo ministro portoghese per traffico di influenze. Costa ha risposto già il mese scorso alle domande dei pubblici ministeri e i tempi appaiono lunghi. Per questo i socialisti nordici sperano ancora di potere infilare nella corsa Mette Frederiksen, primo ministro socialista in Danimarca, le cui quotazione appaiono però basse. 

L’equilibrio tra i paesi membri: una partita complessa

La casella più incerta rimane quella della politica estera. Durante la campagna elettorale alcuni Paesi hanno avanzato dubbi su Kallas per le sue radicali posizioni anti-Putin, preoccupati da un’eventuale sottovalutazione delle questioni in Medio Oriente e in Africa. Ma la linea dell’Ue che verrà ha fatto cadere i veti. La più prevedibile delle candidature sarà un altro mandato di due anni e mezzo all’attuale presidente del Parlamento europeo Metsola, che fa parte del Ppe e che dovrebbe essere confermata dal voto del Parlamento europeo. 

Sullo sfondo c’è però il nuovo Consiglio europeo dove l’onda nera (che qualcuno beatamente ancora nega) si farà sentire, eccome, fortificata dal nuovo prevedibile governo francese. Si corre per proclamare von der Leyen  già il 18 luglio ma pensare che i leader dei Paesi membri vengano a Bruxelles a timbrare gli accordi presi da altri è di una leggerezza quasi naif.

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Erdogan alleato della Nato ma amico pure di Putin

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che lo scorso gennaio ha firmato accordi sui migranti con la premier italiana Giorgia Meloni, parteciperà al summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) previsto nella capitale del Kazakistan Astana, i prossimi 3 e 4 luglio. I dubbi sulla partecipazione del leader turco sono stati fugati definitivamente dalle parole del presidente russo Vladimir Putin, che ha dichiarato ieri di “attendere l’incontro con Erdogan per discutere di una serie di temi”.

Putin ha incontrato in Russia il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che di Erdogan è un fedelissimo, e ha fissato ai prossimi 3-4 luglio la data di un incontro più volte rimandato. Inizialmente prevista per fine febbraio, la visita di Putin ad Ankara è stata rinviata e, sebbene il Cremlino abbia più volte reso noto di essere al lavoro per trovare una data tra aprile e maggio, alla fine non se ne è fatto niente. Nel discorso di ieri Putin ha ringraziato il presidente turco per le intese raggiunte con Mosca nella gestione della crisi in Siria, ma sopratutto per gli sforzi messi in atto nella mediazione tra Russia e Ucraina, nello scambio di ostaggi tra i due Paesi e nel raggiungimento dell’intesa che ha permesso il passaggio sicuro del grano ucraino attraverso il Mar Nero, siglata nel luglio 2022.

Intesa saltata un anno dopo proprio per una presa di posizione di Mosca, che chiede il passaggio di navi cariche dei propri prodotti. Erdogan insiste però nel voler far ripartire il ‘corridoio del grano’ e con Putin discuterà anche di questo. “Le relazioni con la Russia vanno molto bene”, ha detto il presidente turco che incidentalmente sarebbe pure un membro della Nato. Che ne pensano gli alleati del Patto Atlantico?

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La memoria labile su Berlusconi

“Dolcissimo papà, il tuo amore vivrà sempre dentro di noi. Firmato Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi”. La commemorazione funebre di Silvio Berlusconi a un anno dalla morte appare sui principali quotidiani italiani con una pagina a pagamento.

Mediaset a reti unificate decide di mandare su Rete 4, Canale 5 e Italia 1 il documentario “Caro presidente, un anno dopo” firmato dal giornalista Toni Capuozzo. Bruno Vespa per stare al passo organizza uno speciale di Porta a porta in seconda serata. Rai News ha trasmesso lo speciale “Filo diretto – Ricordando Silvio” in onda dalle 10 con ospiti in studio e collegamenti.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni trafuga una foto in sua compagnia e la schiaffa sui social scrivendo “ci manchi. Ciao presidente”. Matteo Salvini parla di un uomo “innamorato della libertà”. Barbara Berlusconi tira fuori per l’ennesima volta “l’accanimento giudiziario” nei confronti del padre collegandolo alla riforma della Giustizia.

L’associazione Wikimafia ricorda le parole a pagina 310 della sentenza di condanna a Marcello Dell’Utri: “L’imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso mai sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano a Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”.

In Parlamento i 5 Stelle protestano contro la beatificazione postuma di Silvio che “ha dato dell’eroe a un mafioso come Mangano”. Titoli di coda.

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Giornalismo che si oppone all’opposizione

Un conduttore televisivo sempre dolce con il potere che zittisce un parlamentare durante una trasmissione sulla rete pubblica nazionale è la scena che ci mancava per tastare il polso dell’aria che tira. I partiti di governo che come si oppongono all’opposizione sono il sintomo di una debolezza politica molto più pericolosa di quello che si può pensare. 

I fatti. Durante la trasmissione A porta a porta il conduttore Bruno Vespa litiga con il deputato del Pd Marco Furfaro che in replica al generale Vannacci dice l’ovvio: “io penso che sia tutto lecito e legittimo in politica, – ha detto il dem – uno è di destra e l’altro è di sinistra. Però io credo che sia inaccettabile che nel servizio pubblico noi ascoltiamo un parlamentare europeo che dice che la Decima Mas ha avuto una stagione gloriosa”.

Vespa si inalbera. “Intanto io non le consento che nel servizio pubblico non si possa ospitare un signore che ha preso 530.000 preferenze. Abbia pazienza. Punto primo. Poi punto secondo, la Decima Mas come ha detto Vannacci ha avuto due momenti. Io dico questo perché lei ha detto che non è possibile far parlare uno così nel servizio pubblico, eh no”, dice il conduttore. Il ragionamento è fragile. Quindi perché non ospitare Putin legittimamente eletto in Russia per fargli dire che l’Ucraina va rasa ala suolo per essere denazificata Rimanendo qui in Italia siamo pieni di politici con un bagaglio enorme di preferenze e una fedina penale vergognosa. Meritano il palcoscenico Rai?

Ha ragione Furfaro quando dice che “è inaccettabile” che un europarlamentare dica in tv “che Mussolini era uno statista”. Forse Furfaro ha sbagliato solo una cosa: la trasmissione di Vespa non è “sua”, è nostra. 

Buon mercoledì. 

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Aspettando Salis e Godot la melina continua

Per dare un’idea della situazione, che da fuori potrebbe sembrare perfino malafede, occorre tornare alle parole di lunedì del ministro agli Esteri Antonio Tajani che a proposito di Ilaria Salis appena eletta europarlamentare nelle liste di Alleanza verdi sinistra aveva detto testualmente: “Io non ho l’autorità di far liberare” Ilaria Salis. “Tocca a noi e al Parlamento europeo notificare all’autorità ungherese l’elezione di Salis a deputato europeo poi dovrà essere soprattutto il Parlamento europeo a intervenire perché ci sia la possibilità per lei di partecipare all’Assemblea”.

Per Tajani “tocca a noi e al Parlamento europeo” notificare alle autorità ungheresi l’elezione di Ilaria Salis a deputato europeo

Secondo Tajani ci sarebbe da aspettare almeno un mese prima di poter confezionare qualsiasi comunicazione ufficiale. Attenzione: un mese di detenzione di Ilaria Salis non è propriamente una passeggiata. Si tratta di una detenzione in un’Ungheria piuttosto labile nel rispetto dei diritti, scontando gli arresti domiciliari a un indirizzo che è stato reso pubblico in fase processuale e che gira tra le chat di estremisti che promettono vendetta.

Roberto Salis, padre di Ilaria, ieri ha detto che il giudice “ha dichiarato ai nostri avvocati ungheresi che per terminare la detenzione domiciliare è sufficiente che arrivi una comunicazione ufficiale da parte delle autorità competenti italiane, nella fattispecie il ministro degli Esteri e il ministro dell’Interno, che attestino l’avvenuta elezione”. Quindi, secondo il padre di Ilaria, Tajani avrebbe l’autorità di far liberare sua figlia. Eppure sembra che la melina continui. Solo che adesso non si tratta più di una vicenda personale, è roba che porta la firma di 170 mila italiani.

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Il sindaco torna a casa

Mimmo Lucano è stato eletto sindaco di Riace. Sì, sì, Mimmo Lucano è anche un nuovo europarlamentare nelle liste di Alleanze verdi sinistra, 190 mila preferenze sparse per l’Italia che sono una sberla in faccia all’Italia che abbraccia gli autocrati per appaltare le esecuzioni nel Mediterraneo e su terraferma. Ma Mimmo Lucano è tornato sindaco nella sua Riace, quella terra martoriata da sei anni in cui l’ex sindaco era il cadavere da esporre per distruggere un’idea di accoglienza che smutandava l’Europa e i carnefici di destra e di sinistra che si sono avvicendati al Viminale. 

Mimmo Lucano ha sconfitto le calunnie che non gli hanno scalfito lo spirito, Riace ha battuto il refrain assassino che la raccontava come borgo a disposizione dei traffici del suo sindaco. L’ex sindaco Tonino Tripoli, ex salviniano che ha abbandonato la nave per rifugiarsi in Forza Italia, è stato superato di 83 voti. 83 voti che vengono dopo i processi strampalati smontati pezzo per pezzo. 83 voti che vengono dopo un conato di giornalisti che banchettavano sui cadaveri. 83 voti che hanno dovuto superare un’Unione europea mortifera e indifferente. 

Riace ha votato Mimmo Lucano perché quel modello di stare insieme non è il prodotto della vanità di un sindaco ma è un benefico modello di comunità. «La mia Europa si chiama Riace», ha detto Mimmo mentre commosso leggeva i numeri del trionfo. Portare Riace in Europa è l’obiettivo politico. La marea nera non si ferma solo con la denuncia, l’Europa torva si supera con un modello contrario che preferisca il calcolo umano al calcolo politico. Hanno provato a demolirlo, non ci sono riusciti. Ben tornato a casa sindaco.  

Buon martedì. 

Nella foto: Mimmo Lucano, frame del video

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