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Il requiem della legalità, nella giornata anticorruzione

Ieri, 9 dicembre, si celebrava la Giornata internazionale contro la corruzione. Pochi festeggiamenti e pochi articoli. C’è da capirlo, per l’associazione Libera “da Torino ad Avellino, da Bari a Pozzuoli, da Palermo e Catania, da Milano a Roma, il 2024 è un continuo bollettino di “mazzette” con il coinvolgimento di amministratori, politici, funzionari, manager, imprenditori, professionisti e mafiosi coinvolti in una vasta gamma di reati di corruzione“.
“Ci sono “mazzette” per finte vaccinazioni covid o per ottenere falsi titoli di studio, in altri casi le “mazzette” hanno facilitato l’aggiudicazione di appalti per la gestione dei rifiuti piuttosto che per la realizzazione di opere pubbliche o la concessione di licenze edilizie. E poi ci sono le inchieste per scambio politico elettorale e quelle relative alle grandi opere“, sottolinea una nota dell’associazione di don Ciotti.
Complessivamente 588 sono state le persone indagate per reati che spaziano dalla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio al voto di scambio politico-mafioso, dalla turbativa d’asta all’estorsione aggravata dal metodo mafioso, dall’abuso di ufficio (fin quando era in vigore) al traffico di influenze illecite.
A questo aggiungeteci la liberalizzazione delle procedure d’appalto, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la progressiva delegittimazione della magistratura, tutta farina del sacco di questo governo.
Di questo passo l’anno prossimo la giornata internazionale qui in Italia potrà essere tranquillamente cancellata. Non esisteranno più colpevoli in mancanza di reati. E finalmente potremmo dormire sonni tranquilli.

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Non solo Stellantis, l’Italia rischia di perdere l’intera industria dell’auto

L’Italia non si prepara al futuro, lo subisce. Lo studio di Francesco Zirpoli, pubblicato su Lavoce.info, non lascia spazio a interpretazioni: il passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici non è solo una questione ambientale. È un test sulla capacità del nostro sistema industriale di adattarsi. E finora, stiamo fallendo.

Industria dell’auto, una filiera al collasso

In Italia, il settore automotive coinvolge 2.400 aziende e dà lavoro a oltre 250 mila persone. Di queste imprese, 93 dipendono esclusivamente dalla produzione di componenti per motori endotermici: se non riconvertite, spariranno entro il 2035, portandosi via 14 mila posti di lavoro. Altre 199 aziende, legate sia all’endotermico sia all’elettrico, navigano a vista. Parliamo di quasi 30 mila lavoratori. Il resto della filiera – 2.108 aziende con oltre 215 mila occupati – appare meno esposta, ma nessuno si illuda: una filiera si regge sull’interconnessione. Se cade un anello, la catena si spezza.

Il ritardo italiano

Non è la tecnologia a mancare, ma una strategia. La crisi non nasce dall’incompetenza delle imprese, ma dalla mancanza di commesse e investimenti. Mentre Francia e Germania spingono sulla transizione, l’Italia resta bloccata in una narrazione politica che difende l’indifendibile. Un gioco di prestigio, con cui si tenta di far passare il motore endotermico come una bandiera della nostra identità industriale, ignorando che il mercato globale sta già decidendo per noi.

Le imprese italiane si trovano con un piede nel passato e nessuna rete di sicurezza nel futuro. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato a gennaio, è un documento senza sostanza, e il Pnrr sembra incapace di affrontare la crisi strutturale del settore. Manca un piano per sostenere le riconversioni tecnologiche, mancano incentivi per chi inizia la transizione e, soprattutto, manca la volontà politica di abbracciare il cambiamento.

Un’opportunità scambiata per minaccia

La narrazione politica dominante vede la transizione ecologica come un’imposizione dall’alto, una minaccia per l’economia. È un errore madornale. Il cambiamento è già qui, e l’Italia rischia di restare ai margini. La Cina domina la produzione globale di batterie, la Germania accelera sulla riconversione della sua industria, mentre noi continuiamo a discutere come se il futuro potesse aspettarci. Non può. E non lo farà.

Zirpoli lo evidenzia con precisione: i costi dell’inazione sono superiori a quelli della transizione. Non stiamo solo rischiando di perdere posti di lavoro e competitività; stiamo rinunciando al ruolo che potremmo avere nel nuovo scenario industriale globale.

Le scelte che non si fanno

C’è una via per uscire da questa impasse, ma non passa per la difesa dell’endotermico. Passa per investimenti mirati nella riconversione delle imprese, nella formazione dei lavoratori e nello sviluppo delle infrastrutture per la mobilità elettrica. Serve tassare gli extra-profitti delle compagnie fossili e ridistribuire risorse verso settori che possono garantire un futuro sostenibile. Ma questo richiede coraggio, visione e – soprattutto – una rottura con le logiche di conservazione che caratterizzano la politica italiana.

Sull’industria dell’auto un futuro che non aspetta

Il 2035 sembra lontano, ma è dietro l’angolo. Ogni giorno perso nella difesa del passato ci avvicina al baratro. Se il governo italiano non cambierà direzione, il rischio è di trovarci con una filiera distrutta, un’economia marginalizzata e un territorio che subirà le conseguenze peggiori della crisi climatica.

Zirpoli non offre illusioni: la transizione ecologica è un passaggio obbligato, non una scelta. La domanda è semplice: vogliamo guidarla o farci travolgere? L’Italia, patria della grande industria automobilistica, potrebbe essere leader. Ma oggi sembra destinata a diventare un’appendice irrilevante di chi questa sfida la sta già affrontando.

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Esplosione in una raffineria Eni a Calenzano in Toscana: un morto e sette feriti di cui due gravi

Questa mattina, intorno alle 10:20, un’esplosione ha scosso una raffineria Eni a Calenzano, vicino Firenze. Il boato, udito a chilometri di distanza, ha provocato un incendio e una colonna di fumo visibile in tutta la Piana Fiorentina. Le autorità confermano la presenza di almeno un morto e sette feriti gravi, tra cui due ustionati gravi.

Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile e numerose ambulanze. L’Azienda Ospedaliera di Careggi ha attivato il piano per il massiccio afflusso di feriti, sospendendo le attività ordinarie per dedicarsi all’emergenza.

L’incidente ha avuto pesanti ripercussioni sulla mobilità. L’autostrada A1 è stata chiusa in entrambe le direzioni nel tratto interessato, mentre la circolazione ferroviaria tra Prato Centrale e Firenze Castello ha subito ritardi e cancellazioni.

Le autorità locali, tra cui il Comune di Calenzano, hanno chiesto ai cittadini di non avvicinarsi alla zona dell’incidente e di chiudere porte e finestre per precauzione. Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha allertato tutti gli ospedali della regione, definendo l’accaduto un grave evento da monitorare con la massima attenzione.

Le cause dell’esplosione sono ancora in fase di accertamento. La zona colpita, secondo fonti Eni, riguarderebbe un’area di pensiline e non i serbatoi principali, scongiurando al momento un ulteriore rischio di estensione dell’incendio.

La paura tra i residenti è palpabile, come testimoniato dal Collettivo di fabbrica ex Gkn, che ha descritto lo sgomento per l’accaduto. La Protezione Civile è impegnata sul posto per coordinare le operazioni di soccorso e messa in sicurezza.

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Un calendario da guerra: il carcere ridotto a un teatro di controllo

Armati fino ai denti, tre agenti che immobilizzano una persona distesa sul pavimento, un gruppo in assetto antisommossa. Non è un reportage da una zona di guerra ma il calendario 2025 della Polizia Penitenziaria. Un prodotto che sembra più un manifesto di forza muscolare che un racconto della realtà penitenziaria.

Presentato nell’aula magna della Corte di Cassazione, il calendario ha come tema la «formazione». Eppure, ciò che emerge dalle immagini è solo il lato repressivo: passamontagna, scudi, pose da assedio. Non c’è traccia delle celle, dei corridoi, degli spazi comuni. Spariscono anche gli agenti che ogni giorno gestiscono tensioni crescenti, tra sovraffollamento e un numero drammatico di suicidi, sia tra i detenuti che tra i poliziotti.

Le dichiarazioni del sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove e del capo del Dipartimento Giovanni Russo parlano di eccellenza investigativa e rieducazione. Ma nelle foto non c’è nulla di tutto questo. Resta una narrazione monolitica: controllo e emergenza.

In un momento in cui il sistema carcerario soffoca sotto eventi critici e suicidi, un calendario dovrebbe raccontare la complessità di un lavoro duro e cruciale. Invece, alimenta una visione riduttiva e intimidatoria, perdendo l’occasione di restituire dignità agli agenti e al sistema democratico che rappresentano. Delmastro aveva detto di «provare gioia nel non fare respirare i detenuti». Qualcuno deve avere pensato che fosse una buona idea farne un calendario. 

Buon lunedì. 

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In Malawi l’intelligenza artificiale riscrive il confine tra tecnologia e umanità – Lettera43

Nello Stato africano un software di monitoraggio fetale ha permesso di ridurre dell’82 per cento i decessi neonatali in soli tre anni. Grazie a un algoritmo non calato dall’alto, ma studiato da medici, infermieri e donne del luogo. Così l’Ia, spesso demonizzata o celebrata senza riserve, ha trovato una sua dimensione concreta.

In Malawi l’intelligenza artificiale riscrive il confine tra tecnologia e umanità

L’intelligenza artificiale, spesso associata a derive discutibili come la proliferazione di fake news o la manipolazione delle immagini, trova in Malawi un’applicazione che riscrive il confine tra tecnologia e umanità. Nell’Area 25 Health Centre di Lilongwe, un software di monitoraggio fetale non solo supporta il personale medico, ma ha permesso di ridurre dell’82 per cento i decessi neonatali in soli tre anni. È un dato che non può essere letto con leggerezza: è la dimostrazione concreta di come l’innovazione, quando adattata alle realtà locali, possa trasformare un sistema sanitario fragile in uno strumento di salvezza.

Investimenti non solo tecnologici, ma anche formativi

Il Malawi è tra i Paesi con il più alto tasso di mortalità neonatale al mondo. La carenza cronica di personale qualificato è una realtà strutturale: meno di quattro ginecologi per milione di abitanti lasciano la maggior parte delle gravidanze e dei parti in mano a infermieri e ostetriche, spesso costretti a operare senza strumenti diagnostici adeguati. In questo contesto, l’introduzione di un sistema basato sull’intelligenza artificiale non è stata un’operazione semplice né immediata, ma un processo complesso che ha richiesto investimenti non solo tecnologici, ma anche formativi.

In Malawi l'intelligenza artificiale riscrive il confine tra tecnologia e umanità
Dove si trova il Malawi.

Software che non diventa un sostituto della competenza medica

Il software, progettato per analizzare i dati del battito cardiaco fetale, rileva anomalie che indicano sofferenza. Un algoritmo elabora i segnali cardiotocografici, individuando potenziali situazioni critiche e segnalando al personale la necessità di intervenire. È un sistema che non si stanca, che non commette errori dovuti alla fatica o alla mancanza di esperienza. Tuttavia il successo di questa tecnologia non si misura solo nella sua precisione ma nell’interazione con il contesto umano. Il personale sanitario locale è stato formato per interpretare i risultati forniti dal software, per integrarlo nel proprio lavoro senza trasformarlo in un sostituto della competenza medica. Il risultato è un modello di collaborazione tra innovazione e giudizio clinico.

In Malawi l'intelligenza artificiale riscrive il confine tra tecnologia e umanità
Un villaggio in Malawi (Getty).

La storia di Ellen e di quel provvidenziale cesareo d’urgenza

La storia di Ellen Kaphamtengo raccontata dal Guardian, una giovane madre di 18 anni, rende concreto ciò che altrimenti rischierebbe di rimanere un’astrazione. Durante un controllo di routine, l’algoritmo ha rilevato un rallentamento nel battito cardiaco del suo bambino. Il software non offre spiegazioni, ma una chiara indicazione: intervenire subito. Grazie a questa segnalazione, i medici hanno optato per un cesareo d’urgenza. Il bambino, Justice, è nato sano. Senza il monitoraggio dell’Ia, quel rallentamento sarebbe potuto passare inosservato, e il finale sarebbe stato diverso.

In Malawi l'intelligenza artificiale riscrive il confine tra tecnologia e umanità
Donne nello Stato africano del Malawi (Getty).

Algoritmo non imposto dall’alto, ma frutto di un lavoro condiviso

Il successo del progetto malawiano solleva domande importanti. Qual è il margine di errore di un sistema come questo? Che tipo di dati alimentano l’algoritmo? In un contesto globale in cui l’Ia viene spesso criticata per i suoi pregiudizi intrinseci, il caso di Lilongwe dimostra che la tecnologia può fare la differenza solo quando è costruita con attenzione al contesto e alle sue specificità. L’algoritmo non è stato imposto dall’alto: è stato adattato, testato e introdotto in un processo che ha coinvolto medici, infermieri e donne del luogo. Ma c’è un aspetto più profondo da considerare. L’intelligenza artificiale, in questo caso, non è un semplice strumento. È il mezzo attraverso il quale un sistema sanitario limitato riesce a sfidare le proprie carenze strutturali. Non si tratta di un miracolo tecnologico, ma di una visione precisa: quella di utilizzare l’innovazione per ridurre le disuguaglianze, anche nei contesti più marginalizzati.

Un equilibrio fragile, certo, ma anche un modello replicabile

La storia dell’Area 25 Health Centre è una lezione per il mondo intero. Mentre altrove l’intelligenza artificiale viene demonizzata o celebrata senza riserve, in Malawi ha trovato una sua dimensione concreta, umana. Qui non c’è retorica, solo risultati. E quei risultati, oggi, si misurano in vite salvate. Justice è solo uno dei tanti nomi che raccontano questa rivoluzione silenziosa. Il Malawi ci ricorda che l’Ia, per funzionare davvero, deve partire dalle persone e tornare alle persone. È un equilibrio fragile, certo, ma anche un modello replicabile. E forse, in un futuro non troppo lontano, ciò che oggi appare straordinario potrebbe diventare una normalità anche in altri luoghi dimenticati del mondo. Ma per ora, nell’Area 25 Health Centre, ogni battito salvato è un piccolo passo verso quel futuro.

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Numeri risicati e liti tra gli alleati: maggioranza in bilico nelle commissioni

Gli equilibri della maggioranza, già fragili in aula, diventano ancora più precari nelle commissioni parlamentari dove si definisce l’ossatura di ogni provvedimento. Il recente studio di Openpolis mette in evidenza una verità scomoda per il governo: le commissioni, veri centri di potere legislativo, mostrano che la solidità numerica della coalizione è più apparente che reale. Qui dove ogni voto pesa come una sentenza, il margine di sicurezza è sottilissimo e ogni dissenso si traduce in una battuta d’arresto.

Commissioni parlamentari: il tallone d’Achille della maggioranza

Le commissioni parlamentari non sono semplici organismi di raccordo ma il cuore pulsante della politica italiana. I provvedimenti vengono emendati, discussi e negoziati prima di affrontare l’aula. Una maggioranza coesa dovrebbe garantire un percorso legislativo fluido e l’attuale governo si trova a fare i conti con dinamiche interne che trasformano ogni seduta in un esercizio di equilibrio politico. Fratelli d’Italia, pur essendo il gruppo di maggioranza relativa, non può agire in autonomia. L’appoggio di Lega e Forza Italia è indispensabile e questo conferisce a ogni partito della coalizione un potere negoziale che rischia di diventare paralizzante.

L’analisi di Openpolis evidenzia che alla Camera, in nove commissioni su quattordici, un dissenso di Lega o Forza Italia può bloccare l’intero iter legislativo. In tre di queste la Lega ha un potere di veto esclusivo, rendendo ancora più evidente la vulnerabilità della coalizione. Solo nelle commissioni Difesa e Politiche dell’Unione Europea la maggioranza può contare su una relativa autonomia. Al Senato la situazione è persino più critica: in commissioni centrali come Giustizia, Bilancio e Finanze, il margine di maggioranza si riduce a un solo voto. Questo significa che anche una singola assenza o defezione può ribaltare il risultato di una votazione.

Non si tratta solo di numeri. La distribuzione dei seggi nelle commissioni riflette tensioni politiche profonde che minano la coesione della maggioranza. Le recenti divergenze tra Lega e Forza Italia sul canone Rai sono solo l’ultimo esempio di una coalizione costretta a navigare tra i compromessi. Ogni partito difende la propria agenda con fermezza e la necessità di mantenere l’unità si scontra con la realtà di una maggioranza costruita su fragili convergenze.

Un governo ostaggio dei numeri e delle tensioni interne

A complicare ulteriormente il quadro ci sono i rapporti con le opposizioni. In un contesto così frammentato il ruolo di chi siede all’altra parte del tavolo diventa strategico. L’opposizione, che nelle commissioni può contare su numeri significativi, non si limita a un ruolo passivo. Ogni proposta è sottoposta a un’attenta verifica e le divisioni interne alla maggioranza offrono spazi di manovra inaspettati. Questo non solo rallenta l’azione di governo ma espone la coalizione a continui rischi di stallo.

Il governo Meloni si trova quindi in una posizione delicata. Da un lato deve garantire la stabilità interna della coalizione, dall’altro deve evitare che le divergenze tra gli alleati si trasformino in uno spettacolo pubblico di fragilità politica. La gestione delle commissioni diventa così un banco di prova cruciale per la tenuta del governo.

La recente vicenda del canone Rai, con lo scontro tra Lega e Forza Italia, evidenzia quanto fragili siano gli equilibri della coalizione. Non basta una maggioranza numerica in aula per governare con efficacia. Le commissioni parlamentari rappresentano un microcosmo delle difficoltà più ampie che il governo deve affrontare: tensioni interne, mancanza di una visione comune e un’opposizione che non esita a sfruttare ogni occasione per mettere in difficoltà l’esecutivo.

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E ci stupiamo se i seggi sono vuoti

Una qualsiasi presidente del Consiglio in Italia – che si faccia chiamare al maschile o al femminile – ieri sera avrebbe dovuto andare a letto ripetendo cento volte che sta governando un Paese in cui dopo 20 anni i redditi sono calati del 7%. Lo scrive nero su bianco il Censis, non qualche giornalista antipatico, che racconta della trappola della “sindrome italiana” che ha eroso del 5,5% la ricchezza pro capite.

La (o il o gli o trallallà) presidente del Consiglio dovrebbe passare la notte insonne pensando che l’85,5% dei suoi cittadini non nutrono nessuna speranza di poter risalire nella scala sociale, convinti che la loro vita possa solo consumarsi con lo scorrere del tempo senza essere scalfita da nessun miglioramento. 

La presidente del Consiglio (maschile o femminile) dovrebbe dolersi dei 352 mila italiani che dal 2013 al 2022 hanno visto in un biglietto aereo e in una valigia l’unica speranza per il futuro. 132 mila di loro sono laureati, sono i laureati che mancano qui. L’89,9% dei non espatriati è convinto che non avrà mai una pensione adeguata. Una presidente del Consiglio dovrebbe sentire l’impellente urgenza di invertire una rotta depressa e consunta che attraversa i suoi concittadini. Giorgia Meloni invece stamattina si alzerà spiegandoci che la priorità è delegittimare i giudici, attaccare certi giornalisti, scarrozzare quattro disperati in Albania, cucinare per il catering di Atreju, farsi baciare le mani da Orbàn. Poi uno dice l’astensionismo. 

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Il vero campo largo? Quello contro la povertà

Negli ultimi 10 anni, si legge nell’ultimo rapporto UBS, il Billionaires Ambitions Report, giunto alla decima edizione, i miliardari hanno sovraperformato i mercati azionari globali e il loro patrimonio complessivo è aumentato del 121%, passando da 6.300 miliardi di dollari a 14.000 miliardi di dollari. Insomma, i ricchi sono sempre più ricchi e non è difficile capire che il sistema capitalistico mondiale sia la piattaforma perfetta per agevolare i Paperoni.

E in Italia I 56 miliardari dello scorso anno ora sono diventati 62, ma soprattutto il loro patrimonio è salito da 162,3 a 199,8 miliardi di dollari, con una crescita del 23,1%, fra le più alte in Europa. Per avere un’idea delle proporzioni, in Francia e in Germania gli ultraricchi si sono accontentati di aumentare il loro patrimonio “solo” del 10%.

Calcoli alla mano, in Italia c’è un miliardario ogni milione di persone, e questi detengono l’8,4% del PIL nazionale. Se in un Paese aumenta la povertà, stagnano i redditi (quando non si abbassano) e i ricchi si arricchiscono, non ci vuole troppa fantasia per capire che esiste un serio problema di redistribuzione. Cade anche la favola del “trickle-down”, secondo cui i benefici fiscali o economici concessi ai più ricchi e alle imprese dovrebbero, nel lungo termine, “gocciolare” verso i livelli inferiori della società attraverso investimenti, creazione di posti di lavoro e crescita economica generale.

Resta da dividere la popolazione tra chi crede che la politica debba intervenire in questo processo di disuguaglianza e chi no. Il vero campo largo è questo, e sta tutto qui. A quel punto viene facile intravedere i due schieramenti, al di là delle posture di facciata.

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Un’altra finanziaria è possibile: da Sbilanciamoci! 102 proposte alternative alla ricetta del governo per salvare il Paese dall’austerity

Sbilanciamoci! è una rete di 54 organizzazioni che dal 1999 propone politiche economiche alternative, con un focus su giustizia sociale, ambiente e diritti. Ogni anno, attraverso il Rapporto Sbilanciamoci!, presenta una “Controfinanziaria”, una proposta concreta per una gestione della spesa pubblica più equa e sostenibile. La versione 2025 del rapporto si configura come una netta opposizione alla Legge di Bilancio del Governo Meloni, definita “modesta e regressiva” sotto il profilo sociale, fiscale e ambientale.

Una manovra radicale e concreta

La Controfinanziaria 2025 offre una visione alternativa, con 102 proposte per un piano da 54 miliardi di euro a saldo zero. I temi centrali sono giustizia fiscale, transizione ecologica, welfare e diritti. La proposta mira a invertire le priorità della manovra governativa, spostando risorse da spese militari e sussidi ambientalmente dannosi verso investimenti in sanità, istruzione e cooperazione internazionale.

Giustizia fiscale e redistribuzione

Sbilanciamoci! prevede l’introduzione di un’imposta progressiva sulle grandi ricchezze, che potrebbe generare 24 miliardi di euro. A questa si affiancano misure come l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e una revisione dell’imposta di successione, con un gettito complessivo di 33 miliardi di euro. Parte delle risorse sarebbe destinata agli enti locali per rilanciare il welfare e combattere l’abusivismo.

Politiche industriali e lavoro

La rete propone un’agenzia nazionale per le politiche industriali e il lavoro, con uno stanziamento di 6 miliardi di euro. Tra le priorità figurano la riconversione ecologica dell’industria, l’incremento del Fondo per il trasporto pubblico locale (+1,7 miliardi l’anno) e la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario. Anche il superamento del Jobs Act e l’introduzione di misure strutturali per il sostegno al reddito trovano spazio nel piano.

Investimenti in istruzione e cultura

Un capitolo significativo della Controfinanziaria è dedicato al rilancio dell’istruzione e della cultura, con oltre 10 miliardi di euro. Le proposte includono il finanziamento di borse di studio, l’ampliamento delle residenze universitarie e l’aumento delle risorse per scuole e università. Si punta, inoltre, alla creazione di un Sistema Culturale Nazionale per coordinare istituti e spazi culturali.

Svolta ambientale

Di fronte alla crisi climatica, Sbilanciamoci! propone interventi radicali: cancellazione dei sussidi alle fonti fossili, creazione di fondi per la biodiversità e l’adattamento climatico e sviluppo di comunità energetiche pubbliche. Con una riduzione delle spese militari di 7,5 miliardi, la Controfinanziaria ridistribuisce risorse verso iniziative di pace e cooperazione.

Una visione concreta, non un’utopia

La Controfinanziaria 2025 non è un esercizio di idealismo ma una proposta concreta, costruita con rigore contabile e visione politica. Ogni misura proposta è bilanciata da un’adeguata copertura finanziaria. Le risorse derivano da una combinazione di interventi mirati che includono, innanzitutto, un’imposta progressiva sulle grandi ricchezze, con aliquote dallo 0,5% al 2% sui patrimoni superiori al milione di euro, per un gettito stimato di 24 miliardi di euro. A questa si affianca un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 26% al 30% e una revisione delle imposte di successione, che raddoppierebbero le aliquote attuali, generando ulteriori 2,5 miliardi.

Un’altra fonte cruciale è la vera tassazione delle transazioni finanziarie, che, estendendo il prelievo anche agli strumenti speculativi ad alta frequenza, potrebbe portare 3,7 miliardi. La redistribuzione del carico fiscale si concretizza anche attraverso l’introduzione di nuovi scaglioni Irpef per i redditi più alti, generando 2,8 miliardi. Parallelamente, il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi, stimato in 7 miliardi, consente di finanziare la transizione ecologica senza aumentare il debito.

Con un risparmio di 7,5 miliardi derivante dalla riduzione delle spese militari – attraverso il taglio di nuovi programmi di armamenti e una razionalizzazione delle missioni militari all’estero – Sbilanciamoci! dimostra che non serve aumentare le tasse per tutti, ma spostare le risorse dai settori improduttivi e regressivi a quelli strategici per il futuro del Paese. Questo approccio non solo fa quadrare i conti ma dimostra che un’altra manovra è possibile, se si ha il coraggio di agire con equità e sostenibilità come bussola.

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Divari locali e sociali, anche a scuola un’Italia a due velocità

I numeri non mentono, ma sono le loro pieghe che raccontano storie complesse. Il rapporto TIMSS 2023 (l’indagine comparativa internazionale condotta dalla IEA con l’obiettivo di valutare il rendimento degli studenti in matematica e scienze al quarto anno e all’ottavo anno di scolarità) illumina l’Italia con una luce ambivalente: da una parte il conforto di risultati superiori alla media internazionale, dall’altra l’amaro risveglio di divari territoriali e sociali che suonano come un’incriminazione. Se la scuola è davvero lo specchio di un Paese, allora il nostro riflesso non è affatto rassicurante.

Scuola, il divario nascosto nei numeri

L’Italia registra punteggi sopra la media internazionale sia in matematica che in scienze, con 513 e 511 rispettivamente al quarto anno di scolarità. Ma quel che brilla in superficie si opacizza nei dettagli: tra il Nord Ovest e il Sud Isole c’è un abisso che non si misura solo in punti (50 di differenza), ma in opportunità, aspettative e, in ultima analisi, destini. Non è questione di latitudine, ma di diseguaglianza strutturale, un’asimmetria che il tempo non ha ridotto, anzi ha cronicizzato.

Lo stesso schema si ripete all’ottavo anno: il Nord tiene saldamente la testa mentre il Sud sprofonda. Non c’è bisogno di essere esperti di statistica per comprendere cosa questo significhi: un sistema educativo che promette equità ma la tradisce ogni giorno.

Il genere come gabbia invisibile

C’è un altro divario, più sottile e per questo più insidioso: quello di genere. Nell’ottavo anno, le ragazze arrancano rispetto ai compagni maschi, specie nel ragionamento matematico. Non è una questione di capacità, ma di narrazioni che continuano a legare le donne a percorsi di vita e studio tradizionalmente meno tecnici, meno ambiziosi. È la cultura della modestia a fare il suo sporco lavoro, quella che insegna a “non esagerare” mentre chi sta dall’altra parte del banco viene incoraggiato a osare.

La classe sociale che pesa sui banchi di scuola

Ma se il genere è una gabbia, la classe sociale è una montagna. Gli studenti con risorse educative ridotte a casa partono in salita, e spesso non arrivano mai in cima. TIMSS 2023 lo dice chiaramente: il successo scolastico in Italia è ancora una questione di privilegio. Le scuole non bastano a correggere il tiro, e le politiche educative, quando ci sono, si dimostrano deboli. Non sono i ragazzi a fallire: è il sistema che li lascia indietro.

L’ombra lunga del COVID-19 sulla scuola

A peggiorare il quadro ci si è messo il COVID-19. Non un semplice contrattempo, ma una lente che ha ingigantito le crepe del sistema. Le scuole del Sud, già fragili, si sono ritrovate in un deserto tecnologico che ha reso la didattica a distanza un miraggio. I numeri non mentono: la pandemia ha dato un’ulteriore spinta verso il basso a chi era già sull’orlo del baratro.

Educazione ambientale: una promessa incompiuta

Tra le novità di TIMSS 2023, spiccano gli item sulla consapevolezza ambientale. Gli studenti italiani mostrano sensibilità verso la conservazione della natura, ma poca fiducia nella scienza e nella tecnologia come strumenti di salvezza. Non è un problema di giovani, ma di un’educazione ambientale che si affaccia timidamente nei programmi scolastici, senza riuscire a imprimere un cambiamento profondo.

La lezione di Galileo

Il quadro è chiaro: TIMSS 2023 non ci dice che siamo in crisi, ma che lo siamo in modo diseguale. Le eccellenze del Nord, le lacune del Sud, i successi di alcuni e i fallimenti di troppi. L’Italia non ha bisogno solo di più investimenti: ha bisogno di una visione, quella che manca da decenni. Non possiamo più accontentarci di aggiustare il presente. Per citare Galileo, servono strumenti per “intendere la lingua dell’universo”. Altrimenti continueremo a girare in un oscuro labirinto, cercando una via d’uscita che non arriverà mai.

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