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Elezioni Ue: si vota per il Parlamento europeo, ma la campagna elettorale è monopolizzata da questioni nazionali

Quando si parla di voto europeo, raramente al cittadino brucia la passione politica. Per la stragrande maggioranza degli elettori del vecchio continente le elezioni del Parlamento di Bruxelles rappresentano una sorta di lontana eco, un rombo cupo che non riesce a far tremare le certezze domestiche. È un’usanza ormai decennale: mentre i commissari partono per la campagna a reti unificate, ad arringare le piazze virtuali con indirizzi programmatici e promesse di stabilità, il popolo pensa ad altro. Pensa ai salari stagnanti, ai mutui che soffocano le famiglie, alla benzina che non finisce mai di aumentare. E vota di conseguenza: con la pancia, con il portafoglio, con la rabbia di chi si sente tradito dalle istituzioni.  

In Germania, ad esempio, ad Angela Merkel è subentrato Olaf Scholz, ma l’aria è sempre la stessa. La coalizione semaforo, con Verdi e Liberali a tenere le redini del carro, sta mostrando tutte le sue fragilità. E mentre Scholz si rifugia nei toni pacati del “Cancelliere della pace”, i suoi alleati vanno già all’attacco sulla crisi dei migranti, provando a ricucire uno strappo che rischia di diventare un buco nero per la maggioranza. 

Sono le questioni interne le protagoniste di una campagna elettorale che sembra interessarsi ben poco all’Ue

Anche in Francia l’inquilino dell’Eliseo ha ben altri grattacapi oltre il voto di Bruxelles. Emmanuel Macron è impantanato in un mandato a dir poco tormentato, tra proteste di piazza e conti pubblici fuori controllo. E se un tempo sperava di potersi fregiare del blasone di leader dell’Ue, oggi arranca nella ricerca di una qualche legittimità. Anche perché in casa propria gli cresce un’insidia sempre più invadente: Marine Le Pen potrebbe cedere la scena al giovane Jordan Bardella, ma il rischio di un’affermazione del fronte populista è più concreto che mai.    

In Spagna Pedro Sánchez si avventura in questa tornata con un fardello ben più ingombrante di un voto europeo. Dopo aver approvato un’amnistia per i separatisti catalani in grado di far stropicciare gli occhi persino ai più smaliziati analisti, il premier socialista si ritrova in una posizione per lui inedita: bersaglio polemico non solo delle destre madrilene, ma anche di una parte importante della sua stessa base elettorale. In Bulgaria domina la scena il magnate e politico Delyan Peevski, già sanzionato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. A Cipro il partito populista National Popular Front (ELAM) sta guadagnando terreno parlando di “sostituzione etnica”. 

I temi? Difesa dei confini e dei privilegi fiscali. E c’è anche la “sostituzione etnica”

Poi ci sono le difficoltà economiche locali che ricorrono come un’ossessione in queste consultazioni. Perfino in un piccolo gioiello democratico come il Lussemburgo, il dibattito è ormai diventato man mano una guerriglia senza esclusione di colpi sul paradiso fiscale di casa. Con l’ago della bilancia Nicolas Schmit, spitzenkandidat del Partito Operaio Socialista, che gioca un difficile ricatto: mantenere il diritto di veto in materia fiscale, che gli eurocrati di Bruxelles vogliono eliminare.

Dalla Scandinavia ai Balcani, insomma, il gran fattore delle elezioni europee sembra essere il dibattito nazionale. A Helsinki il fronte euro-scettico della Finlandia aizza la folla con slogan anti-migranti, nell’estremo tentativo di convincere gli elettori a votare con la pancia e non con la ragione. Mentre la piccola Lettonia ribolle in un dibattito dalle venature identitarie, con il fronte progressista accusato di aver ceduto alle lusinghe delle minoranze russofone.  Eccola qui, l’Europa di Maastricht e di Schengen: un cantiere aperto, un caleidoscopio di rivendicazioni e di aspirazioni. Un cantiere dai ritmi convulsi, segnati dalle contingenze locali più che da battaglie dall’ampio respiro.

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La “Decima” e il governo

Qualcuno molto ingenuamente ha pensato che tollerare le vannacciate del generale Vannacci fosse la strategia migliore. Qualche giorno fa Dino Amenduni, analista politico di professione, faceva notare come nel 2016 Huffington Post Usa inserì le dichiarazioni di Trump all’interno della sezione ‘intrattenimento’, considerando le sue uscite insulse e ridicole. “Così facendo ne aumentò molto la visibilità, – spiega Amenduni – perché chi va nella sezione ‘intrattenimento’ ha le barriere difensive molto più basse rispetto a chi legge contenuti della sezione ‘politica’. Fu un tragico errore, di cui poi si scusarono (però) troppo tardi, quando Trump era già diventato presidente”. 

Scrollarsi di dosso Vannacci quasi con un sorriso, così come dare poco conto alle braccia tese dei neofascisti durante le loro celebrazioni, così come irridere chi denunciava il pericolo del ritorno della cultura fascista osata impunemente ci ha condotti a una sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Pina Castiello, che compare in un video mentre viene disegnata “una Decima” su una torta di panna montata con le risate dei presenti che ridono urlacciando «Fai una decima, una Decima Mas». 

La candidata leghista alle elezioni europee Angela Russo ha fieramente condiviso il video sui suoi social, evidentemente convinta che fosse una scenetta simpatica e utile a raccattare voti. La sottosegretaria parla di «un episodio goliardico» e accusa di volerlo elevare «a prova regina di nostalgie pericolose». Ma noi qui fuori non abbiamo bisogno di altre prove. Abbiamo bisogno di reazioni significative per rispettare il sangue da cui nasce la Costituzione che avrebbe dovuto spazzare via per sempre la “Decima” e i suoi sostenitori. 

Buon martedì. 

Foto dalla pagina Fb di Sandro Rutolo

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Ormeggia la diseguaglianza. Ricchi & poveri a Genova

Se ieri mattina aveste scattato una foto al porto di Genova avreste potuto cogliere l’istantanea del momento storico italiano. Guardando dai balconi dei palazzi che si affacciano sul mare a sinistra si scorgeva la Celebrity Ascent, nave da crociera affittata per il matrimonio dei rampolli indiani Anant Ambani e Radhika Merchant, ormeggiata a ponte Doria, nel porto di Genova.

A Genova le nozze sul mega-yacht Celebrity Ascent dei rampolli indiani Anant Ambani e Radhika Merchant

Mille e duecento invitati a bordo della nave, affittata dal magnate indiano Mukesh Ambani, padre dello sposo, che il giorno precedente hanno occupato la piazzetta di Portofino, una vera e propria invasione dal mare, come nei peggiori incubi di certa propaganda. Solo che questi non sono disperati: Tra gli invitati spiccano cantanti come Rihanna e i Backstreet Boys oltre a gente come Mark Zuckerberg, Bill Gates e John Elkann. La festa, durata tutta la notte, a bordo della nave da crociera ha scatenato le polemiche in città: il volume della musica non ha fatto dormire molti genovesi e a nulla sono valse le segnalazioni sia degli abitanti del centro storico e delle alture.

Di fianco c’è la nave “Sea Eye 4” che ha portato in salvo 51 migranti, tra cui più della metà, 28, sono minori. La nave carica di naufraghi ha potuto lasciare il porto di Taranto soltanto il 14 maggio scorso, per effetto delle misure imposte dal governo, dopo aver subito il fermo amministrativo più lungo mai imposto a una nave che si occupa di soccorso in mare ai migranti. Ad aspettarli sul molo non c’erano calici di champagne ma i medici della Croce Rossa. Ora verranno smistati tra Genova, La Spezia e Savona. Alcuni nelle Marche e in Emilia Romagna. E di sicuro saranno ritenuti fastidiosissimi.

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Campagne elettorali Social: le destre spendono di più anche se vogliono meno Europa

In vista delle elezioni del Parlamento europeo di sabato e domenica prossimi, politici e partiti hanno aumentato significativamente la loro spesa per gli annunci online. Tra tutti, il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il suo partito Fidesz hanno dominato la scena, spendendo enormi cifre sulle piattaforme di Google e Meta (Facebook e Instagram). La loro presenza è così massiccia che ha persino superato quella di paesi interi come la Spagna.

Campagne elettorali social: l’ungherese Fidesz batte tutti

Fidesz ha investito più di qualsiasi altro partito politico nei 27 paesi dell’Unione Europea, acquistando la maggior parte degli annunci su entrambe le piattaforme. Gli annunci di Fidesz seguono la retorica del sovranismo europeo, attaccano i rivali politici come succubi di Bruxelles e ce l’hanno con il solito George Soros, mentre si rivendono come il “partito della pace” in riferimento alla guerra in Ucraina.

Anche i partiti di estrema destra in Europa hanno intensificato la loro presenza online. L’Alternative für Deutschland (AfD) in Germania, ad esempio, ha speso più di qualsiasi altro partito tedesco su Google, con annunci che hanno raggiunto almeno 90 milioni di visualizzazioni.

La retorica di questi annunci va dagli attacchi alla “follia climatica” degli avversari politici alle richieste di fermare l’”invasione” dei migranti. Sette dei primi 10 partiti che spendono di più per la campagna online sono di destra e di estrema destra: oltre all’ungherese Fidesz e all’AfD tedesca, ci sono il Partito della Libertà austriaco (FPÖ), i democratici svedesi, i polacchi di Legge e giustizia, Fratelli d’Italia e gli spagnoli di Vox.

Nonostante le nuove leggi europee sulla tecnologia e la privacy abbiano reso più difficile per i politici indirizzare gruppi specifici di elettori, lo studio di Politico ha rilevato che i partiti di destra e di estrema destra sono stati tra i maggiori investitori in annunci digitali. Questi partiti rappresentano oltre il 60% della spesa pubblicitaria politica online.

Gli altri partiti europei

Anche i partiti collegati al Partito Popolare Europeo (Ppe), ai Socialdemocratici e ai Verdi hanno investito in modo significativo nelle pubblicità digitali, cercando di competere nel grande gioco della campagna elettorale online. Ad esempio, in Belgio, il leader del partito fiammingo di estrema destra Vlaams Belang, Tom Van Grieken, ha speso più di 100mila euro solo nell’ultimo mese tra Facebook e Instagram.

In Romania, il primo ministro Marcel Ciolacu ha utilizzato le piattaforme Meta per promuovere i suoi sforzi di reindustrializzazione del paese, mentre in Francia, dove la legge locale vieta gli annunci politici sei mesi prima delle elezioni, le spese sono state notevolmente inferiori. Tuttavia, gruppi di campagna e agenti governativi hanno comunque trovato modi per promuovere interessi specifici attraverso pubblicità che puntano su tematiche locali.

Campagne elettorali social: dubbi sugli effetti

Nonostante l’onda di annunci politici online, non è chiaro se questi ingenti cifre spese influenzeranno effettivamente gli elettori europei. Secondo uno studio di aprile delle università di Monaco e Giessen la pubblicità politica sui social media può influenzare i risultati elettorali, anche se l’effetto “sui risultati delle elezioni è ancora poco chiaro”.

Le piattaforme di social media come Google e Meta sono state criticate per la loro gestione degli annunci politici, con Meta sotto inchiesta dalla Commissione Ue per possibili carenze nei controlli.

TikTok, invece, non consente pubblicità politica, ma i contenuti politici continuano a diffondersi, con i politici che cercano di raccogliere supporto tra i giovani utenti dell’app. Un solo dato è certo: i partiti che vogliono meno Europa sono quelli che spendono di più per martellarla.

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La Lega all’attacco del Colle, prove tecniche di premierato

L’aria pesante che tira si può annusare ripercorrendo il 2 giugno di ieri, festa della Repubblica, in cui per la prima volta un governo ha pensato bene di sferrare l’attacco diretto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Il primo è stato il senatore Claudio Borghi, spesso usato nella Lega come uomo d’avanscoperta per provare a lanciare il sasso e vedere l’effetto che fa. Scrive Borghi: “È il 2 giugno, è la Festa della Repubblica Italiana. Oggi si consacra la Sovranità della nostra Nazione. Se il Presidente pensa davvero che la Sovranità sia dell’Unione Europea invece dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso”. Più Italia e meno Europa è il motto della campagna elettorale della Lega, l’ultima probabilmente con Salvini in sella, che rischia di essere politicamente seppellito sotto il risultato che arriverà. 

Forse proprio la paura di perdere il ruolo da segretario ha spinto Salvini ha accodarsi al suo senatore. Dice Salvini: “Penso all’Europa come un insieme di Stati sovrani, autonomi e liberi che mettono in comune alcune energie, alcune forze, però la sovranità nazionale è assolutamente fondamentale”. 

Appare perfino inutile precisare che Mattarella non volesse mettere in discussione la sovranità nazionale e appare perfino inutile aggiungere che i meccanismi dell’Unione europea sono ben distanti dall’idea che ne hanno Salvini e Borghi. Il punto politico è un altro: un vice presidente del Consiglio attacca il Quirinale durante il 2 giugno. Sono le prove tecniche del premierato che sognano, quello delle mani libere senza intoppi. 

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Un lavoratore su dieci

Più di un lavoratore su dieci in Italia è irregolare. I dati presentati dalla Confcommercio in occasione della propria Giornata nazionale “Legalità, ci piace” dicono che l’illegalità è costata alle imprese del commercio e dei pubblici esercizi 36,8 miliardi di euro e ha messo a rischio 268 mila posti di lavoro.

Le rilevazioni Istat del 2021 scrivevano di un valore economico dell’illegalità sul lavoro superiore ai 173 miliardi di euro, di cui oltre 68 miliardi da lavoro irregolare e oltre 18 da attività illegali. Sul lavoro siamo di fronte a un tasso di irregolarità pari al 12,7%, i settori maggiormente colpiti sono: servizi alle persone con un tasso di irregolarità del 42,6%; agricoltura, avicoltura e pesca 16,8%; costruzioni 13,3%; commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasposti e magazzinaggio, alloggio e ristorazione 12,7%.

Per dirla in numeri nel 2021, erano 2 milioni e 990 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità; occupate in prevalenza come dipendenti, circa 2 milioni e 177 mila. Aggiungete in un quadro come questo le politiche di precarizzazione del lavoro, di liberalizzazione dei meccanismi di appalto, l’indebolimento delle tutele contro i licenziamenti illegittimi e avrete l’humus perfetto per le morti sul lavoro che infestano le statistiche del nostro Paese, scorrendo di giorni in giorno. 

Ha tutta la parvenza di un’emergenza nazionale se non fosse che l’evasione di sopravvivenza – chiamata così dai fiancheggiatori politici dell’illegalità – è un tema che rimane sempre scostato dalle pensose commemorazioni antimafia. Come se non sapessimo che è proprio quella vasta zona di grigio a essere l’ecosistema perfetto per le mafie. 

Buon lunedì. 

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Il Bestiario della settimana – Forza Italia resuscita Berlusconi, Salvini sul Titanic e l’eccellenza italiana di Magi

Silvio forever

Dopo la morte di Silvio Berlusconi in molti hanno fatto notare come la commemorazione dell’ex leader fosse stata interminabile dentro Forza Italia. Poi Tajani e i suoi hanno deciso di utilizzare il nome di Berlusconi sul simbolo anche per le prossime elezioni europee, passando dalla commemorazione alla seduta spiritica. Ora addirittura in Forza Italia hanno pensato di invitare a scrivere Berlusconi sulla scheda, nonostante, per ovvie ragioni, Silvio non sia candidato. Andando avanti così altri potrebbero candidare Berlinguer, altri Andreotti, qualcuno Che Guevara e, perché no, anche Topo Gigio. Giusto per restituire credibilità alla politica e combattere l’astensionismo. Mattarella ha da poco firmato il decreto per il via libera di un francobollo commemorativo dedicato a Berlusconi. Magari al prossimo giro al Quirinale candideranno quello.

Il Titanic di Matteo

Tra i partiti che si stanno distinguendo (in meglio o in peggio fate voi) per la propria campagna elettorale, la Lega di Matteo Salvini svetta con la polemica sul tappo di plastica delle bottiglie di plastica che ha tenuto banco per qualche giorno, giusto per ricordarci quale sia il livello del dibattito. Il partito del ministro delle Infrastrutture questa settimana ha preparato una bella card con l’ex ministro del Movimento 5 stelle Danilo Toninelli e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein in posa come nella celebre scena del film Titanic. Dall’altra parte c’è il rendering del Ponte sullo Stretto di Messina. Sopra campeggia la scritta “meno Europa più Italia”. Nessuno ancora adesso ha capito il nesso tra slogan e immagine. Di certo i risultati delle elezioni potrebbero consegnarci il nuovo Schettino della Lega. Proprio lui, Capitan Salvini.

Eccellenza italiana

Riccardo Magi di +Europa si è presentato alla Camera dei deputati con una bustina di cannabis light con la foto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la scritta “canapa eccellenza italica”. Attimi di panico tra i presenti. S’è vista gente frugare nelle tasche temendo di averla perduta.

Addio astensionismo

A Ingria, piccolo paese nel torinese, ci sono in tutto 46 abitanti e 30 di loro sono candidati alle prossime elezioni amministrative. In una lista c’è il candidato sindaco che sfida sua madre candidata con la lista avversaria. Ecco come fare votare gli italiani: candidandoli. Risolto il problema dell’astensionismo.

Collocamento Miccichè

Nel giro di una settimana il presidente della Regione Sicilia Gianfranco Miccichè ha piazzato due bei colpi. Prima ha risposto “ce lo possono sucare altamente” a chi lo accusava di peculato per avere utilizzato l’auto blu per faccende personali. Poi si è scoperto che il suo pescivendolo di fiducia di Cefalù era stato assunto dalla senatrice Daniela Ternullo, arrivata a Palazzo Madama grazie proprio alla rinuncia di Miccichè. “Non c’è nulla di illecito, non è stato pagato con risorse del Senato, ha avuto per qualche mese un incarico personale, l’ho pagato coi miei soldi, attraverso un regolare contratto”, ha detto la senatrice a Repubblica. Nel suo staff al Senato figurava anche un altro collaboratore di Miccichè, Giancarlo Migliorisi, che nei mesi scorsi si è dovuto dimettere dalla segreteria tecnica dell’Ars perché sorpreso dalla polizia a comprare cocaina. “Ha un curriculum straordinario, è un mio corregionale, a suo carico non risultano procedimenti penali né amministrativi”, ha detto di lui al Fatto Quotidiano la Ternullo. Morale. Miccichè meglio dei Centri per l’impiego: trasforma in lavoro tutto ciò che tocca.

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Le spese militari aumentano, quelle per la Cooperazione internazionale no

Quanto gli Stati del mondo credano nella cooperazione in un mondo affollato dalle guerre lo dicono i numeri: mentre l’instabilità internazionale cresce e si sprecano promesse di aiuti umanitari la cooperazione internazionale ristagna indifferente. È quanto emerge dai dati preliminari rilasciati dall’Ocse.

Oltre all’Italia che ha registrato un peggioramento piuttosto marcato (l’aiuto pubblico alla sviluppo globale si è ridotto del 15,5%) i paesi Ocse Dac mostrano nei numeri un evidente rallentamento. 

I numeri della Cooperazione internazionale

Come analizza Openpolis generalmente l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) è rimasto inalterato rispetto al 2022. Nonostante un trascurabile aumento in termini assoluti (+1,8%), in rapporto al reddito nazionale lordo (Rnl) non ha subito alcuna variazione, rimanendo fermo allo 0,37%.

Una percentuale ancora lontana dall’obiettivo dello 0,70% stabilito dall’Agenda Onu per il 2030. I costi per rifugiati nei paesi donatori, la principale voce del cosiddetto aiuto gonfiato, sono invece diminuiti del 6,2%, rimanendo tuttavia una componente molto significativa dell’Aps totale (13,8%).

Il rapporto tra Aps e Rnl attualmente allo 0,37% dovrà  raddoppiare per raggiungere l’obiettivo, stabilito dall’agenda per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni unite, dello 0,70% entro il 2030. A oggi solo 5 Paesi hanno superato la soglia (Norvegia, Lussemburgo, Svezia, Germania e Danimarca) su 31.

Nella classifica l’Italia mantiene quest’anno il 21esimo posto, davanti agli Usa che registrano un bassissimo 0,24% di aiuto pubblico allo sviluppo rispetto al Rnl. 

I dai dati preliminari Ocse relativi al 2023

In 17 paesi, Italia inclusa, l’Aps è diminuito. Questo è stato evidente – spiega Openpolis -, in particolare, in alcuni paesi dell’Europa centro-orientale. In Estonia, Polonia e Repubblica Ceca il calo è stato pari a oltre un terzo (superando, in Estonia, il 50%).

In questi paesi è stato forte il calo delle risorse destinate alla voce di spesa “rifugiati nel paese donatore”, strettamente legato, a est del continente, all’assistenza di persone fuggite dalla guerra in Ucraina.

Parallelamente l’aiuto bilaterale nei confronti dell’Ucraina, incluso l’aiuto umanitario, non è affatto diminuito. Tra il 2022 e 2023 è aumentato del 9% in termini reali, sfiorando i 20 miliardi di dollari (quasi il 60% dei quali donati dagli Stati Uniti). Nel 2023 l’aiuto bilaterale destinato all’Ucraina rappresentava il 9% di tutto l’Aps dei paesi Ocse Dac (mentre nel 2022 era stato dell’8,3%).

In Canada e Lituania la quota ha superato il 20%. A questo importo vanno poi aggiunti altri 20,5 miliardi di dollari delle istituzioni europee, erogati principalmente in forma di prestiti concessionali destinati al sostegno della stabilità finanziaria del paese. Nell’ambito delle risorse europee invece l’aiuto umanitario si è limitato a 443 milioni di dollari.

La dinamica degli aiuti bilaterali nei Paesi Ocse Dac

Complessivamente nei paesi Ocse Dac a diminuire è stato l’aiuto bilaterale (da paese donatore a paese ricevente), passato da 14,45 a 13,51 miliardi di dollari a prezzi costanti (-6,5%). Mentre è aumentato leggermente quello multilaterale, ovvero destinato a organizzazioni specializzate in cooperazione,  che ha registrato un +4,8%, passando da meno di 50 a oltre 52 miliardi.

Nel bilancio dell’aiuto bilaterale ci sono i famosi “costi per i rifugiati nel paese donatore, che molte organizzazioni considerano un aiuto “gonfiato” che di fatto non contribuisce al bilancio di nessun paese in via di sviluppo. Tra i paesi con le quote più elevate di aiuto gonfiato figurano diversi stati dell’Europa orientale, in particolare Repubblica Ceca (prima, con il 52,7%), Estonia e Polonia, che pure come abbiamo visto hanno registrato un calo dell’aiuto per i rifugiati rispetto al 2022. Ma anche Irlanda (52,3%) e Svizzera (28,3%). L’Italia è al settimo posto, con il 26,8%.

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Nella campagna elettorale per le Europee l’Europa non si è vista – Lettera43

Politiche agricole, Green Deal, energia, balneari? Tutto dimenticato. Nella battaglia per Bruxelles la politica provinciale si è limitata a dibattere sui tappi nel naso, sullo scontro tra le leader dei due maggiori partiti, e sulle provocazioni di un generale candidato da un capitano. Poi non lamentatevi dell’astensionismo.

Nella campagna elettorale per le Europee l’Europa non si è vista

Veloce e naturalmente incompleto quadro dello stato di fatto della campagna elettorale per le prossime elezioni Europee, a una settimana da un travaso di voti che potrebbe squinternare l’Ue e renderci tutti trumpiani proprio mentre Trump affonda di fronte alla giustizia (ma non è detto che non si alzi nei sondaggi).

La protesta dei trattori e le politiche agricole sono finite nel dimenticatoio

Qualche mese fa, anche se sembra passato un secolo, tutti i partiti italiani erano convinti che l’agricoltura fosse il grande tema della campagna elettorale. Erano i giorni in cui la protesta dei trattori infiammava l’Italia e le piazze dei Paesi Ue trascinandosi dietro gli inevitabili rivoluzionari sempre all’erta che non vedono l’ora di impugnare il forcone. Di botto i giornali italiani e le trasmissioni di approfondimento hanno studiato le ragioni della protesta mettendo in bella vista il decalogo di “ciò che funziona” e “ciò che non funziona” sugli agricoltori in Europa. L’urgenza di quei giorni era ammansire i rivoltosi, studiare delle correzioni in corso ma avresti scommesso che finalmente le politiche agricole sarebbero diventate un croccante argomento pop in campagna elettorale. Finalmente si parla di Europa, insomma. Niente di tutto questo. L’attenzione dei media si è spenta con i roghi e qui fuori non è rimasto nemmeno il fumo.

Nella campagna elettorale per le Europee l'Europa non si è vista
La protesta dei trattori sulle strade italiane (Getty Images).

Il Green Deal sacrificato da von der Leyen sull’altare del sostegno a destra 

Stesso discorso per il benedetto Green Deal, altresì detto transizione ecologica negli italici confini. Ursula von der Leyen fino qualche mese fa, anche se sembra passato un secolo, lo sfoggiava come risultato politico fondamentale di questa legislatura europea. Non ci si poteva fregiare di una postura progressista senza un alito di Green Deal addosso. Poi è accaduto che la presidente della Commissione Ue ha avuto bisogno delle destre, quelle destre che strillano e pestano i piedi per il diritto al motore termico che vorrebbero inserire nella Costituzione e ci si sarebbe aspettati che nelle settimane di campagna elettorale avremmo potuto goderci i nostri leader di partito spiegarci come transitare ecologicamente, con quali mezzi, con quali carburanti, a quali costi. Saremmo stati disposti anche a una dura e franca disfida sull’energia nucleare pur di scrollarci di dosso questo sculettamento provinciale con cui affrontiamo in Italia qualsiasi sfida globale, dalle guerre al clima che cambia e addirittura muore. Niente di tutto questo. La transizione ecologica dalle nostre parti è la zuffa tra mitomani che temono di essere ingozzati con la forza a manciate di grilli secchi e sostenitori del nucleare di nuova generazione che non si capisce a che generazione si riferiscano.

Nella campagna elettorale per le Europee l'Europa non si è vista
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (Getty Images).

Balneari? Resta solo la tattica del rinvio

Da anni ci torturiamo con la messa a gara degli stabilimenti balneari. Ogni anno, più o meno in questo periodo, dipende dalla quantità di caldo o pioggia, veniamo bombardati dal frignio di imprenditori che lamentano un’Europa assassina spalleggiati da partiti che si prestano a esserne le prefiche. Ci saremmo aspettati che la campagna elettorale per la prossima Europa fosse l’occasione per dirci quale sia la strategia, al di là del rimandare, e per alfabetizzarsi sulle direttive europee che ci appaiono sempre inutili e lontane finché non ci cadono addosso. Niente di tutto questo. Delle spiagge ci resta solo il terrore di vederle protagoniste dei bagordi di qualche ministro.

La campagna si è ridotta a tappi nelle narici e alle provocazioni di un generale

La campagna elettorale per le Europee finora è stata un attorcigliamento su confronto tra le due leader dei due più grandi partiti d’Italia che dovrebbe essere quasi quotidiano in una normale e democratica repubblica televisiva come la nostra. Di questa campagna elettorale ci rimane finora un generale candidato da un capitano che rincorre la provocazione più cretina per fare capolino. Provocazioni europee? Ma magari. Si discute di colori delle persone, delle loro inclinazioni affettive, delle loro abitudini sessuali. Talmente provinciali da avere ridotto l’Unione europea a una questione di letto. La campagna elettorale delle Europee è rimasta sintonizzata per quasi tre giorni sul tappo delle bottiglie di plastica che si incastra nelle narici. Poi si è spostata, anche se per poco, sulle dichiarazioni di un candidato sulla guerra. Fermi tutti, non gioite. Non è stata discussione larga e complessa sul ruolo scarso dell’Europa nei conflitti internazionali in corso. No, no. Si è detto e scritto solo per sistemare le beghe tra partiti. Migliaia di vittime civili usate come roncola per redimere questioni di vicinato. Il 10 giugno a urne chiuse i pensosi commentatori affiancheranno i pensosi leader di partito per dirsi preoccupati in coro alla luce dei dati dell’astensionismo. «Dobbiamo avvicinare la politica alla gente perché comprenda quanto l’Ue sia centrale nelle nostre vite», diranno. Qualcosa del genere. Fra cinque anni.

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Comizio di Giorgia a Roma: “Qui si fa la storia”. Rivendica i successi del governo e sfida Schlein

“Presidente De Luca, sono quella stronza della Meloni“. Così dagli altoparlanti di Piazza del Popolo, dove Fratelli d’Italia ha organizzato l’evento di chiusura della campagna elettorale, riecheggia il saluto polemico tra la premier Giorgia Meloni e il governatore campano Vincenzo De Luca, avvenuto a Caivano. La platea dei sostenitori di FdI reagisce immediatamente. Dal palco, Meloni si scaglia contro De Luca: “Una donna insultata deve reagire o sottomettersi? Vale solo perché io sono una donna di destra e lui un uomo di sinistra”. Rivendica con orgoglio la sua capacità di difendersi, parlando di parità e orgoglio femminile. L’evento inizia con l’intervento dei sindaci e si infiamma con la presenza di Ignazio La Russa, presidente del Senato, che saluta Meloni con un cinque, dichiarando: “Oggi è la giornata di Giorgia”. Presenti anche la sorella della premier, Arianna Meloni, Giovanni Donzelli, e vari ministri come Carlo Nordio, Francesco Lollobrigida, e Gennaro Sangiuliano, oltre a numerosi parlamentari.

Nel suo discorso Meloni parla di un referendum tra “l’Europa ideologica” della sinistra e “la nostra Europa concreta e fiera”. Sottolinea la necessità di un’Europa che non sia una “sovrastruttura” burocratica. Attacca la sinistra, accusandola di voler trasformare l’Europa in un’entità che riduce le nazioni a “piccoli enti senza dignità”. Esorta gli italiani a votare, affermando: “Qui si fa la storia e la storia possiamo essere noi. Siamo ad un punto di svolta. È un referendum”. La presidente del Consiglio difende il contatto diretto con il popolo e critica la rabbia degli avversari. Promette che il loro motore sarà “sempre l’amore e non l’odio, costruire e non distruggere”. Parla poi della coesione della maggioranza, abbracciando simbolicamente Salvini e Tajani, e assicurando che il loro obiettivo è cambiare l’Italia “mattone dopo mattone”. Rivendica la necessità del premierato, considerandolo la “madre di tutte le riforme”. Attacca la sinistra per essere contraria alle riforme e voler continuare i “giochi di palazzo”. Accusa il Pd di essere democratico solo quando comanda. Critica il Movimento 5 Stelle, accusandoli di autoritarismo per voler dare ai cittadini il potere di eleggere il premier. Promette che l’Italia non andrà più “con il piattino in mano” in Europa, dichiarando chiusa quella stagione. Sfida la segretaria dem, Elly Schlein, a prendere posizione sulle affermazioni del candidato socialista Schmit, che ha definito i conservatori europei come una forza non democratica. Riguardo all’Europa, Meloni dichiara: “Abbiamo vinto lo scudetto, ora dobbiamo vincere la Champions League”, sostenendo che una maggioranza di destra in Europa non è lontana e che la destra vuole un’Europa basata sulla giustizia sociale e sull’innovazione.

Meloni: “Qui si fa la storia”. Schlein risponde da Milano. Tensione a Milano con Salvini e Vannacci

Contemporaneamente, a Milano, Elly Schlein chiude la campagna elettorale del PD all’Arco della Pace, accusando Meloni di vedere “un altro Paese” e di cancellare la libertà delle persone. Parla della necessità di una sanità pubblica più forte e dell’inclusione sociale, attaccando il governo per le sue scelte economiche e sociali. Critica l’alleanza di Meloni e b con partiti europei che hanno votato contro il Next Generation EU. Nel frattempo, a Milano, la chiusura della campagna elettorale della Lega con Matteo Salvini e il generale Roberto b è segnata da momenti di tensione tra giovani antagonisti e forze dell’ordine. Salvini ribadisce l’unità del centrodestra e la sua visione di un’Europa più sovrana, mentre Vannacci promette di sabotare iniziative contrarie alle tradizioni italiane. Salvini chiude il suo discorso ringraziando b e promettendo che la Lega sarà la “più bella sorpresa delle Elezioni Europee”. Con questa chiusura infuocata delle campagne elettorali, l’Italia si avvicina a un momento cruciale di scelta, tra visioni contrapposte di futuro europeo e nazionale.

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