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Decreto flussi: stranieri in ingresso sei volte più delle quote. E solo il 23,5% ottiene un permesso di soggiorno regolare

Nel 2023, le domande di ingresso per lavoro sono state sei volte superiori rispetto alle quote fissate dal governo, con solo il 23,52% delle quote trasformate poi in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. La percentuale di permessi rilasciati è significativamente inferiore rispetto al 2022, quando il tasso di successo era del 35,32%, ma con un numero di quote inferiore. Questi dati emergono dal dossier “I veri numeri del decreto flussi: un sistema che continua a creare irregolarità” della campagna Ero Straniero, che monitora il sistema di ingresso per lavoratori dall’estero.

La campagna Ero Straniero rileva che il sistema, nonostante le procedure semplificate, rimane rigido e complesso, risultando insufficiente rispetto alle richieste del mondo produttivo e mantenendo criticità profonde che generano irregolarità e precarietà. L’analisi si basa sui dati dei decreti flussi del 2022 e 2023, ottenuti tramite accesso civico ai ministeri dell’Interno, degli Affari Esteri e del Lavoro e Politiche Sociali. Il report è disponibile sul sito della campagna ed è stato presentato al Senato da vari rappresentanti di associazioni e accademici.

Nel 2023, le domande pervenute nei “click day” sono state 462.422 contro 82.705 posti disponibili. Nel 2022, le domande erano 209.839 rispetto a 69.700 posti. Queste domande extra-quota rappresentano lavoratori che sarebbero entrati regolarmente e in sicurezza, senza altre modalità per lavorare in Italia. Inoltre, molte quote non vengono utilizzate: nel 2022, solo 55.084 nulla osta su 69.700 quote disponibili sono stati rilasciati, pari al 79,03%.

Domande sproporzionate e quote insufficienti, procedure lente e macchinose e migliaia di persone a rischio irregolarità: i risultati del dossier della campagna “Ero straniero” sul decreto flussi

Altro passaggio critico è il rilascio dei visti per l’ingresso. Al 31 gennaio 2024, su 74.105 ingressi previsti per il 2023, sono stati rilasciati 57.967 visti e rifiutati 10.718. Tuttavia, delle persone che hanno ottenuto il visto, il 67,15% era ancora in “attesa convocazione”, indicando un evidente blocco del meccanismo. Anche per le quote 2022, ci sono oltre 2.300 visti pendenti, dimostrando un significativo allungamento dei tempi rispetto ai limiti di legge. Il dato più preoccupante riguarda la finalizzazione della procedura: su 74.105 posti disponibili nel 2023, solo 17.435 domande sono state completate con la sottoscrizione del contratto e la richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, pari al 23,5%. Per il 2022, il tasso è leggermente più alto, al 35,2%. Solo una piccola parte dei lavoratori riesce a stabilizzare la propria posizione lavorativa e giuridica, ottenendo lavoro e documenti, mentre molti altri scivolano nell’irregolarità e precarietà, rendendoli vulnerabili.

Eppure un possibile strumento per evitare che molte persone diventino irregolari esiste già: la legge prevede infatti un permesso di soggiorno per attesa occupazione in caso di indisponibilità del datore di lavoro. Tuttavia, nel 2022 sono stati rilasciati solo 146 di questi permessi, e 84 fino a gennaio 2024 per il 2023, numeri del tutto insufficienti. Ero Straniero riconosce alcuni elementi positivi introdotti negli ultimi anni, come il coinvolgimento delle associazioni datoriali, che ha semplificato la procedura e aumentato l’efficacia. Inoltre, il decreto flussi 2022 ha visto 6.702 domande da partecipanti a programmi di formazione nel paese d’origine, rispetto ai 1.000 posti iniziali, indicando che la formazione nei paesi di origine può essere una strada proficua per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il dossier include testimonianze di lavoratori, datori di lavoro e associazioni di categoria, raccolte presso il patronato Cna e nel progetto di ricerca “Aspire” finanziato dall’Unione Europea. Queste storie evidenziano le difficoltà del sistema attuale e l’urgenza di riforme per garantire un ingresso legale e sicuro dei lavoratori stranieri, contribuendo alla crescita del paese.

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Massiccio attacco russo nella notte. La Polonia schiera i caccia

Durante un massiccio attacco missilistico notturno lanciato dalle forze russe contro l’Ucraina, aerei militari polacchi e di Paesi alleati sono decollati in missione di pattugliamento. A riferirlo è stato il Comando operativo delle Forze Armate polacche, come riportato da Ukrinform. Nel comunicato si avverte che l’attività dei caccia potrebbe causare rumore, soprattutto nella parte sudorientale del Paese. Tuttavia, il Comando ha assicurato che sono stati attivati tutti i protocolli necessari per garantire la sicurezza dello spazio aereo polacco.

La Difesa aerea ucraina in Azione: 81 obiettivi abbattuti

La notte scorsa, la difesa aerea ucraina ha abbattuto 35 missili da crociera e 46 droni kamikaze russi, ha riferito l’Aeronautica militare di Kiev su Telegram. In totale, la Russia ha lanciato 53 missili di vario tipo e 47 velivoli senza pilota Shahed-131/136. Il generale Mykola Oleshchuk, comandante dell’Aeronautica ucraina, ha dichiarato che l’attacco è stato diretto contro le infrastrutture critiche in varie regioni dell’Ucraina, utilizzando missili aerei, marittimi e terrestri, nonché droni di tipo Shahed. Oleshchuk ha precisato che sono stati lanciati 35 missili da crociera Kh-101/Kh-555 da bombardieri strategici Tu-95MS dalla regione russa di Saratov e dal Mar Caspio; quattro missili balistici Iskander-M e un missile da crociera Iskander-K dalla Crimea; 10 missili da crociera Kalibr dal Mar Nero; tre missili aerei guidati Kh-59/Kh-69 dalla regione occupata di Zaporizhzhia e 47 droni Shahed-131/136 dalla zona di Prymorsk-Akhtarsk in Russia. In totale, sono stati abbattuti 81 obiettivi aerei, inclusi 30 missili da crociera Kh-101/Kh-555, quattro missili da crociera Kalibr, un missile da crociera Iskander-K e 46 droni Shahed-131/136.

Appello di zelensky per maggiori sistemi di difesa

Gli attacchi hanno colpito anche gli impianti energetici nelle regioni ucraine di Zaporizhzhia, Dnipropetrovsk, Donetsk, Kirovohrad e Ivano-Frankivsk, secondo quanto riferito dal ministro dell’Energia ucraino, Herman Galushchenko, come riportato da Ukrainska Pravda. I danni agli impianti sono ancora in fase di valutazione. Un’infrastruttura critica non identificata nella regione di Vinnytsia è stata attaccata, provocando un incendio a causa della caduta di frammenti di un drone abbattuto, ha reso noto Serhiy Borzov, capo dell’amministrazione militare regionale. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha rinnovato l’appello per sistemi di difesa aerea agli alleati. “Civili, infrastrutture, impianti energetici: questo è ciò contro cui la Russia è in guerra,” ha scritto su Telegram. Zelensky ha sottolineato la necessità di ulteriori sistemi di difesa come i Patriot e moderni caccia F-16 per proteggere il Paese.

Nel frattempo, la Russia ha rivendicato di aver colpito l’aeroporto militare vicino alla città di Stry, nella regione di Leopoli, dove le forze armate ucraine stavano preparando la ricezione dei caccia F-16 della NATO. Secondo il coordinatore militare russo Sergei Lebedev, i magazzini dell’aeroporto sono stati attaccati e sei missili da crociera hanno colpito tre infrastrutture critiche, causando una potente esplosione e ferendo quattro persone. In un contesto più ampio, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha ribadito, durante una riunione della NATO a Praga, il sostegno dell’Italia all’Ucraina, specificando che le armi italiane non saranno utilizzate al di fuori dei confini ucraini e che non verranno inviati militari italiani nel Paese. Intanto secondo Denise Brown, coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite per l’Ucraina, dall’inizio dell’invasione russa, più di 600 bambini sono stati uccisi e 1.420 sono rimasti feriti, dati che superano quelli riportati dall’Ufficio della Procura generale ucraina.

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Breve storia di un leghista

Breve (e triste) storia di un leghista. A Mantova martedì c’è stata l’inaugurazione di una palestra pubblica. Nel corso dell’evento si è svolto il tradizionale taglio del nastro: insieme al sindaco Mattia Palazzi c’erano diversi bambini, uno dei quali dalla pelle nera. Il segretario cittadino della Lega Cristian Pasolini ha recuperato una foto della giornata e l’ha postata sul suo profilo Facebook scrivendo: “Casualità e comunicazione. Bene l’inaugurazione della palestra ed ennesimo taglio del nastro con foto di rito e tradizionale prima fila con bimbo negroide (bimbo di colore, se non vogliamo usare correttamente i termini scientifici di lingua italiana)”.

Inevitabili le polemiche e le accuse di razzismo. In una nota il capogruppo del Pd in Regione Lombardia, Pierfrancesco Majorino, ha aggiunto: “Tenga giù le mani dai bambini. Difficile immaginare parole più sprezzanti, ingiuriose, razziste, indirizzate contro un bambino. Affermazioni di istigazione all’odio”, ha concluso, “che arrivano da chi ricopre un ruolo di primo piano in un partito, che non si possono che definire orribili”. Pasolini si è scusato? Ma va. Si è dimesso dal suo ruolo di coordinatore della Lega. “Mi sono dimesso questa mattina – spiega Pasolini – e spero di aver chiarito la mia posizione e il mio pensiero”. Ha, quindi, annunciato di aver rimosso il post contestato: “Questa mia scelta – ha sottolineato – è stata dettata dalla volontà di proteggere chi, mio malgrado, si è forse sentito offeso”. Il bambino “negroide” e quelli che gliel’hanno fatto notare? Pasolini ce l’ha con chi “ha repentinamente preso le distanze dalle mie parole”. Pure nel suo partito.

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Ripasso di storia per il 2 giugno. E per uscire dal provincialismo

Il 2 e il 3 giugno del 1946 si tenne il referendum istituzionale con il quale gli italiani vennero chiamati alle urne per decidere quale forma di Stato – monarchia o repubblica – dare al Paese. Il referendum fu indetto al termine della seconda guerra mondiale, qualche anno dopo la caduta del fascismo, il regime dittatoriale che aveva imperversato durante il regno dei Savoia per più di vent’anni.

Conviene partire da un ripasso di storia per prepararsi, domani, alla celebrazione del 2 giugno che prevedibilmente, anche quest’anno, si trasformerà nell’ennesima sagra della Patria, una scontata virata sul militarismo come elemento fondante della nostra Repubblica dimenticando la libertà, l’oppressione fascista e la democrazia. Il revisionismo storico che stiamo vivendo ha reso una notizia il normale riferimento di Giorgia Meloni agli “squadristi fascisti” responsabili dell’omicidio di Giacomo Matteotti nel giorno della commemorazione dei centenario.

Sono i tempi in cui come seconda carica dello Stato v’è qualcuno che mostrava fiero, davanti alle telecamere, il busto di Mussolini. Sono i tempi in cui un generale dell’esercito candidato alle elezioni europee per un partito di governo deve evocare la X (Decima) Mas per raccogliere voti. Sono i tempi in cui la Festa della Repubblica verrà usata ancora una volta come randello contro gli avversari politici. Tutti nemici sotto il tricolore.

Incidentalmente questo 2 giugno cade anche a una settimana dalle elezioni europee che decideranno da che parte starà l’Italia in Europa e da che parte starà l’Europa nel mondo. Una campagna elettorale persa tra personalismi di candidati per uno scranno che non andranno ad occupare, una campagna che ancora una volta ha tradito il provincialismo di un Paese che discute di tappi di plastica, di beghe tra leaderini di partitini, di messaggi politici che non superano le nostre frontiere. Mentre il mondo trema e avanza il buio, anche questo 2 giugno lo passeremo all’ombra delle nostalgie da cortile. Vedrete.

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La querelle Saviano e i soffiatori di bugie

Gli odiatori seriali che leccano questo governo ieri per tutto il giorno hanno diffuso la notizia che Roberto Saviano non fosse stato invitato alla Buchmesse di Francoforte semplicemente per colpa  delle case editrici che lo pubblicano e non per miopia repressiva del governo. La notizia l’ha appoggiata su un piatto d’argento un quotidiano di quei sedicenti liberali sedicenti competenti che deve essere andato a dormire convinto di avere scritto uno scoop. 

A nessuno è venuto il dubbio che le fiere, tanto più quella di Francoforte, siano l’occasione per le case editrici di monetizzare le proprie opere e i propri autori in un mercato asfittico. L’idea che Saviano fosse stato messo a cuccia dagli editori era una notizia talmente cretina da potere attecchire solo tra i tifosi che discettano di scrittori senza mai avere aperto un libro tranne forse quello del generale Vannacci. 

Poi è accaduto che ieri il commissario straordinario per la Fiera del libro di Francoforte Mauro Mazza, accortosi della giustificazione claudicante sull’esclusione di Saviano, abbia compiuto una bella giravolta invitando lo scrittore, tornando sui suoi passi. Per tutto il giorno aveva provato anche lui a nascondersi dietro il dito degli editori, smentito pubblicamente. Roberto Saviano alla fine ha rifiutato l’ipocrita e tardivo invito forzato di Mazza ricordando che era stato lo stesso commissario a parlare di esclusione in conferenza stampa. 

Il dibattito tra governo e autore per ora è chiuso. Chissà come si sentono quelli che per tutto il giorno hanno soffiato su una bugia sgretolata dai fatti. Ma quelli stanno bene, quelli non leggono, quelli tifano con la bava alla bocca. 

Buon venerdì.  

Roberto Saviano (foto di Giancarlo Belfiore, International Journalism Festival from Perugia, Italia – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17246703)

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Uno scontro… stupefacente sui loghi della cannabis

La nuova priorità della Lega, dopo la sua guerra ai tappi di plastica per non girare la bottiglia, è la cannabis. Sì, è vero, la guerra alla cannabis del partito di Salvini non è niente di nuovo, da ieri però il nemico non è solo la fluorescenza naturale ma anche le sue rappresentazioni in immagini. Tanto da spingere la pentastellata Emma Pavanelli a parlare di “fobia iconografica”.

In un subemendamento al Decreto sicurezza del deputato della Lega Igor Iezzi, capogruppo in commissione Affari costituzionali, si propone di vietare “l’utilizzo di immagini o disegni, anche in forma stilizzata, che riproducano l’intera pianta di canapa o sue parti su insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali. In caso di inosservanza è prevista la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni e della multa fino a 20mila euro”. Il deputato Avs Angelo Bonelli attacca: “Due anni di carcere per chi indossa magliette o fa immagini con il logo della cannabis. Si può dire che è uno schifo?”.

La collega di partito Francesca Ghirra parla di una “deriva liberticida di questo governo, di questa maggioranza” che “non ha mai fine”. I 5 Stelle sottolineano come per la Lega “la lotta alla criminalità passa da follie normative come queste che non tengono conto dell’enorme danno economico a tutte le imprese che producono cosmetici, integratori alimentari, cibo, tessile, bioplastiche e altro contenenti cannabis che legittimamente utilizzano la relativa immagine della pianta sul loro packaging o per le campagne pubblicitarie”. Iezzi non ci sta e invita a non fare “propaganda strumentalizzando gli emendamenti”. E perfino Coldiretti, solitamente morbida con il governo, verga una nota per ricordare che la canapa legale assicura “un giro d’affari da 1,4 miliardi di euro e garantisce fino a 10mila posti di lavoro”. Ma la tentazione della repressione evidentemente è irrefrenabile.

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Save the Children: 1,3 milioni di bambini e ragazzi in povertà assoluta

In Italia più di 1,3 milioni di bambine, bambini e adolescenti vive in condizioni di povertà assoluta e uno su quattro è a rischio di povertà e di esclusione sociale. A essere penalizzate sono le aspirazioni. Il 67,4%, degli adolescenti è convinto che il lavoro del futuro non gli consentirà di uscire dalla povertà, più di un ragazzo su quattro in condizioni di deprivazione materiale afferma che non finirà la scuola e andrà a lavorare (a fronte dell’8.9% dei coetanei). 

Sono i dati della ricerca Domani (Im)possibili, curata da Save the children e presentata all’Acquario di Roma in occasione dell’apertura di Impossibile 2024, la biennale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La ong nel suo rapporto scrive che in Italia quasi un 15-16enne su dieci (9,4%) – circa 108 mila adolescenti – vive in condizioni di grave deprivazione materiale.

Per il 17,9% dei rispondenti, i genitori hanno difficoltà nel sostenere le spese per l’acquisto dei beni alimentari, dei vestiti o per il pagamento delle bollette. C’è chi vive in case senza riscaldamento (7,6%) o con il frigo vuoto (6,4%), chi rinuncia ad uscire (15,1%), chi non fa sport perché troppo costoso (16,2%), chi non va in vacanza per motivi economici (30,8%) e, ancora, chi non riesce a comprare scarpe nuove, pur avendone bisogno (11,6%).

Save the children: un minore su dieci in povertà

Inevitabili le conseguenze sulle opportunità educative. Il 23,9% dei 15-16enni ha iniziato l’anno scolastico senza aver potuto acquistare tutti i libri o il materiale necessario. Il 24% dichiara che i genitori hanno difficoltà economiche per farli partecipare alle gite scolastiche e il 17,4% non si iscrive a corsi di lingua perché troppo costosi.

C’è anche chi in casa non ha uno spazio tranquillo per studiare (15%). Più di un 15-16enne su tre (37,7%) vede i genitori spesso o sempre preoccupati per le troppe spese e il 43,7% cerca di aiutarli, risparmiando (84,2%) e svolgendo qualche attività lavorativa – anche prima dell’età legale consentita – per coprire le proprie spese (18,6%) o per contribuire alle spese di casa (12,3%). 

Save the Children, la povertà uccide anche la speranza

La povertà ovviamente incide anche sulla speranza. Solo poco più della metà dei minori in svantaggio socioeconomico afferma che riuscirà a fare quello che desidera nella vita (54,7%) o quello per cui si sente portato (59,5%), a fronte del 75% e 77,8% di chi ha condizioni socioeconomiche più favorevoli. Inoltre, solo il 35,9% dei giovani intervistati in condizione di deprivazione materiale afferma che andrà all’università – contro il 57,1% dei minori in migliori condizioni socioeconomiche – e un 43,6% vorrebbe andare all’università ma non è certo di potersela permettere.

La consapevolezza circa il percorso ad ostacoli che dovranno affrontare per realizzare le proprie aspirazioni è accompagnata per più del 40% di ragazzi e ragazze da sentimenti negativi quali ansia, sfiducia e paura.

Save the Children: allarme anche nella fascia 0-3 anni

Numeri allarmanti anche per i bambini da 0 a 3 anni. Emergono difficoltà nell’acquisto di prodotti di uso quotidiano, come pannolini (58,5%), abiti per bambini (52,3%), alimenti per neonati come il latte in polvere (40,8%) o giocattoli (37,2%).

Il 40,3% ha difficoltà a provvedere autonomamente a visite specialistiche pediatriche private e il 38,3% ad acquistare medicinali o ausili medici per neonati. Sui bilanci pesano poi il pagamento delle rette per gli asili nido o degli spazi baby (38,6%) e il compenso di eventuali servizi di babysitting (32,4%).

Quasi una famiglia su sette (15,2%) non accede al pediatra di libera scelta. A causa del costo e della carenza di asili nido il 64,6% dei genitori, per la maggior parte donne, rinuncia ad opportunità formative e lavorative perché non sa a chi affidare i propri figli.

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Si vergognano anche loro della Tunisia

Il corrispondente di Radio Radicale Sergio Scandura, ieri sera ha sottolineato un errore che spiega molto del non detto e del mal detto sul sanguinario accordo tra Italia e Tunisia, rinnovata versione del sanguinario memorandum che lega dal 2017 l’Italia alla Libia. Scandura dà notizia che è la malnutrizione la causa della morte della bambina che stava nei 45 naufraghi salvati dalla nave Humanity1. 

Secondo l’Ansa le 45 persone sarebbero state salvate “in acque Sar libiche” mentre il tracciato mostrato dal giornalista mostra chiaramente come l’imbarcazione fosse in acque Sar italiane quando è stata soccorsa. Erano partiti dalla Tunisia, da Sfax, due giorni prima. La salma della bambina di 5 mesi è stata evacuata insieme alla madre diciannovenne e alla sorella di due anni, mentre la nave è stata spedita a Livorno come stabilito dal feroce gioco del decreto Piantedosi che sparge in giro per l’Italia salvatori e salvati per sabotare i salvataggi in mare. 

Scandura si chiede perché l’agenzia Ansa abbia erroneamente battuto nel suo lancio l’informazione che l’imbarcazione fosse partita dalla Libia e da dove abbia tratto quell’informazione. Perché è importante sapere da dove è partito il barchino? “Quei corpi soccorsi in mare che arrivano dalla Tunisia – scrive Scandura – non sembrano affatto ben messi. Arrivano come ‘pezze’ e non si può certo dire che in Tunisia riescano a beneficiare anche solo di uno stantio odore di assistenza umanitaria, in un Paese che peraltro non ha mai tradotto in legge il diritto di asilo e la protezione umantaria. Quei corpi – continua il giornalista – che arrivano dalla #Tunisia ci dicono forse una (ennesima) cosa. Il modello di accordi imbastito da Italia e commissione Ue, col memorabile #TeamEurope Meloni-Rutte-von der Leyen che ha reso omaggio al tiranno di Tunisi, ha gli stessi connotati criminogeni del memorandum fatto con i ‘clan’ che governano la #Libia. Forse, raccontare e documentare come i rifugiati arrivino anche dalla Tunisia ridotti a stracci – neonati cadaveri inclusi per malnutrizione – può mettere in imbarazzo gli autori di certi accordi, di certi memorandum concepiti per alcune isterie elettorali sul fenomeno migranti?”  

Buon giovedì. 

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Effetto domino su Saviano

Alla Buchmesse, la fiera dell’editoria mondiale a Francoforte, dove a ottobre l’Italia sarà il Paese ospite, un autore internazionale come Roberto Saviano non viene invitato perché si è preferito “dare voce a chi finora non l’ha avuta”. Questa è la spiegazione data da Mauro Mazza, commissario straordinario del governo per la Buchmesse.

Roberto Saviano non sarà invitato alla Buchmesse di Francoforte perché si è preferito “dare voce a chi finora non l’ha avuta”

Come scrive lo scrittore Paolo Giordano “Saviano è diventato una cartina al tornasole di certi criteri politici di inclusione ed esclusione inaccettabili nella cultura”. All’invito del governo aveva declinato già da tempo Antonio Scurati, annusando l’aria che tira. Paolo Giordano e Alessandro Piperno hanno fatto sapere di “avere altri impegni”. Franco Buffoni ha annunciato pubblicamente che non andrà. Saviano ha spiegato che quelle del governo sono “banali scuse”: “servono a velare malamente il messaggio, del resto chiaro: fate i bravi e sarete parte della banda”, ha detto in un’intervista a La Stampa.

Duro anche Sandro Veronesi che ha motivato così la sua rinuncia: “Le ragioni balorde e ridicole con cui il Commissario Mazza ha giustificato l’esclusione di Roberto Saviano – dice – non mi permettono di accettare l’invito che ho ricevuto. Continua questa pratica di ingerenza del Presidente del Consiglio e dei suoi più fidati collaboratori, accompagnata da ‘putiniana ipocrisia’, su decisioni che non devono seguire logiche politiche”. Il direttore della Buchmesse ha dovuto spiegare che la fiera “è sinonimo di libertà di parola e di diversità di opinioni e prospettive”. Si è detto felice che Saviano sia ospite del suo editore tedesco. Sempre a proposito della credibilità internazionale di questo governo.

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La campagna elettorale di von der Leyen? Per il sito “Politico” viola le regole di trasparenza dell’Ue

Sarà il fremito di un’alleanza immaginata con il Partito dei conservatori e dei riformisti europei ormai sfumata cammin facendo. Sarà la consistente sensazione di essere mal sopportata anche all’interno del proprio gruppo dei Popolari Ue, ma Ursula von der Leyen è riuscita a incorrere in un errore clamoroso: la sua campagna online per la rielezione alla guida della Commissione europea viola le regole di trasparenza approvate sotto la sua guida. 

La campagna pubblicitaria dedicata a sette paesi Ue (tra cui Belgio, Finlandia e Italia) costa circa 70 mila euro e punta sui servizi di ricerca Google e sulla piattaforma YouTube. Nel video di von der Leyen vengono decantate le sue qualità di leadership e l’impegno profuso alla guida dell’esecutivo Ue.

Eppure in nessuno dei suoi annunci viene menzionata – come ha scoperto Politico – “la sua campagna o il suo partito (il Ppe) come acquirente ufficiale nel registro per la trasparenza di Google”.

La rivista internazionale sottolinea come una società di consulenza con sede a Parigi, la MCC AdQuality, risulti la “responsabile dei messaggi digitali” a sostegno di von der Leyen. Il nome è stato successivamente cambiato in MCC nel registro degli annunci politici di Google dopo le prime indagini della redazione di Politico. 

La campagna online di von der Leyen per il bis

L’Unione europea ha recentemente approvato nuove regole per aumentare la trasparenza sulle campagne online, compresa la necessità per i candidati politici e i partiti di rivelare chi acquista spazi pubblicitari consentendo una chiara identificazione.

Von der Leyen non si candida per essere eletta al Parlamento europeo, è la candidata del Ppe a capo della Commissione e il suo successo elettorale potrebbe aprirle la strada per essere confermata dai leader dell’Ue come presidente della Commissione.

Il Ppe di Von der Leyen è anche firmatario di un codice di condotta per queste elezioni europee che include impegni per “garantire la trasparenza della pubblicità politica e dei messaggi della campagna” e comporta l’impegno di non pubblicare annunci politici tramite intermediari come agenzie pubblicitarie senza una corretta attribuzione alla fonte. 

“MCC AdQuality ha speso 69.300 euro in totale per 17 annunci sui servizi di Google da metà marzo, quando von der Leyen ha annunciato la sua campagna per la presidenza della Commissione, secondo i dati sulla trasparenza della società tecnologica”.

Molti di questi annunci, che costano tra i 7 mila e i 35 mila ciascuno, “rappresentano alcune delle spese più elevate per annunci politici su Google negli ultimi due mesi in Europa, in base ai dati dell’azienda”. 

Cosa prevede la normativa Ue sugli annunci online

Le norme dell’Ue sugli annunci online diventeranno vincolanti dopo le elezioni del Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno ma la Commissione (guidata dalla stessa von der Leyen) ha già invitato le principali piattaforme online, tra cui Google, a garantire che i partiti politici dietro i messaggi a pagamento fossero resi pubblici, nelle linee guida sull’integrità elettorale collegate alla nuova legge sulla moderazione dei contenuti dell’Ue.

Lunedì, sette Ong hanno criticato Google per aver reso difficile esaminare le pubblicità politiche e le potenziali interferenze straniere sui suoi servizi digitali.

All’inizio di questo mese von der Leyen aveva messo in guardia “dalla minaccia di interferenze straniere e ingerenze nella politica dell’Ue”. E, annunciando una stretta sulla trasparenza, aveva aggiunto: “Le grandi piattaforme digitali devono rispettare i loro obblighi”. Poi deve essersene dimenticata. 

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